mercoledì 26 settembre 2018

Annarita Franza e Vincenzo Lusa: cos’è la Criminogenesi Evolutiva


Criminali si nasce o si diventa? Ecco il quesito al quale, sin dalla loro nascita, le Scienze Criminologiche hanno cercato di rispondere, ponendosi al confine tra la necessità del diritto di arginare in modo scientifico la criminalità e il desiderio di conoscere la natura più profonda dei meccanismi che portano un soggetto a delinquere, tra istinti biologici e bisogni morali e politici.
In “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo Editrice, gli antropologi e criminologi Annarita Franza e Vincenzo Lusa hanno spiegato come la violenza, nel corso della storia, già a partire dalle popolazioni primitive che abitarono il continente africano migliaia di anni fa, sia stata una carattere adattativo favorevole per l’uomo dal punto di vista evolutivo, che gli ha permesso non solo di adeguarsi all’ambiente circostante, ma anche di dominarlo, ponendosi in una posizione di supremazia verso gli altri esseri viventi e, quando necessario, scontrandosi coi propri simili.
Gli autori, spostando il consueto focus della Criminogenesi dal caso singolo, all’uomo come animale sociale in continua evoluzione, hanno svolto un’analisi chiara e interessante anche per i profani sia dal punto di vista storico-antropologico, sia dal punto di vista biologico-genetico, spiegando come e perchè è nato nell’uomo l’istinto a delinquere e le conseguenze che esso ha avuto nelle società civili nel corso del tempo, oltre a quelle che potrebbe avere in futuro in condizioni ignote e decisamente particolari come potrebbero essere quelle di un equipaggio spaziale.
Accanto a questi excursus, gli autori hanno raccontato alcuni casi concreti, spesso inediti o poco conosciuti, che avvalorano le loro tesi originale e innovative. L’obiettivo è quello di studiare i fenomeni criminali alla luce delle verità scientifiche inerenti la biologia e la genetica, cercando di fare in modo che anche la legge e il diritto si adeguino all’esigenza di sicurezza e giustizia sociale in un’ottica sempre più moderna e attuale.


Cosa accadrebbe se ci rendessimo conto che la violenza non è solo una manifestazione patologica, ma un vero e proprio carattere adattativo fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo? È da questo interrogativo che prende il via “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo Editrice, un vero e proprio viaggio tra antropologia e criminologia che guida il lettore attraverso lo studio di interessanti casi reali. Raccontateci la genesi di questo testo e dell’interessante teoria che sostiene: cosa vi siete prefissati di dimostrare?

