domenica 27 novembre 2016

Cecile Bertod: l’amore, quando meno te lo aspetti!


Quando una ragazza è timida, insicura e anche un po’ accomodante, è davvero difficile farsi notare dal principe azzurro. Lo sa bene Sam, una promettente redattrice dalle grandi potenzialità nascoste sotto qualche chilo di troppo e un abbigliamento decisamente fuori moda, la quale, da quando ha iniziato a lavorare al “Chronicle”, ha un debole per Dave, lo sfacciato e presuntuoso vicedirettore del giornale, che ama il lusso e il divertimento e non la considera affatto. Sono quattro anni che Sam sogna a occhi aperti il giorno in cui Dave si accorgerà di lei e imparerà a guardare oltre le apparenze, ma il momento giusto sembra non arrivare mai e Sam perde definitivamente le speranze quando vede Dave in TV accanto all’ennesima bellissima donna che non ha nulla a che vedere con lei. Meglio mettere da parte i sogni irrealizzabili e concentrarsi sul lavoro, si convince Sam, e non c’è occasione migliore per mettersi alla prova della settimana della moda di San Francisco, uno degli eventi più importanti per tutti i giornalisti che, come lei, si occupano di life style. Ma, si sa, le cose più strane e imprevedibili accadono sempre quando meno ce lo aspettiamo e chissà che proprio nella settimana più intensa dell’anno Dave non inizi ad aprire gli occhi e a rendersi conto che, dietro a una ragazza come tante, può nascondersi una perla dal valore inestimabile, complice la comparsa di Al, un imprevedibile rivale che ha tutte le carte in regola per scalzare Dave dal cuore di Sam.
Dopo i grandi riscontri ottenuti da “Tutto ma non il mio tailleur” e “Non mi piaci ma ti amo”, Cecile Bertod è appena tornata sugli scaffali di tutte le librerie col suo ultimo romanzo, “Ti amo ma non posso”, Newton Compton, una nuova commedia romantica che scalderà il cuore di tutte le lettrici e di tutti i lettori che hanno sentito la mancanza dello stile ironico e brioso di quest’autrice di grande talento. Dimenticate, dunque, le protagoniste tutte palestra e parrucchiere che vi squadrano dall’alto dei loro tacchi dodici: Sam è una come tante, piena di dubbi e insicurezze, proprio come tutte noi e che, per questo, ci farà sorridere ed emozionare ancor di più, fino all’ultima pagina.

Dopo il successo di “Tutto ma non il mio tailleur” e “Non mi piaci ma ti amo”, è appena arrivato in libreria “Ti amo ma non posso”, Newton Compton, una nuova commedia romantica ambientata nel mondo del giornalismo e della moda. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Ogni libro che ho scritto parla di un pezzo della mia vita che per qualche motivo non andava, o tutt’ora non va e del macabro, inutile, sconsiderato tentativo di rimetterlo dove avrei voluto che fosse. Ricucitura dell’insieme, ripristino degli angoli del puzzle, sperando che quella maledetta natura morta in bianco e nero si trasformasse in un’esplosione di colori. Ecco anche il perché di personaggi femminili sempre un po’ sopra le righe. Io, d’altronde, le righe le ho perse da parecchio, sostituite da menù ad alto tasso di carboidrati e coupon dell’erboristeria. Detto ciò, per una volta, invece, è stato un po’ il senso di ingiustizia a muovermi, perché per una volta volevo lanciare un messaggio che poi è ciò che penso nel profondo. Quest’idea che le persone normali non siano speciali, che per essere al centro del mondo bisogna rispettare canoni e misure preordinate… Facciamoci caso, se leggiamo un rosa cosa troviamo il più delle volte? Donne innaturalmente belle che, spesso e volentieri, sono distanti anni luce dalla nostra vita e solo loro possono aspirare a quel genere di amore travolgente e assoluto che sogniamo un po’ tutte. E intanto noi, dall’altro lato delle pagine, ci trasciniamo nelle nostre insicurezze, ci abbandoniamo alla malinconia, a volte gettiamo la spugna. Smettiamo, insomma, di credere di poter diventare le persone che vorremmo, senza renderci conto che intanto realizziamo cose che persone come quelle descritte nei libri non riuscirebbero mai neanche a immaginare. Normali, ma inconsapevolmente straordinarie, ci barcameniamo in vite difficili, dure e senza mezzi, se non la forza di volontà. Sam, protagonista di questo libro, è il mio piccolo, modestissimo tentativo per dire a tutte che non c’è nulla di più bello di quello che è già nelle nostre mani, se solo riuscissimo a rendercene conto.



