mercoledì 11 marzo 2020

Tre buone ragioni per… leggere durante la “quarantena”



L’emergenza Coronavirus in Italia è arrivata inaspettata come un temporale estivo, ma non scomparirà altrettanto facilmente. Per questa Pandemia, che ha colpito il nostro Paese più duramente degli altri, scopriranno, senza dubbio, una cura adeguata. Tuttavia, per curare l’animo ferito degli Italiani ci vorrà molto più tempo. Per quanto siamo un popolo energico, noto per l’entusiasmo che, spesso, ci fa mettere da parte i ricordi negativi, per esaltare maggiormente quelli positivi, qualcosa rimarrà marchiato a fuoco nel nostro cuore e, probabilmente, anche nelle nostre abitudini.
Chi ci governa ci ha chiesto coraggio e pazienza nell’affrontare un nemico microscopico e letale come un virus, restando in casa e stravolgendo la nostra esistenza, almeno momentaneamente. Non è facile reagire alla frustrazione continua che risiede nella sensazione di stare perdendo tempo. O meglio, di vedere il nostro tempo passare rimanendo impotenti, senza poterlo impiegare in ciò che più amiamo e che, fino a pochi giorni fa, poteva costituire, perfino, noiosa routine. L’unico modo per affrontare a testa alta le quattro mura della nostra casa è convincerci che ci proteggeranno e che, anche al loro interno, può germogliare la primavera del nostro cuore e del nostro intelletto, sempre più bersagliato dalla frenesia del quotidiano. La ‘cura’ migliore è, senza dubbio, la lettura. Ecco, dunque, le nostre tre buone ragioni per leggere durante la “quarantena” obbligata.

1.      Leggere in “quarantena” è viaggiare con la fantasia, senza uscire di casa. Leggere è il modo migliore di viaggiare, senza bisogno di alzarsi dal divano di casa. Esplorare generi diversi e, magari, tuffarsi indietro, nel passato e in avanti, verso un futuro ancora da scrivere, sono i segreti per non sentirsi rinchiusi e oppressi e non lasciarsi sopraffare dalla noia. Come ogni buona abitudine, leggere fa bene anche al nostro fisico, oltre che alla nostra mente, e sarà un ottimo modo per tenere in esercizio anche la fantasia dei bambini, apprendendo senza fatica.
2.      Leggere in “quarantena” è recuperare i tanti libri lasciati sul comodino. Chissà quanti libri avrà, ciascuno di noi, “parcheggiati” sul proprio comodino e mai finiti o, addirittura, mai iniziati. E ciò per motivi diversi. Chi acquista e legge molti libri, a volte ne lascia indietro qualcuno. Chi legge poco e acquista libri raramente non trova mai le motivazioni giuste per iniziare o finire. Il tempo in casa e l’impossibilità di uscire, anche per acquistare nuovi libri, può far riscoprire il piacere di completare la lettura di quelli lasciati a metà o di iniziarne alcuni mai letti prima.
3.      Leggere in “quarantena” è affacciarci e consolidarci nell’utilizzo dei libri digitali, grazie alla disponibilità di alcuni editori e piattaforme. Anche chi legge molto, a volte, preferisce le edizioni cartacee a quelle digitali. Per quanto il mercato dell’ebook sia stabile nel nostro Paese, la diffidenza dei lettori è sempre troppa. Questo periodo di impossibilità ad uscire, tuttavia, può farci scoprire o consolidare la lettura di libri digitali, anche grazie alla disponibilità di editori e piattaforme che stanno mettendo a disposizione di tutti i lettori una gran quantità di titoli gratuiti o a prezzi irrisori per passare il tempo. Questa forma di lettura sostenibile va favorita e incentivata sempre di più.