La teoria della Criminogenesi Evolutiva considera la violenza umana in un’ottica del tutto avulsa dal quotidiano vivere, ove l’aggressività è vista solo in funzione di un procedimento penale o dei fatti di cronaca a noi purtroppo noti. La suddetta teoria considera invece la violenza in ambito evolutivo, quindi paliamo di milioni di anni, e su scale temporali così elevate, allora la visione della problematica in argomento muta completamente e quello che viene normalmente considerato un fattore infausto, come appunto è l’aggressività, in ambito evolutivo, diviene invece un fattore adattativo di natura biologica che ha permesso all’uomo di sopravvivere nei confronti di un ambiente a lui assolutamente ostile. La violenza, pertanto, può essere intesa non esclusivamente come un fattore “maladattivo”, ma anche benevolo per l’essere umano e quindi può essere anche denominato alla stregua di un “carattere” biologico. Tuttavia dobbiamo comprendere l’origine di questo carattere, come si è creato. Per cercare di giungere a un’esaustiva risposta a tale quesito, la teoria della Criminogenesi Evolutiva mette in sistema vari parametri scientifici come le mutazioni genetiche, le grandi migrazioni umane (queste ultime occorse in tempi ancestrali) e la selezione naturale. Questi parametri afferiscono alle scienze antropologiche. Altri parametri, invece, provengono dalle Scienze criminologiche, come gli studi volti a comprendere la biologia dell’encefalo del deviante o l’ambiente dove il criminale vive o è vissuto. Il tutto con il precipuo intento di chiarire se il carattere adattativo della violenza sia frutto di una possibile mutazione biologica, poi premiata dalla selezione naturale, ovvero se la violenza sia invece dovuta a una componente genetica importata da specie umane affini al sapiens e con le quali quest’ultimo, in tempi assai remoti, è venuto a contatto instaurando probabili legami di natura sessuale, tali da permettere l’importazione, nel nostro patrimonio biologico, di alcuni tratti genetici che potrebbero risultare predisponenti all’aggressività. Quanto appena descritto si è davvero verificato e studi antropologici di settore lo hanno evidenziato. Pensiamo ad esempio al cosiddetto Warrior Gene, ovvero l’allele MAOA-L, che è stato riscontrato nel patrimonio genetico di vari imputati sottoposti a processi penali per atti di natura omicidiaria e che è in grado di predisporre, in talune circostanze, i soggetti che lo possiedono a compiere atti caratterizzati da violenza efferata. Ebbene il predetto allele ha una sua storia biologica in campo evoluzionistico e nel libro ne parliamo diffusamente. Dobbiamo anche considerare i risultati che le Neuroscienze forensi hanno prodotto in questi ultimi anni dimostrando che, in un dato individuo, il possesso di certi alleli e di alcune malformazioni a livello encefalico, possono essere poste alla base, in determinate condizioni, di atti devianti caratterizzati da aggressività. Non è tutto: la teoria della Criminogenesi Evolutiva prevede altresì una possibile evoluzione-mutazione del genoma che è preposto al controllo e rilascio degli atti aggressivi nell’uomo, nell’ipotesi che il suddetto venisse a contatto con nuovi e sconosciuti ambienti. Ecco perché formuliamo un chiaro warning volto a evidenziare che appare assolutamente necessario, nell’atto di selezionare gli equipaggi delle missioni spaziali di lunga durata che siano destinate a varcare oltre l’orbita lunare (ad esempio quella dedicata al prossimo soggiorno dell’uomo su Marte), il non sottovalutare alcune malformazioni encefaliche o marcatori biologici predittivi del comportamento criminale come quelli che nel libro abbiamo rilevato.

Analizziamo meglio il termine “criminogenesi”: come si coniugano in questa teoria lo studio dell’uomo in qualità di “animale sociale”, dell’ambiente in cui egli vive e del processo evolutivo che li lega fisicamente e psichicamente?

Innanzitutto dobbiamo rilevare che in Criminologia il termine Crimongenesi è volto a definire alcune caratteristiche individuali e sociali che hanno avuto peso nella scelta delittuosa. Quindi la Criminogenesi cerca di spiegare come è nata, dove è nata e perché è nata l'idea criminale. In termini ancora più scientifici la Criminogenesi è l’interazione tra le caratteristiche psicologiche del soggetto e il suo background sociale, familiare nonché ambientale nel quale costui vive ed è vissuto, così da farlo orientare verso la deliberazione della propria scelta criminosa.
La Criminogenesi, pertanto, focalizza l’influenza reciproca esistente tra la personalità dell’individuo e l’ambiente. Esiste anche una “Criminogenesi dell’età evolutiva” che mira a comprendere quel determinato periodo della vita nel quale vengono a crearsi le trasformazioni del carattere maggiormente espressive del soggetto nei suoi primi anni di vita e che viene a esaurirsi con la raggiunta maturità della personalità dell’individuo. Noi invece, come già evidenziato, abbiamo incentrato le nostre ricerche scavando nel passato dell’Homo sapiens. Ecco perché parliamo di Criminogenesi Evolutiva: abbiamo esplorato il cespuglio evolutivo dal quale noi tutti proveniamo, esaminando altresì i comportamenti e le interrelazioni che sono venute a crearsi tra il sapiens e gli ominini a lui coevi, nonché quelli che l’evoluzione ha collocato, in un passato primordiale, sulla sua linea filogenetica. Il tutto per tentare di comprendere quale importanza abbia rivestito la genetica nel complesso puzzle dell’aggressività umana. Certo non dobbiamo dimenticare che il criminale è funzione dell’uomo con l’ambiente, giacché l’habitat influenza e può predisporre l’individuo a delinquere. Quanto detto non vale solo in senso criminologico, ma anche antropico ed evolutivo: né è la prova il fatto che non si può oggi parlare di razze, ma solo di un adattamento umano all’ambiente.