Da dove e quando nasce il tuo bisogno di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non sai rinunciare?

Metodo, sì. Ma subentra dopo. Quando decido di rendere un piccolo input qualcosa di concreto. Prima sono solo immagini confuse, spezzoni di musica che mi suggeriscono singole scene, idee del momento. È qualcosa che non saprei descrivere, perché non c’è nulla di programmato, è un continuo avere idee differenti che si accumulano sul desktop del mio computer, quasi sempre destinate a rimanere incompiute, e che mi fissano con cattiveria sperando che prima o poi mi decida a metterci un punto. Che autrice sono? Boh, quella che divora biscotti in pigiama con due occhiaie che le arrivano alle ginocchia, accavallando parole, briciole e pensieri su un foglio bianco. Direi un’autrice come tutte le altre, solo meno gnocca, meno ricca e meno conosciuta!

Come definiresti Sam e Dave, i protagonisti della tua storia, così diversi eppure tanto uniti da un destino comune? In generale come delinei i personaggi dei tuoi romanzi e le vicende che li coinvolgono?

Di norma prima c’è una storia. L’idea di quello che in generale vorrei far accadere, poi ci rifletto e “creo” personalità. Non sempre limitandomi a rifletterci, ma elaborando schemi, appunti, seguendo fili logici. A volte anche solo mettendo le mani sulla tastiera e vedendo cosa viene fuori. Poi, certo, dopo delineo più concretamente i profili. In linea di massima qui abbiamo tre personaggi, o meglio, personalità differenti e mi piaceva l’idea perché volevo mettere davanti a un bivio qualcuno come Sam. Esserino insicuro, timido, incapace di dire no, sempre pronto a buttarsi giù. Qualcuno che, pur di ottenere l’approvazione degli altri, accetterebbe di rinunciare alla sua vita. Ecco, una come Sam volevo che avesse la possibilità di scegliere. Di mettere a confronto un sogno irrealizzabile come Dave (egocentrico, un po’ maschilista, abituato ad averla sempre vinta, circondato da lusso, bellezza e tanto altro) con qualcosa di totalmente diverso. E allora Al. L’amico, il “bravo ragazzo”, quello sempre disponibile a scarrozzarti ovunque quando ne hai bisogno. E volevo vedere cosa avrebbe fatto, chi dei due avrebbe scelto quando si sarebbero accorti entrambi che tutto sommato Sam non è solo Sam, ma qualcosa più, qualcosa di infinitamente più complesso e meraviglioso di una ragazzina avvolta in una tuta di pile troppo larga.



In un mondo dell’editoria segnato da crisi e transizioni, tra autopubblicazioni e digitale, come può barcamenarsi un autore emergente per non passare inosservato? È ancora possibile, secondo te, fare della scrittura un mestiere a tempo pieno? Dai un suggerimento a chi volesse intraprendere questo percorso.

Le cose si stanno evolvendo a una velocità impressionante. Il mondo sembrava a un passo dalla svolta quando ho iniziato, oggi subisce rivoluzioni ogni venti minuti! La cosa a cui prestare più attenzione, almeno secondo il mio punto di vista, è che prima, cioè quattro anni fa, quando una qualunque come me ha detto “e se provassi?”, il self publishing semplicemente non esisteva. Noi non eravamo scrittori (e tutt’ora non lo siamo). Noi non eravamo considerati. Gli autori italiani in generale avevano un mercato quasi inesistente in Italia, soprattutto nel rosa. E in quel clima di velata indifferenza, io mi sono buttata in un’impresa che appariva epica. Oggi chiunque pubblichi ha la possibilità di farsi notare. Prezzi bassi, far parte di gruppi di lettura, aprirsi un blog. Insomma, se non si hanno grandi possibilità la nostra forza è Facebook. Alla portata di tutti. Poco i siti web. Ancora meno il marketing “tradizionale”. E, paradossalmente, le case editrici sono diventate quasi un limite per l’autore. Perché le case editrici vivono ancora del vecchio concetto di editoria che purtroppo poco comprende il nuovo modo di leggere, di scambiarsi informazioni, di vivere la lettura. Farne un lavoro a tempo pieno è diverso, perché poi la cosa si fa più complessa. Attirare un nugolo di curiosi non indica che li si riuscirà a tenere legati ai propri lavori nel tempo. A quel punto subentrano crescita personale, preparazione, idee sempre in linea con le tendenze del momento. E non si può neanche prevedere una formula matematica infallibile. Quindi è tutto un enorme punto interrogativo. Se sapessi rispondere a questa domanda ora sarei una persona molto meno insicura. Ma non è così. 

