Se
fossi qualcuno, qualcuno di veramente
importante, costituirei il Diritto
al Tempo. Certo, sarebbe difficile tramutare in Legge la Costante
Universale che più di ogni altra riesce a sfuggire al nostro effimero
controllo, trascorrendo inesorabilmente, giorno dopo giorno, ora dopo ora,
minuto dopo minuto. Il vero cruccio dell’Umanità è la sua perenne corsa con il tempo, come se ci fosse un
traguardo da tagliare e questo nemico infame, dalle lancette fendenti, non si
concedesse abbastanza e non si donasse mai completamente a noi, impenitenti
sognatori d’eternità. Quante volte vorremmo tornare
indietro nel tempo per poter agire diversamente o rimettere le cose a
posto?
L’uomo
che, il 12 settembre 1990, a
Velletri, in provincia di Roma, ha visto Davide
Cervia, il suo giovane vicino di casa, caricato a forza da alcuni uomini su
un auto verde scuro, sfrecciare via a gran velocità, vorrebbe di sicuro tornare
indietro nel tempo, per rendersi davvero conto di quel che stava accadendo in quel
momento e poter fare qualcosa per evitarlo.
Daniele e Erika Cervia,
i figli di Davide, che, all’epoca, avevano sei e quattro anni, vorrebbero
tornare indietro nel tempo, per vedere il loro papà varcare la soglia di casa con
un sorriso anche quel maledetto 12 settembre 1990 e averlo costantemente
presente nelle loro vite anche negli anni successivi, come era sempre stato
fino a quel giorno.
Marisa Gentile,
la moglie di Davide Cervia, vorrebbe tornare indietro nel tempo per continuare
a vivere quella sorprendentemente tenera storia d’amore, iniziata durante un
viaggio in treno e rimasta sospesa fino a oggi, a venticinque anni dalla misteriosa scomparsa di Davide Cervia, Perito
Elettronico e ex Tecnico esperto di Guerre Elettroniche, in congedo dalla
Marina Militare Italiana dal 1984.
Ma
siamo sicuri che il vero problema sia proprio la negazione del nostro Diritto
al Tempo? Che dire di tutto quello che sprechiamo? Ad esempio di tutto quello che
gli Inquirenti hanno perso a convincersi e a convincerci che quello di Davide
sia stato semplicemente un allontanamento volontario? O quello che Marisa,
Daniele e Erika hanno speso a cercare l’aiuto di qualcuno che potesse dare un
senso all’inaspettata e terribile tragedia che li ha colpiti da quando di
Davide si sono perse le tracce? Venticinque anni di depistaggi, omissioni e
negligenze hanno censurato la storia di una famiglia italiana supportata da
poche persone.
Nel
2000 il caso di Davide Cervia è stato archiviato dalla Magistratura come “Sequestro di Persona a opera di Ignoti”,
dopo dieci lunghi anni esatti di battaglie e, nel 2012, Marisa, Daniele e Erika
hanno citato in giudizio i Ministeri della Difesa e della Giustizia davanti al
Tribunale Civile di Roma per chiedere un risarcimento dei danni subiti a
ristoro della loro perdita e della negata verità in questi venticinque anni di
dolore.
Ciò
che possiamo impegnarci a fare nostro è solo il corretto uso del nostro tempo,
nella lealtà e nella trasparenza, per non avere rimorsi, né rimpianti. Perché a
chi è stato negato il Diritto al Tempo, deve essere reso almeno il Diritto alla Verità.
Chi è Davide? Raccontaci
la sua storia.
Davide
è un ragazzo normale, allegro e generoso. Ci siamo conosciuti nel 1982, durante
un viaggio in treno che stavo facendo in compagnia di una cugina. All’epoca
Davide si trovava a Roma per un corso presso la Società Elettronica Selenia, ma
era nato a Sanremo e, dopo essersi arruolato in Marina, era stato imbarcato
sulla Nave Maestrale di base a La Spezia, come mi raccontò lui stesso. Io ero
in viaggio verso Genova, mentre lui stava tornando a casa per il fine settimana
e, per ingannare il tempo, abbiamo iniziato a chiacchierare. Davide era un
ragazzo come tanti: simpatico, spiritoso, solare. Mi ha incuriosita subito e,
nelle settimane successive, abbiamo iniziato a frequentarci. Solo sei mesi dopo
abbiamo deciso di sposarci. Eravamo felici, entusiasti, pieni di idee e
progetti per la nostra vita insieme.
Appena
sposati abbiamo vissuto a La Spezia per un paio d’anni. Io conoscevo ben poco
del suo lavoro. Davide non raccontava molto delle cose di cui si occupava.
Sapevo soltanto che aveva una specializzazione
particolare. Mi raccontava di essere un privilegiato
rispetto a molti suoi colleghi, perché, grazie alle conoscenze acquisite nel
corso dei suoi studi e delle sue esperienze, poteva svolgere dei compiti che
mettevano in luce le sue qualità di esperto e specialista delle esercitazioni.
