mercoledì 28 dicembre 2016

Cara mamma… Fiocco Rosa in arrivo!


Cara mamma,
per lungo tempo mi è sembrato solo un desiderio irrealizzabile, ma, adesso che sogno e realtà sono sempre più vicini, posso dirlo sorridendo: un Fiocco Rosa è in arrivo e io non mi sono mai sentita più figlia di ora che sto per diventare madre.
Si può scegliere di non essere madri, ma non si smette mai di essere figlie: un’ovvietà che si scopre solo col passare degli anni, quando, gelose della nostra identità tanto faticosamente costruita, ci confrontiamo con la vita, intensa e imprevedibile.
Le mamme hanno uno speciale sesto senso quando si tratta di figlie. Certo, ognuna ha la propria personalità: alcune sanno fare le torte più soffici al mondo, altre redigere i bilanci di grandi aziende, poche, fortunatamente, entrambe le cose! Ma tutte, quando danno un consiglio alle proprie figlie, difficilmente sbagliano. Spesso noi figlie ce ne accorgiamo immediatamente e ci lasciamo guidare, ma altrettanto frequentemente ce ne rendiamo conto dopo settimane, mesi, anni e commettiamo errori, proprio come hanno fatto le nostre mamme prima di noi: ammaccate, ma mai alle corde.
Già lo immagino e mi fa sorridere: tua nipote vorrà assomigliarti tanto quanto non ho voluto assomigliarti io in tutti questi anni e spero che resteremo il più a lungo possibile tre generazioni di donne a confronto, che continuano a crescere insieme, in vortici destinati a ripetersi anche in un Mondo di spazi immensi, che ci allontana sempre più.
Me lo hai detto pochi giorni fa, stupendomi come fai ogni giorno: “Quando ti metti in testa una cosa, è impossibile farti cambiare idea, Ale, ma solo io so bene che, sotto quello strato di pietra sei fatta di zucchero!”. E hai aggiunto: “Proprio come tuo padre…”.
Grazie…
Con amore,
Tua Figlia, Alessandra.


Grazie a tutte le lettrici e a tutti i lettori e a presto, con nuove imperdibili storie e sorprese!

venerdì 23 dicembre 2016

Rujada Atzori: un vulcano di scrittrice!


Provate a immaginare la forza inarrestabile della fantasia e della creatività di uno scrittore di talento. Questa energia ha nome, cognome e un gran senso dell’umorismo: si tratta di Rujada Atzori, una giovane autrice che, con la sua sottile ironia e le sue irresistibili trame d’amore, ha conquistato ormai centinaia di lettrici e lettori, grazie anche al passaparola sul Web e sui Social Network.
Classe 1990 e origini sarde, Rujada ha scoperto la passione per la scrittura da giovanissima e ha deciso di dedicarvisi con quello slancio speciale, fatto di impegno e incoscienza, che preclude ai grandi successi.
Dal self publishing, che le ha permesso di farsi notare per le sue capacità di narratrice, ha ottenuto numerose collaborazioni con medi e grandi editori, come la Butterfly Edizioni, per la quale è un’autrice di punta, e Rizzoli You Feel, e ha instaurato profonde amicizie con molte colleghe autrici, che sono sfociate in vari progetti a quattro mani, per la gioia di lettrici e lettori. Ciò che colpisce di Rujada Atzori, oltre allo stile frizzante e ironico e ai personaggi impossibili da dimenticare, è l’incredibile inesauribilità delle storie da raccontare, sempre originali e creative, ma, allo stesso tempo, costruite con l’accortezza di un’autrice di esperienza e inglobate in strutture narrative di magistrale precisione.
Inarrestabile, proprio come un vulcano, la capacità di Rujada dedicarsi a più progetti contemporaneamente le garantisce una continuità e una prolificità che fanno invidia ai grandi autori professionisti e le assicurano un ruolo di primo piano tra le scrittrici più seguite della nuova generazione, soprattutto sul Web. Insomma, quando esce una nuova storia di Rujada Atzori, non passa mia inosservata!  