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Per ora, oltre “Ti amo ma non posso”, ho altri tre inediti sotto contratto con la Newton Compton, dopodiché chissà cosa accadrà. Vedremo! Io intanto non sto mai ferma e, come una formichina, immagazzino storie chiedendomi se un giorno le leggerà mai qualcuno. Sto lavorando a un romanzo che avevo iniziato a pubblicare a puntate su Wattpad, poi lasciato lì per mancanza di tempo. Una storia un po’ cupa, amori difficili, travagliati. Molto diverso da quello che chi mi legge è abituato a trovare nelle mie storie. Vedremo a breve se verrà fuori un buon lavoro. Spero proprio di sì.

www.cecilebertod.com



domenica 20 novembre 2016

Alessandro Reali: una nuova indagine per Sambuco e Dell’Oro


Fortunago è un ridente paesino dell’Oltrepò Pavese dove il tempo è scandito da ritmi che sembrano cristallizzati in un passato ormai remoto e la nebbia cela scorci apparentemente dimenticati tra le colline ricoperte di rugiada. Tutto scorre imperturbabile, almeno finché un inaspettato mistero sconvolge la vita degli abitanti del borgo. L’irreprensibile e ricchissimo conte Simeone di Oramala, proprietario terriero e di una sontuosa villa in cui vive con la moglie invalida e la stravagante e ipnotica cognata, scompare inaspettatamente. Quando viene ritrovato morto, i suoi più cari amici decidono di affidarsi all’intuito investigativo della premiata ditta Sambuco e Dell’Oro per cercare di venire a capo delle oscure trame che, pian piano, si dipanano di fronte agli occhi di tutti. Tra intrighi e inganni, Dell’Oro e Sambuco saranno costretti a barcamenarsi fra una macabra esecuzione a Pavia e l’infamante assassinio del conte, la cui cognata mette a dura prova i sentimenti del povero Sambuco. Ma come si collegano i pezzi di questo imprevedibile mosaico apparentemente senza senso?
“Ultima notte in Oltrepò”, Fratelli Frilli Editori, è l’ultimo romanzo di Alessandro Reali che ha firmato così, grazie al grande entusiasmo dei lettori, la quinta indagine di Sambuco e Dell’Oro. Tanto è riservato e pragmatico Sambuco, quanto è istrionico e incosciente Dell’Oro. Ma, forse, è proprio questa diversità di indole che rende i due investigatori inseparabili, perché in grado di compensare i reciproci pregi e difetti, dando vita a una miscela irresistibile per il lettore. Al di là della trama noir e del conseguente mistero da risolvere, infatti, lo stile pulito e rassicurante di Alessandro Reali è caratterizzato da una profondità di narrazione e di introspezione psicologica dei personaggi che innalza il livello delle storie verso una continua crescita interiore della quale i lettori sembrano non riuscire più a fare a meno.