Tra i tanti casi analizzati nel testo per suffragare la vostra tesi di partenza qual è il più significativo, che è rimasto maggiormente impresso nella vostra memoria di studiosi e perché?

Particolarmente interessante è rendicontare il risultato delle ricerche portate a compimento presso il Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze – Collezione di Antropologia. Il lavoro archivistico condotto sui cataloghi manoscritti ha permesso di rintracciare, e quindi ricostruire, il caso forense di Vincenzo Rosi, ultimo ghigliottinato fiorentino.
L’efferatezza del crimine compiuto, l’aver brutalmente trucidato Gaetano Del Coco, la moglie Maria Domenica in stato interessante e i due figli sprangando nottetempo la porta della loro abitazione per dargli poi fuoco, vale al Rosi l’ultima esecuzione capitale in terra toscana alle prime luci del mattino del 20 luglio del 1830.
Ulteriori ricerche condotte presso la Collezione di Antropologia hanno poi permesso di recuperare il cranio di Rosi, fino ad oggi dato per disperso dalla storiografia. Del cadavere, come di prassi inviato presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova, viene fatto dono al celebre antropologo Paolo Mantegazza, all’epoca Direttore del Museo Nazionale di Antropologia di Firenze, perché effettuasse una valutazione in particolare del cranio decollato. Mantegazza rubrica quindi il reperto al numero 34 del Catalogo Craniologico e ne affida l’esame all’allievo Giuseppe Amadei che conclude essere stato Rosi un delinquente «per predestinazione», ossia le radici ultime del suo comportamento violento risiedono nel corredo biologico il quale, sotto particolare stimolo ambientale di origine stressoria, porta il soggetto a compiere atti criminali di estrema violenza come l’incendio alla capanna del Vignaccio sembra mostrare. Il reperto anatomico presenta la particolarità dell’incisione ad inchiostro del cognome ROSI sulla superficie ossea, annotazione questa che conferisce ancor più importanza e rilievo a una «microstoria» che racconta sì una pagina inedita del passato fiorentino, rimarcando al contempo la straordinarietà documentaria del patrimonio museale del nostro paese, la cui eccezionalità non risiede nella mera bellezza di turistica ammirazione, bensì nel suo essere guida e viatico per la ricerca scientifica.

Dopo la fase di ricerca e di pubblicazione, che riscontri state avendo dalla divulgazione del testo? Quali sono le impressioni dei lettori, siano essi colleghi accademici o semplici appassionati? E come potrebbe cambiare concretamente lo studio e la lotta contro la criminalità alla luce di questa tesi anche a livello di prevenzione e di reinserimento del reo nella società?

Possiamo ritenerci soddisfatti del risultato fin qui raggiunto. Abbiamo cercato di divulgare “Criminogenesi Evolutiva” nella maniera più “social” possibile grazie all’apertura di pagine dedicate sui maggiori social network. Questo ci permette di mantenere un filo diretto con i nostri lettori che, informati in tempo reale sulle iniziative a sostegno della promozione del volume, non mancano di far sentire la loro attiva e interessata partecipazione agli eventi organizzati presso librerie ed istituzioni scientifiche. Anche il circolo accademico ha accolto favorevolmente l’uscita del libro, abbiamo infatti ricevuto le congratulazioni di Adrian Raine, docente statunitense e pioniere nella ricerca sul neuro-crimine e sulle applicazioni della genetica comportamentale in ambito forense e giudiziario.
Il nostro studio è un warning per il legislatore affinché comprenda che la norma penale si fonda essenzialmente sulla valutazione di un determinato comportamento illecito. Quest’ultimo non è figlio di una sterile legge, bensì di un comportamento umano. È quindi l’uomo il fulcro del processo penale e non la norma, e il soggetto umano è e rimane un organismo biologicamente complesso frutto di un’evoluzione durata milioni di anni e che forse non ha ancora visto la sua conclusione. La norma penale, in futuro, dovrà necessariamente tenere conto della genetica comportamentale, degli studi nati dall’antropologia criminale e delle neuroscienze di stampo forense, se si vorrà davvero prevenire il crimine, ma anche e soprattutto ottenere un giusto processo. Articoli del codice penale volti alla comprensione della capacità di intendere e di volere, alla luce degli studi di settore, dovranno subire prima o poi un inevitabile restyling, altrimenti rischiamo di avere apparati codicistici assolutamente anacronistici.
Ecco perché Diritto penale e Scienza dovranno andare sempre più a braccetto. Questo vale anche per valutare il profiling criminologico di un soggetto che sia dichiarato pericoloso sociale e un suo eventuale reinserimento nel tessuto sociale.    

