domenica 28 agosto 2016

Costanza De Palma: chi è l’Etologo Comportamentalista


Chi ama gli animali lo sa: negli occhi di un gatto o di un cane domestico traspare tutto l’amore che esso prova per l’essere umano che lo ha accolto in casa, facendolo entrare a far parte, a tutti gli effetti, della propria famiglia. Dunque, così come ci prendiamo cura di ogni singolo componente del nostro nucleo familiare, riconoscendo a ciascuno la propria personalità e il proprio spazio, è necessario fare altrettanto coi nostri amici a quattro zampe, cercando di conoscerli fino in fondo, per far sì che i rapporti tra animali ed esseri umani non siano sbilanciati. A tal proposito, negli ultimi anni, sta crescendo l’interesse per una nuova professione dedicata al mondo degli animali domestici: quella del Comportamentalista, un vero e proprio esperto del comportamento degli animali, in grado di analizzare ogni singolo caso anomalo che gli venga sottoposto e di confezionare una soluzione su misura per ciascun problema che emerga nel rapporto tra proprietario e animale, suggerendo tecniche utili a ripristinare l’equilibrio perso. Ma chi è il Comportamentalista e di cosa si occupa esattamente? Di sicuro non è un mago, né un indovino in grado di leggere nella mente di cani e gatti, ma di sensibilità, intuito e passione ne ha da vendere, oltre ad anni di studio ed esperienza sul campo, come ci ha raccontato Costanza De Palma, Etologa e Comportamentalista di grande competenza, con alle spalle oltre un decennio di studio e di professione, caso dopo caso. Rispetto a molti altri esperti che giungono a questa professione in qualità di Veterinari, Costanza De Palma è un’Etologa e il suo approccio verso gli animali non contempla l’uso di farmaci spesso invasivi e dalle conseguenze ancor più devastanti dei disagi che hanno richiesto la presenza del Comportamentalista. Come ci ha spiegato la Dottoressa De Palma, ogni caso è a sé e va studiato nella sua unicità per poter giungere a una risoluzione soddisfacente dei problemi di partenza. Come tutti i professionisti che devono calarsi nell’equilibrio di un nucleo familiare, ogni Comportamentalista dovrebbe entrare in punta di piedi in casa dell’animale che ha bisogno del proprio aiuto e concentrarsi su ogni singolo componente della famiglia che forma un fragile e magnifico mosaico d’amore da preservare a ogni costo.
Dopo il successo del Seminario sul comportamento del gatto domestico, Costanza De Palma ha organizzato un nuovo incontro sul comportamento del cane che si terrà il prossimo 18 settembre, a partire dalle ore 16, presso la Casa della Cultura di Villa De Sanctis a Roma.


Sempre più famiglie in tutto il Mondo hanno uno o più componenti a quattro zampe che è importante conoscere e comprendere: in cosa consiste il tuo mestiere? Di cosa si occupa un’etologa comportamentalista di grande esperienza come te?

Al giorno d’oggi il numero degli animali di affezione, in particolar modo cani e gatti, è in aumento in tutti i nuclei familiari. Sembra che la quantità di gatti di casa, negli ultimi anni, abbia addirittura superato quella dei cani, ma è difficile dirlo, dato che si tratta di una razza meno censita rispetto ai cani. Il mio lavoro, in qualità di Etologa, consiste proprio nell’osservare e nel leggere il comportamento di questi animali, interpretandolo a seconda della specie. In questo modo riesco ad accorgermi della presenza di anomalie nel comportamento del singolo animale o dell’intera famiglia, in base all’ambiente in cui vivono tutti i componenti. Di solito vengo contattata direttamente dai proprietari degli animali, i quali si rendono conto che qualcosa non va, perché hanno notato comportamenti insoliti da parte dei loro cuccioli e sono desiderosi di ricevere consigli efficaci per risolvere i problemi che, di fatto, vanno a minare tutta l’armonia del nucleo familiare. A questo punto, in qualità di Comportamentalista non veterinaria, ma comunque qualificata a livello universitario, osservo le anomalie che mi vengono segnalate e cerco di andare alla radice del problema suggerendo delle tecniche specifiche da adottare per risolvere i casi e non prescrivendo farmaci che, in questi casi, non considero necessari. Al massimo utilizzo ferormoni o integratori nutrizionali del tutto naturali che diminuiscono lo stress degli animali andando ad agire sui disequilibri in atto. Come comportamentalista, infatti, sono in grado di diagnosticare eventuali patologie comportamentali e quindi di istruire non l’animale, come farebbe un addestratore o un educatore, ma il proprietario, assieme a tutta la famiglia, sui metodi da adottare per risolvere il problema specifico. Le mie visite sono sempre domiciliari, perché è fondamentale osservare l’animale nel proprio ambiente quotidiano dato che è lì che c’è il cuore del problema e suggerisco al proprietario cose deve e cosa non deve fare, rendendolo più sicuro di sé nella gestione del proprio animale e nella convivenza a sei zampe.

Cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso professionale? Quanto sono importanti l’intuito, la preparazione e la formazione continua nel tuo mestiere?

Sin da piccola ho iniziato ad amare la natura e gli animali e questa passione mi ha portato a laurearmi in Scienze Naturali. L’etologia e, in particolare, lo studio del comportamento delle varie specie animali mi ha sempre interessata. La mia prima grande esperienza è stata la tesi sperimentale che è durata tre anni e che mi ha condotto alla pubblicazione su una nota rivista del settore. Il progetto consisteva in uno studio pilota sulle varie personalità dei cani di canile per migliorare la qualità delle adozioni, associando i profili degli aspiranti proprietari col cane ideale. Questo studio di etologia prettamente classica mi ha fatto comprendere che molti cani che vivono in condizioni di stress hanno dei comportamenti in comune che ripetono al fine di abbassare il livello di tensione alla quale li porta l’ambiente circostante. Per migliorare queste circostanze, quindi, mi sono resa conto che avevo bisogno di andare oltre l’etologia e mi sono concentrata sullo studio delle tecniche utili per risolvere questo tipo di problemi, decidendo così di intraprendere il percorso per diventare comportamentalista. A tale scopo ho dovuto conseguire un Master di Secondo Livello alla Normale di Pisa nella facoltà di Medicina Veterinaria nell’unico anno in cui era consentito l’accesso anche ai non veterinari e ho realizzato il mio sogno. Ho, dunque, acquisito le basi per aiutare i proprietari a migliorare i rapporti coi propri animali in caso di necessità, iniziando a lavorare in proprio.
Successivamente ho collaborato anche con l’E.N.P.A., Ente Nazionale Protezione Animali, aprendo una rubrica online sul loro sito, grazie alla quale potevo rispondere gratuitamente a tutti coloro che mi scrivevano per chiedere consigli sui comportamenti da adottare coi loro animali. La rubrica ha avuto, fin da subito, un grande successo, perché all’epoca, nei primi anni duemila, c’era la tendenza, da parte di molti veterinari, a somministrare psicofarmaci nel caso in cui gli animali manifestassero strani comportamenti, apparentemente inspiegabili, oppure ad affidarsi ad addestratori che utilizzavano metodi coercitivi, mentre io, contraria a queste tecniche, ho iniziato a fornire delle alternative più che valide, cercando di aprire gli occhi ai proprietari degli animali. Questa è stata la mia grande battaglia: cercare di far comprendere che il danno collaterale causato dall’uso prolungato di uno psicofarmaco su un animale rischia di portare a conseguenze ben peggiori dei problemi comportamentali per i quali se ne è fatto uso. Ciò che bisognerebbe sempre fare, invece, è lavorare sulla relazione tra proprietario e animale, intervenendo là dove si innescano meccanismi sbagliati.
Oltre a questa esperienza davvero molto formativa ho continuato ad aggiornarmi, collaborando con altre riviste del settore e anche portando alcune iniziative presso le scuole, per sensibilizzare i bambini ad avere un comportamento corretto coi propri animali, ma il modo migliore per tenersi sempre al passo in questo mestiere è continuare con le visite domiciliari, perché ogni caso è a sé e ogni animale ha racchiuso al proprio interno un mondo che deve essere esplorato con cura e con rispetto da parte di chiunque lo circondi, così come ogni famiglia ha la propria storia. Non si possono proporre terapie preconfezionate perché, in questi casi, le variabili sono praticamente infinite.
Questo settore è in crescita, soprattutto in Italia, e tenersi aggiornati è importante, perché ci sono sempre nuovi studi che è interessante approfondire, sia per acquisire sempre maggiore professionalità, sia per avere risultati sempre più soddisfacenti. Si tratta di un mestiere che mi appassiona a tal punto, che non credo che potrei farne un altro!

