giovedì 31 maggio 2018

“Una Particolare Specie di Tentazione” di Savanna Fox. Amore a prima vista, tra erotismo e luoghi comuni



Vancouver, America del Nord, quando la giovane Georgia Malone, decide di entrare a far parte di un Club del libro tutto al femminile ha perso il marito Anthony da poco tempo. Bella e inesperta, quanto casta e timida, Georgia vede in questa nuova avventura e nelle sue nuove compagne, Marielle, Kim e Lily, una piacevole via di fuga dagli impegni lavorativi alla Dynamic Markenting, società astro nascente del settore per la quale lavora. Da quando le hanno affidato la campagna pubblicitaria per la Vital Sport, infatti, perfino il lavoro che ama tanto le sta dando qualche grattacapo. Un grattacapo decisamente irresistibile di nome Woody Hanrahan, giovane stella dell’hockey e nuovo volto del marchio sportivo più in voga di tutto il Canada. Sexy, seduttore incallito e dai modi un po’ rozzi, che però nascondono una grande sensibilità, Woody non potrebbe essere più diverso da Georgia, precisa, puntuale e rigorosa in tutto, ma tra i due l’attrazione è palpabile e travolgente fin da subito, tanto da portarli a vivere un’emozionante, passionale e contrastata storia d’amore, che sembra avere molti punti in comune con la storia di Lady Emma, la protagonista dell’ultimo libro che Georgia e le sue amiche stanno leggendo per il Club del libro.
Pagina dopo pagina, sia Georgia, sia Lady Emma si troveranno faccia a faccia con la passione e l’amore vero, che non lasciano spazio a dubbi e incertezze. Sapranno entrambe aprirsi a questa nuova vita? Per scoprirlo non ci resta che goderci questa frizzante avventura metropolitana fino in fondo, magari proprio sotto il tanto agognato ombrellone.
Interessante, vero? Passione, amicizia, amore. O forse ci sarà la fregatura?
Io mi sono lasciata tentare, sull’onda della curiosità, ma i risultati sono stati a dir poco deludenti. “Una particolare specie di tentazione” della laureata in legge e in psicologia, Savanna Fox, edito da Sperling & Kupfer, è un continuo e noiosissimo ripetersi di luoghi comuni sotto ogni aspetto e senza neppure un briciolo di verve nello stile piatto, banale e per nulla ironico. E quel che è peggio è che si tratta del primo di una serie che ha per protagoniste le amiche del Club del libro: The Girls Book Club Serie.
Ma andiamo con ordine: la passione. Lei: inesperta, un tantino frigida ragazza dai capelli rossi, lui:
muscoloso sportivo e grande seduttore. Insieme dovrebbero accendere la miccia dell’eros più spinto
ed emozionante, da far rimescolare il sangue a ogni pagina. E invece accendono a malapena un cerino per una candela post blackout emozionale. Scene di sesso mediocri e insipide, alternate a sbalzi emotivi degni di due adolescenti, nemmeno tra i più emotivamente interessanti. Due protagonisti che più insignificanti non si potrebbe.
L’amicizia. L’unico tratto interessante di tutto il romanzo, il Club del libro, inizialmente in primo piano, cade totalmente nel dimenticatoio dopo pochi capitoli. Delle tre malcapitate compagne di Georgia non si sa praticamente più nulla già dalla metà del romanzo. Ognuna avrà spazio in una storia a sé, ma non mi pare una ragione sufficiente per abbandonarle così, a metà dell’opera. Marielle, la splendida ragazza di colore tutta movida e bei ragazzi, che consiglierà alle compagne la lettura delle avventure di Lady Emma, Lily, giovane sposa annoiata, dal piglio severo e dai noiosi gusti letterari e Kim, studentessa di belle arti di origini cinesi con un fidanzato turbolento, non sono altro che un diversivo stile telefilm anni Novanta, che verrà ben presto dimenticato dalla bella Georgia, così come dalle sventurate lettrici.
E infine l’amore. Potrà mancare il lieto fine? Lady Emma, farà capitolare il libertino Lord Vattelapesca, imprigionandolo nelle trame d’amore? E, più di tutte, riuscirà Georgia (udite udite, detta George, chissà perché poi) a vivere la sua passionale ed emozionante storia d’amore col bell’imbusto dal cuore tenero, campione di hockey, che si chiama Woody, come il picchio del cartoon?
Fosse una domanda da un milione di euro, probabilmente saremmo già tutte alle Maldive sotto l’ombrellone a leggere qualcosa di meglio!


mercoledì 30 maggio 2018

“Il pollaio dice no” di Salvo Zappulla. I ragazzi scoprono quando la Natura si ribella



Quando il gallo del pollaio, tranquillamente appollaiato sul ramo di un albero, legge sul giornale che i padroni dell’allevamento hanno aderito ai nuovi sistemi di allevamento in batteria e hanno intenzione di chiudere le galline in gabbie strettissime e rimpinzarle di estrogeni per produrre più uova, non può credere ai propri occhi e cade giù dal ramo come… un pollo. Inizia così "Il pollaio dice no", il libro illustrato per ragazzi, edito da Buk Buk, Il Pozzo di Giacobbe, dello scrittore siciliano Salvo Zappulla, noto autore di narrativa per bambini e non solo.
Zappulla ci conduce, con ironia e freschezza, attraverso i buffi e quanto mai disperati tentativi delle povere galline di cambiare le cose e di far aprire gli occhi ai ciechi padroni, presi dalla smania di profitto. Tra tecnologie all’avanguardia, manovre di sabotaggio e uova cubiche, ci penserà la Natura stessa a far mettere la testa a posto a noi esseri umani, assai più sciocchi dei nostri colleghi polli e divertimento e spunti di riflessione sono assicurati nel corso della lettura. I riferimenti alla nostra realtà sono spiegati semplicemente e, attraverso il linguaggio della favola e della fiaba, mostrano ai ragazzi di oggi, spesso convinti che i polli abbiano otto cosce e sei ali ciascuno, come tutto è destinato a tornare in equilibrio, nonostante la poca lungimiranza dell’uomo moderno, tra gli echi Orwelliani e le splendide illustrazioni di Lucia Scuderi.
Un libro da leggere d’un fiato, e rileggere, grandi e piccini, per scoprirne sempre un risvolto in più.