Dal self publishing, alla grande editoria con Rizzoli, passando per la Butterfly Edzioni, la casa editrice per la quale hai pubblicato numerosi best sellers: che autrice sei? Ti lasci trasportare dall’ispirazione in ogni momento possibile, o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

Innanzitutto grazie mille per questa intervista! Che autrice sono? In realtà non lo so, tendo al genere ironico, ma perché mi viene spontaneo pensare, dire e scrivere in questo modo, visto che in primis sono così: amo ridere e ho sempre la battuta pronta.
Non ho nessun metodo: penso alla trama, la scrivo e poi inizio la stesura, infatti ho una marea di file sul mio computer, alcune storie scritte a metà, altre concluse e altre ancora da rivedere.


Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura un mestiere a tempo pieno? Tu come ti barcameni tra le varie collaborazioni che porti avanti con tanta soddisfazione?

La voglia di scrivere nasce nel 2011. Si tratta di una storia che ancora non ho pubblicato e non so quando lo farò, visto che in parte è vera. È stata 2quella storia” e la mia fervida fantasia ad avvicinarmi al mondo della scrittura.
Sarebbe davvero bello poter dedicare il mio tempo solo ed esclusivamente alla scrittura e fare della mia passione anche un mestiere a tempo pieno, ma è impossibile…
Come mi barcameno? Bella domanda… Quando scrivo qualcosa a quattro mani, ci passiamo il file su Facebook, scriviamo capitoli alterni e, ogni volta che mi arriva nuovo materiale, apro il documento e scrivo, lasciandomi trasportare! Spesso scrivo più storie contemporaneamente: una un giorno, una un altro giorno, o, se necessario, anche entrambe nello stesso giorno. Detto così sembra impossibile, ma non lo è!



L’amore non passa mai di moda e il rosa è, senza dubbio, la tua dimensione più congeniale, in tutte le sue sfaccettature. Cosa pensi di questo genere: a cosa è dovuto tanto successo e a quali bisogni dei lettori risponde?

Io penso che il rosa andrà sempre alla grande, perché noi donne siamo sognatrici. Ammetto che io adoro anche i thriller, soprattutto quelli psicologici, però il rosa è il rosa e venderà sempre, le classifiche parlano chiaro.


Quanto c’è di vero nei personaggi e nelle esilaranti vicende che racconti? Come delinei, in generale, trame e protagonisti? Hai autori di riferimento che hanno contribuito alla tua formazione di autrice? Svelaci qualche tuo segreto…

Di vero? Oltre alla gatta psycho-killer di “Una sorpresa per te”, c’è il mio carattere, il modo di parlare delle protagoniste dei libri, i pensieri, i gesti…
Come ho scritto prima, butto giù la trama, cerco di avere in mente il finale, altrimenti non riesco a scrivere, poi i personaggi si creano da soli, anche perché io inizialmente pianifico alcuni personaggi principali, ma poi se ne aggiungono sempre altri: un amico, un’amica, l’antipatico della situazione, l’antagonista e così via.
Una delle mie autrici di riferimento è Bianca Cataldi che continuerò a citare, perché la sua scrittura mi fa sciogliere il cuore ogni volta che leggo un suo libro. Leggo anche la Hoover e tante altre che adoro, più o meno famose.
Quali sono i miei segreti? Eh, eh… se te li dicessi, poi dovrei ucciderti!



A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Sono troppi! Oltre a quelli che sto scrivendo per conto mio, ci sono i libri con Vanessa Vescera, ne è appena uscito uno, “Quel bacio inaspettato” (La serie degli imprevisti) che è il primissimo, poi c’è quello con Antonella Maggio, “Conquistami se ci riesci” e un altro per me molto importante, ma non svelerò con chi lo sto scrivendo, “Remember”, il mio primo thriller.