Sambuco e Dell’Oro, investigatori d’eccezione, sono giunti alla loro quinta indagine nel tuo nuovo romanzo “Ultima notte in Oltrepò”, Fratelli Frilli Editori, nel quale faranno i conti con la misteriosa scomparsa di un conte, ma anche con gli imprevedibili capricci del cuore. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Per la prima volta ho scelto il luogo dove ambientare il racconto, invece di partire dai personaggi, come faccio di solito. Conoscevo Fortunago da tempo. È un paese incantevole in una bella valle. Dopo alcuni sopralluoghi la mattina presto, ho deciso di raccontare una storia tra quelle case avvolte nella foschia autunnale. La figura del conte mi è sembrata ideale: attorno a lui ruota tutto un mondo che mi sono divertito ad analizzare dal punto di vista psicologico. Come sempre è presente anche Pavia, dove a muoversi questa volta è più che altro Selmo Dell'Oro, alle prese con delitti efferati.

Che autore sei: segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo ben preciso al quale non puoi rinunciare? Quando e da dove nasce il tuo bisogno di scrivere?

Le idee vanno e vengono durante la giornata. Spesso prendo appunti su fogli, in modo un po' disordinato. Scrivo diversi generi, ma per quel che riguarda il noir è necessario, a mio parere, avere un metodo, una disciplina di lavoro costante, per essere quotidianamente alle prese con i meccanismi che devono reggere la trama. Il bisogno di scrivere nasce da bambino, quando mi divertivo a raccontare storie sugli indiani d'America. Poi ho letto moltissimo, a cominciare dai classici, e questo è senza dubbio fondamentale. Il mio grande editore Marco Frilli, purtroppo recentemente mancato, ogni volta che ci si sentiva mi ripeteva che io ero un narratore puro, prestato al genere giallo. Credo si riferisse al fatto che nelle mie storie gli aspetti ambientali, i caratteri dei personaggi e i loro sentimenti valgono quanto l'effettiva trama.

Come definiresti Sambuco e Dell’Oro, gli investigatori protagonisti delle tue storie? Come si fa a fidelizzare i lettori quando si crea una serie fortunata come la tua che ha nei personaggi principali il proprio fulcro? Svelaci il tuo segreto…

Non c'è un segreto. Sono nati spontaneamente e la cosa più facile è stata la scelta dei nomi. È stata quella senza mai un dubbio. Volevo fossero molto diversi tra loro. Uno, Sambuco, è piuttosto serio, segnato da un dramma personale, riservato, taciturno e appassionato della musica di storici cantautori. Affronta il mestiere quasi per inerzia, ma, in realtà, non può farne a meno. Il suo disincanto nei confronti della realtà è la caratteristica dominante. Lui è la vera anima dell'agenzia investigativa. Dell'Oro, invece, è una specie di matto poco raccomandabile. Non resiste al fascino femminile e si butta in ogni avventura, anche mercenaria, con lo spirito dell'eterno ragazzo. Frequenta delinquenti e affini e, più di una volta, è stato "salvato" da Sambuco e dal suo vecchio amico, l'ispettore Michele Grenziana. Credo che il buon successo della coppia sia dovuto proprio a questo loro essere, in modo diverso, fuori dagli schemi: ideali per le storie raccontate che quasi mai possiamo definire poliziesche. Inoltre non va dimenticata, sullo sfondo, la città di Pavia, umida e torrida, oppure nebbiosa e gelida, ideale per raccontare vicende un po' misteriose.

Per saper scrivere bene occorre, certamente, leggere molto. Che autori e quali generi preferisci? Che libri ci sono sul tuo comodino?

Come dicevo, leggo moltissimo da sempre. Ho amato molto gli americani come Faulkner, Steinbeck e Caldwell. Hemingway sicuramente. I grandi russi; Hamsun e Celine. Kerouac, Bukoswki e Fante. Tra gli italiani sicuramente Pavese, Buzzati, Fenoglio. Per quel che riguarda il noir ho un debole per Giorgio Scerbanenco e soprattutto Georges Simenon, che ho iniziato a leggere da ragazzo grazie a mio padre, suo grande ammiratore. Quando scrivo noir è senza dubbio l'autore a cui faccio riferimento. Però, davvero, fare alcuni nomi è riduttivo, perché sono tanti gli autori che amo...