Tra pubblicazioni e seminari, sei sempre in prima linea per promuovere la divulgazione a beneficio sia degli animali, sia delle loro famiglie. Diffondere la cultura del rispetto per i nostri amici a quattro zampe potrebbe aiutare, secondo te, a sconfiggere fenomeni odiosi come l’abbandono, il randagismo e i maltrattamenti? E in che modo?

La divulgazione è fondamentale per garantire che il rispetto e la dignità siano sempre alla base dei rapporti che intrecciamo coi nostri animali. Tuttavia ci sono anche alcuni accorgimenti pratici che sarebbero utili per sconfiggere alcuni tra questi fenomeni dilaganti. Molti veterinari, ad esempio, sono concordi nell’affermare che, per combattere il randagismo, la sterilizzazione è fondamentale. Al randagismo, infatti, è strettamente legato il fenomeno degli abbandoni, soprattutto di cucciolate, cosa che innesca circoli viziosi destinati a ripetersi all’infinito se non vi poniamo un freno sterilizzando i nostri cuccioli.
Oggi le persone che amano gli animali sono la maggioranza e la sensibilità verso i nostri amici a quattro zampe è in crescita. Lo dimostrano tutte le Associazioni e le strutture che mirano a facilitare i rapporti tra animali e proprietari nella vita quotidiana e che sono in aumento. Le persone si informano, frequentano corsi e seminari e sono solidali tra loro contro coloro che, invece, ancora disprezzano gli animali e vorrebbero far loro del male.

Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che è rimasta particolarmente impressa nella tua memoria di professionista e nel tuo cuore di donna.

Ci sono stati tantissimi casi che mi hanno colpito nel profondo e che ancora mi porto dentro. Ogni storia è a sé e mi ha trasmesso qualcosa che mi ha fatto crescere, ma una di quelle che ricordo con maggiore affetto è la storia di una gatta che è stata la prima ad essere adottata da una famiglia e che, in seguito all’arrivo di altri gatti in casa, ha iniziato a distaccarsi dalla proprietaria la quale, pur affannandosi in tutti i modi, non riusciva a recuperare la situazione. La gattina aveva perfino smesso di mangiare a aveva cominciato a strapparsi il pelo, manifestando così tutto il suo disagio. La proprietaria era davvero addolorata, ma, presa com’era, non riusciva a venire a capo del problema, così, osservando il tutto con occhio esterno, le ho suggerito come dare più attenzione alla gatta che soffriva la presenza degli altri e, pian piano, sono riuscita ad aiutarla, riportando la serenità in casa. Il rapporto tra un proprietario e il proprio animale è di fatto un rapporto d’amore paragonabile a quello che si può avere con un figlio, quindi, a volte, è necessario che qualcuno ci suggerisca come affrontare determinate situazioni di difficoltà quando noi stessi siamo così coinvolti, da non riuscire a vedere la via giusta da percorrere.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Visto il grande successo del Seminario che ho organizzato lo scorso aprile sul comportamento del gatto domestico, ho deciso di preparare un nuovo incontro sul comportamento del cane che si terrà il prossimo 18 settembre, alle ore 16, alla Casa della Cultura di Villa De Sanctis a Roma. Spero, inoltre, di riuscire a concludere un libro che sto scrivendo, il quale raccoglierà una serie di casi dei quali mi sono occupata in tanti anni di professione, in modo da fare luce su ogni singola problematica con suggerimenti e accortezze a beneficio dei proprietari di cani e gatti.

www.costanzadepalma.it

venerdì 19 agosto 2016

Tre buone ragioni per cui avere trent’anni è meglio che averne venti


Sembra incredibile, ma il terribile traguardo è stato raggiunto: ieri siamo diventati maggiorenni e oggi, non solo non siamo più teenager, ma abbiamo varcato la soglia dei trent’anni molto più in fretta di quel che credevamo. Niente panico, ormai ci siamo dentro, quindi facciamo un grosso respiro e… riflettiamo! Fine delle sbronze e tempo di bilanci? Non esattamente! Mettiamo da parte per un istante l’orologio biologico, il contratto di lavoro ancora precario e quel capello che… non può essere bianco, deve essersi schiarito con l’acqua del mare e la luce del sole dell’estate! Di sicuro la schiena qualche volta si fa sentire, i sabati sera sul divano cominciano a essere più allettanti delle ore piccole nel solito locale e, stipendio permettendo, stiamo iniziando a pensare sempre più seriamente di destinare a qualcun altro la stanza degli ospiti, ma non tutto è perduto! Ecco le nostre tre buone ragioni per cui avere trent’anni è meglio che averne venti…