A cosa state lavorando attualmente? Raccontateci quali sono i vostri programmi per il futuro.

Ci muoviamo su diversi campi scientifici come l’intersessualità e le devianze a essa collegate, i rapporti che sussistono tra violenza ed evoluzione e i nessi che intercorrono fra scienze forensi ed esplorazione spaziale, un campo, permetteteci il gioco di parole, ancora tutto da esplorare!


 





lunedì 24 settembre 2018

“L’età ridicola” di Margherita Giacobino



Ormai vicina alle novanta primavere, in una Torino spenta e distante, la vecchia è l’inconsapevole protagonista di “L’età ridicola”, il nuovo romanzo di Margherita Giacobino, edito da Mondadori e appena approdato sugli scaffali delle nostre librerie.
Stanca di vivere e desiderosa di imbattersi finalmente nella morte, con la quale, da diverso tempo, intrattiene segreti dialoghi di filosofia spiccia, la vecchia è ancorata alla vita dalla personalità indomita e dallo spirito ribelle che da sempre la contraddistinguono, acuta e polemica, nella sua passione per la lettura, la musica, la cronaca nera e le catastrofi. A tenerle compagnia, oltre ai dolori alle ossa, ci sono il malridotto gatto Veleno, la svampita amica di sempre, Malvina, confinata in una casa di riposo dai parenti indolenti, e la giovane e apparentemente spensierata badante Gabriela, una ragazza dell’Est, costretta sempre più spesso a difendersi da una famiglia ingombrante che vuole approfittarsi del suo lavoro. Quando Gabriela viene minacciata dal cugino Dorin, sedicente terrorista che vorrebbe sposare la bella cugina e il suo sicuro stipendio, la vecchia non ci pensa due volte a difendere la sua piccola realtà quotidiana, una peripezia dopo l’altra, verso un epilogo nient’affatto scontato.
Graffiante, ironica e travolgente, col suo vocabolario sottile e lo stile incisivo di sempre, Margherita Giacobino firma una nuova storia di grande attualità, dai toni amari e commoventi, ma anche profondamente divertente nel suo sarcastico punto di vista sulla vita. La vecchiaia, la morte, la diversità, la solitudine e il miraggio dell’integrazione in una società fatta di identità confuse sono solo alcuni dei temi toccati dall’autrice attraverso le riflessioni e le vicende che coinvolgono la vecchia e il suo sgangherato mondo a prima vista fuori dal tempo, ma nel quale in tempo gioca un ruolo fondamentale.
La vecchiaia, che in passato era considerata l’età della saggezza, infatti, è ormai un ridicolo countdown verso la morte, reso ancora più crudele dallo sgretolarsi dell’illusione di aver costruito qualcosa e, nello specifico, dal ricordo di un amore che non c’è più da quando l’adorata compagna Nora, in tutto e per tutto complementare alla vecchia, non la spinge più a soffermarsi sull’altro lato delle cose, quello che, per indole, spesso ignora e sottovaluta. Ecco perché la vecchia, voce narrante e protagonista, prende il nome dall’ultima stagione della vita che sta vivendo, quella senilità che tutti temiamo assieme all’arcano terrore di non essere più padroni di noi stessi, del nostro corpo, dei nostri sentimenti. E delle nostre cose, dei nostri affetti, dei nostri tempi per assorbire realtà che non ci appartengono più e sempre più spesso ci sputano fuori, come lombrichi dalla terra.
Fortunatamente ci penserà Gabriela, con la sua incosciente leggerezza di donna costretta a crescere troppo in fretta, a riempire le giornate della vecchia, dandole, almeno all’apparenza, un valore da difendere e preservare a ogni costo. Ma anche il gatto Veleno, sempre meno felino e più umano, l’amica Malvina, inquilina di un passato che non c’è più e il ricordo della compagna Nora che, forse non la sta aspettando da nessuna parte, meno che mai in un Paradiso senza più dolore. O forse sì.