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


In questo momento sto rifinendo una nuova avventura di Sambuco e Dell'Oro e correggendo alcuni racconti rurali, con sfumature macabre, molto radicati nella tradizione popolare della mia terra.


domenica 13 novembre 2016

Cristina Migliaccio: un esordio su “ali di Farfalla”


Sono pochi gli editori che, al giorno d’oggi, danno fiducia agli autori emergenti, prendendosi cura di loro in modo tale da trasformarli da bruchi a farfalle. Tra le Case Editrici più attente, tuttavia, c’è, senza dubbio la Butterfly Edizioni che, rendendo giustizia al suo nome, ha permesso a molti scrittori di crescere e di spiegare le ali verso cieli colmi di soddisfazioni.
Tra gli esordienti delle ultime settimane, in classifica su tutte le principali piattaforme online ormai da più di un mese, c’è Cristina Migliaccio con la sua frizzante commedia romantica “Ti amo, stupido!”, una nuova esilarante dimostrazione che gli opposti sono destinati ad attrarsi, nonostante tutto.  
Rebecca e Scott non si vedono da anni quando, per uno strano scherzo del destino, si incontrano nuovamente nella loro città natale, dove Rebecca è costretta a fare ritorno dopo aver perso il suo posto di lavoro. Complici due cani a dir poco chiassosi, Scott e Becky tornano alle sane vecchie abitudini: litigare, litigare, litigare, in ogni occasione possibile. Ma siamo sicuri che, dietro al carattere apparentemente spigoloso della ragazza, non si nasconda, in realtà, una profonda sensibilità? Scott è sempre più incuriosito e, questa volta, non vuole lasciarsi sfuggire per nulla al mondo l’occasione di far breccia nel cuore di questa giovane donna che lo attrae almeno tanto quanto lo innervosisce.
Spassoso e divertente proprio come le grandi firme del genere, ma anche caratterizzato da un’identità ben precisa e già matura, quello di Cristina Migliaccio è uno degli esordi più riusciti degli ultimi mesi che ci auguriamo sia solo il primo romanzo di una fortunata serie, visto il successo di pubblico che questa giovane autrice sta avendo, anche grazie al passaparola della rete.



Equivoci, battibecchi e un’attrazione irresistibile: sono questi gli ingredienti di “Ti amo, stupido!”, Butterfly Edizioni, il tuo romanzo d’esordio. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Tutti i giorni sono costretta a passare davanti la casa di una signora che ha due cani da guardia sempre piazzati vicino il cancello e che non perdono mai l’occasione di abbaiarmi contro. Un giorno, presa dalla rabbia, gli ho urlato contro: “Stupidi cani!” e una lampadina mi si è accesa nel cervello. Ho pensato: “Perché non provare a scriverci qualcosa?” ed è così che è partita la trama di “Ti amo, stupido!”.

Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

Ho scritto sin da piccola, ma i veri testi di senso compiuto sono arrivati durante l’adolescenza. Mi sono allenata molto con il Web, passando dai forum alla piattaforma di EFP, e sono profondamente grata a quel periodo perché è lì che ho capito quale sarebbe potuta essere la mia strada. Non tutti hanno ben chiaro cosa vogliono dalla vita, per me è stato facile capirlo, soprattutto perché è nato come un hobby, un’esigenza di mettere su carta le parole che avevo nella testa. In alcuni momenti ho trovato la scrittura molto terapeutica: riversare le proprie emozioni all’interno di una storia è ciò che poi la rende tua.
Della mia scrittura ho capito questo: se vado in cerca d’ispirazione, sicuramente non la troverò, per questo lascio che sia lei a trovare me. Ammetto che il più delle volte vengo colta dall’estro creativo nei momenti meno opportuni, perché non posso mai appuntarmi quello a cui ho appena pensato; infatti sono tantissime le idee finite nel dimenticatoio, e dire che giro sempre con un quaderno in borsa!

Come definiresti Rebecca e Scott, i protagonisti della tua storia, tanto diversi da non poter fare a meno l’uno dell’altra? In generale, come delinei i personaggi dei tuoi romanzi?

