mercoledì 19 dicembre 2018

Rileggere “Marcovaldo” a trent’anni



Lo abbiamo letto tutti, in antologia o per intero. Alla scuola primaria o secondaria, quella che, ai nostri tempi, si chiamava scuola elementare e media. Soprattutto noi bambini nati e cresciuti in città, abituati alla frenesia e al cemento, ci siamo domandati come quel buffo signore un po’ malinconico e sfortunato, potesse sentirsi così fuori posto tra le vie e i palazzi di una metropoli nascente. Si tratta di “Marcovaldo”, il classico per ragazzi di Italo Calvino, un testo composto da una ventina di novelle che hanno tutte per protagonista uno strano uomo di nome Marcovaldo, padre di una famiglia numerosa, che è impiegato come operaio tuttofare in una ditta e che, nello scorrere delle stagioni, va in cerca della natura, anche in mezzo all’asfalto della città dove vive, come lo descrive il suo stesso creatore.
Può sembrare anacronistico e terribilmente fuori dal tempo, ma questo personaggio a tratti onirico, a tratti ingenuo, protagonista di fiabe che, a oltre cinquant’anni dalla loro stesura, potrebbero non essere più così moderne, in realtà mantiene intatta un’attualità intrinseca, capace di ispirare non solo i bambini, ma anche i loro genitori, i loro maestri, i loro vicini di casa, tutti gli adulti che li circondano.


Cosa è cambiato, infatti, tra le prepotenti città degli anni Sessanta, figlie del boom economico e dei gas di scarico, e le stanche metropoli di oggi, fatte di domeniche ecologiche e parcheggi selvaggi infrasettimanali? Quasi nulla o ben poco.
Penso alla mia Roma e al parchetto del mio quartiere nel quale ho riletto “Marcovaldo” con mia figlia, ora che ho superato i trent’anni. E penso che i gabbiani che affollano la città anche in centro e aggrediscono i turisti, rubando famelicamente loro il panino col salame, non sono poi così diversi dagli stormi di piccioni che Marcovaldo e i suoi sei figli decidono di arrostire sul fuoco per il pranzo della domenica. Continuando di questo passo, in una città come Roma, diventata quasi ingestibile, e nella quale è difficile perfino rinnovare una carta d’identità senza fare mesi di fila all’anagrafe per un appuntamento, i gabbiani farebbero meglio a iniziare ad avere paura, perché presto potrebbero fare la fine dei piccioni di Marcovaldo e finire nei piatti di noi trentenni precari.
Penso al neopensionato che, mentre noi leggevamo il nostro libro, tentava di trovare qualche ciuffo di cicoria tra le cacche dei cani del parco, perché è in attesa che gli accreditino la sua sudata e meritata pensione da sei mesi, ma l’Istituto previdenziale se la prende comoda coi calcoli. E penso che non è molto diverso da Marcovaldo e da tutti i suoi vicini di casa che, dopo una notte di pioggia, raccolgono i funghi nati nelle aiuole della via e ne fanno una bella zuppa, salvo poi passare una settimana in ospedale, una lavanda gastrica dopo l’altra.


Penso alla neve a Roma di quest’anno che se ne sta andando e a quella cataclismica mattinata in cui pochi centimetri di coltre bianca sono stati nuovamente in grado di paralizzare una città, come uno Tsunami di ghiaccio, tra alberi caduti, asfalto disastrato e spargisale inesistenti. E penso al povero Marcovaldo che nella neve in città vede una speranza. La speranza di veder scomparire, almeno per un giorno, il suo tran-tran giornaliero, ma, nonostante tutto, si reca al lavoro a piedi, esattamente come hanno fatto molti romani lo scorso febbraio, perché alla ditta non importa nulla della neve e della città disorganizzata e colta di sorpresa, anche oggi. 
Penso a Marcovaldo mascherato da Babbo Natale e costretto, assieme a decine di altri Babbi Natale, a portare strenne a tutti i clienti della ditta per cui lavora e ai bambini disincantati che li ricevono, perdendo interesse a ogni nuovo Babbo Natale che passa loro davanti. E penso alle mamme di oggi che si azzuffano per prendere il posto migliore alla recita di Natale dei loro figli, fino ad arrivare alle mani per guardarli meglio attraverso lo schermo di uno smartphone, un’invenzione alla quale il povero Marcovaldo probabilmente non avrebbe retto. E me lo immagino oggi, vecchio vecchio, un po’ più svampito del solito, con tanti nipotini che ascoltano Sfera Ebbasta, a cercare di capirci qualcosa del Governo giallo-verde, convinto che abbia qualcosa a che vedere con la botanica.