mercoledì 19 settembre 2018

Claudio Lattanzi: vi svelo i misteri della Tuscia



Non c’è niente di più evocativo e affascinante, soprattutto nel momento di transizione tra l’estate e l’autunno, dei paesaggi del viterbese e della Tuscia in particolare, sia dal punto di vista naturalistico e panoramico, sia dal punto di vista storico e culturale. Nonostante ciò, ancora oggi, il territorio della Tuscia è quasi totalmente sconosciuto al turismo e, quindi, inesplorato anche da parte dei visitatori di passaggio, a eccezione di chi ha la fortuna di viverci tutto l’anno. A illustrarci questa zona, partendo dalle curiosità che riguardano leggende e misteri che ruotano attorno alla regione da tempo immemore, ci ha pensato Claudio Lattanzi col suo libro “Tuscia misteriosa e insolita”, Intermedia Edizioni.
A coronamento della sua carriera di saggista tra cronaca, politica e attualità, il giornalista ed editore Claudio Lattanzi si è dedicato a svelare i segreti e la storia dei luoghi della Tuscia in cui, in passato, sono accaduti fatti apparentemente inspiegabili o legati a miti che ancora oggi esercitano un forte ascendente sugli abitanti del luogo, tra religione, scienza ed esoterismo. Dai sempre più noti e giganteschi mostri del Parco di Bomarzo, all’introvabile tomba di Papa Alessandro IV, passando attraverso le presunte presenze del Lago di Vico e il complesso di misteriose tombe etrusche nei pressi del Lago di Bolsena, la Tuscia è, senza dubbio, una terra tutta da scoprire e riscoprire da molti punti di vista. Questo testo, non solo squisitamente divulgativo, ma anche redatto col suggestivo trasporto di chi sta scrivendo ciò che vorrebbe leggere, adattando il proprio stile alla curiosa voracità di chi ama leggere, è solo una delle perle con cui Intermedia Edizioni, la piccola Casa Editrice diretta dallo stesso Claudio Lattanzi assieme alla socia Isabella Gambini, sta deliziando un crescente numero di lettori. Il primo di quella che ci auguriamo sarà una serie di libri dedicati ai misteri dell’Italia, vista la ancor più recente uscita di “Umbria esoterica e occulta”, sempre a cura di Claudio Lattanzi.  


Una terra sorprendente e misteriosa, i cui boschi rigogliosi sono disseminati di enigmi ancora irrisolti, nonostante secoli di studi e ricerche: in “Tuscia misteriosa e insolita”, Intermedia Edizioni, hai raccontato e cercato di far luce su alcuni di questi fatti inspiegabili. Rivelaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa volevi comunicare?

È piuttosto strano che, pur essendo dotata di moltissimi elementi attrattivi, la Tuscia sia ancora esclusa dai flussi turistici che contano.  Si tratta, invece, di una terra ricchissima di storia oltre che di bellezze naturali e questo libro, dedicato agli aspetti più insoliti e misteriosi del territorio, vuole essere un omaggio alla cultura del territorio, con la piccola ambizione di poter costituire un tassello in un’opera di promozione che non è stata ancora avviata in pieno.

Nella tua prolifica carriera di autore non è la prima volta che ti occupi di inchieste e misteri legati al nostro Paese e anche alle tue terre d’origine: da dove deriva questa curiosità per la storia, la politica, l’attualità e perfino l’occulto?

È sicuramente legata a una serie di interessi personali, nel senso che in fondo scrivo dei libri che comprerei se li trovassi in libreria, essendo prima di tutto un lettore accanito e onnivoro. Individuare un punto di sintesi tra argomenti che attraggono così tanto l’autore, da dedicare a ognuno di essi vari mesi di intenso lavoro, ma anche capaci di suscitare la curiosità del pubblico, costituisce la vera sfida di chi si dedica alla scrittura con un intento divulgativo, oltre che come percorso individuale.