venerdì 16 dicembre 2016

Fabrizio Santi: un thriller da brivido in una Roma misteriosa

Giulio Salviati è uno scrittore brillante, baciato da un meritato successo, ma che, ormai, sembra appannato dalla mancanza di ispirazione. Almeno finché la storia di un misterioso manoscritto quattrocentesco, chiamato Unicum, non attira la sua attenzione, conducendolo per mano in un’indagine mozzafiato attraverso i vicoli della sua amata Trastevere, fino ai palazzi dorati e alle chiese inviolate della Capitale. Chi può aver sottratto il manoscritto, trafugandolo dalla cassaforte del Monastero di San Gregorio al Celio? E chi vuole che sia proprio Giulio a occuparsi del furto, nella speranza che arrivi là dove gli inquirenti sembrano essersi arresi? Di sicuro, dietro al misterioso manoscritto, muto protagonista di tutta la vicenda, si nascondono più segreti di quel che all’inizio si possa pensare. Enigmi dai risvolti fatali, per i quali qualcuno è disposto perfino a uccidere…
Sono questi i magistrali ingredienti coi quali Fabrizio Santi ci sta ammaliando nel suo ultimo thriller, “Il settimo manoscritto”, Newton Compton, da poche settimane sugli scaffali delle nostre librerie. Si tratta di un romanzo dalle atmosfere inquietanti e apparentemente imperscrutabili, caratterizzate da intrighi destinati a dipanarsi sul filo del rasoio, solo quando ormai tutto sembra perduto. Lo stile di Fabrizio Santi, al suo secondo romanzo, non ha proprio nulla da invidiare ai grandi autori internazionali del genere. L’autore ci restituisce, infatti, una Roma credibile, ben più realistica di quella dei best seller da Blockbuster, che, di fatto, è indiscussa protagonista di quella che, prossimamente, diventerà une vera e propria trilogia thriller a lei dedicata, con protagonisti non collegati e storie che si possono leggere anche singolarmente, ma che hanno in comune questa grande e indecifrabile metropoli sullo sfondo.  



Un antico manoscritto rubato da un Monastero, sullo sfondo di una Roma misteriosa e impenetrabile, e uno scrittore in crisi che si ritrova a indagare: inizia così “Il settimo manoscritto”, Newton Compton, il tuo nuovo thriller. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Non c’è un evento particolare che mi abbia ispirato. Dopo l’uscita del mio primo romanzo, “Il quadro maledetto”, Newton Compton, qualcuno si aspettava il sequel, ma ho preferito cambiare e concentrarmi su una nuova storia e su diversi personaggi, anche se il genere e l’ambientazione sono rimasti gli stessi. Roma è la mia città, la conosco bene e mi ha intrigato l’idea di raccontare di un misterioso manoscritto non ancora interpretato, quindi ho costruito la storia proprio intorno a questo. Il tempo dedicato alla riflessione e alla pianificazione, rispetto allo spunto, è stato lungo, ma strutturare la narrazione è stato davvero emozionante e mi sono dedicato molto a ogni dettaglio per rendere tutto il più credibile possibile e per mantenere una coerenza di fondo.
All’inizio mi sono cimentato in questo filone del thriller quasi per caso, ma, visto il riscontro del pubblico che sembra apprezzare le mie storie e che non ringrazierò mai abbastanza per questo, penso che continuerò con questo genere e ambienterò anche un prossimo romanzo in un contesto simile, creando una vera e propria trilogia dedicata alla città di Roma, le cui storie, però, si possono leggere singolarmente perché non hanno personaggi in comune.

Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?

Ho deciso di dedicarmi alla scrittura senza avere una meta precisa. Quando, qualche anno fa, ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, gli ho dedicato molti anni e non pensavo che sarei arrivato a quel risultato. Ho tanti interessi e scrivere all’inizio significava, in un certo senso, compendiarli tutti e quindi condividerli. Oltre agli studi umanistici, infatti, mi sono dedicato all’epistemologia e alla musica e tutto mi è tornato utile anche nella scrittura, che mi ha permesso di raccogliere tutte queste esperienze in una storia che, dopo la pubblicazione, ha avuto dei riscontri positivi inaspettati, così ho iniziato a dedicarmi alla scrittura in modo sempre più assiduo.
Non è facile dire se esista un metodo precostituito per scrivere un romanzo. Il genere al quale mi dedico io dovrebbe portarmi a pianificare il più possibile ogni particolare della storia, ma spesso l’ispirazione mi porta altrove e mi appassiona assecondarla, anche se così può diventare tutto più difficile. Lo confesso, anche se non si dovrebbe, mi lascio trasportare dai personaggi che mi conducono dove vogliono.

Accanto a Giulio Salviati, lo scrittore in crisi d’ispirazione che cercherà di risolvere il mistero del manoscritto scomparso, vi sono un mosaico di personaggi che contribuiscono a mantenere alta la tensione, pagina dopo pagina. Lo stesso manoscritto, in un certo senso, è muto protagonista di tutta la vicenda: come delinei, in generale, i caratteri dei tuoi personaggi e i fatti che si trovano ad affrontare?