martedì 29 maggio 2018

“L’Enigma Botticelli” di Cinzia Giorgio. Gli esordi di una grande autrice



Oggi è un’autrice affermata della scuderia Newton Compton, ma, come si dice, una fuoriclasse si riconosce già del suo esordio, proprio come è accaduto con Cinzia Giorgio e il suo romanzo “L’Enigma Botticelli”, Melino Nerella Edizioni.
Venezia, Sofia Anastopoulos è una giovane storica dell’arte di origini greche. Perfezionista, razionale, curiosa. Viene chiamata a dare un parere sull’autenticità di un quadro di Bruegel il Vecchio che non la convince affatto e sulla cui cornice c’è scritto est modus in rebus.
New York, Adrian Seward è il noto curatore del Metropolitan Museum. Affascinante, scaltro, intuitivo. L’insolita vendita di un lavoro di bottega del Botticelli durante un’asta da Sotheby’s, a Londra, lo mette in allarme.
Non potrebbero essere più diversi, eppure si ritroveranno fianco a fianco a indagare su un presunto traffico di opere d’arte inedite, in una Roma ricca di mistero, tra facoltose fondazioni gestite da personalità ambigue, una sorella un po’ troppo intraprendente e un intricato intreccio di personaggi che sembrano secondari, ma non lo sono affatto.
E cosa lega tutto ciò all’assassinio di Erminia Schiavone, proprietaria di un pensionato per studenti in via di Ripetta e custode di un misterioso tesoro?
Sullo sfondo la Firenze del Quattrocento, nella quale Sandro Botticelli dipinge uno stendardo per la Giostra di Giuliano de’ Medici, che raffigura la dea Pallade Atena. Costei ha il meraviglioso volto di Simonetta Cattaneo Vespucci, la bella senza paragoni, splendida musa del pittore fiorentino.
Ed ecco che comincia il viaggio. Perché il vero protagonista di questo thriller, finalista al prestigioso premio Tedeschi-Mondadori, è proprio questo stendardo misteriosamente scomparso.
Nella magistrale struttura a matriosca spazio-temporale, come l’ha definita lo scrittore Giulio Leoni, il dipinto fa capolino quasi di sottecchi, per poi prendersi totalmente la scena, pagina dopo pagina, in questo mosaico di personaggi così ben architettato, che nulla è lasciato al caso fin dall’inizio.
Ogni porta che il lettore apre nel suo affascinante percorso ricco di tensione, ogni dettaglio, ogni indizio o falso indizio torna magicamente al proprio posto in un finale sorprendente e convincente al tempo stesso, che ci lascia paghi, senza dubbio, e sulla corda, fino all’ultima riga.
Scorrevole, chiaro, ricco di spiegazioni tecniche rese interessanti dai colori vivaci e decisi con i quali l’autrice dipinge, è proprio il caso di dirlo, ogni suo personaggio, questo romanzo non ci delude nemmeno nelle cosiddette parti storiche, che attraversano, con maestria ed eleganza, circa cinque secoli di storia, ripercorrendo le tracce dello stendardo perduto in una ricostruzione fine e accurata.
La magia di questo thriller di Cinzia Giorgio, di ambientazione squisitamente italiana, risiede nella semplicità dello stile e nella raffinatezza della costruzione, che ci ricordano, con sagacia e un pizzico di ironia, che c’è sempre qualcosa sotto… Godetevi il rebus e buona lettura!


lunedì 28 maggio 2018

“Trilogia di Fitzwilliam Darcy, Gentiluomo” di Pamela Aidan. “Orgoglio e Pregiudizio” dalla parte di Darcy


È fatto universalmente noto che un buon libro sarà sempre oggetto di imitazioni ed emulazioni di ogni tipo, in ogni tempo e luogo. Questo è, senza dubbio, il caso di “Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen. Da qualche anno a questa parte, infatti, abbiamo assistito a una vera e propria riscoperta trasversale dell’autrice inglese e della sua opera più famosa, se mai è passata in secondo piano nell’immaginario delle lettrici e dei lettori, sempre presi da nuove mode. Da detective provetta a improbabile zombie, la nostra Jane è stata proiettata in una serie di mirabolanti avventure tra le più disparate, più o meno ben scritte da autori e autrici di tutto il mondo e la stessa sorte hanno subito i suoi personaggi più noti: Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy. Tra prequel e sequel della ormai più che universalmente nota storia d’amore tra i due, l’esperimento più interessante è quello compiuto da Pamela Aidan nella sua “Trilogia di Fitwilliam Darcy, Gentiluomo” composta da: “Per orgoglio o per amore”, “Tra dovere e desiderio” e “Quello che resta”, editi da Tea.



Dopo aver lavorato per trent’anni come bibliotecaria, Pamela Aidan riscopre la passione adolescenziale per la Austen, emulandola in modo più originale rispetto alle numerose colleghe, dando voce ai pensieri e alle sensazioni dell’orgoglioso, ma tanto amato Mr. Darcy. Chi di noi appassionate lettrici di Jane, non ha mai desiderato sapere, almeno una volta, cosa passasse nella mente di Darcy e cosa provasse intimamente? La Aidan dipinge un Darcy abbastanza bello da tentarci e tutti e tre i volumi scorrono più che piacevolmente, uno dopo l’altro.
Nel primo della trilogia, “Per orgoglio o per amore”, sono riprese puntualmente le prime vicende del romanzo: l’incontro tra Darcy e Elizabeth e le prime incomprensioni, balli e passeggiate, fino alla partenza di Bingley da Netherfield, dissuaso dallo stesso Darcy nei suoi propositi di corteggiare Jane, la sorella di Elizabeth.
Nel secondo volume, “Tra dovere e desiderio”, la Aidan dà prova di fantasia e capacità di ricostruzione storica degne di nota, raccontando le avventure di Darcy durante la sua assenza dalle pagine di “Orgoglio e pregiudizio”. Il povero Darcy, nel vano tentativo di dimenticare i begli occhi di Elizabeth, ormai lontana, accetta l’invito di un vecchio compagno di studi e si ritrova circondato da belle signore spudoratamente in cerca di marito, tra intrighi e macchinazioni dei presenti, fino alla capitolazione e al compromesso con sé stesso, ormai certo che nessun matrimonio possa salvarlo perché Elizabeth, pur non fisicamente presente, è ormai entrata nel suo cuore.



Nell’ultimo volume, “Quello che resta”, si riprendono le fila del romanzo originale, dalla prima sofferta dichiarazione a Elizabeth, che lo respinge, al disastro di Wickham, ai tentativi di Darcy di salvare la situazione, fino allo splendido lieto fine, anche tra Jane e Bingley.
Lettura godibile, tra alti e bassi, anche per i puristi più fedeli all’originale, il lavoro della Aidan resta tra i più apprezzabili tentativi di riscoperta della Austen degli ultimi anni. Fedele nei personaggi e preciso nelle ricostruzioni, incentra però tutto sulla storia d’amore tra i due protagonisti, perdendo quel tocco di piacevolissima ironia tipico di Jane e la sua capacità di cogliere le debolezze degli uomini del suo tempo anche nei personaggi secondari, in un continuo tentativo di sottile denuncia soprattutto del ruolo della donna, tristemente sottovalutata nella società.
La Aidan attinge a piene mani, specialmente per le vicende del secondo volume, dalle pagine delle autrici che hanno reso grande l’epoca Regency, a partire da Georgette Heyer, passando per Johanna Lindsey e Kathleen Woodiwiss, fino a Lucinda Brant, dando sicuramente all’intera trilogia una forte connotazione rosa, nonostante i fatti passino attraverso il filtro di occhi maschili.