Che scrittore sei? Da cosa nasce la tua esigenza di scrivere? Quanto conta la ricerca sul campo e la diretta conoscenza di un territorio per la stesura di un saggio tra storia e attualità?

Sono uno di quelli che puntano tutto sul metodo. Mutatis mutandis una versione ridotta ed impropriamente accostabile al Garcia Marquez che, ogni mattina, indossava una tuta da operaio con la quale si dedicava per ore al mestiere della scrittura. Avere una conoscenza diretta dei luoghi è importante, anche se spesso sopravvalutiamo l’idea del viaggio. Viaggiare senza riuscire a entrare in connessione con lo spirito dei luoghi equivale solamente a spostarsi e ogni volta si deve invece equilibrare ciò che vediamo con ciò che sentiamo, perché le cose che ci appaiono davanti agli occhi le abbiamo già pensate, fantasticate, elaborate.



Oltre che autore e scrittore, sei anche editore. Facciamo un bilancio di questa esperienza, tra difficoltà e obiettivi raggiunti: cosa significa dedicarsi alla scrittura e all’editoria in un Paese come il nostro? Raccontaci la storia di Intermedia Edizioni.

Fare l’editore, soprattutto il piccolo editore, non è mestiere per deboli di cuore, né per chi ambisce a viaggiare in Porsche. Spesso si concepisce questa attività come una mera vocazione culturale, quando invece è anche una ordinaria e complicata impresa economica. Le difficoltà del settore sono note soprattutto in un Paese in cui la lettura incontra tante difficoltà. Vendere libri senza poter disporre della potenza di fuoco di un grande gruppo editoriale è una bella fatica e per riuscire a farlo è sempre necessario fare un’analisi preliminare sulla “nicchia editoriale” a cui quel testo si indirizza, ovvero il segmento di mercato a cui è destinato ogni singolo libro.  Non si tratta affatto di una scienza esatta e, in fondo, la differenza tra chi è costretto a chiudere e chi ottiene dei successi è direttamente proporzionale alla quantità di volte in cui si è trovata la giusta nicchia o si è fatto flop. Nell’editoriale vale anche la distinzione giornalistica tra le notizie interessanti e quelle importanti. Non sempre i libri belli vendono tanto; molte volte per un editore è molto più importante capire se dietro a un libro esista o meno una comunità di lettori pronta ad accoglierlo, sostenerlo e farlo crescere. I libri belli vendono tanto solo se esiste un’azione di marketing potente; la storia del passaparola a volte funziona, molte altre volte rassomiglia a un mito a cui autore ed editore si affidano compiendo un atto di fede.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro, sia come autore, sia come editore.
             
Come editori, insieme alla mia socia Isabella Gambini, abbiamo tutta l’intenzione di far crescere ulteriormente Intermedia Edizioni. Come autore, è appena uscito il nuovo libro dal titolo “Umbria esoterica e occulta”, un saggio che propone una chiave di lettura inedita della regione e una rivisitazione di luoghi e di alcuni personaggi secondo il punto di vista esoterico. Una parte del libro è dedicata al fenomeno sotterraneo delle sette e delle associazioni religiose più o meno eccentriche che hanno scelto la terra di San Francesco come luogo d’elezione per insediarsi, quasi sempre per motivi tutt’altro che casuali.