Sapevo
che Davide era un Tecnico di Guerre Elettroniche, ma per me si trattava di
termini senza significato, poiché non
conoscevo fino in fondo di cosa si trattasse concretamente e non potevo essere
a conoscenza di cosa si potesse nascondere dietro la sua professione.
Dopo
due anni di matrimonio abbiamo deciso di avere un figlio e Davide ha maturato l’idea
di lasciare la Marina, poiché aveva visto come molti colleghi, imbarcati come
lui, non erano riusciti a stare accanto alle mogli durante la nascita dei
figli, così ha stabilito che era il momento di cambiare vita. È stata una
decisione sofferta, ma la famiglia veniva prima di ogni altra cosa per lui,
così il primo gennaio 1984 ha ottenuto il congedo.
Con
l’aiuto dei miei genitori ci siamo trasferiti a Roma e Davide ha trovato
immediatamente lavoro: era davvero molto bravo e non ha tardato a crearsi un
suo giro di clientela anche in una nuova città, fino all’assunzione presso l’Enertecnel
di Ariccia come Perito Elettronico. Nel 1988 abbiamo deciso di trasferirci a Velletri, in parte per essere più
vicini alla sede dell’Azienda per cui Davide lavorava, in parte perché entrambi
amavamo la campagna e la zona dei Castelli Romani ci sembrava un buon
compromesso, a metà strada tra la natura e grande città.
Quando lo hai visto l’ultima
volta? Cosa è accaduto il giorno della scomparsa?
I
giorni precedenti la scomparsa erano trascorsi normalmente, tra le solite
incombenze quotidiane che tutte le famiglie hanno. L’11 settembre 1990 avevamo
portato i bambini dal pediatra per un vaccino, poi Davide aveva chiamato un suo
collega per dargli appuntamento al lavoro molto presto, visto che c’erano molte
cose da fare e ricordo che gli aveva chiesto delle uova fresche per i nostri
figli, poiché erano molto amici e spesso facevamo degli acquisti nella sua
Azienza Agricola di famiglia.
Davide
aveva una gran cura della nostra casa, se ne occupava molto e volentieri, non
appena tornava dal lavoro. Una decina di giorni prima avevamo acquistato dei
mobili per il bagno che, essendo mansardato, dovevano essere montati in modo
particolare e Davide aveva fatto tutto da solo con grande soddisfazione.
Un
paio di giorni prima Davide aveva effettuato uno scavo sul viale di casa, lungo
circa duecento metri, per fare un nuovo allaccio dell’Enel e trasferire il
nostro contatore al di fuori della proprietà. Anche molti vicini di casa lo
avevano visto lavorare nel cortile fino a tardi in quei giorni, dopo il lavoro,
in attesa che i tecnici della Società Elettrica venissero per il collegamento.
Il
12 settembre 1990 Davide era andato
al lavoro presto, come tutte le mattine. Ricordo che ci eravamo sentiti al
telefono intorno alle dieci e mezza e mi aveva chiesto dei bambini, come faceva
sempre. Lo aspettavamo a casa nel pomeriggio, ma, da allora, Davide non è più
tornato.
È
stato facile capire, fin da subito, che non poteva trattarsi di un
allontanamento volontario: una persona che vuole fuggire non si occupa così premurosamente
della sua famiglia, come Davide era solito fare.
Come si sono svolte le
ricerche in questi anni? Oggi chi vi sta più accanto concretamente e
quotidianamente?
Le
ricerche, dal punto di vista giudiziario, sono state pressoché nulle,
soprattutto nei primi anni. Sappiamo tutti quanto siano importanti i momenti
immediatamente successivi alla scomparsa di una persona, ma, nel nostro caso,
nessuno si è dato da fare. Noi familiari, presi dalla disperazione, abbiamo
iniziato a valutare tutte le ipotesi possibili, a trecentosessanta gradi e, man
mano, tutto veniva escluso, giacché emergevamo elementi che ci facevano
accantonare ogni tesi. Non poteva essere un allontanamento volontario, né una
ritorsione particolare, poiché non avevamo nemici. In sostanza abbiamo fatto da
noi le nostre ricerche, poiché, chi doveva farle non ha affatto provveduto.
Il
primo testimone oculare, che ha raccontato di aver assistito al rapimento di
Davide, caricato a forza su un’auto, ha parlato di sua iniziativa dopo oltre due
mesi dalla scomparsa. Lo stesso è accaduto con molti altri testimoni, come i
vicini di casa. Nessuno ha interrogato neppure noi componenti della famiglia,
per raccogliere le nostre dichiarazioni.
Pian
piano l’Opinione Pubblica si è accorta della nostra storia e abbiamo iniziato
ad avere il sostegno di alcuni giornalisti coraggiosi, provenienti soprattutto
dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”, sotto la direzione di Donatella Raffai,
che è stata fondamentale. Anche il giornalista Gianluca Cicinelli ci ha
accompagnato per anni in questa faticosa battaglia, facendosi portavoce delle
nostre vittorie e delle nostre sconfitte, con il suo impegno e la sua forza di
volontà, diventando anche il Presidente del Comitato per la Verità su Davide Cervia in seguito alla stesura di
due libri su questo caso. Alla storia di Davide è stato dedicato anche un film
dal titolo “Fuoco Amico. La Storia di Davide Cervia”, con la regia di Francesco
Del Grosso e la produzione di Giulia Piccione.