In tutti i protagonisti delle mie storie c’è qualcosa del mio carattere, ma non è tutto. Giulio è un uomo dalle mille sfaccettature e di sicuro abbiamo qualcosa in comune, ma siamo anche molto diversi sotto altri punti di vista.
I miei personaggi, in ogni caso, sono caratterizzati dal fatto di avere aspetti irrisolti nella loro vita privata o professionale che li spingono a indagare andando alla ricerca di qualcosa che, a seconda della trama può essere, appunto, un quadro o un manoscritto, ma che, di fatto, è metafora della ricerca interiore che ognuno di noi compie quotidianamente per conoscere se stesso.

Assieme al mestiere di autore, il tuo ruolo di insegnante ti permette di vedere in prima persona il rapporto dei più giovani con la lettura. Statistiche a parte, è vero che i ragazzi italiani non leggono abbastanza? E tu che lettore sei: che libri ci sono sul tuo comodino?

I ragazzi di oggi non leggono meno di quelli della mia generazione che, forse sollecitati da una maggiore passione politica, erano spinti maggiormente verso un’informazione più approfondita di certi temi, ma ciò non significa che fossero dei lettori migliori. Forse sono proprio gli italiani in generale a leggere poco e i giovani seguono semplicemente il mancato esempio degli adulti che li circondano. Alcuni generi, come il fantasy, vanno molto bene tra i ragazzi di oggi, ma chiaramente non è sufficiente leggere solo letteratura di genere per possedere una cultura letteraria più completa.
Io mi definisco un lettore rapsodico: per anni ho letto molto più di saggistica che di narrativa, seguendo le mie passioni e approfondendo i miei studi scientifici. Con la maturità, invece, ho iniziato a leggere anche narrativa contemporanea e di genere. Mi piace molto il thriller, al quale poi mi sono io stesso dedicato come autore, e, ultimamente, ho riscoperto e ripreso in mano anche molti classici dei tempi della scuola che non andrebbero mai lasciati da parte.  

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Progetti per il futuro? Non mi dispiacerebbe vincere qualcosa al Totocalcio e ritirarmi a vita privata! Ma, lasciando da parte gli scherzi, al momento mi sto ancora dedicando alla promozione di questo ultimo libro uscito a ottobre, anche se ho già in mente di proporre al mio editore una nuova bozza di romanzo. L’obiettivo sarebbe completare quella che mi piace definire una trilogia romana, quindi un’altra storia thriller, avvolta nel mistero, sempre ambientata a Roma, ma con personaggi nuovi. Mi piace l’idea che il filo conduttore resti la mia città, perché mi permette di esprimermi al meglio, cercando di trasmettere messaggi che vadano oltre le trame.


mercoledì 7 dicembre 2016

Paolo Cochi: nuove verità sul Mostro di Firenze


È il caso che più di tutti ha tenuto col fiato sospeso l’Italia intera negli ultimi quarant’anni e sul quale ancora si discute, nonostante una verità processuale vi abbia messo la parola fine: si tratta dei delitti del Mostro di Firenze. Non tutti i misteri che si celano dietro a questi omicidi, infatti, sono stati svelati dai processi a Pietro Pacciani e ai cosiddetti compagni di merende. Nel corso degli anni si sono susseguite numerose piste investigative in merito, che hanno cercato di far luce sulle vicende legate ai delitti del Mostro, avvalendosi anche della testimonianza del reo confesso Giancarlo Lotti e scavando a fondo sulla presenza di mandanti ignoti mossi dai più disparati moventi, tuttavia, tra gli esperti si ha la sensazione che ci sia ancora molto da scoprire, al di là di ogni ragionevole dubbio. È proprio tra le fenditure di questo dibattito ancora aperto che si inserisce “Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio”, Runa Editrice, il libro inchiesta che nasce dal reportage di Paolo Cochi e che il documentarista ha scritto insieme a Francesco Cappelletti e Michele Bruno, dopo aver condotto una serie di ricerche su quello che ormai è a tutti gli effetti un cold case sul quale non si dovrebbe smettere di indagare, viste le numerose incongruenze.
Ciò che rende questo libro una delle opere più complete sul Mostro di Firenze, che ripercorre tutti i delitti, riempiendo i vuoti lasciati dalle inchieste giudiziarie attraverso documenti inediti e nuove piste, è la capacità degli autori di coniugare la passione dell’inchiesta giornalistica, con l’obiettività del documentario impresso su carta, arricchendo il testo con pareri di esperti e criminologi studiosi del caso. Paolo Cochi costruisce l’inchiesta non tralasciando nessuna delle nuove verità già anticipate col reportage televisivo e conducendo il lettore ancora più a fondo, omicidio, dopo omicidio, verso nuove ipotesi investigative che danno risposte in grado di far riflettere anche i non addetti ai lavori.
Di particolare interesse è, senza dubbio, la nuova dinamica emersa circa il delitto degli Scopeti, uno dei più sanguinosi e dei più complessi da ricostruire che, grazie alla nuova lettura di Paolo Cochi, il quale analizza scrupolosamente i testimoni dell’epoca, assume tinte ancor più cruente, ma potrebbe portare a nuovi risvolti che ci conducono verso un’unica direzione: continuare a indagare con la determinazione e l’ingegno di chi deve immergersi nel buio del passato per spiegare i dubbi del presente.