1.      Siamo più consapevoli, ma non meno coraggiosi. Qualche sogno lo abbiamo già realizzato, ma non perdiamo la speranza per quelli che ancora sono rimasti nel cassetto. Smartphone, tablet e social network hanno influenzato la nostra crescita, ma siamo nati ai tempi dei videoregistratori e delle musicassette e sappiamo bene che non tutti i nastri possono essere riavvolti, ma ci si può sempre registrare sopra!

2.     Siamo più indipendenti, ma non meno incoscienti. Forse l’indipendenza economica sarà ancora lontana, ma l’indipendenza dello spirito è ormai a portata di mano. Siamo meno condizionati da amici, parenti e genitori perché conosciamo meglio noi stessi, ma quel pizzico di incoscienza che ci fa ancora sentire dei ragazzini con tutta la vita davanti non abbiamo nessuna intenzione di perderlo.


3.   Siamo più determinati, ma non meno divertenti. La determinazione che nasce dall’esperienza ci rende non solo più saggi, ma anche più indulgenti con noi stessi. Siamo meno intransigenti e più pazienti solo con chi merita realmente il nostro tempo e le nostre premure, perché abbiamo scoperto alcuni dei nostri limiti e sappiamo quando vale la pena di superarli, ma questo non ci rende meno divertenti, goliardici e scanzonati di prima. 

venerdì 12 agosto 2016

Elisa Ceccuzzi: la mia vita da Food Blogger


Dopo il grande successo del post dedicato al binomio tra letture estive e cucina, progettato e scritto a quattro mani, conosciamo meglio Elisa Ceccuzzi, una delle food blogger italiane più amate e seguite del Web per l’originalità del suo Blog, Kitty’s Kitchen. Accanto alle straordinarie ricette provenienti da tutto il mondo, questo interessante Blog ha la particolarità di essere impreziosito dalle splendide foto scattate dalla stessa Elisa. L’idea di condividere questa passione per la cucina col popolo dei naviganti è nata già alcuni anni fa e, nel corso del tempo, non si è certo limitata alla pubblicazione di piatti e ricette, ma è cresciuta, grazie anche all’approfondito percorso formativo che Elisa ha intrapreso in campo gastronomico, a partire dall’affascinante mondo dei vini. Ma il food blogging non è solo tastiera e fornelli: ciò che rende davvero speciale questo mondo apparentemente solo virtuale sono gli eventi e gli incontri che hanno per protagonisti i blogger, i cui punti di vista sono tenuti in considerazione sempre maggiore, sia da parte dei semplici appassionati di cucina e di cibo, sia da parte degli Chef e dei ristoratori. Con la sua semplicità e il suo talento, assieme ai vivaci colori dei suoi piatti, Elisa Ceccuzzi è riuscita mantenere a livelli di eccellenza la propria attività di blogger, portandola avanti con successo nel corso degli anni e dimostrando che il blogging può andare ben oltre la moda del momento solo se unito al grande amore e al rispetto per i temi che si trattano.



Col tuo fantastico Blog “Kitty’s Kitchen” sei stata tra le prime in Italia a immergerti nel mondo del food blogging. Cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada?

Senz’altro la grande passione per la cucina. Mi è sempre piaciuto cucinare: guardavo mia nonna farlo e desideravo anche io replicare le preparazioni che faceva lei con grande maestria.
Da lì al food blogging il passo non è stato proprio immediato, negli anni ho iniziato a leggere sempre più assiduamente blog e forum riguardanti l’argomento, tanto da aver accumulato un discreto numero di ricette scritte su fogli volanti e quadernini. Prendevo appunti anche mentre guardavo le trasmissioni di cucina o dalle vecchie enciclopedie di cucina di mia nonna.
Insomma, sono stata spinta a intraprendere questa strada per necessità di ordine! Sembra un po’ strano forse, ma il fatto di avere online un archivio di tutte le ricette sperimentate mi è utilissimo quando poi desidero replicare qualcosa, è una sorta di taccuino virtuale.
Dico sempre che il blog è più utile a me che agli altri!