Nell’insieme, però, non si può far torto all’autrice per questa scelta, né per quella di aver scorporato la vicenda in tre romanzi, indugiando a volte in modo un po’ monotono su certi passaggi trascurabili. Il prodotto finale resta piacevole e più che soddisfacente, senz’altro un primo suggerimento per deliziare i lunghi pomeriggi d’estate sotto l’ombrellone di coloro che preferiscono il rosa al giallo, senza mai abbassare la qualità delle letture, ricordando sempre, però, che Jane è… Jane.


venerdì 25 maggio 2018

“Ossessione” di Stephen King. Il confine tra realtà e follia



Placida e sonnolenta provincia americana, metà degli anni Settanta. Quando Mrs. Underwood, insegnante di matematica al Liceo di Placerville, cade con il fianco sulla cattedra e, da lì, rotola per terra, il cranio squarciato da un colpo di pistola, la lezione non è cominciata da molto.
A costo di rovinarvi la sorpresa, è stato Charlie Decker, un ragazzo come tanti. Ma il bello è che i circa quaranta occhi, ancora assonnati, dei suoi compagni, che hanno assistito alla scena, restano spenti, come di fronte alle equazioni scritte sulla lavagna. Nessuno grida, né fugge via. Charlie si chiude la porta alle spalle e si siede in cattedra, iniziando una disperata avventura che coinvolgerà, nella sua intima ossessione, la vita e il destino di una classe intera, pronta a rispondere in modi inaspettati e imprevedibili.
Segreti di sesso, di sangue, di odio vengono alla luce, snocciolati uno a uno dagli stessi protagonisti, che sembrano cogliere al volo la macabra occasione per gettare la maschera dell’ipocrisia, pronti a rimetterci la reputazione, la sanità mentale e perfino la vita. Il garbuglio che si dipana, oscuro, davanti ai nostri occhi va ben oltre le bravate tra ragazzi e le piccole ingiustizie della quotidianità di provincia, mentre fuori da quel sorprendente microcosmo ordinato si affollano impacciate e impreparate forze dell’ordine e cronisti assetati di sangue.
In tutto ciò Charlie agisce da potente catalizzatore per scatenare la follia nascosta dietro ogni falso sorriso che ha di fronte. Unico figlio di una madre debole e di un padre violento, Charlie Decker è un ragazzo schivo e sensibile, che mal tollera le prepotenze, fino a fare un’ossessione del suo segreto senso di lealtà e giustizia.


In un crescendo di tensione, il maestro dell’horror americano, Stephen King, coglie magnificamente nel segno con “Ossessione”, un romanzo assai meno conosciuto di tanti altri capolavori, ma da rivalutare, perché ugualmente all’altezza del suo stile inconfondibile.
Scritto in tempi non sospetti rispetto ai recenti fatti di cronaca che sembrano emularlo, è il primo romanzo di Stephen King, anche se fu pubblicato nel 1977, dopo l’uscita di “Carrie”, con lo pseudonimo di Richard Bachman, assieme ad una serie di titoli oggi ben più noti.
Proprio a causa dei numerosi tentativi di emulazione, il romanzo è ormai fuori produzione per volere dello stesso King, al quale fu chiesto di ritirarlo dal commercio dopo l’ennesima strage in una scuola superiore, quando girò la voce che, in camera dell’adolescente che aveva fatto fuori buona parte dei suoi compagni, era stata trovata una copia di questo libro.
Tuttavia King, a quanto pare non troppo attaccato a questa sua prima opera, che considerava troppo acerba e priva del fascino del soprannaturale che sembra rappresentarlo al meglio nel panorama dell’horror, non ha fatto mistero di aver accolto di buon grado la richiesta di far cadere nel dimenticatoio questo thriller assolutamente impeccabile. Ma è qui che il romanzo si vendica, beffardo, vivendo ormai di vita propria: sghignazzando alle spalle dello stesso creatore è diventato quasi oggetto di culto da parte di molti fan, che ancora oggi, tra Web e mercatini, cercano di accaparrarsene qualche rara copia ancora in circolazione.
Lineare, asciutta, a tratti cruda, la vicenda è intervallata dai lucidi pensieri di Charlie, il protagonista, che la narra in prima persona, tra un ricordo e l’altro della sua giovane vita, in un catartico tentativo di dare un senso a ciò che subisce ogni giorno e sfogo alla noia e all’ossessione di giustizia, che si è annidata in lui da lungo tempo ed è esplosa nella violenza.
Charlie è un bravo ragazzo, al quale non si può fare a meno di affezionarsi nel corso della lettura, in barba al suo macabro e ingiustificabile gesto. Perché l’essere umano che nega l’evidenza è sempre più spesso carnefice di se stesso e il confine tra la normalità e la follia è così labile e inspiegabile che da sempre preferiamo ignorarlo, riducendolo a fatto di cronaca datoci in pasto tra un’incombenza e l’altra della nostra vita.


Spesso, sembra quasi suggerirci lo stesso King, è fin troppo facile voltarsi dall’altra parte e classificare come gesti squilibrati queste disperate richieste d’aiuto, soprattutto quando provengono da giovani e adolescenti che ci piace immaginare storditi dalla droga o da chissà cos’altro quando imbracciano le armi magari contro i loro stessi coetanei o gli insegnanti.
Così apparenti ragazzi della porta accanto diventano squilibrati assassini, in un coro di non posso crederci e te l’avevo detto, vittime di ciò che li ha generati. Ma prima che la fiction si trasformi di nuovo in realtà e che malesseri segreti diventino proiettili, siamo sicuri di essere davvero immuni da questo virus? Meglio non domandarselo neppure, almeno fino al prossimo telegiornale.