Quello del Mostro di Firenze è uno dei misteri più apparentemente impenetrabili e dei casi più complessi del nostro Paese. “Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio”, Runa Editrice, scritto in concerto con Francesco Cappelletti e Michele Bruno, è una delle pubblicazioni più complete in merito che, oltre a ripercorrere la storia dei fatti, rivede scrupolosamente l’inchiesta giudiziaria, colmandone le lacune con nuove e promettenti piste investigative. Cosa vi ha spinti a intraprendere questo ambizioso percorso? Quali obiettivi avete raggiunto e contro quali ostacoli vi siete scontrati durante la stesura?

L’idea nacque subito dopo la trasmissione di un reportage televisivo in merito. Mi fu chiesto di realizzare un libro che cristallizzasse tutta la vicenda e, in particolare, la parte relativa a tutte le imbarazzanti dichiarazioni del reo-confesso Giancarlo Lotti.  L’obiettivo era dare una visione più ampia di tutta la vicenda attraverso la documentazione di indagine e gli atti processuali. Visione, quindi, scevra da qualsiasi interpretazione personale o ipotesi alternative.  Solo attraverso i documenti si può realmente capire che i dati oggettivi sono molto diversi dai giudizi espressi nelle sentenze dei giudici. Tutto si basa sulle dichiarazioni di un “pentito”, la cui credibilità era molto discutibile e quello che questo signore ci racconta al processo si discosta dai dati oggettivi al limite dell’inverosimile. Le sentenze vanno rispettate, ma non per forza si deve essere d’accordo, specialmente quando vi sono elementi comprovati, peraltro risultanti dalle stesse indagini, che ci raccontano tutt’altro.
La ricostruzione dei fatti che ha portato alla condanna dei cosiddetti compagni di merende e che, come già detto, si basa pressoché esclusivamente sulle parole del Lotti, è contraddetta inequivocabilmente sia dai rilievi operati nell’immediatezza sui luoghi dei delitti, sia dalle testimonianze raccolte all’epoca, sia dalle risultanze scientifiche odierne e passate.
Gli ostacoli al nostro lavoro sono stati tantissimi: uno su tutti la difficoltà di reperire la documentazione storica della vicenda, un lavoro decennale svolto con pazienza e costanza da parte di tutti noi autori.

Accanto alla storia dei singoli delitti e a molti documenti inediti, avete approfondito diffusamente le novità recentemente emerse sul delitto degli Scopeti, rivoluzionando le ipotesi fatte fino a oggi. A quali interessanti conclusioni siete giunti?