Una delle particolarità che rende speciale il tuo Blog, oltre alle golose ricette che proponi, sono le foto dei tuoi piatti che scatti personalmente. Come sei riuscita a coniugare la passione per la cucina con quella per la fotografia?

Non so, in effetti, se sono riuscita davvero a coniugare la passione per la cucina a quella per la fotografia: all’inizio ero proprio una schiappa a far foto, ma in questi anni ho seguito corsi, comprato attrezzatura migliore, ho letto e mi sono informata e, alla fine, devo ammettere che, anche se il livello delle foto ancora non mi soddisfa del tutto, sono molto migliorata rispetto a quando ero partita. Di base mi piace far foto anche al di fuori dell’ambito culinario, quindi, si può dire che il supporto fotografico si è “autoconiugato” di conseguenza per la voglia di raccontare la cucina.

La vita del food blogger non è solo computer e fornelli. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che, in questi anni, ti ha portato fuori dal mondo virtuale del blogging ed è rimasta impressa nella tua mente e nel tuo cuore.

La storia che mi viene in mente non è una sola, ma è la moltitudine di storie che riguardano tutti gli incontri meravigliosi che ho fatto. Ho incontrato persone splendide, mosse dalla mia stessa passione e desiderio di imparare. Con alcune di loro ho condiviso moltissimo: dai corsi di cucina, alle cene, agli eventi, fino a trasformare questi rapporti in vere e proprie amicizie di cui adesso non saprei più fare a meno. Ho conosciuto chi dirige siti di cucina, blog e pagine che seguivo sin dagli albori della mia passione, persone che leggevo con grande ammirazione sperando di diventare come loro, adesso queste persone le conosco personalmente e fanno parte della mia vita “reale”.

Facciamo un bilancio della tua avventura nel mondo del food blogging, tra collaborazioni, aspettative e delusioni: che consiglio ti senti di dare a chi, oggi, volesse intraprendere questo percorso, in una realtà apparentemente satura?

Vorrei partire dal presupposto che di consigli da dare non ne ho poi molti: il blog è un’attività che, a mio parere, deve venire spontanea, si deve avere voglia di condividere e tanta passione. Io curo il mio blog in maniera amatoriale, non ho ricavi che mi consentono di vivere con questa attività, pertanto non mi sento di dare consigli da manager o di come spuntarla nel mondo di coloro che sono così bravi da esser riusciti a tirarne fuori una vera e propria attività commerciale.
Certo la cosa che mi sento di dire è che scrivere un blog per diversi anni, va un pochino al di là di quello che è l’entusiasmo iniziale, ci vuole anche impegno, dedizione e un’attenta programmazione.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Attualmente? Attualmente penso alle vacanze! Ma a settembre ripartirò con qualche corso di degustazione vino per gli amici e, spero, qualche progetto editoriale, ma non voglio ancora sbilanciarmi troppo dato che è un progetto ancora embrionale.

www.kittyskitchen.it

domenica 7 agosto 2016

Pier Emilio Castoldi: i miei Misteri di Provincia


A Voghera l’autunno è arrivato prima del previsto e una fitta nebbia avvolge la cittadina e le campagne circostanti. Quando il giornalista Dante Ferrero riceve la telefonata di un compagno di liceo che non sente da anni, il quale gli racconta di un misterioso omicidio avvenuto nei dintorni, la sua curiosità si accende come un fuoco d’artificio e, si sa, in questi casi la prudenza non è il suo forte. La giovane donna uccisa si chiamava Lourdes e faceva la prostituta. In apparenza la sua morte sembra il risultato di un incidente, ma, in realtà, dietro sembra esserci un modus operandi piuttosto insolito. Ne sono convinti Mercy, la bella fidanzata di Ferrero, e anche Gaeta, il suo stravagante amico. E inizia a esserne certo lo stesso Dante, quando, indagando, si rende conto che, solo un mese prima, anche Maria Luz, un’altra prostituta colombiana, è stata assassinata in circostanze analoghe. Ma chi è realmente lo spietato assassino che sembra proprio non volersi fermare? È solo un pazzo sanguinario, o, dietro a questa lucida follia, si cela un disegno ben preciso, la cui genesi si perde nelle nebbie del tempo?
La formula dei misteri di provincia torna a premiare il talento di Pier Emilio Castoldi che, con “Voghera nebbie mortali”, Fratelli Frilli Editori, firma la seconda attesissima indagine del coraggioso giornalista Dante Ferrero. Col suo stile estremamente ironico e dialogato, Pier Emilio Castoldi si legge, ancora una volta, tutto d’un fiato, grazie al mosaico di personaggi e luoghi di provincia così ben delineati, che stanno decretando il successo dei suoi noir. L’intreccio è solido e lo svolgimento delle indagini credibile, per quanto atipico. La carta vincente di questi romanzi, infatti, risiede proprio nella capacità, da parte dell’autore, di coniugare i grandi temi di cronaca di carattere internazionale, con le piccole vicende della provincia italiana, due realtà inconciliabili solo all’apparenza.   