giovedì 24 maggio 2018

“Il caso Jane Eyre” di Jasper Fforde. Il fascino del fantasy di nicchia



È un 1985 diverso: i libri sono il bene più prezioso al mondo e il tempo non è più la costante universale alla quale siamo abituati, ma un contenitore dai confini assai labili, dove realtà e fantasia spesso si incontrano e si fondono.
Thursday Next è una trentaseienne determinata e coraggiosa, di professione Detective Letteraria alla Divisione Operazioni Speciali, creata per gestire i servizi di polizia ritenuti troppo insoliti per le unità regolari. È una donna forte e dolce nello stesso tempo, che ama il suo lavoro, al quale ha dedicato con passione buona parte della sua vita. Ma non tutto è sempre andato come lei avrebbe voluto, anche Thursday ha i suoi spettri: il dolore per Anton, il fratello caduto in Crimea, dove la guerra non è mai finita e il rimpianto per Landen, suo unico amore ormai perduto. Caso dopo caso, l’esistenza di Thursday si snoda tra i bisticci con la madre, che la vorrebbe felicemente accasata, gli incontri fortuiti col padre, disertore della CronoGuardia, e le visite al laboratorio del vecchio e stravagante zio Mycroft e della zia Polly. Lo zio Mycroft è un inventore un po’ stralunato, affascinato da sempre dall’elasticità del tempo e dello spazio che, dopo lunghi e numerosi esperimenti, trova la chiave per entrare e uscire fisicamente da un’opera letteraria. E qui iniziano i guai. L’invenzione del secolo cade nelle mani sbagliate: Acheron Hades, criminale diabolico e tra i più ricercati al mondo, rapisce il povero Mycroft e si appropria della scoperta. Hades arriva così a mettere in atto il suo malvagio proposito: sottrae il manoscritto di Jane Eyre dalla casa natale di Charlotte Brontë, riesce a fare irruzione tra le pagine del romanzo e, proprio sul più bello, rapisce la povera Jane, ancora in camicia da notte, poi chiede un riscatto altissimo. Il panico si diffonde tra i milioni di fan, disperati per l’accaduto. Thursday non se lo fa ripetere due volte: il caso è suo. Le indagini la coinvolgeranno a tal punto da riportarla a Swindon, sua cittadina natale, dove, tra dilemmi sentimentali, pressioni della potentissima Goliath Corporations e duelli all’ultimo sangue, farà di tutto per portare in salvo Jane e
rimettere in sesto la sua vita.
Primo di una fortunata serie edita Marcos y Marcos, purtroppo poco nota in Italia, “Il caso Jane Eyre” di Jasper Fforde è un sorprendente esperimento tra il fantasy e l’avventura nel quale nulla, ma proprio nulla, è lasciato al caso.
Intriso di richiami letterari, da Huxley a Orwell, da Conan Doyle alla Austen fino ai miti greci, Jasper
Fforde ci dimostra, con un’eleganza innata, come per dare spazio alla fantasia non ci sia sempre bisogno di scomodare elfi e draghi. Sembra quasi che l’autore, ormai scrittore a tempo pieno, ma con alle spalle una lunga carriera dietro le quinte del cinema, si sia voluto riappropriare del proprio tempo in questa Londra del 1985, nella quale ci ha pensato la natura, dilatando le porte del tempo e dello spazio, a modellare l’esistenza dell’umanità, ancora così soggiogata da regimi e organizzazioni di dubbia onestà. Con un linguaggio così semplice da poter essere apprezzato anche dai ragazzi, ma con una tale ricchezza di contenuti da poter essere compresa a pieno solo dagli adulti, Fforde delinea in Thursday Next un’eroina impeccabile nel proprio lavoro, ma piena di debolezze nella vita, che combatte per rimanere ancorata alla realtà, in bilico tra la purezza dell’adolescenza e la consapevolezza dell’età adulta.
“Il caso Jane Eyre” è un esperimento fantasy decisamente riuscito e squisitamente di nicchia, al quale persino i più schizzinosi non riusciranno a sottrarsi, fino all’ultima riga, perché una cosa è sicura: un mondo nel quale i libri sono il bene più prezioso chi vorrebbe lasciarselo sfuggire?


mercoledì 23 maggio 2018

“Peccatrice moderna” di Carolina Invernizio. Riscoperta di un fenomeno culturale



Nella Torino oscura e misteriosa di inizio Novecento, Sultana Sigrano è una donna dalla bellezza ammaliante e dall’esistenza apparentemente ineccepibile. Possiede tutto ciò che si potrebbe desiderare: un marito avvocato, benestante e premuroso, dei figli ubbidienti e bellissimi, una casa elegante e lussuosa. Ma dietro a questa vita perfetta si nasconde una manipolatrice senza scrupoli, alla ricerca di passioni dai colori sempre più forti, pronta a concedersi a tutti gli amanti che desidera,
di qualsiasi estrazione sociale essi siano, passando da una storia all’altra. Quando Alceste, giovane autista di casa Sigrano e sua ultima fiamma, la minaccia di rivelare la loro torbida relazione pur di tenerla legata a lui, Sultana non esita a ucciderlo barbaramente, mascherando l’accaduto dietro a un banale incidente, dopo che egli ha fatto irruzione nelle sue stanze durante la notte, accecato dal desiderio. Ma stavolta non tutto sembra andare come Sultana ha pianificato e il suo microcosmo dorato è minacciato dell’intervento di Maria, giovane fidanzata di Alceste, decisa a far luce su quella tragica morte, e da una fitta trama di personaggi e coincidenze, dietro alle quali nulla è come sembra, con un epilogo davvero sorprendente.
In un diabolico intreccio a tinte forti, alla continua ricerca del colpo di scena e dell’espressione a effetto, Carolina Invernizio conduce i suoi lettori a verità sconcertanti, regalandoci una protagonista
così superbamente cattiva da apparire a tratti quasi inverosimile nella sua lucida volontà di perseguire la perversione a ogni costo. Dopo più di quarant’anni dall’ultima edizione, “Peccatrice moderna”, una delle ultime opere della scrittrice lombarda, è tornata ad ammaliare i lettori in un elegante edizione Avagliano anche in formato ebook.
Amatissima da un vasto pubblico di lettrici di estrazione borghese, ma apertamente disprezzata dalla critica, Carolina Invernizio rappresenta forse il primo fenomeno culturale di largo consumo della letteratura italiana del secolo scorso a lungo ignorato. Dal 1907 fino alla morte si legò alla casa editrice Salani che le dedicò una collana all’interno della quale furono pubblicati circa 130 romanzi che spaziavano dal poliziesco, al gotico, al romanzo d’appendice, al romanzo storico sociale nel quale fu maestra indiscussa, nonostante le critiche del tempo.
Ad oggi i suoi intrecci complicatissimi, caratterizzati dalla morbosità delle passioni e dalla violenza degli accadimenti, sono stati ampiamente rivalutati per l’importanza che hanno rivestito nel panorama della letteratura italiana di intrattenimento, rispecchiando l’esigenza, nata nel secolo scorso, di romanzi dedicati a un pubblico sempre più ampio e vorace, bramoso di attraversare di quell’imponderabile confine tra vita quotidiana e tragedia moderna.
Tanto discussa nel suo tempo, oggi Carolina sarebbe senz’altro una influencer, uno di quei fenomeni popolari tanto seguiti quanto sottovalutati dai più conservatori. Solo per sorridere ci piacerebbe immaginarla scaltra sceneggiatrice televisiva o magari opinionista in uno di quei talk show dedicati alla cronaca nera, che sembrano moltiplicarsi sempre di più nei nostri schermi, in virtù della sua esperienza di autrice così avvezza al sangue e alle passioni.


