Come
coniugare la Storia con la storia? Dai tempi di Alessandro Manzoni
questo è, senza dubbio, il cruccio di tutti gli scrittori che si occupano di
romanzo storico, ma anche di tutti gli storici che vogliono divulgare i loro
studi con un linguaggio narrativo efficace per i lettori più esigenti. Come si
amalgamano le nostre piccole storie quotidiane con la grande Storia con la esse
maiuscola? E come fanno gli scrittori a valorizzarle entrambe? Secondo la
scrittrice romana Ilaria Beltramme, il segreto sta nel piacere di raccontare
ciò che maggiormente ci coinvolge. E col suo stile inconfondibile, dal quale
traspare il suo entusiasmo e la sua grande professionalità, Ilaria riesce
sempre ad avvolgerci tra le pagine, tenendo viva la nostra curiosità. Che si
tratti di saggi o romanzi, varia o narrativa, è il suo modo di raccontare a fare la differenza: a
rendere grandi anche le leggende meno note e alla nostra portata persino i
personaggi storici più indigesti. Ma forse
non tutti sanno che è il suo amore per Roma, la città in cui è nata e vuole
continuare a vivere, il vero protagonista di tutti i suoi libri.

È
il piacere di raccontare che mi ispira quando lavoro per la varia e pure quando
sto per mettermi su un romanzo. Considero ogni storia che leggo o che mi
accingo a scrivere come fosse un’avventura. E mi ispiro sempre al consiglio di
Alejandro Jodorowsky di trasformare ogni racconto di famiglia in una storia
epica. Ecco, se Roma è la “mia famiglia” ogni storia che la riguarda, anche la
più minuscola, voglio raccontarla come fosse parte di una grande saga. Prima di
tutto perché lo è e poi perché, raccontando il passato, mi sembra più semplice
vivere il presente. Mi spiego più cose, metaforicamente parlando, il racconto
mi fa sentire più salda alle mie radici. E spero che anche chi mi legge possa
sentirsi, diciamo così, “avvantaggiato” e, di conseguenza, “radicato”.
Leggendo i tuoi saggi si percepisce il legame forte che ti unisce alla tua città: Roma. Ma, chi ci vive lo sa: la Capitale è una città complessa. Svelaci qual è, secondo te, la prima cosa da non fare a Roma, nemmeno una volta nella vita, e che proprio non possiamo immaginare…

La
società segreta degli eretici
e Il Papa guerriero: due romanzi
storici che tengono col fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina. Come si
scrive un romanzo storico? Raccontaci questo percorso, dalla ricerca storica,
alla stesura: su quali tecniche ti basi e come ti rendi conto che la strada che
stai intraprendendo è quella giusta?
I
miei romanzi storici sono “figli” delle mie ricerche. Nascono da lì. E sono il
“contenitore” perfetto per raccogliere i dettagli di alcune storie così
minuscole da non avere trovato posto, se non parzialmente, nei miei libri di
varia. La narrativa, inoltre, mi aiuta a
realizzare il sogno di tornare indietro nel tempo e “vedere”, finalmente, dopo
tante ore di studio, dopo tante congetture, la realtà che sto per raccontare.
Il respiro lungo del romanzo mi dà questa possibilità. Di solito, quindi, anche
i miei romanzi storici nascono in biblioteca. Per prima cosa approfondisco i
temi generali, le condizioni storiche di partenza, il papa del periodo, la vita
quotidiana nell’epoca in cui ambienterò la mia storia. Da lì, cerco di
individuare un punto di vista e una vicenda che racchiuda il grande nel
piccolo. Poi comincio a ragionare sugli snodi principali del romanzo,
approfondisco le ricerche, costruisco i personaggi e gli do una storia
personale su cui basare le loro reazioni. Ogni romanzo, ogni storia in
generale, sia che venga scritta in un romanzo, o al cinema, inoltre, racconta
una trasformazione. Questo
cambiamento deve avvenire nei personaggi e, nel mio caso, anche nella Storia
ufficiale. Nei miei romanzi l’arco di trasformazione dei protagonisti di solito
coincide con quello della città, che cerco di fotografare sempre nei suoi
momenti di transizione, a mio parere i più interessanti da raccontare. I più
densi di emozioni.
È ancora possibile, al
giorno d’oggi, diventare scrittori di professione? Cosa significa collaborare
stabilmente con una grande Casa Editrice come la Newton Compton? Che consiglio
daresti agli aspiranti autori del domani?
Non
so se è ancora possibile. Non so se, al giorno d’oggi, è possibile diventare
qualsiasi cosa “di professione”. E allora tanto vale seguire l’aspirazione di
fare (più che essere) quello che ci fa stare bene. Ma scrivere non è un hobby.
È un mestiere nobilissimo che richiede molte competenze, oltre al famoso
talento. E fra queste – ricordatelo sempre – c’è quella di pensare alla
pubblicazione come a un lavoro di squadra, in cui le correzioni, le richieste
di riscritture, non sono un’angheria nei confronti del vostro “bambino
perfetto”, ma l’invito a migliorare e risolvere difetti che nel momento
creativo – ve lo giuro – diventano invisibili.

L’ultimo
consiglio è di natura generale, invece. Leggete. Leggete sempre. Se volete
trasformare questa passione in un lavoro. Inoltre, leggere è importante anche
per capire che cosa si pubblica ora in questo paese ed essere così pronti a
proporre un’idea che si rapporti con questo contesto editoriale. Ora, non fra
dieci anni, o un secolo fa. E poi, prima di contattare uno o più editori,
studiatevi i loro cataloghi per bene, cercate di capire quali sono i libri che
pubblicano, come sono divisi nelle varie collane. Così, quando proporrete il
vostro manoscritto, lo farete con cognizione di causa, consapevoli del tipo di
collocazione che l’editore potrebbe dare a un lavoro come il vostro.

Al
momento sto lavorando al nuovo libro per le strenne natalizie della Newton
Compton. Non posso anticipare granché, solo che sarà un titolo di varia e non
un romanzo storico. Il mio futuro, almeno quello prossimo fino alla fine
dell’estate, sarà di lavoro intenso. Poi mi dedicherò a preparare delle
conferenze sulla storia di Roma che andrò a tenere a fine Novembre e poi spero
di poter andare un po’ in vacanza. Perché penso che a quel punto me lo sarò
davvero meritato. Sul futuro a lungo termine, invece, non mi pronuncio. Con
questo mestiere non si sa mai.
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