“Non
di rado la letteratura diventa strumento di potere; chi ne ha le redini in
mano, da quel momento se le tiene strette. La cultura si chiude in casa e si fa
rappresentare dalla sua serva ch’è la sottocultura. Il mondo letterario ha
allora un suo governo il quale, come tutti i governi, tende a soddisfare
anzitutto le aspirazioni dei più bestiali, cioè i più forti, tra i suoi
sudditi. In quello che oggi scandalizza i giovani, non c’è nulla di nuovo; le
stesse prepotenze avranno scandalizzato trent’anni fa i loro genitori”.
Così comincia il primo articolo della raccolta “Il reato di scrivere”, edita da Adelphi nella collana Biblioteca
Minima, dello scrittore, traduttore e critico letterario J. Rodolfo Wilcock, argentino naturalizzato in Italia, scomparso
alla fine degli Anni Settanta. Fu un critico acuto, dalla penna pungente, che
collaborò con numerose riviste, pur avendo del ruolo della critica un’opinione
ben precisa, testimoniata spesso dal suo vezzo di recensire, ad esempio, spettacoli
che non aveva mai visto, o addirittura inesistenti, sulle cui tracce si
mettevano subito tutti, con suo grande divertimento. In questo breve libro sono
raccolti alcuni dei suoi articoli più interessanti sulla cosiddetta società letteraria
e sui suoi meccanismi, talvolta perversi, analizzati con ironia e spietatezza.
Le parole più dure Wilcock le riserva a quelli che, secondo lui, dovrebbero
essere permanenti cause di rivoluzione in questo mondo patinato: innanzitutto
la critica, nelle mani di persone che lui definisce prive delle qualità
necessarie; i premi letterari, non concessi al merito, ma ormai risultato di patteggiamenti;
i consulenti delle case editrici e i loro cosiddetti recensori ufficiali,
capaci solo di scegliere libri a caso e, infine, gli stessi scrittori,
esibizionisti poco lungimiranti, in grado, in questa marmaglia, di cancellarsi
da soli, senza neppure scomodare il tempo.
“L’omertà
viene detta buon gusto quindi è considerato di cattivo gusto rivelare le
vicende losche del sottobosco letterario”.
Con queste parole Wilcock apostrofa l’odierna
industria della carta stampata a tutto tondo, affermando che, in verità un vero
e proprio bosco non c’è. Tuttavia non c’è motivo di lamentarsi più di tanto
perché “l’ingiustizia è la giusta punizione di chi si offre al giudizio dei
suoi inferiori.” Leggere per credere!
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