martedì 22 maggio 2018

“Accabadora” di Michela Murgia. L’eternità dell’amore, tra la vita e la morte



In una società in cui il bisogno di maternità ci porta, nostro malgrado, a servirci di scienza medica e tecnologia, Michela Murgia ci ricorda come a volte, per diventare genitori o figli, basti uno sguardo, raccontando di usanze che sanno di antico e che è quasi impossibile collocare nel tempo, tanto il ricordo sembra affogare nel passato e la consuetudine secolare sembra rimanere attuale anche nell’Italia non troppo distante del Dopoguerra, proprio come in un’eternità fiabesca.
“Accabadora”, infatti, edito da Einaudi e Premio Campiello 2010, sembra proprio una fiaba, pervaso com’è dalla ricerca di vita e morte a ogni costo e da quella reale crudeltà che l’umana sete di spiegazioni cerca spesso di sedare col linguaggio fiabesco.
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972 e nel 2006 ha pubblicato “Il mondo deve sapere”, che ha ispirato il film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì. È una scrittrice poliedrica e di indiscussi profondità e talento, che ha prestato anche la propria voce per delle versioni audiolibro di molte delle sue opere, tra cui “Accabadora”.
Bonaria Urrai, la protagonista della storia, è sola e senza figli, il suo cuore sopporta lo scorrere del tempo meglio del suo aspetto “forse era questo il motivo per cui Bonaria Urrai era vecchia da quando era giovane”. Maria Listru è una bambina di sei anni in una Sardegna arsa dal sole estivo dei primi anni Cinquanta “ed era l’errore dopo tre cose giuste”. É in un caldo pomeriggio di luglio che Bonaria Urrai porta la piccola Maria a casa con sé, dopo aver parlato con la madre sotto una pianta di limoni, e le dona un letto e una camera tutta sua, con le pareti piene di madonne e crocefissi, portando nell’immobilità della vita di entrambe la gioia di un affetto senza riserve, di un pensiero prezioso prima di coricarsi, della speranza di famiglia che vada oltre la parentela.
Per molto tempo Maria crede che Tzia Bonaria faccia solo la sarta. La prima volta che la bambina si accorge che Bonaria esce di notte ha otto anni e le chiede dove stia andando. Ma ci sono segreti che nessuna madre può rivelare a una figlia e quando Bonaria torna a casa, a notte fonda, Maria dorme e non se ne accorge neppure. Il giorno dopo la vecchia e la bambina si vestono di nero e si recano al funerale di un vicino di casa per onorare il morto e la vedova, che accoglie Bonaria con uno slancio che stupisce molto Maria. Poi, per molti anni, più nulla, Bonaria non esce più di notte. Ma il suo segreto non rimarrà nascosto per sempre.
Acabar viene dallo spagnolo e significa finire. In sardo accabadora è colei che finisce. Colei che mette fine a vite già spente. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un’assassina, ma solo il destino che si compie, risparmiando la sofferenza. Ma chi è davvero l’accabadora di Soreni, il piccolo paesino sardo dove si svolge questa insolita fiaba moderna? Chi è l’ultima madre che accompagna i figli della terra verso nuove mete assai lontane? Che volto si nasconde dietro questa figura tanto oscura da sembrare quasi mitologica? E Maria, crescendo, riuscirà a smussare gli spigoli del suo carattere di piccola donna e a sopportare il peso di un segreto tanto imprevedibile?
“Fillus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai.”
Questo è l’incipit del romanzo di Michela Murgia e queste poche righe sono bastate per scavare una nicchietta di curiosità e interesse così profonda dentro di noi, da portarci a non staccare più gli occhi dal libro fino all’ultima preziosa parola.
Gli avvenimenti scorrono, in questa Sardegna difficile degli anni Cinquanta, cesellati in uno stile elegante e delicato che evoca immagini vivide, come solo un buon libro riesce a fare, in un costante senso di commozione che non è dovuto al banale immedesimarsi nei personaggi che tutti compiano nel nostro intimo quando leggiamo, ma alla sensazione di non detto e a quella costante paura, che ci accompagna nella vita, che dietro a una timida felicità, tanto faticosamente guadagnata, si nasconda la tragedia imminente, il degenerare degli eventi, il fato crudele al di là di ogni controllo, che farà rimpiangere perfino una lieve quiete ormai perduta.
Non ci siamo trovati a rispecchiarci né in Maria, né in Bonaria, ma a volte abbiamo rivisto noi stessi nella consapevolezza tardiva che la felicità era lì, nelle nostre mani, molto più semplice e leggera delle nostre aspettative, solo un istante dopo che era svanita per sempre. E leggendo avremmo voluto guardare negli occhi la piccola Maria e dirle che non sempre tenere celato un segreto significa mentire e non essere leali con se stessi o con gli altri.
La Murgia dipinge personaggi che a prima vista sembrano lontani a da noi, sia nel tempo, sia nella frenesia del quotidiano, ma che nell’implacabile intercambiabilità dell’esistenza ci sono seduti accanto, come sull’autobus o al cinema, e siamo consapevoli che prima o poi, almeno una volta nella vita, prenderemo il loro posto e guarderemo il dolore e la delusione venirci incontro senza poter fare nulla per evitarli. Forse è proprio questa certezza che quasi ci porta a leggere con un piccolo tumulto nel cuore, sperando che noi stessi, nelle medesime circostanze, non compiremo gli stessi errori delle nostre protagoniste, ma coscienti che, in realtà, sarà esattamente così.
 “Accabadora” è un romanzo che ha il valore speciale delle cose che si scelgono e la sorpresa, a volte dolce, a volte amara, delle cose che accadono senza avvertire e che si può solo imparare ad accogliere umilmente. Come la vita e la morte.