Tu che idea ti sei fatta?
Secondo te cosa è accaduto a Davide?
Noi
abbiamo lottato oltre dieci anni per far accertare e accettare che si trattasse
di un allontanamento forzoso, perché, inizialmente, gli inquirenti hanno
sminuito la faccenda, lasciandoci intendere che fosse solo di una fuga
volontaria. Davide non se n’è andato, è
stato rapito. Grazie a tutti gli elementi e le testimonianze che abbiamo
raccolto, la Procura Generale di Roma, nel 2000, ha dichiarato che si è
trattato, appunto, di un Sequestro di Persona
ad opera di Ignoti.
Io
sono convinta che le Istituzioni, in questi anni, non ci abbiano aiutato quanto
avrebbero dovuto perché, dietro la sparizione di Davide, si nasconde il
traffico di armi e di tecnici altamente specializzati.
Qual è stato il momento
più difficile per la vostra famiglia in questo lungo periodo di dolore? Che
ruolo svolgono o potrebbero svolgere, secondo te, l’opinione pubblica e tutti i
mezzi d’informazione di fronte a un caso di scomparsa?
Ci
sono stati veramente tanti momenti difficili, soprattutto i primi anni.
Lottavamo contro i mulini a vento ed eravamo soli. Una volta un losco personaggio,
spacciandosi per un emissario dei Servizi Segreti, ci ha fatto credere che
Davide potesse tornare a casa. Ci ha illusi, riaccendendo la nostra speranza ed
è stato terribile, poi, renderci conto che ci aveva solo ingannati. Abbiamo
perfino subito il trauma di un’esplosione in casa: qualcuno ha nascosto dell’esplosivo
in una finestra della nostra abitazione e abbiamo avuto davvero tanta paura, è
stato un momento terrificante. Minacce, pressioni, intimidazioni di ogni tipo:
ne abbiamo passate veramente tante!
Il
potere dell’Opinione Pubblica è immenso. Quando il Popolo si unisce e chiede a
gran voce qualcosa, le Istituzioni devono rispondere in qualche modo. Nel
nostro caso, purtroppo, nonostante l’appoggio di molto professionisti, c’è
stata sempre una sorta di censura e
se ne parla, ancora, davvero poco. Forse perché meno si parla di Davide e
meglio è… ecco perché io ritengo che i mezzi d’informazione abbiamo un ruolo
fondamentale in questi casi! Anche se per la nostra storia non c’è mai stata
tutta l’attenzione che abbiamo riscontrato per altri, siamo sollevati che i più
sensibili continuino a sostenerci, nonostante siano passati ormai venticinque
anni dalla scomparsa di Davide. Io credo che, in ogni caso, noi cittadini
dovremmo unirci tutti in una battaglia comune proprio per la ricerca di tante
verità ancora nascoste, che spesso ci negano e relative a molti altri casi
oltre al nostro. La verità di uno è la
verità di tutti. La verità, infatti,
è un diritto di tutti i cittadini che vivono in un Paese democratico.
È il ricordo a mantenere
vive le persone di cui si sono perse le tracce. Qual è il tuo ricordo più vivo
di tuo marito?
Ho
tantissimi ricordi e tutti molto vivi, perché la mia mente non vuole
dimenticare. Non possiamo dimenticare, né io, né i nostri figli, Daniele ed
Erika. Si parla sempre molto poco dei nostri ragazzi, che nel 1990 erano solo
dei bambini, ma loro hanno subito più di tutti la perdita del papà in così
tenera età. Davide aveva un rapporto speciale con loro, era sempre molto
presente, aveva cambiato la sua vita per vederli crescere e questo gli è stato
negato. Ci è stato negato.
Il
nostro ricordo di Davide è vivo, ma abbiamo anche la consapevolezza che, dopo
venticinque anni, sarà davvero difficile rivederlo tornare a casa, però per noi
è diventato essenziale capire cosa sia successo realmente quel 12 settembre
1990 e avere giustizia, perché non si può chiedere a una famiglia di archiviare un caso come questo. Quando
si perde un familiare così caro in una circostanza tanto misteriosa, non si può
imporre di dimenticare e noi continueremo nella nostra battaglia per la verità.
Recentemente abbiamo citato in giudizio i Ministeri della Difesa e della
Giustizia proprio perché, col comportamento di alcuni dei loro funzionari,
hanno violato il nostro Diritto alla
Verità attraverso una serie di depistaggi e negligenze. Noi vorremmo che,
finalmente, un giudice terzo, possa verificare e accertare, dopo venticinque
anni, ciò che realmente è successo a Davide e anche perché una parte delle
Istituzioni si è così contrapposta a questa nostra ricerca della verità.