Una provincia sonnolenta, una serie di omicidi brutali e un movente che si perde nelle fitte nebbie del tempo: sono questi gli ingredienti di “Voghera nebbie mortali”, Fratelli Frilli Editori. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

“Voghera nebbie mortali” è la seconda indagine che vede come protagonisti Dante Ferrero e la sua piccola squadra di scombinati investigatori. Diciamo che rappresenta il seguito, anche se in realtà sono indagini indipendenti, del noir pubblicato l'anno scorso, sempre per Frilli Editori, con il titolo di “Tortona Nove corto”.
Nella prima avventura i 'nostri' erano incappati in una brutta storia di smaltimenti illeciti poi mutatasi nella scoperta di un traffico d'armi, mentre in questa i temi trattati sono la prostituzione e un giro internazionale di droga. Tutti argomenti di stretta attualità, anche se non propriamente originali per il genere che, per definizione, è solito toccare fatti di cronaca quotidiana e descrivere la realtà che ci circonda. L'ispirazione, quindi, parte proprio da qui: da avvenimenti letti in cronaca e poi rielaborati con una buona iniezione di fantasia. Era stato così per “Tortona nove corto” dopo aver letto notizie su interramenti illegali ed è stato lo stesso per “Voghera nebbie mortali”, nato in seguito all’approfondimento di temi sensibili, quali la mercificazione e lo sfruttamento di giovani ragazze extracomunitarie e lo spaccio di stupefacenti.

Chi è Dante Ferrero, il giornalista protagonista del tuo libro? Come lo definiresti e, in generale, come delineeresti i personaggi dei tuo romanzi?

Dante Ferrero è un investigatore anomalo, fuori dai canoni tradizionali che vedono i libri gialli pullulare di commissari, ispettori o comunque professionisti abituati alle indagini e che frequentano per lavoro ambienti investigativi. Ferrero è un giornalista. Un giornalista di provincia, per la precisione. Con una vita normale anzi, ordinaria. Gira con uno scooter malandato, dopo aver perso in un incendio doloso la sua vecchia Opel Astra, oppure in bicicletta. Fuma Gauloise e veste normalmente. Soffre ogni tanto di una fascite plantare e ama leggere gli scrittori americani. È tifosissimo del Toro (spero di non inimicarmi così potenziali lettori di fede bianconera). I suoi grandi difetti sono di essere troppo curioso e decisamente sprovveduto, ed entrambi sono l'origine e la ragione dei suoi guai. Assieme a Dante Ferrero troviamo altre due importanti figure, oltre ad un corollario di numerosi altri personaggi: Mercedes, la sua eterna compagno e Gaetano 'Gaeta' Monticelli, alias Capitano Ipsilon che sostiene di essere un ex agente Sisde ormai in pensione, ma ho qualche dubbio in proposito.

In tutti i tuoi romanzi i luoghi in cui si snodano le vicende che segnano le vite dei personaggi non fanno semplicemente da sfondo, ma sono in primo piano come veri e propri protagonisti. Cosa ti lega a queste cittadine che arricchiscono le tue trame nere?

