mercoledì 18 dicembre 2019

Blogoriale: a chi interessa ciò che scriviamo?


Non amo inventare parole nuove, perché ritengo che la lingua italiana sia già sufficientemente ricca di sinonimi con sfumature di significato talmente sottili, da diventare quasi “contrari” per chi non ha troppa voglia di comunicare. Tuttavia blogoriale è un termine di mia invenzione che mi martella in testa già da un po’. A metà strada tra un post e un editoriale, il blogoriale è un editoriale a misura di Fatti i fatti tuoi!. Per certi verso un ritorno al passato, quando, parecchie ere digitali fa, i blog erano diari personali in cui si raccontava la propria quotidianità e, a volte, con quel pizzico di supponenza che è propria di chi scrive, si commentava l’attualità, il sentire comune, le storie degli altri.
Mi sono scervellata parecchio su come iniziare questo nuovo percorso. Dopo aver dato voce e volto a tante persone e alle loro storie, guardarsi dentro senza essere prolissi e presuntuosi non è semplice. Ma, tutto sommato, il blog è mio e, almeno ogni tanto, faccio come mi pare. Perché noi scrittori, scribacchini, giornalai, pennivendoli, marchettari, chiamateci come più vi aggrada, ce lo chiediamo spesso (praticamente sempre): a chi interessa ciò che scriviamo?


Anni fa, ancor prima di entrare a far parte del mio ordine professionale, scrivevo per un direttore verso il quale non nutrivo alcuna stima. Un pallone gonfiato, come direbbero in un film americano, senza né arte, né parte, ma con un ego grande come un buco nero. Ricordo che una volta mi commissionò un articolo sulla scrittura, il giornalismo e l’editoria di oggi. Il solito pezzo di colore che non risponde a nessun interrogativo e non dà nessuna notizia, per non scontentare nessuno, più che altro. Mi impegnai, come è mio costume. E mi scavai dentro a fondo. Dopo aver conosciuto e intervistato (già all’epoca) tanti promettenti autori emergenti e piccoli editori volenterosi, qualche conclusione utile e personale potevo trarla. Era un pezzo accorato e forse un filino presuntuoso, lo ammetto volentieri, smanioso di andare dritto al punto e lasciare un segno, proprio come sono io. E, naturalmente, non sortì l’effetto che speravo su Mister Universo Direttore. “A nessuno frega un cazzo della tua opinione, non stai facendo il tema della Maturità,” mi apostrofò, cassando il mio lavoro come quello di una Cappuccetto Rosso che sa a malapena digitare sulla tastiera. Naturalmente mi incazzai. E tanto. Ma abbozzai. Tornai a casa da quella riunione di redazione ferita e allattai mia figlia, anche se, probabilmente, con tutta quell’acidità che avevo in corpo, era più yogurt che latte.
È passato un po’ di tempo da questo episodio e, con un pizzico di esperienza in più, devo amaramente ammettere che Mister Direttore aveva ragione. La dura, durissima verità è che a nessuno importa nulla di ciò che scriviamo. Anche perché, lo avrete letto recentemente, secondo un nuovo rapporto Ocse, gli studenti italiani sono sotto la media non solo per quanto riguarda le scienze, ma anche, e in modo più preoccupante, per quanto concerne la lettura, la letteratura e la comprensione di ciò che leggono. Cioè, non solo leggono poco, schifano i giornali e si informano frammentariamente, ma il più delle volte non capiscono nemmeno quello che leggono. Ergo, se già è difficile digerire frasi con soggetto, predicato e complemento, cosa vuoi che gliene importi ai giovani di sforzarsi di capire cosa pensa quel povero nerd che ha scritto quella cosa o quell’altra? Un Benny Hill Show, con solo risate finte in sottofondo, praticamente. E menomale che l’indagine è stata svolta sui più giovani, sui quali, sempre più spesso, ci fa comodo accanirci, perché temo che i risultati su noi adulti sarebbero davvero allarmanti. Del resto, questi giovani nativi digitali li cresciamo noi che avevamo il telefono a gettoni, ma predichiamo bene e razzoliamo male.


Anche per noi, pseudo-professionisti (o aspiranti tali) della parola scritta non va tanto meglio. Scriviamo gratis o, se va bene, sottopagati. Estremamente sottopagati. Scriviamo sbeffeggiati, insultati, minacciati. Aggrediti, verbalmente e non solo. E se, per portare a casa la pagnotta, scendiamo a compromessi e scriviamo di qualcosa che non è nell’empireo delle materie più nobili (che sono proprio quelle che alla fine nessuno si fila) siamo venduti, mercenari, affabulatori, creatori di fake news che vogliono solo speculare sulla pelle di poveri creduloni. Per non parlare dei luoghi comuni che circolano su chi scrive gialli, rosa o saggi, come se tutto debba essere necessariamente incasellato, classificato, catalogato a tutti i costi.
In questo circolo vizioso di indifferenza non è facile per gli autori credere in ciò in cui scrivono, tanto quanto per i lettori credere in ciò che leggono. E quindi la risposta alla domanda ‘a chi interessa ciò che scriviamo’ non può che essere sconfortante.
Forse non tutti si rivedranno nel quadro che ho descritto e non pretendo certo di avere la formula magica per trasformare in virtuoso questo circolo apparentemente senza fine, ma forse, nel nostro piccolo, un modo per ritrovare un velo di speranza c’è.


Lettori di tutto il mondo, unitevi e, autori, fate altrettanto!
A Natale su dieci regali senz’anima che siete costretti a fare, regalate almeno un libro. O un abbonamento a un giornale, cartaceo o online. Su dieci foto di bambini, gatti, orsetti, nani e pallette di Natale che inviate a ripetizione per fare gli auguri, mandate un link a un articolo che vi ha colpito e spiegate il perché. Su dieci catene di S. Antonio, ‘spero di essere il primo a mandarti un albero di Natale ecc. ecc. spezzate la catena (che tanto tutti siamo sfigati lo stesso) e regalate una citazione, un sonetto, una poesia, l’incipit di un romanzo.
E voi autori, scrittori, blogger, giornalisti, colleghi: su dieci articoli che scrivete sull’ultimo tronista, il gieffino, il naufrago, il morto ammazzato, le accise sulla benzina, i presepi e i crocefissi (e, vi assicuro, lo faccio anche io!), scrivete un articolo che vi tocca nel profondo. In cui dite davvero la vostra. Anche se, di ciò che pensate, non gliene frega niente a nessuno. Magari non cambia niente, ma cambia voi. Cambia noi.
A Natale regalate parole che diventano fatti. A voi e famiglia, naturalmente.

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