Il progresso ci porta avanti, ma, allo stesso tempo, ci porta indietro, anche oggi. Ci apre la mente, abbattendo muri e frontiere, ma, allo stesso tempo, ci imprigiona in celle dorate o trasparenti, senza più vicini di casa di cui fidarci e con amici lontani, quelli della nostra generazione confusa, quelli con cui abbiamo letto “Marcovaldo” per la prima volta e che ora sono sparsi per il mondo a cercare fortuna, lontano dal loro Paese, in altre città più grandi, fredde e voraci, ma forse anche più accoglienti.
Rileggere “Marcovaldo” a trent’anni (passati), nella recente edizione Mondadori, arricchita dalle illustrazioni di Sto-Sergio Tofano, è stato commovente. Un’oasi nel deserto della mente, proprio come la natura nella città. Non solo una questione d’ambiente, ma di natura umana a tutto tondo. Liberate dall’analisi del testo e dagli esercizi di grammatica della scuola, vent’anni dopo i doveri dei banchi, le avventure e disavventure di questo Charlie Chaplin di carta, che oggi forse è più vicino al Fantozzi di Paolo Villaggio, che allo Charlot in bianco e nero dei nostri genitori, mi ha suscitato una tenerezza struggente. Oggi che l’ho letto con gli occhi degli adulti, lavoratori, magari faticosamente genitori, il povero Marcovaldo vorrei abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene. Che forse le cose non cambiano, ma noi possiamo (ancora) cambiare le cose. Anche rileggendo un buon libro per bambini.


mercoledì 5 dicembre 2018

Tiziana Bartolini: l’Arte secondo me


Dall’acquerello, alla creta, passando per la grafite, sono molte le tecniche che caratterizzano le opere di Tiziana Bartolini, artista di punta e anche curatrice di esposizioni all’interno della neonata Associazione “RBN Arte” di Mauro Rubini. Dopo una lunga amicizia e precedenti collaborazioni, infatti, da quando è stato inaugurato il nuovissimo “Spazio I.DE.A.”, Tiziana Bartolini è stata tra le maggiori promotrici delle mostre che si sono tenute all’interno della galleria e che l’hanno sempre vista come protagonista, sia come artista, sia come organizzatrice. Il suo percorso come artista, tuttavia, è iniziato già ai tempi delle scuole, con un felice percorso al Liceo Artistico e, successivamente, una Laurea in Architettura, studi che evidenziano il suo desiderio di essere circondata dall’arte in ogni momento della vita. L’espressività e la delicatezza delle sue opere che non hanno mai perso la creatività e l’entusiasmo dei primi passi, guadagnando, però, di volta in volta in padronanza delle tecniche e dei materiali, rappresentano il suo entusiasmo e il suo ottimismo, oltre a una profonda capacità di osservazione. La sua sensibilità di artista, propensa a catturare aspetti sempre nuovi anche di soggetti ormai emblematici, la caratterizza, sia come pittrice, sia come scultrice, anche se Tiziana non ha mai disdegnato di cimentarsi con obiettivi e macchine fotografiche, dando prova di essere anche una fotografa attenta ai dettagli e alle simmetrie delle immagini. Le opere più intense, tuttavia, a nostro avviso, sono senza dubbio quelle a grafite o acquarello, nelle quali Tiziana Bartolini mette a frutto tutto il suo talento per i colori e le sfumature. I soggetti di quadri e disegni, in questi casi, sembrano quasi essere dotati di vitalità e movimento, dando sorprendente tridimensionalità alle opere. Ecco che il sorriso malinconico di un Pierrot, i prepotenti flutti attorno a un faro o l’imperturbabile espressione di un felino sembrano prendere vita, accogliendo lo spettatore in un mondo fatto di fantasia e colori.


Da dove nasce la tua esigenza di dipingere: è una passione che coltivi da sempre o si tratta di un talento che hai scoperto recentemente? Cosa vuoi comunicare?

