mercoledì 15 gennaio 2020

Luana Troncanetti: storie di donne in nero


Di storie di donne non siamo mai sazie. Soprattutto se sono scritte col trasporto che caratterizza lo stile di Luana Troncanetti. Dopo il successo de “I silenzi di Roma”, Fratelli Frilli Editori, Luana Troncanetti ha dimostrato tutta la sua sensibilità con “Gabbie”, una raccolta di racconti autopubblicata che mette insieme storie di “donne in nero”, intrappolate in gabbie, vere o immaginarie, dalle quali faticano a tirarsi fuori.
Miriam, Giorgia, Adalet, Eva e Nunzia sono le cinque protagoniste di altrettante storie che toccano profondamente l’immaginario e la sensibilità del lettore. Chi conosce il talento letterario dell’istrionica autrice, rimarrà piacevolmente colpito, ancora una volta, dalla potenza descrittiva delle sue pagine, nelle quali è facile immedesimarsi. Ciascuno dei personaggi femminili che vivono queste vicende, talvolta crude, è una sfaccettatura letteraria dell’imperscrutabile fragilità delle donne e di tutti i ruoli che ognuna di noi ha nella propria vita.
Questa raccolta di racconti ha un unico vero difetto: è troppo breve per saziare la fame di tutte le lettrici più voraci.


Cinque donne in gabbia che fanno i conti con le sbarre che le imprigionano, fuori e dentro loro stesse: “Gabbie”, una raccolta di racconti auto pubblicata, contiene storie caratterizzate da interessanti spunti di riflessione, che, tra l’altro, hanno vinto premi importanti. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa volevi comunicare?

“Gabbie” è una raccolta auto pubblicata sui generis: in realtà quattro racconti su cinque figurano in antologie cartacee con edizione canonica. È capitato, citando il titolo dell’unico inedito, che qualcuno mi chiedesse di leggere questi scritti. Mi sono detta che in pochi sarebbero stati disposti ad acquistare un’antologia soltanto per me. L’idea, banalissima, è stata quella di radunarli per offrire assaggi della mia penna a un prezzo più che contenuto.
A differenza di Agrodolce, una raccolta pubblicata anni fa con l’Erudita (Giulio Perrone), quando li ho accorpati in un unico file mi sono accorta del fil rouge: donne infilate in una prigione. 
Non restava che ideare un titolo e una copertina che le rappresentasse. Gabbie mi sembrava calzante, così come l’immagine libera da copyright che ho utilizzato per realizzare la cover.
Il messaggio è racchiuso nell’aforisma di Victor Hugo che introduce l’e-book: “L’anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. È l’unico uccello che sostenga la sua gabbia.”

Che scrittrice sei? Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Segui l’ispirazione a ogni ora della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

La mia attuale esigenza di scrivere mi sorprende. Come sia nata, di colpo, questa voglia di raccontare storie davvero non te lo so dire; il mio sogno sarebbe stato quello di disegnare. Scrivo in modo più o meno sistematico da circa dieci anni, nel caos più totale, “con le scie degli aerei nemici sulla testa.” Così mi diverte definire il mio metodo collaudato.

Miriam, Giorgia, Adalet, Eva, e Nunzia: ecco le cinque donne protagoniste dei racconti noir. Come le definiresti? In generale, come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?

Le mie donne sono uccelli senza voce, mi hanno chiesto di raccontare il loro canto nero. Soffocate da precetti e pregiudizi, alcune di loro si macchiano di colpe che pagano senza sconti di pena. Altre, del tutto innocenti, sono tuttavia incarcerate in quella mastodontica balla che una donna, soprattutto se madre, deve farcela sempre. Nessuno, però, la sostiene o le insegna come. Fra le cinque, Eva e Nunzia sono le uniche ad avere figli. Le sole - in ogni possibile accezione - costrette a sporcarsi le mani di sangue. Mi sento male tutte le volte in cui rileggo le loro storie.
Per quanto mi riguarda, nei romanzi è vitale una programmazione degli eventi e una delineazione preventiva dei personaggi. Succede anche nelle duecento pagine che l’idea iniziale assuma risvolti imprevisti, ma è più difficile. La scaletta aiuta a non perdermi e soprattutto a non far smarrire il lettore.
Nei racconti brevi sono i protagonisti che mi raccontano la loro storia. Fino a poco tempo fa avrei sghignazzato all’idea di trasformarmi in una dattilografa. Invece, mi succede questo: anche quando parto da un tema assegnato, e non da un’ispirazione tutta mia, scrivo sotto dettatura. Carmen è un esempio su tutti. Sfora abbondantemente le dieci cartelle, rappresentando in genere la mia dimensione ideale. L’ho buttato giù in un’ora, quasi in trance, senza sapere quale piega avrebbe preso la storia. Era Grazia, la narratrice, che mi diceva tutto. 

Tra Web, selfpublishing e case editrici, gli autori di oggi sono portati, ma anche obbligati, a reinventarsi continuamente. Facciamo un bilancio del tuo percorso di scrittrice, tra difficoltà quotidiane e obiettivi raggiunti. È ancora possibile oggigiorno, secondo te, vivere di scrittura?

È possibile per pochissimi. Anche i più affermati si tengono stretto il lavoro che produce reddito.  Portano avanti il secondo, quello della scrittura, che potrebbe produrne con incognite che spesso prescindono logica e meritocrazia. Mi sembra una scelta saggia ed è così da sempre.  

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.  

Ho quasi terminato di raccogliere la documentazione necessaria a scrivere il sequel de I silenzi di Roma, un noir edito dalla Fratelli Frilli Editori. In questa seconda puntata darò maggior risalto a Paolo Proietti, ispettore capo della squadra mobile sezione omicidi di Roma. Al momento è il coprotagonista del romanzo insieme a Ernesto, tassista e amico fraterno.
Per delineare nel miglior modo possibile le azioni del mio ispettore, sto scomodando due poliziotti e un’avvocata penalista. Ho rallentato di almeno tre mesi l’inizio della stesura, voglio evitare svarioni procedurali o suggestioni al limite del surreale; ho letto in giro di ufficiali di Polizia in servizio attivo che soffrirebbero di attacchi di panico e/o altre patologie invalidanti anche per chi svolge professioni meno complesse. Romanzare è lecito, concedere licenze alla realtà senz’altro possibile. Nonostante ciò, ho preferito frenare i tempi della seconda uscita per offrire una storia che non scalfisca la veridicità e la logica. È un atto di cura dovuto al lettore, anche al meno esigente.
Il secondo progetto richiederà parecchio tempo: si tratta di un romanzo che ho steso di pancia circa tre anni fa. Va ampliato e revisionato in ogni virgola. Non ha un genere specifico, il tema principale è il terremoto. L’argomento mi sta a cuore perché sono di origine marchigiana. Conosco bene, anche se in forma trasversale, lo strazio di chi deve ancora combattere un evento che ha devastato cinque regioni italiane. Racconterò quella più vicina a me per ragioni di sangue, il pensiero abbracciato al dolore di tutte le altre.