Come li definirei? Cane e gatto, tanto per cominciare!  Per quanto diversi, entrambi hanno in comune un grande difetto: la testardaggine. Rebecca è l’acidità in carne ed ossa e riversa tutta la sua negatività sul povero Scott (che in fin dei conti non le ha fatto proprio niente) il quale, invece, nonostante i musi lunghi e la lingua tagliente, cerca di scoprire la sua vera natura. Ho voluto creare due personaggi forti che fossero diversi, ma al tempo stesso simili tra loro, trovare un equilibrio nello squilibrio, due protagonisti che si sapessero tenere testa nella vita e nell’amore. In genere, ho un debole per i rapporti di odio-amore, è il mio stereotipo letterario (non a caso una delle mie scrittrici preferite è Susan Elizabeth Phillips che in questo è una vera e propria maestra) e cerco sempre di rendere al meglio questo rapporto fatto di battibecchi fino all’ultimo istante.

Per saper scrivere bene, occorre, certamente, leggere tanto: che generi e quali autori prediligi? Che libro c’è sul tuo comodino?

Sono un’appassionata di romanzi rosa, si può dire che tutto è iniziato ai tempi in cui divoravo i volumi de “Le ragazzine” finché non è arrivato il giorno in cui ho conosciuto Sophie Kinsella e il suo “Sai tenere un segreto?”. Non è stato il primo libro che ho letto di quest’autrice, ho iniziato con la serie di “I love shopping”, ma è con “Sai tenere un segreto?” che ho capito che il nostro sarebbe stato un lungo amore. Di recente scoperta è, invece, Susan Elizabeth Phillips, una donna meravigliosa dalla penna impeccabile che per me è diventato un punto di riferimento nell’universo romance. A differenza dei miei coetanei con la passione per Harry Potter, ho passato l’adolescenza tra i libri di Nicholas Sparks, riscoprendo il piacere della lettura e il potere del buon dramma. Come penna letteraria del nostro secolo, ammiro profondamente Carlos Ruiz Zafon e la sua serie de “L’ombra del vento”, ma se devo confessarvi qual è il libro sul mio comodino, non aspettatevi nulla di complesso e doloroso: “Voglio scrivere per Vanity Fair” di Emma Travet è la mia Bibbia!

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Ho il brutto difetto di iniziare tanto e finire poco.  Ci sarebbero così tanti potenziali romanzi da concludere o sviluppare, ma il più delle volte manca il tempo o l’ispirazione adatta. Attualmente mi sto dedicando alla stesura di un nuovo romance, anche se a dirla tutta non mi dispiacerebbe approfondire le vicende di Amelia e Bea, forse perché sono troppo affezionata a “Ti amo, stupido!” per lasciarli andare così in fretta! 


domenica 6 novembre 2016

Valeria Montaldi: professione scrittrice, tra giornalismo e narrativa


Dopo una brillante carriera giornalistica durata oltre vent’anni passati a raccontare eventi culturali di ogni tipo e a intervistare personaggi del mondo dell’arte a tutto tondo, Valeria Montaldi ha deciso di dedicarsi alla narrativa, assecondando la sua naturale sensibilità verso la storia e la fantasia. A partire da “Il mercante di lana”, pubblicato da Piemme nel 2001, tutti i suoi romanzi, editi anche all’estero, hanno avuto un grandissimo successo di critica e di pubblico, rimanendo per settimane ai primi posti delle classifiche e coinvolgendo migliaia di lettori appassionati di romanzo storico e non solo, grazie alle ambientazioni ammalianti, ricostruite in modo impeccabile, e ai personaggi sempre credibili e coraggiosi.
“La randagia”, Piemme, l’ultimo romanzo di Valeria Montaldi, l’ha definitivamente consacrata tra le più abili autrici italiane a coniugare con grande sapienza ed efficacia generi apparentemente inconciliabili, come il romanzo storico e il giallo, sviluppando storie parallele tra il Medioevo e i giorni nostri. Tutto inizia nel lontano 1494, Britta è una giovane indomita e indipendente, che vive sola nei boschi di Machod e aiuta gli abitanti dei villaggi vicini grazie alla sua impareggiabile conoscenza delle erbe, finché non viene accusata di essere una strega. Molti secoli dopo, nel 2014, Barbara Pallavicini, una studiosa di storia medievale, sta compiendo delle ricerche nei sotterranei di un castello della Valle d’Aosta, quando scopre il cadavere di una giovane donna del luogo, il cui omicidio nasconde un oscuro mistero. Riuscirà Barbara a ricucire le trame strappate del tempo e a venire a capo di questa intricata vicenda che sembra affondare in un oscuro passato? Al suo fianco ci sarà una fitta rete di personaggi memorabili, tra cui il Maresciallo Giovanni Randisi, deciso quanto lei a risolvere il caso a ogni costo. Un romanzo indimenticabile, ricco di colpi di scena fino all’ultima riga.