lunedì 21 maggio 2018

“Il Tuttomio” di Andrea Camilleri. Un giallo erotico per un’estate bollente



In un luogo volutamente imprecisato, ma caratterizzato da sole e mare, personaggi ben noti nei romanzi di Andrea Camilleri, si snodano le vicende narrate ne “Il Tuttomio”, un romanzo breve ma tra i più sorprendenti dello scrittore siciliano, edito da Mondadori.
Arianna, la protagonista, ha da poco superato i trent’anni, ma ha conservato un’indole infantile che le conferisce un fascino particolare, rendendola quasi magicamente irresistibile. Quando sposa Giulio, stregato dalla sua sensuale immaturità, Arianna entra nella sua vita portando una luce che egli non sperava più di trovare, ma che tenta di restituirle viziandola in ogni modo possibile, anche con quello che lui non potrà mai darle fino in fondo a causa di una menomazione fisica. Giulio inizia così ad organizzarle una serie di appuntamenti con uomini accuratamente selezionati, scandendo la loro quotidianità sentimentale e sessuale attraverso poche ma inviolabili regole. In questa trama di incontri, però, Arianna conserva i suoi spazi con tutta l’ostinazione di una bambina, nascondendo gelosamente a tutti un luogo segreto e misterioso, ricavato nel buio della mansarda di casa, nel quale esprime completamente sé stessa, senza nessun filtro: il tuttomio, come lei stessa lo chiama. Qui conserva i suoi piccoli tesori, come nella caverna dove si rifugiava da bambina, e si confida con l’amica “immaginaria” Stefania, tra gioco e realtà, seguendo un fin troppo labile confine della mente.
Quando in questo stravagante equilibrio si inserisce Mario, un diciassettenne impulsivo e passionale, alcune certezze di Arianna crollano e, in un viaggio tra ricordi sconcertanti e incontri proibiti, molte regole verranno infrante, riportando alla luce un passato torbido, tanto quanto il presente, fino ad un epilogo terribile e sconvolgente.
In questo giallo atipico, dalla forte carica erotica, Camilleri tratteggia, in un italiano scorrevole e raffinato, personaggi che lasciano senza fiato, mostri moderni, eppure retaggi, sia di un glorioso passato letterario, sia di vicende di cronaca, in una fitta trama di rimandi e citazioni.
Asciutto, ironico, crudo, senza bisogno di ricorrere al sangue, e magistralmente limpido nello stile, tanto quanto torbido nelle vicende, il labirinto di Arianna ci avvolge in un gioco spietato, privo di ogni inibizione, come solo la crudele verità di una bambina mai cresciuta potrebbe fare.
Arianna, apparentemente bambola in una vita costruita a misura dei suoi bisogni, è in realtà una disarmante manipolatrice, capace di reinventarsi sempre e sopravvivere, avvolta da un inquietante candore che, una volta letta l’ultima riga, ci avrà reso tutti irrimediabilmente un po’ più neri.


mercoledì 16 maggio 2018

Fatti i fatti tuoi! ha fatto goal: Giulia Ianni, in ricordo di mio fratello, Antonio



Mancano ormai poche settimane alla chiusura del Campionato e, con un pizzico di scaramanzia, come spesso accade sul campo da gioco, anche l’avventura di “Fatti i fatti tuoi!” al fianco dell’A.S.D. Antonio Ianni volge al termine. Dopo esserci fatti raccontare da Maurizio D’Onofrio cosa significa essere il Presidente di una squadra di calcio di Terza Categoria e da alcuni dei componenti della squadra quali sono i loro sogni e le motivazioni che li spingono a scendere in campo ogni domenica anche in ricordo di Antonio, abbiamo voluto chiedere a Giulia Ianni, sorella di Antonio, chi fosse per lei suo fratello e cosa rappresenti oggi, per la sua famiglia, l’impegno della squadra che porta il suo nome per tenerne viva la memoria.
Ultima di tre fratelli, oggi quasi ventenne, Giulia conserva un ricordo molto tenero di Antonio, fatto della complicità e della spensieratezza dell’infanzia e dell’adolescenza che non sono state spezzate neppure dalla drammaticità del destino. Tutta la famiglia, infatti, è stata sin da subito coinvolta nel progetto di fondazione e creazione della squadra dedicata ad Antonio e soprattutto Giulia segue i ragazzi in campo, facendo il tifo dagli spalti ogni volta che le è possibile e sostenendoli anche sui Social. Questa vicinanza dei compagni e degli amici di Antonio a tutta la famiglia Ianni ha contribuito e contribuisce quotidianamente a riempire un vuoto che mai sarà possibile colmare del tutto, ma che, grazie a questa iniziativa, viene affrontato col coraggio e col sorriso che contraddistinguevano lo stesso Antonio.
Come ci ha raccontato Giulia, l’assenza di Antonio è solo fisica, perché il suo spirito, oltre che nei cuori di tutti i suoi familiari, è presente ogni domenica, grazie al valore e all’anima sportiva dei suoi compagni, su quei campi da gioco che per lui hanno rappresentato non solo un passatempo, ma una vera e propria ragione di vita.


Quando una vita viene spezzata in modo prematuro, il compito di proteggerne il valore e lo spirito spetta a chi resta. Chi era Antonio? E chi è oggi?

Antonio è mio fratello. Parlo al presente da sempre, perché l'assenza è soltanto fisica. I suoi compagni lo hanno già descritto in modo perfetto: un ragazzo completo in tutto e per tutto, semplice e leale.
Non c'è una definizione esatta, credo che "fratello" sia un concetto difficile quanto bello da spiegare.
Da quando Antonio non c’è più è cambiato tutto, non si può negare, ma la famosa frase che recita: "Nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta", è più che veritiera. Le assenze le colma soltanto chi le lascia. È difficile, ma mollare complicherebbe le cose, quindi è "giusto" tenere duro e andare avanti per tutti noi.

La passione per il calcio ha sempre accompagnato Antonio sin da bambino. Qual è stata la vostra reazione come famiglia quando avete saputo che i suoi amici e compagni avrebbero fondato una squadra a lui dedicata?

Quando ci hanno comunicato l'idea della nascita della squadra siamo rimasti colpiti. Io soprattutto ero, e sono, molto contenta. Sono gesti che valgono più di qualsiasi dichiarazione di amore o di amicizia. I fondatori della squadra li conoscevamo già da un po' poiché giocavano con Antonio nel Quadraro e poi nel Capannelle e con loro abbiamo un rapporto speciale da tempo.
Seguiamo la squadra in modo assiduo e abbiamo molto a cuore la situazione.
La squadra principalmente si basa sui principi che caratterizzavano Antonio come calciatore e come persona, cioè l’amicizia, il coraggio e la lealtà verso il prossimo, oltre all’amore per lo sport.
Inutile dire che mi definisco in un certo qual senso la "Mascotte" e il "Capo Ultras" della squadra, perché sono sempre lì a fare il tifo. Prima e dopo le partite soffro quasi quanto i giocatori, da fuori mi si sente!

Tu e tutta la tua famiglia seguite da sempre le vicende della squadra che porta il nome di Antonio: raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che è rimasta particolarmente impressa nel tuo cuore di tifosa in questi anni.

