Se
fosse possibile sfogliare un
quartiere come si fa con una rivista, restando colpiti, pagina dopo pagine,
dagli scorci, le vie e gli incroci disegnati dai palazzi e dalle strade, questo
sarebbe il Coppedè della nostra Capitale. Ma, se volessimo renderlo vero e
proprio protagonista di una storia in
carne, ossa cemento e architetture stravaganti e audaci, non ci resterebbe
che affidarci a Daniele Botti e, in
particolare, alla lettura del suo ultimo romanzo, “Forno Inferno”, Alter Ego
Edizioni.
Non
è la prima volta, infatti, che l’autore si lascia sedurre dal quartiere
Coppedè, mettendolo al centro di una delle sue narrazioni e facendocene
scoprire e riscoprire curiosità nascoste e verità più note, oltre che
immaginari abitanti e frequentatori, così vividi e vivaci, da saltare letteralmente
fuori dalle pagine delle sue storie.
Disturbante
come uno splatter e frastornante come un pulp, ma anche avvincente come un
mistery di altissimo livello e grottesco come la più graffiante delle satire:
“Forno Inferno” è un giallo dalla struttura e dallo stile sorprendenti e
originali che, talvolta si tinge di nero, talvolta di rosso, a seconda degli
umori e delle piste seguite dal protagonista, il Commissario Tinca, un uomo di
legge così bizzarro e sopra le righe, da stringere quasi un patto di sangue col lettore, rapito fin
da subito da tanta faccia tosta tipica del “buono”, che ha messo la corazza del
“cattivo”, come certi animali esotici che tentano di spiazzare gli avversari,
ben più forti di loro, con veri e propri “giochi di prestigio”, pur di
sopravvivere.
La
storia inizia con l’omicidio di Ermete Lucifero, un anziano Professore dedito
all’occultismo, che viene ritrovato morto in seguito a una oscura cerimonia
rituale proprio nella sua abitazione al Coppedè. Le indagini di Tinca, sempre al
soldo della setta dei Neri, lo condurranno alla scoperta dell’“Enigma dei
petali di rosa”, di cui è cosparsa la scena del crimine, un mistero che risale
al Medioevo e che lo trascinerà in un vortice ai confini del tempo e della
realtà, tra Satanismo e Massoneria, dal quale sarà difficile uscire e
distinguere il vero dal falso. Il tutto tra un’irruzione e l’altra proprio nel Forno Inferno, la caratteristica
pizzeria che ha rimpiazzato il vecchio Caffè Coppedè, ridisegnando le geometrie
e gli equilibri del quartiere.
Un misterioso omicidio
rituale, una setta satanica e un enigma che risale al Medioevo infiammano le
vie della Capitale, dal pittoresco quartiere Coppedè, fino ai Castelli Romani:
raccontaci la genesi di questa nuova
indagine del Commissario Tinca, “Forno Inferno”, Alter Ego Edizioni. Cosa ti ha
ispirato durante la stesura e cosa volevi suscitare nei lettori?
L’ispirazione
è stata un romanzo trash, Il settimo
esorcista, Piemme Edizioni. Non so cosa volessi suscitare, è una domanda da
fare ai lettori a posteriori, dopo che hanno letto il libro. Io volevo dare
sfogo a certe pulsioni che mi agitavano.
La città di Roma e il
quartiere Coppedè, in particolare, sembrano essere un importante filo
conduttore della tua carriera di autore. Spiegaci le ragioni di questa scelta e
come si fa a rendere un luogo tanto importante quanto un vero e proprio
personaggio all’interno di una narrazione.
Ho
ambientato il primo dei miei gialli al Coppedè perché nessuno ci aveva mai
pensato, il motivo è molto semplice. Poi il Coppedè è un personaggio vero e
proprio, è vero, perché oltre a dettare lo stile del romanzo detta anche i modi
e i tempi narrativi: mescola i generi architettonici, i miei gialli mescolano
gli stili narrativi (pulp, splatter, satira, trash, mistery, poliziesco,
poliziottesco ecc); inoltre il quartiere è pieno di trovate e colpi di scena
che hanno il fine di stordire e frastornare il visitatore, proprio come i miei
romanzi.
Il Commissario Saverio
Tinca, protagonista delle tue storie, rappresenta tutto ciò che un “eroe” non
dovrebbe essere per farsi strada nel cuore dei lettori. Eppure, complice il tuo
stile graffiante, Tinca è entrato a gamba tesa nell’immaginario degli amanti
del genere. Come lo definiresti? In generale, come delinei i personaggi, sia
principali, sia secondari, delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?
Hai
detto bene: Tinca è l’esatto opposto di come dovrebbe essere un commissario. Credo
che risulti simpatico perché, nonostante il suo essere folle, violento, depravato
e sopra le righe, in realtà è vittima di una società che poi è la vera realtà
criminale. È una piccola tinca, con un gioco di parole, che nuota tra le piovre
e gli squali di Roma e tenta di stare a galla.
Per
delineare gli altri personaggi rubo dalla vita reale, mettendo attributi di
amici e conoscenti, ovvero da film, serie tv ecc. Ad esempio Santoponte
(l’usciere obeso del commissariato), è ispirato allo sportellista della mia
banca, che di cognome fa proprio Santoponte.
Per saper scrivere bene,
occorre, senza dubbio leggere molto, perché, in fin dei conti, anche una
pungente parodia può essere considerata un omaggio sui generis verso una storia raccontata da qualcun altro. Che libro
non può mancare sul tuo comodino e quale, invece, preferisti usare come
fermaporta?
Sul
mio comodino c’è di tutto, dalla Trilogia
della spada di ghiaccio di Topolino, firmata da Massimo de Vita, alle opere
di San Giovanni della Croce. Mi interessano molti i libri sull’alimentazione
(ad es. Berrino, 21 giorni per rinascere,
Shelton, Il digiuno può salvarti la vita).
Ultimamente sul fronte della narrativa mi hanno catturato due libri eccezionali:
Avviso ai naviganti, di Annie Proulx,
e Non devi dirmi che mi ami, di Sherman
Alexie, un autore notevole che non conoscevo. Non ho preclusioni, leggo di
tutto, e anzi la maggior parte delle volte sono i libri considerati trash a
ispirarmi (vedi la prima risposta).
A cosa stai lavorando
attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro e quanto dovremo
aspettare per la prossima irresistibile indagine di Tinca…
Ultimamente,
per riagganciarmi alla domanda precedente, ho solo voglia di leggere, leggere e
leggere. Cosa scaturirà fuori da questo, non lo so.