La conclusione prioritaria, che si basa su solidissime basi scientifiche, è che la notte dell’ultimo delitto non era domenica 8 settembre. Poi ci sono altri elementi importanti tratti da testimonianze ritrovate negli atti che smontano pezzo per pezzo i racconti del testimone Lotti.
Tutto il resto rimane assolutamente interpretabile e sarà il lettore a crearsi i propri convincimenti e le ipotesi che ritiene più verosimili. Nel libro forniamo i dati e i documenti, approfondendo attraverso il parere di esperti e professionisti, tutti gli aspetti più importanti della vicenda.
Inoltre, per quanto riguarda le testimonianze ritenute attendibili, scopriamo, invece, verbali dell’epoca alla mano, che le stesse sono fumose ed equivocabili. Nel delitto degli Scopeti, vi sono alcune significative testimonianze ritenute determinanti, che, invece, non dimostrano assolutamente nulla. Ad esempio, sui presunti spari sentiti la domenica sera da una signora tedesca, dai verbali risulta invece che: “Io la notte del delitto ero con i miei familiari fuori, nel giardino di questa casa, a una certa ora, verso le 24.00 ho udito un rumore, come di stappo di bottiglia di spumante. Ho sentito un rumore che mi ha dato l'impressione che potesse essere lo stappo di una bottiglia di spumante. Entrammo tutti quanti...”
Questo sarebbe un riscontro? Mi sono domandato. Non solo: si dice, inoltre, che fu servita la colazione ai ragazzi francesi la domenica mattina, ma, in realtà, il teste in questione si limitò a dire che vide solo una ragazza coi capelli corti, mentre Nadine aveva i capelli lunghi, oltretutto non facendo nessuna menzione sulla presenza di un ragazzo insieme a lei. Quindi la persona che fu vista la domenica mattina era una donna da sola che di sicuro non era Nadine.

In qualità di regista e documentarista ti occupi di questo cold case da molti anni, tanto che sei diventato uno dei massimi esperti in materia. Come è cambiata la tua professione di reporter da quando ti sei imbattuto nei delitti del Mostro? Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che ti ha fatto comprendere che stavi percorrendo la strada giusta.

Vi è da dire che questo reportage era inizialmente un RVM destinato a una nota trasmissione televisiva settimanale su rete nazionale e di cui un “coraggioso” e affermato autore aveva inizialmente condiviso gli esiti, inviandomi in varie parti d’Italia a raccogliere interviste. La puntata dedicata al Mostro di Firenze era già stata programmata in scaletta nel palinsesto del programma per il luglio 2015, ma, pochi giorni prima dalla messa in onda, quando era ormai tutto pronto, venni chiamato al telefono. La puntata sul Mostro di Firenze era stata annullata. Motivo? Nessuna spiegazione plausibile mi fu fornita. Il reportage TV fu comunque portato a termine e trasmesso su un emittente minore, non prima, però, di aver anticipato la notizia sui quotidiani.
Le reazioni alla pubblicazione del reportage e, successivamente, del libro furono alquanto curiose. Dapprima ci fu un forte clamore, prima a Firenze e poi anche da parte della stampa nazionale. I ROS acquisirono il filmato e dopo il libro. Da lì è seguito un inquietante e improvviso silenzio da parte di tutta la stampa fiorentina.



Come si costruisce un libro inchiesta equilibrato e coerente? Come si conciliano testimonianze, documenti e ricerca di novità con le verità cristallizzate dalla giustizia? Che ruolo ha, o potrebbe avere, al giorno d’oggi, l’informazione e l’opinione pubblica nella risoluzione di casi tanto complessi e lontani nel tempo, sempre più soggetti all’investigazione scientifica?

Il libro inchiesta si costruisce attraverso una documentazione dettagliata e minuziosa, verificando tutte le fonti; prima con un’operazione di raccolta dei documenti, poi parlando con tutte le persone possibili che abbiano avuto a che fare con la vicenda storica, investigativa e processuale.
Il lavoro del documentarista è quello di documentarsi e ri-documentare, evitando di filtrare i fatti con le proprie interpretazioni e convinzioni personali. Ed è proprio per questo che la ricostruzione processuale non regge assolutamente, come hanno valutato ancor prima di noi autori il Presidente di Corte d’Assise (Ferri) e due Procuratori generali (Tony e Propato).
L’opinione pubblica non può rivestire alcun ruolo nella risoluzione dei casi; sono gli organi inquirenti che hanno il dovere di investigare. Invece, per quel che riguarda la vicenda del Mostro, non vedo una grande volontà di continuare a cercare la verità: ci sono ancora tre duplici omicidi senza alcun colpevole. Quanto al compito del giornalista, direi che si debba svolgere documentando il caso nella sua interezza, cosa che non fu fatta in occasione dei processi Pacciani e Vanni, dove la stampa ha prevalentemente avallato solo una possibile ricostruzione, spacciando per colpevoli gli imputati ben prima della sentenza, contro il principio di presunzione di non colpevolezza. Spesso i mostri si costruiscono proprio sui mass media.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