Di episodi rimasti nel cuore ce ne sono tantissimi. Ho così a cuore la squadra e anche tutti i ragazzi, che è difficile preferirne uno, piuttosto che un altro.
Forse però quello più recente e che ancora dà brividi al pensiero è la partita del 17 dicembre, in casa, A.S.D. ANTONIO IANNI contro LUCKY JUNIOR. Andammo in vantaggio, l'esultanza del momento provocò un’emozione forte. Poco dopo, però, arrivò il pareggio, noi in tribuna eravamo nervosi. Quasi allo scadere del primo tempo, l'autore del goal, Stefano, si scontrò con un avversario e cadde a terra. All'inizio ci fu il silenzio, subito dopo sentimmo le urla, l'arbitro fermò il gioco, ci fermammo tutti, attoniti. Ricordo le facce di ciascuno tese per la grande preoccupazione. Stefano dopo svariati minuti venne portato via e disse una cosa importantissima ai ragazzi: "Vincete questa partita", poi uscì in barella con un’espressione mista tra dolore, rabbia e senso di colpa.
Riprese il secondo tempo e i ragazzi scesero in campo con tanta grinta, erano rimasti segnati da ciò che era accaduto. Eravamo tutti con il fiato sospeso.
A 2 a 1 per noi tutti esplosero di gioia. Fu una scena a dir poco da brividi, dalla panchina entrarono tutti in campo, ancora però si respirava aria di tensione, almeno finché non arrivò il terzo goal.
Riuscirono ad accontentare Stefano e soprattutto noi!
Tornammo a casa contenti ma con il dispiacere per ciò che era successo al nostro giocatore.

È il ricordo a mantenere vive le persone che non ci sono più e a dare alle famiglie la forza andare avanti. Qual è il tuo ricordo più vivo di Antonio?

Non ci sono ricordi più forti di altri. Antonio è, e sarà un pensiero continuo e soprattutto forte, un ricordo dopo l’altro. Il suo modo di essere e di fare così prezioso lo rende unico.
Il suo essere affettuoso, onesto, leale, gentile con noi, con gli amici, con i colleghi, con chiunque lo conoscesse. Chiunque lo ricorda in modo positivo, e tutti hanno ricordi bellissimi. Ricordi che hanno un sapore un po' amaro, ma che fanno comunque sorridere, come, siamo certi che lui avrebbe voluto.

Cosa ti auguri per il futuro della squadra A.S.D. Antonio Ianni? Fai un appello a tutti i ragazzi della squadra…

Per il futuro della squadra ci auguriamo il meglio, sia io, che i miei genitori e mia sorella. Come ho già detto, mi sento molto legata alla squadra e con alcuni ragazzi ho un rapporto particolare, soprattutto con Riccardo, l'ex capitano, visto che fa parte della mia famiglia già da un po' di tempo.
Spero che la squadra possa continuare a crescere, e che possa andare più avanti possibile e continuare a darci emozioni di tutti i tipi.
Di appelli ai ragazzi ne ho fatti molti, ne sanno qualcosa dei miei discorsi negli spogliatoi, ho sempre detto le stesse cose, sanno benissimo cosa vogliamo e cosa ci aspettiamo.
Mi sento soltanto di dire loro di giocare e dare sempre il massimo, di rispettare i valori dello sport in cui mio fratello credeva, di metterci impegno e passione, di crederci, di non mollare per nessun motivo al mondo, di dimostrare che possono fare di più, e soprattutto di essere una squadra unita in tutto e per tutto. Voglio molto bene ai ragazzi! Soprattutto perché alcuni di loro mi hanno "adottato". Mi piace scherzare con loro e chiacchierarci e, perché no, anche tirare due calci al pallone ogni tanto. Anche se non sono ai livelli di un dilettante, mi piace giocare nel vero senso della parola. L'ultima cosa che mi sento in dovere di dire ai ragazzi è: CUORE, GRINTA E POLMONI, PAURA DI NESSUNO! FORZA ASD ANTONIO IANNI SEMPRE E COMUNQUE!



mercoledì 9 maggio 2018

Luigi Lima: ricordo di mio padre, Giuseppe, nei cieli dell’Iraq



Ci sono storie che hanno bisogno di tempo, prima di essere raccontante. Le vedi crescere, sbocciare, proprio come i fiori che si schiudono per essere ammirati solo nel momento giusto.
Quando ho conosciuto Luigi Lima era un bimbetto di non ancora dieci anni che mi arrivava all’altezza delle spalle, con i capelli biondissimi e gli occhi cangianti e curiosi. Oggi mi supera in altezza di parecchi centimetri e, diciotto anni appena compiuti, ha uno zaino di sogni sulle spalle di quelli che, invece di appesantire, sollevano verso orizzonti sempre più lontani.
Quando suo padre, Giuseppe Lima, Pilota del nostro Esercito, è venuto a mancare in un incidente nei cieli dell’Iraq, in cui si trovava in missione di pace, il 30 maggio 2005, Luigi era molto piccolo. I ricordi che un bimbo di cinque anni conserva di un padre venuto a mancare troppo presto sono il calore del suo abbraccio e il suono rassicurante della sua voce, oltre alle passeggiate a cavallo sulle sue spalle che sembravano così alte a forti da permettere di toccare il cielo con un dito. Ricordi confortanti, ma anche dolorosi. Immagini spesso sfuocate che non possono rispondere alla frustrazione che genera una mancanza così grande e ai tanti interrogativi senza un perché.
In questi anni non tutto è stato semplice. Io stessa posso testimoniarlo con tutta la dedizione e la delicatezza con cui tanti amici sono stati accanto a Luigi e alla sua famiglia in questi anni di costruzione e ricostruzione di loro stessi. Ci è voluto coraggio e pazienza e ce ne vorrà per sempre, perché non c’è rimedio definitivo per una perdita così grave, se non raccontare e condividere.
C’è voluto del tempo prima che Luigi si sentisse predisposto a conoscere davvero la storia di suo padre. Prima che i racconti di un nonno devoto e di una mamma affettuosa diventassero un balsamo rigenerante. Prima che le foto e filmini gli strappassero un sorriso e non solo lacrime e rabbia. Prima che il desiderio di conoscere suo padre, attraverso le parole dei suoi cari, assumessero le sembianze della rielaborazione, della progettualità e della speranza.
Non un attimo prima, né un istante dopo, proprio come un fiore che sboccia, oggi Luigi si è sentito pronto a raccontarmi la sua storia e i tanti progetti che lo vedono impegnato a tenere viva la memoria di suo padre. E io che del fare le domande giuste cerco di fare una missione e una professione, stavolta non ho avuto bisogno di farne e mi sono limitata ad ascoltare una storia che già conoscevo dal suo personale e particolare punto di vista.
Seguendo le proprie aspirazioni e inclinazioni, Luigi sta crescendo, forte e fragile come tutti noi, e una cosa è certa: qualunque traguardo raggiungerà nella vita, all’amore di chi lo sostiene ogni giorno nel suo percorso, si aggiungerà sempre uno speciale raggio di sole proveniente da quei Cieli da cui suo padre, Giuseppe Lima, lo veglia e lo protegge.


Chi è Giuseppe Lima, tuo padre? Raccontaci la sua storia.