Io credo che ogni romanzo leghi, non dico indissolubilmente, ma comunque in modo importante, protagonisti e città e, di conseguenza, autori, attori e luoghi di riferimento. Fatte le debite e opportune distinzioni tra i grandi scrittori e il sottoscritto, posso dire che mi stupirebbe vedere un Bacci Pagano lontano da Genova. E varrebbe anche per decine di altri. Un Montalbano in Piemonte? Un Commissario Ricciardi del formidabile Maurizio De Giovanni senza Napoli?
Ecco, piuttosto, l'idea che mi ero preposto era di localizzare questo nuovo investigatore fuori dalle aree metropolitane per collocarlo in provincia, ricordando che spesso quella stessa provincia è palcoscenico di reali attività criminali e fatti di cronaca terribili.
Ferrero risiede a Tortona, la piccola e tranquilla cittadina un po' aristocratica che ritenevo essere l'ambiente ideale per il 'nostro'. Voghera, teatro di azione della seconda avventura, è, invece, stata scelta per due motivi: innanzitutto la vicinanza geografica con Tortona e, in secondo luogo, perchè la conosco bene quanto l'altra. Mi sarebbe in ogni caso impossibile ambientare una storia lontano da luoghi che conosco, perciò, supponendo possa nascere una terza indagine per Dante Ferrero, posso assicurare che si tratterà sempre di provincia e mai di una sua peripezia in Central Park!

Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione a qualsiasi ora del giorno o hai un metodo collaudato dal quale non puoi prescindere?

Adoro leggere, anzi, come dico spesso: 'divoro leggere'. Considero la lettura la prima e forse l'unica e senza dubbio più importante scuola per chiunque coltivi ambizioni letterarie.
In ogni caso ritengo la scrittura non necessariamente una conseguenza del leggere.
Scrivo con una certa libertà di tempi, modi e metodi, non essendo questa la mia professione, né la mia fonte di reddito. Scrivo perché amo raccontare cose che definisco, nel mio piccolo: 'le storie da comodino'.
Scrivere non lo considero mai, quindi, un'esigenza, quanto piuttosto un piacere. Un piacere che ogni tanto mi prende improvvisamente e al quale amabilmente preferisco non sottrarmi. Vivo comunque la scrittura come un 'divertissement', cullandomi nella certezza di non dover scrivere libri su commissione e per contratto. Le ore sono tutte buone. Mannaggia, a volte sono quelle notturne! Di regola lavoro al mattino, momento d'oro durante il quale i telefoni non squillano.
Metodi collaudati non ne ho, quindi poche 'scalette' a volte nessuna. Prescindo, prescindo e ancora prescindo, rivendicando libertà e creatività senza frontiere. Spesso stravolgo i lavori già scritti, cambio situazioni, finali e quant'altro.
Nemmeno prendo appunti su cose che durante la giornata possono essermi apparse come fonte di ispirazione. Semplicemente le catalogo nello scomparto 'memoria', dove si accumulano disordinatamente. Poi, regolarmente, finisce che me le dimentico tutte, tranne una. «Ecco» mi dico, «se questa è rimasta vuol dire che è quella giusta». E lì comincio, su quella lavoro.
Insomma non rappresento proprio il modello di buon scrittore, immagino.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Ho ultimato da circa due anni un romanzo decisamente corposo, molto corale, con decine e decine di personaggi, che reputo decisamente originale nella trama. Continuo a rileggerlo, variarlo, arricchirlo. Non è un noir, ma una storia romantica e di vita ambientata verso la fine degli Anni ‘50.
Il personaggio chiave è un tizio molto singolare con una particolarità che poi è il fulcro su cui ruota l'intera vicenda. Si potrebbe scambiarlo erroneamente per matto, ma...
non si può dire di più se non che il romanzo è un 'malloppo' di quasi quattrocento pagine! Fossi Alessandro Manzoni comincerei a preoccuparmi!
Tuttora, però, non vede editori disposti a pubblicarlo.
In cantiere ho altri due lavori: un thriller-horror in stile gotico. Una storiaccia di fantasmi, di bambini e di bottoni. Un secondo progetto, invece, mi riesce difficile definirlo. Ci provo. Una comunità umana, in un ipotetico futuro post-bellico e pure post-nucleare. Un giovane che pone delle domande e un vecchio che non sa dargli delle risposte. Il tutto condito da parecchi colpi di scena. Spero di essere stato sufficientemente criptico!
Ma, come dicevo, tutto ciò è in cantiere. Un giorno di questi riprendo in mano la cazzuola!