La mia passione per il disegno nasce da lontano, già all‘asilo se non prima. I miei genitori conservano ancora dei miei disegni. Ero portata, si vedeva già da piccola e soprattutto mi permetteva di esprimermi, poi ho iniziato la scuola e quando è stato il momento di decidere le superiori non ho avuto dubbi: ho preso il Liceo artistico, tutti mi hanno appoggiata senza mai ostacolarmi nella scelta. Successivamente mi sono iscritta alla Facoltà di Architettura, mi sono laureata e abilitata alla professione ma ho sempre continuato a disegnare a mano libera, dando sfogo alla mia creatività. Sono anche riuscita a coinvolgere le mie due figlie, Chiara e Sara, che, fin da piccole, hanno potuto cimentarsi in bigliettini e decorazioni appesi in casa e alla porta d’ingresso.


Cosa ti ispira maggiormente: quali sono i soggetti che preferisci e le tecniche che prediligi? A quali movimenti artistici del passato ti rifai? E chi sono i tuoi Maestri di riferimento?

Io disegno in grafite e dipingo poi in acquarello la maggior parte dei miei quadri. Talvolta uso anche le matite acquerellabili e i pastelli. Ma ho anche creato delle piccole sculture in terracotta e amo fare fotografie.
I soggetti sono vari, mi piace organizzare e partecipare ad eventi espositivi, perciò spesso mi lascio guidare dal tema della mostra a cui partecipo.
Sono molti gli artisti che mi hanno ispirato, sia negli anni della formazione, sia oggi.


Quanto è importante, tra artisti, la condivisione di ideologie nuove, tecniche innovative e sperimentazioni, per riuscire a esprimersi? Esiste ancora una comunità degli artisti? E che ruolo svolgono i Social Network in merito per la diffusione e la divulgazione?

Io penso che la condivisione tra artisti sia molto importante, lo era nel passato come lo è adesso, tanto più che adesso con Internet e i Social Network il coinvolgimento è più facile e immediato. In definitiva tutti postiamo una foto e in qualche modo anche quella visione di quell’oggetto, volto o panorama è arte, perché è opera di una persona che ha creato nella sua testa l’immagine che poi ha scattato. Ne è la prova che trovare due foto identiche dello stesso soggetto è quasi impossibile!


Raccontaci le esperienze che nel tuo percorso da artista hai trovato più formative e che ti sono rimaste nel cuore: corsi, esposizioni, mostre alle quali hai partecipato o che hai solamente visto come spettatrice, ma che ti hanno lasciato un messaggio profondo e hanno influenzato le tue opere.

Una delle mie esperienze formative più significative è stata sicuramente aver frequentato il Liceo artistico. Tante ore di disegno, il concetto di nature morte, i disegni di figure avendo come modelli persone in carne e ossa, le tecniche pittoriche: tutto ciò mi ha dato le basi per esprimermi al meglio, donandomi ulteriore sensibilità. Poi scegliendo la sezione Architettura e andando all’Università si ho perso momentaneamente lo slancio e il tempo da dedicare al disegno pittorico, ma cercavo sempre esami dove potevo esprimere la mia così detta “mano felice”. Ricordo che quello era il periodo del verde riprodotto a mano libera, molto espressive erano le mie rappresentazioni della natura dove potevo esprimere la mia creatività.
Ogni mostra a cui sono stata ha lasciato qualcosa dentro di me, non si può essere indifferenti alle opere di un artista indipendentemente dal fatto che sia famoso o sconosciuto, perché egli lascia un pensiero, un concetto con la sua opera d'arte e lo trasmette a tutti, lo condivide in eterno. Naturalmente anche partecipare come artista a un evento espositivo lascia delle emozioni e dei ricordi unici.



A cosa stai lavorando ultimamente? Collabori con Gallerie e Associazioni o hai in programma la partecipazione a qualche mostra nei prossimi mesi? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

La mia vita artistica è ripresa da circa cinque o sei anni grazie a un amico di mio fratello e di mia cognata, Mauro Rubini che ha fondato la RBN Arte all’interno dello Spazio I.DE.A., proponendomi di partecipare come artista a delle mostre organizzate da lui. Questa esperienza è stata meravigliosa e molto gratificante, soprattutto in un momento della mia vita lavorativa purtroppo non positivo. Da quest’anno aiuto Mauro Rubini nell'organizzazione di mostre personali e collettive nella sua galleria aperta da poco al pubblico a Roma.
Naturalmente essendo Mauro Rubini anche un artista, partecipiamo anche noi alle mostre collettive che organizziamo e il gruppo di artisti che ci segue e partecipa è molto unito e creativo.
I miei progetti per il futuro? Spero di continuare a fare esperienze bellissime come queste e vi aspetto in galleria!