È impulsivo, ruvido, graffiante, e nel suo
stile, tagliente e poetico al tempo stesso, c’è un ritratto della Roma di oggi,
caotica e inafferrabile, eppure mollemente lenta e sempre capace di
sopravvivere a se stessa con l’imperturbabilità imperiale che la
contraddistingue da secoli. Stiamo parlando di Cristiano Ranalletta e
del suo ultimo romanzo, “Il cielo sopra il Pigneto”, edito da Scatole
Parlanti.
Che Cristiano Ranalletta sia un
osservatore vorace e attento della realtà che lo circonda è evidente sin dalle
prime righe di questa nuova storia in cui Federico, il protagonista, guida il
lettore attraverso un viaggio ai confini tra la vita vera e quella virtuale,
descrivendo la Roma in cui ha vissuto e continua a vivere con grande senso di
appartenenza. La goliardia, il multiculturalismo, la furbizia, ma anche la
ferocia e la diffidenza si miscelano attraverso lo sguardo di Federico e di
tutti i personaggi che incontrerà nel suo cammino, in un percorso di vita che
ha come denominatore comune l’amore e, in un certo senso, la ricerca della felicità
e della realizzazione.
Con una lucidità e un realismo tali da
rasentare quasi il senso di alienazione, Cristiano Ranalletta ripercorre strade
e quartieri già esplorati in passato, in molti modi differenti, da tanti
scrittori e registi, mantenendo ben salda la cifra della propria personalità
letteraria e lasciando tenere il timone ai suoi personaggi, talvolta variegati
e allegri, talaltra malinconici e distanti tra loro, come isole dentro la
città.
La modernità con cui quartieri come il
Pigneto e Tor Pignattara vengono raccontati attraverso le peripezie di vita
quotidiana dei protagonisti, mantiene in sé l’ammaliante afflato di un film in
bianco e nero, senza perdere la freschezza dell’originalità tanto ricercata,
descrizione dopo descrizione, riflessione dopo riflessione, dialogo dopo
dialogo.
Molti autori lo hanno già fatto in
passato, ma anche tu sei riuscito a trasformare, con grande originalità, la
città di Roma e, in particolare, il Pigneto, in un vero e proprio personaggio,
che interagisce con tutti gli altri presenti nel tuo ultimo romanzo, “Il cielo
sopra il Pigneto”, Scatole Parlanti. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa
ti ha ispirato durante la stesura? Cosa volevi comunicare?
Be’, intanto grazie. In quello che ho scritto c’è molto vissuto,
c’è tensione, emotività.
Il romanzo fonde un percorso individuale,
esistenziale e amoroso, con uno collettivo, socioculturale. Due filoni
disgiunti che però si sono amalgamati creando una duplice suggestione. È stato
prevalentemente il mio stomaco a dettarmi il testo, riga per riga. Da anni
ruotavo attorno a quei temi (inclusi quelli esistenziali: la felicità,
l’amore), poi come per magia hanno preso forma.
Che scrittore sei? Da dove nasce la tua
esigenza di scrivere? Segui l’ispirazione in ogni momento della giornata o hai
un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?
Non scrivo quasi nulla durante il giorno.
Penso, raccolgo materiale dalla strada o dal vissuto lo integro con delle
riflessioni più accademiche, poi a un certo punto lo stomaco mi dice che ci
siamo. A quel punto scrivo di getto.
Roma, Tor Pignattara e il Pigneto, in
particolare, sembrano proprio “respirare” autonomamente tra le pagine del tuo
romanzo, facendo da sfondo alle vite di un caleidoscopio di personaggi che
intrecciano le proprie diversità, facendosi forza nelle rispettive identità. In
generale come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li
coinvolgono? E come si fa a trasformare una città complessa come Roma in un
vero e proprio personaggio?
In generale mi rifaccio molto alla realtà
nella creazione dei personaggi. O quantomeno nel caso specifico del romanzo “Il
cielo sopra il Pigneto”. La realtà che vivo non ha nulla da invidiare alla più
fervida immaginazione. Osservo molto.
Il mio è stato un atto di amore nei
confronti del territorio, da qui probabilmente la trasformazione in
personaggio. Ad ogni modo, penso che Roma si presti molto bene, Pasolini
riusciva magnificamente in questo.
Per saper scrivere bene, occorre senza
dubbio leggere molto: che libro c’è al momento sul tuo comodino? Quali sono le
tue autrici e i tuoi autori di riferimento? Cosa chiederesti a una o uno di
loro, se avessi la possibilità di incontrarlo, in un’immaginaria chiacchierata
tra il tempo e lo spazio?
Recentemente ho incontrato Michael
Cunningham, abbiamo fatto una amabile chiacchierata.
In questo momento sto leggendo un romanzo
di Guillermo Arriaga, apprezzai molto la trilogia di Alejandro Inarritu, per la
quale Arriaga curò la sceneggiatura. Adoro Philip Roth. Ho amato Milan Kundera.
Vedi, io sono un ingegnere. Ho passato
anni a leggere teoremi matematici complicatissimi. Ho cercato di farmi una
cultura quasi da autodidatta.
Probabilmente avrei desiderato fare due
passi con Pasolini per il Pigneto. Ma non ho una particolare smania di
incontrare gli autori. L’unica persona che avrei voluto incontrare
dell’ecosistema artistico è Marcello Mastroianni. Avrei voluto mangiare insieme
a lui una pasta e fagioli in una vecchia trattoria romana. Godermi la sua bulimia
di vita, la sua fragilità, la sua cortesia.
A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci
quali sono i tuoi progetti per il futuro.
Ci sono diversi temi che mi frullano in
testa: l’evanescenza dei desideri, la post verità e ancora l’amore, questo sentimento
sublime che tenta di adeguarsi ai tempi delle piattaforme social, con
conseguenze tragicomiche.