I miei progetti sono di ultimare un documentario su Jack the Ripper, altro cold case del quale mi sono occupato a lungo e di cui non si smetterà mai di parlare, visto il fascino e il mistero che ancora lo circondano. Il libro sul Mostro verrà presentato, inoltre, il prossimo 16 dicembre, alle ore 18:30, presso la sede dell'Università eCampus di Firenze. 


venerdì 2 dicembre 2016

Massimo D’Angelo: essere artisti, tra narrazione, ricerca e sperimentazione

Pensieri

L’esigenza di dipingere nasce da bisogni diversi e apparentemente incompatibili, ma tutti profondamente radicati nell’animo dell’artista e volti al solo scopo di sperimentare, non tanto le tecniche pittoriche, quanto la capacità di spingersi oltre i propri limiti. La pensa così Massimo D’Angelo, un pittore che ha fatto della sperimentazione la propria impronta su tutte le sue tele ricche di suggestioni e di storie da raccontare.
Nonostante il percorso di studio e di lavoro abbia condotto Massimo D’Angelo ben lontano dal mondo dell’arte, portandolo a una carriera tra aziende e multinazionali, la sua passione per la pittura non si è mai sopita del tutto e ha rappresentato un cammino di vita parallelo a molti altri. La sua capacità di coniugare tecniche differenti, come l’acquerello e l’acrilico, con efficacia costante, restituendo agli occhi dei fruitori un mondo visto attraverso lenti inedite, ci porta a passeggio su un campo di girasoli, tra nuvole e palloncini colorati, metafore di crucci e spensieratezza, ma anche tra costellazioni e sprazzi di colore che prendono la forma di corpi voluttuosi, fino all’interno del nostro stesso corpo, tra il cuore e il cervello, irrorati da un sangue che si riscalda dinnanzi a tanta meraviglia.
In esposizione con altri artisti presso la Galleria Spazio 40 di Roma, a partire dal prossimo 9 dicembre, nella Mostra collettiva “Diari di Viaggio”, Massimo D’Angelo è un pittore dalla personalità originale ed eclettica che sa imprimere sulla tela la profondità delle proprie idee attraverso un irresistibile arcobaleno di colori.

Aurora

Libera
Che artista sei? Da dove nasce la tua esigenza di dipingere: è una passione che coltivi da sempre o si tratta di un talento che hai scoperto recentemente?

Ho sempre disegnato. Di tutto e con tutto, ma soprattutto a china, cose serie e meno serie, dai chiaroscuri di Roma sparita alle etichette dei vini, immagini pubblicitarie per arrotondare all’università. Poi cartellonistica con veri e propri capolavori dei grandi del fumetto. Successivamente ho perso un po’ gli stimoli fino a che la pittura si è risvegliata facendo acquerelli in riva al mare, con l’acqua marina e una cartolina pronta in dieci minuti al posto di una foto. Da lì non mi sono più fermato.

Addosso
Dietro ogni opera si cela una storia da raccontare: cosa vuoi comunicare e cosa ti ispira maggiormente? Quali sono le tecniche che prediligi e i soggetti che preferisci?

La mia opera si sviluppa su direttrici diverse, talvolta tanto diverse, da sembrare che abbia origine da diversi autori. È come se avessi diversi periodi pittorici, ma uno sovrapposto all’altro, ora con il bisogno di raccontare storie, ora con quello di prendere immagini dall’anatomia del corpo umano. In realtà il fil rouge è quello di sperimentare, non importa con quale tecnica, con quale tema pittorico. Stigmatizzare i problemi che ci travolgono. Di sicuro mi piace sfruttare l’istinto del disegnatore e del chiaroscuro e far incontrare il figurativo con l’astratto. Trovo irresistibili le “forme”, ma spesso sono gli stimoli che cerco costantemente a guidare la mia esecuzione. Che poi sia l’acquerello o l’acrilico lo strumento, questo poco importa.
L’acquerello è sempre con me, in vacanza, ma anche in una serata d’estate, mi fermo in qualsiasi posto, tiro fuori il mio quaderno Fabriano formato cartolina, i miei goauche Winsor & Newton, un bicchiere di carta e via. Con l’acrilico ogni volta cerco una novità: materia, sabbia, supporti improbabili, pigmenti tirati, spugnati, spatolati, silicone colorato, dripping. Insomma ogni volta emerge l’esigenza di realizzare un’idea come richiesto dal soggetto da creare.