Dopo una brillante carriera giornalistica, ti sei dedicata alla narrativa con l’entusiasmo e l’impegno che ti contraddistinguono. Raccontaci le motivazioni di questa scelta: cosa ti ha spinto e cosa ti ha ispirato?

È molto semplice: volevo capire se sarei stata in grado di scrivere un romanzo. La scrittura d’invenzione è un’attività ben più impegnativa del giornalismo: richiede impegno, disciplina, pazienza, continuità, grande severità verso se stessi. Non sapevo se ci sarei riuscita, ma quello che mi sento di affermare è che, fin da subito, ho capito quanto mi fossero stati utili i venticinque anni passati a scrivere articoli: il giornalismo insegna a non “sbrodolare” il testo, ad asciugarlo il più possibile, ma, soprattutto insegna a osservare. Mentre intervisti una persona, la guardi, la ascolti, spii le sue reazioni alle tue domande: insomma la studi. Il che torna poi utile quando devi dar vita a personaggi d’invenzione e vicende che abbiano credibilità: cura da non sottovalutare, perché il rischio di creare figure e situazioni inverosimili è sempre in agguato. 

Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere a tutto tondo? Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?

Ho sempre letto e scritto molto, sia nell’infanzia che nell’adolescenza. Fin da allora, mi piacevano le trame ben costruite, con personaggi in grado di intrecciare le loro storie in modo naturale, senza artifici di sorta. Quanto alla cosiddetta ispirazione, per quanto mi riguarda, non esiste: quando decido di cominciare un nuovo romanzo, rifletto a lungo prima di stabilire l’argomento di cui scrivere. È un ripensamento continuo: le idee possono essere tante e prima di trovare quella giusta ci vuole tempo. Alla fine, però, la si scova da qualche parte, la si fa propria e finalmente si comincia a costruire una trama. È ovvio che, seguendo questo metodo, non tutte le giornate danno buoni frutti, ma di solito la perseveranza è premiata.

Sappiamo che per la stesura di un romanzo storico è necessario un lungo periodo di ricerca: come si struttura il romanzo storico perfetto? Come gestisci l’intreccio tra storie ambientate in epoche differenti e l’interazione tra personaggi storici e di fantasia?

La documentazione deve essere accurata, perché è facilissimo commettere errori, anche grossolani. Generalmente, strutturo i miei romanzi in modo che la trama scorra su piani ambientali e temporali diversi: il che significa alternare capitoli in cui vicende apparentemente slegate fra loro si incastrino a poco a poco, creando un tutto unico. In quest’ottica, sono i personaggi di fantasia ad avere la meglio: quelli storici, seppur presenti e ampiamente documentati, restano relegati al ruolo, spesso significativo, di comprimari. Credo che, qualunque sia il periodo storico di cui si parla, le passioni umane, positive o negative, siano sempre le stesse: non è quindi difficile far diventare il presente uno specchio del passato, e viceversa.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno, a prescindere dall’ambito? Cosa significa collaborare con grandi e piccoli editori? Dai un suggerimento a un giovane che volesse seguire le tue orme.

Per me la scrittura “è” una professione a tempo pieno e, oggi come oggi, non potrei farne a meno. È la mia vita, la mia passione, il mio modo di analizzare me stessa e il mondo che mi circonda. Attualmente non vedo grandi differenze fra grandi e piccoli editori, il mercato è avaro di soddisfazioni per tutti: per questo, l’unico consiglio che mi sento di dare a chi volesse intraprendere il mio stesso mestiere è quello di bussare a molte porte, senza precludersene nessuna. Nonostante la crisi che stiamo vivendo, è difficile che un editore serio si lasci scappare uno scrittore promettente.


A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Sto cominciando il mio nuovo romanzo, cos’altro dovrei fare, del resto? E il mio programma è scriverlo il meglio possibile!


www.valeriamontaldi.it