mercoledì 12 settembre 2018

Elena Magnani: un ‘quaderno’ per raccontare le donne


Le regole sono poche e semplici, ma la più importante è mantenere il segreto. Il quaderno di Eva non è un quaderno qualsiasi. Non è un diario al quale raccontare qualcosa che ci è accaduto, ma una molla che ci spinge a prendere una decisione. Ad agire. A essere artefici del nostro destino, come, in un certo senso, fu Eva, la prima donna a ribellarsi a una sorte già scritta. Sul quaderno di Eva ogni donna riscrive e racconta un capitolo importante della propria esistenza. Il primo o l’ultimo, poco importa. Tra amore, amicizia, violenza e frustrazione, sono tante le donne che si raccontano sul quaderno di Eva, in un susseguirsi di storie di vita e di riscatto sempre nuove, visto che il quaderno passa di mano in mano. A venire pubblicato da un editore coraggioso, infatti, è solo uno dei tanti quaderni che contiene una piccola testimonianza di come alcune donne hanno preso in mano la propria vita senza paura, senza vergogna e senza riserve.
“Il quaderno di Eva”, Parallelo 45 Edizioni, di Elena Magnani, è molto più di un romanzo originale e sopra le righe. Quando si inizia la lettura tutto sembra vero, quasi come in quelle pellicole che iniziano con “tratto da una storia vera”. In realtà nulla è vero, nel senso più autentico del termine, ma tutto potrebbe esserlo e molte lettrici si riconosceranno in una Eva o nell’altra. Nel romanzo Elena, l’ultima donna a raccontare la propria storia sul quaderno, invia queste pagine a un editore pregandolo di pubblicarle. Il quaderno di Eva, infatti, non è solo una leggenda metropolitana, illustra Elena. Nelle prime pagine è spiegato tutto: ogni donna che riceve il quaderno deve raccontarvi la propria storia e il modo in cui ha deciso di dare una svolta alla propria esistenza, firmandosi semplicemente come “Eva” e facendo in modo che nessuna delle persone di cui parla venga riconosciuta. Una volta finito deve fare sì che un’altra donna, a lei sconosciuta, venga in possesso del quaderno e così via. All’interno di queste pagine scottanti, talvolta crude, talaltra malinconiche, si raccontano storie di vita quotidiana, in cui le donne protagoniste sono vittime e carnefici allo stesso tempo, tutte in cerca del proprio posto e del proprio riscatto, per avere giustizia a ogni costo.
La donna di oggi, infatti, non vive una vita più semplice o più libera delle donne di epoche passate. Pregiudizi e aspettative costellano anche la vita delle donne del duemila, più indipendenti, ma ugualmente fragili. Elena Magnani ha trovato un modo innovativo di raccontare le donne toccando tanti temi di grande attualità: dal lavoro, all’amicizia, passando per la violenza, fisica o psicologica, la maternità e tanto altro, tutto con realismo e delicatezza allo stesso tempo, adattando di volta in volta il proprio stile alla personalità della protagonista. Un caleidoscopio di storie che hanno i colori vivaci della modernità, della giustizia e della solidarietà.


Un misterioso quaderno che passa di mano in mano e sembra raccogliere alcuni tra i segreti più inconfessabili mai scritti che hanno un denominatore comune: le protagoniste sono sempre le donne, vittime e carnefici nello stesso tempo, ma sempre in cerca di riscatto e giustizia. Raccontaci la genesi di “Il quaderno di Eva”, Parallelo 45 Edizioni, un libro originale e toccante: cosa ti ha ispirato durante la stesura? E cosa volevi comunicare?

Ciao Alessandra, grazie per questa intervista. “Il quaderno di Eva” è nato per caso. Avevo avuto una settimana bruttissima, alcune persone si erano comportate male ed ero disgustata e delusa. La storia è nata dalla rabbia. Sono una persona buona per natura e ogni persona buona, arrivata al limite, esplode. Io l’ho fatto scrivendo. Alcuni fatti sono ispirati a storie vere, ad esempio tanti anni fa una mia ex compagnia di scuola mi rubò veramente il lavoro per l’estate, come nell’episodio di Eva-babysitter. Avevo solo il desiderio di tirare fuori alcuni sassolini che dolevano da molto nella scarpa. All’inizio erano mini-racconti legati tra loro da un filo sottile. Poi lessi l’articolo di una piccola/media casa editrice e pensai che potesse essere quella giusta per la mia idea. Senza riflettere inviai una mail al direttore editoriale proponendogli la pubblicazione di questo quaderno come se fosse reale e che davvero lo avessi trovato. Solo alla fine aggiunsi che quello era l’inizio del romanzo. Nel giro di un paio di settimane mi risposero chiedendomi di inviargli il manoscritto. A quel punto fu panico totale: avevo solo poche pagine buttate giù a penna. Nei successivi dieci giorni lavorai al testo incessantemente e glielo inviai. Mentre facevo le dovute modifiche, aggiunsi l’ultima parte, la mia. Il mio intento era dare speranza. Allungare una mano ad altre donne e sussurrare, come in un sogno, che dentro siamo forti e belle, che nessuno ci può piegare se non siamo noi a permetterlo. Che dobbiamo combattere per la nostra serenità.