Corpo celeste
Che ruolo ha, o potrebbe avere, l’arte in un periodo di precarietà come quello che stiamo vivendo? Che cosa significa essere un artista nella società di oggi? Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia legata al tuo percorso.

Quando inviti qualcuno ad una mostra rimane sbalordito, come se dipingere fosse un risvolto di pazzia in una società dove si fanno solo cose legate al commercio. Eppure in Italia si stimano circa 6.000 pittori (il giudizio se veri non spetta a me) intorno ai quali si aggirano personaggi più o meno organizzati, più o meno esperti, che cercano di guadagnarci sopra per regalare loro un secondo di pubblica gloria, spesso effimera e artificiale. Ti chiedono anche 400 € per esporre un’opera, spesso senza portare visitatori e senza mai spendere una sola parola sull’arte. Così si terrorizzano i talenti, la storia ripete le sue atrocità, ma con la peculiarità contemporanea dell’illusione della visibilità garantita dai Social e dai siti virtuali, tortura per gli amici e totale indifferenza del pubblico tutto.
Un momento di grande interesse personale è stato quando ho esposto a Londra, in una galleria vicino al National Gallery ma con la gallerista che, a causa di una bega con l’organizzatrice, ha trattenuto per mesi le nostre opere fino a che non ci siamo rivolti all’ambasciata italiana a Londra. Il giorno dopo il corriere ha ritirato tutto. In compenso il gruppo artisti ha fatto quadrato su una chat di Whatsapp e per questo siamo rimasti in contatto, per difenderci dagli avvoltoi o scambiarci informazioni su iniziative artistiche.
Simpatica è anche la considerazione di una signora che davanti al mio “Folla”, stilizzazione del tratto coroideo del cervello, effettivamente simile ad una folla, ha dichiarato: “Questo deve essere uno con la personalità fortemente disturbata”.

Folla
Immagina di poter viaggiare su una macchina del tempo: quali sono i tuoi Maestri di riferimento? A quali Movimenti Artistici del passato ti rifai?

Più che di ispirazione, direi che nutro una vera e propria venerazione per Jackson Pollock e Boccioni e, in parte, per Picasso. Tra i classici apprezzo Caravaggio. Ho grande invidia per le intuizioni contemporanee di Keith Haring, Banksy e Brainwashed. Guttuso, invece, è il più grande italiano del Novecento.
Anche gli Impressionisti, che penso di aver visto in tutti i musei possibili, non mi sono di ispirazione diretta, ma il pointillisme mi ha lasciato qualcosa dentro. Tuttavia se la macchina del tempo funzionasse davvero vorrei essere l’aiutante di Pellizza da Volpedo mentre crea il Quarto Stato.   

Globuli rossi
A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.  

A breve parteciperò alla mostra collettiva “Diari di Viaggio”. organizzata dall’Associazione Artistica di cui faccio parte, “Ars Movimento Culturale”, con tema Racconti di viaggio, che sarà visitabile dal 9 al 15 dicembre, presso la Galleria Spazio 40 di Roma, e dove porto un’opera sul memorial dell’11 settembre che l’estate scorsa mi ha profondamente colpito. In generale, invece, qui è il vero problema. Da un progetto ne nascono due e da due… quattro. Non c’è il tempo e l’energia per dare seguito a tutto e soprattutto i fondi. Sto lavorando ad un progetto di Crowdfunding sulla multidisciplinarità e l’interrelazione delle arti, sto ideando una mostra per affiancare fotografie di bravi autori e amici con un dipinto della foto stessa. Sto cercando anche di dare un risvolto concreto all’esperimento del tour emozionale dell’esposizione che ho terminato lo scorso 31 ottobre: persone che vengono analizzate da software per il riconoscimento delle emozioni davanti ad un’opera d’arte; non è una prima mondiale, ma le tecnologie lo sono e, oggi, si possono mettere in campo APP sorprendenti, se non si tralascia l’altra metà del cielo costituita dagli psicologi.


Macchie nella mente

Massimo D'Angelo Web Site