Mio padre è il Tenente Colonnello Pilota Giuseppe Lima, Comandante del 25° Gruppo Squadroni “Cigno” Aves di Rimini, caduto in Iraq il 30 maggio 2005.
La carriera militare di mio padre è iniziata molto presto: dopo aver frequentato l’Accademia di Modena, 167° Corso “Fermezza”, è diventato Pilota, guadagnando una grande esperienza anche in ambito internazionale, grazie alle numerose di ore di volo. Il suo primo incarico è stato Comandante di Plotone, Ten. 2° Reggimento Pontieri di Piacenza nel 1990.
Dopo aver conseguito la Laurea in Ingegneria Civile nel settore dei trasporti nel 1995 presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, si è specializzato anche in Scienze Strategiche nel 1999 e in Scienze Internazionali e Diplomatiche nel 2004 presso l’Università degli Studi di Torino e presso l’Università degli Studi di Trieste.
Oltre ai molteplici ruoli ricoperti in ambito nazionale, si è distinto per alcuni incarichi in ambito internazionale, in particolare negli Stati Uniti, presso l’Air Force Base di Tampa dove è stato due volte. Mio padre ha svolto anche varie missioni di pace all’estero in Albania-Macedonia, Kosovo e Iraq, dove è venuto a mancare prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile nella nostra famiglia.
È difficile descrivere cosa si provi a crescere senza un padre come punto di riferimento. Quello che è accaduto il giorno della scomparsa di mio padre lo so grazie ai racconti di mia madre e dei miei nonni, perché all’epoca ero troppo piccolo per capire, avevo solo cinque anni, mio fratello Federico ne aveva tre e mia madre era incinta di Gabriele Giuseppe, il mio fratellino più piccolo.
Il tragico incidente in cui ha perso la vita mio padre è accaduto di ritorno da un’operazione assieme al suo equipaggio, denominato “Milan 63”, composto dal Maggiore Marco Briganti, dal Maresciallo Capo Massimiliano Biondini e dal Maresciallo Ordinario Marco Cirillo. L’elicottero AB-412, su cui si trovavano i quattro militari ha incontrato una tempesta di sabbia che non ha lasciato scampo a nessuno di loro. Una tempesta di sabbia, infatti, come mi hanno raccontato, purtroppo è tra i peggiori nemici di un pilota, anche esperto, e a nulla sono valse le centinaia di ore di volo accumulate di fronte alla violenza del destino. Ricordo che mi hanno riferito che mio padre si trovava su quell’elicottero per stare accanto a un collega in lutto che stava per tornare in patria e mio padre aveva voluto accompagnarlo. La sua generosità e la sua lealtà verso i compagni gli è stata fatale, ma sono proprio queste le qualità che ricordo maggiormente di lui e che lo hanno reso un uomo speciale e un militare di grande valore.
Mio padre è stato insignito della Medaglia NATO, della Croce Commemorativa per le Operazioni di Pace e della Croce Commemorativa per le attività di Soccorso Internazionale. Inoltre gli sono state intitolate numerose vie, piazze e giardini in tutta Italia, in particolare il “Giardino Giuseppe Lima” che si trova a Fonte Laurentina, a Roma, il quartiere dove attualmente vivono i miei nonni e dove anche io e i miei fratelli siamo cresciuti e abitiamo.
Ogni anno, quando ricorre l’anniversario della scomparsa di mio padre, l’Aves si stringe attorno a tutti noi come una vera e propria grande famiglia che, in questi dodici anni, è stata sempre al nostro fianco. Sono orgoglioso di poter dire che, oltre alle parole di mia madre e dei miei nonni, è grazie ai racconti dei colleghi e amici dell’Aves che io e i miei fratelli, Federico e Gabriele Giuseppe, abbiamo imparato a conoscere nostro padre.



Qual è il tuo ricordo più vivo di tuo padre? Quante volte al giorno pensi a lui?

Penso a lui ogni giorno, tante volte. Non dico che gli parlo, ma, in un certo senso è come se lo facessi, perché mio padre è il mio esempio in ogni cosa che faccio. Ho tanti ricordi di mio padre, nonostante fossi piccolo quando è morto. Ricordi speciali di un’infanzia felice che si mescolano alle foto e ai filmini dell’epoca che, ancora oggi, ogni tanto, guardiamo con mia madre e i miei fratelli. Ho capito in fretta che mio padre faceva un lavoro importante che lo teneva spesso lontano dalla famiglia. Rientrava la sera molto tardi, quando io ero già a letto e le volte che veniva a prendermi a scuola era una festa! Mi riempiva di affetto e di attenzioni e, quando si allontanava, non mi faceva mai sentire la sua mancanza. Come tutti i bambini, al suo ritorno gli chiedevo sempre se mi avesse portato un regalo e alcuni dei giocattoli dell’epoca li conservo ancora. Ricordo che la mattina presto, quando era già pronto per uscire, io sgattaiolavo fuori dalla mia stanza e correvo ad abbracciarlo di nascosto dalla mamma, chiedendogli di non andare a lavorare, come fanno tutti i bambini che non vogliono staccarsi dal papà. Per tanti anni è stato così doloroso pensare a lui, che facevo fatica a parlarne con chiunque, ma adesso mi sto liberando di queste paure e sto cercando di conoscere sempre meglio mio padre attraverso le parole di chi lo ha avuto vicino nella vita e sono orgoglioso di lui e di me stesso.



Stai per prendere la Maturità: quali sono i tuoi progetti per il futuro? Pensi che seguirai le orme di tuo padre?

Mi sto per diplomare in Sistemi Informativi Aziendali presso l’Istituto Leon Battista Alberti di Roma e l’informatica è una delle mie passioni, tanto che, per raccontare la storia di mio padre ho costruito vari siti e alcuni blog, oltre ad alcune pagine e gruppi Social. Non sono uno scrittore, ma raccogliere tutte le testimonianze di amici e parenti per scrivere la storia di mio padre è stato un esercizio che mi ha trasmesso molte emozioni forti e positive. Proprio in queste settimane sto completando le pratiche per la creazione dell’Associazione Culturale Colonnello Giuseppe Lima, una Onlus senza scopo di lucro, alla quale è possibile fare donazioni spontanee per il mantenimento delle opere pubbliche commemorative dedicate a mio padre e per tutte le iniziative di cui si farà portavoce l’Associazione stessa in futuro per non dimenticare.
Oggi che mio padre si trova in quei Cieli che ha tanto amato, io sto diventando un uomo e so che sono fiero di ciò che ha fatto per il suo Paese, anche se non mi ha permesso di averlo fisicamente presente nella mia vita. Ho imparato che mio padre è sempre al mio fianco e veglia su di me e sui miei fratelli. E voglio seguire le sue orme, come lui ha fatto con suo padre prima di me.