Amore, amicizia, violenza, frustrazione, ma anche tante piccole vicende di vita quotidiana: come e perché hai scelto di trattare questi temi nel tuo libro in modo innovativo e originale?

La felicità e l’infelicità nascono e vivono nella quotidianità delle nostre giornate. Noi donne conviviamo con emozioni contrastanti e ricopriamo i ruoli più disparati all’interno di una famiglia. Siamo quelle più soggette a sentirci in colpa se tutto non fila liscio come gli altri vorrebbero e a subire le critiche per non essere quel “abbastanza” che la società ci impone di essere. Basta andare in un negozio di giocattoli e guardare quelli nel reparto femminile. Già dalla primissima età siamo addestrate per diventare mamme e mogli perfette. Ho solo dato voce a chi voce non ne ha, a chi vorrebbe urlare basta e non può. Nel romanzo ho portato agli estremi le reazioni di queste donne, ma ciò che le rende frustrate, insoddisfatte e tristi, sono motivazioni che potrebbero toccare ognuna di noi. L’espediente del quaderno mi ha dato la possibilità di raccontare tante situazioni in modo semplice, senza appesantire la storia con troppe protagoniste.

In fondo siamo tutte un po’ Eva, sarà per questo che è proprio così che si chiamano tra loro le varie protagoniste che raccontano le loro esperienze su questo quaderno e sono profondamente legate a questa figura metaforica di prima donna. Chi è per te Eva?

Eva è colei che ha offerto la mela ad Adamo, colei che ha disubbidito. Per questo ho scelto il nome Eva. Perché queste donne scelgono di staccare la mela dall’albero proibito e di mangiarla. È anche vero che ognuna di noi può essere Eva, perché possiamo rispecchiarci nelle protagoniste.
Per me la vera Eva è l’ultima del romanzo, quella che sceglie liberamente. Che dice basta e rompe la catena. Ritengo che siamo noi le artefici del nostro destino. Siamo noi che dobbiamo decidere che gli altri ci devono rispetto. Dobbiamo essere noi, senza imposizioni date dalla società o dalla cultura, a scegliere ciò che vogliamo essere.

Da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualsiasi momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non puoi rinunciare?

Ho sempre sognato a occhi aperti, inventando storie e ambientazioni, l’ispirazione può arrivare da tutto. A volte parto da una frase che mi suona bene per costruire la storia. Non ho un metodo preciso, né un momento più propizio. Visualizzo le scene e i dialoghi e poi li scrivo. Con il romanzo su cui sto lavorando ora, ho provato la tecnica della scaletta. Può essere utile, anche se sono sicura che non la seguirò alla lettera, ma l’imprevisto è il bello della scrittura. A chi mi chiede perché scrivo, di solito propino una risposta confezionata, incartata e infiocchettata, la verità è che non lo so. Mi piace, mi libera la mente. Mi dà pace. E inventare storie per me è come respirare.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.

Ho finito da poco un romanzo ambientato nel ’44 in Garfagnana, dove vivo, e che ora è in lettura presso due editor importanti. Ho appena aperto un blog per raccontare alcune mie esperienze, ma soprattutto per aiutare gli scrittori e gli aspiranti, a vivere felicemente questa esperienza, usando anche tecniche di PNL, comunicazione e scrittura persuasiva. Sto scrivendo un nuovo romanzo, dalla piega che ha preso potrebbe diventare un noir, e ho un’altra storia che da qualche giorno mi sfarfalla nella testa. L’anno scorso ho seguito un corso di scrittura per migliorarmi e probabilmente ne seguirò un altro e mi piacerebbe seguire anche un corso di editing. Credo che in questo campo cercare di ottenere di più da se stessi per dare storie migliori ai lettori, sia fondamentale.
Grazie ancora, Alessandra, per questa straordinaria possibilità e soprattutto per avermi stimolato a raccontarmi con le tue domande interessanti e puntuali.