mercoledì 12 febbraio 2020

“Castigliego e i tormenti del Papa” di Alessandro Maurizi



Non è Dan Brown, ma, per chi ama i gialli ambientati in Vaticano, è perfino meglio. Si tratta dell’ultimo romanzo di Alessandro Maurizi, “Castigliego e i tormenti del Papa”, Fratelli Frilli Editori, una nuova indagine del commissario italo-spagnolo nato dalla penna dell’autore viterbese.
Dopo il successo di “Roma e figli delmale”, la prima indagine di Castigliego che si dipanava in ambienti ecclesiastici sporchi e corrotti, Alessandro Maurizi è salito di livello e ha catapultato il suo affascinante e irriverente commissario direttamente ai piani alti della gerarchia ecclesiastica.
È proprio con gli ambienti pontifici che Castigliego si ritrova ad avere a che fare questa volta, nel cuore pulsante del Vaticano, durante un conclave segnato da omicidi e fatti di sangue che elegge un pontefice terrorizzato da quanto sta accadendo e che prende il nome di Celestino VI. Probabilmente un omaggio a Dante, per chi ricorda il Celestino V collocato tra gli ignavi infernali dal Sommo Poeta, a causa del cosiddetto gran rifiuto. Celestino VI si ritroverà invischiato nell’avvelenamento di un cardinale durante il conclave, un misterioso incidente che solo Castigliego potrà risolvere.
Il commissario inizierà la sua indagine partendo dalla morte di Freitas, una giornalista indipendente che, grazie a un appunto inquietante trovato tra le sue carte, lo metterà inconsapevolmente sulla strada giusta. Si tratta di una sola misteriosa parola: Sheol. Nell’Antico Testamento, come spiegherà a Castigliego l’amico arcivescovo Delfo Furesi, Sheol è il luogo terrificante e oscuro in cui Dio minaccia di imprigionare gli uomini, senza distinzione alcuna per le loro azioni, buone o cattive.
Un omicidio dopo l’altro, il commissario Castigliego, sempre seguito dalla sua squadra e da un nuovo istrionico aiutante, ma fondamentalmente solo e solitario, si inoltrerà in un’indagine ancora più complessa della precedente, destinata a scoperchiare porte che danno sull’abisso più oscuro, sul quale nessuno vorrebbe affacciarsi.
Alessandro Maurizi è tornato a deliziare i lettori con una nuova avventura del commissario Castigliego che lo candida, sempre più, a essere potenziale protagonista del piccolo schermo, magari con una serie proprio a lui dedicata. Alcuni capitoli e alcune pagine di questo nuovo noir, che strizza sempre più l’occhio al thriller, sembrano scritte apposta per diventare le scene di una sceneggiatura. Lo stesso Castigliego, protagonista indiscusso, ma non invadente sulla solidità della storia in sé, ha decisamente il phisique du role per diventare un grande commissario televisivo: ribelle, ma anche rigoroso. Lasciando da parte queste considerazioni, Alessandro Maurizi ha la capacità di intrecciare reti di personaggi e situazioni in modo magistrale e originale nello stesso tempo, incontrando i gusti di più tipi di lettori e rendendo vividi e verosimili ambienti che hanno fatto grandi altri autori, spesso meno ferrati di lui. Per chi conosce Roma, il Vaticano, la storia e la cronaca di questi luoghi, è quasi come sentirsi a casa. Mentre, per chi è lontano da questi ambienti, è come entrare dalla porta di servizio e diventare protagonisti assoluti della scena, semplicemente leggendo.
Il vero mistero, adesso, è dove si svolgerà la prossima indagine di Castigliego? L’immancabile gatto Salgado, muto testimone di tutte le avventure del commissario dal sangue ispanico e suo unico vero amico, cosa ne penserà? Ma soprattutto, quanto durerà l’attesa per noi lettori, ormai strettamente dipendenti?


mercoledì 15 gennaio 2020

Luana Troncanetti: storie di donne in nero


Di storie di donne non siamo mai sazie. Soprattutto se sono scritte col trasporto che caratterizza lo stile di Luana Troncanetti. Dopo il successo de “I silenzi di Roma”, Fratelli Frilli Editori, Luana Troncanetti ha dimostrato tutta la sua sensibilità con “Gabbie”, una raccolta di racconti autopubblicata che mette insieme storie di “donne in nero”, intrappolate in gabbie, vere o immaginarie, dalle quali faticano a tirarsi fuori.
Miriam, Giorgia, Adalet, Eva e Nunzia sono le cinque protagoniste di altrettante storie che toccano profondamente l’immaginario e la sensibilità del lettore. Chi conosce il talento letterario dell’istrionica autrice, rimarrà piacevolmente colpito, ancora una volta, dalla potenza descrittiva delle sue pagine, nelle quali è facile immedesimarsi. Ciascuno dei personaggi femminili che vivono queste vicende, talvolta crude, è una sfaccettatura letteraria dell’imperscrutabile fragilità delle donne e di tutti i ruoli che ognuna di noi ha nella propria vita.
Questa raccolta di racconti ha un unico vero difetto: è troppo breve per saziare la fame di tutte le lettrici più voraci.


Cinque donne in gabbia che fanno i conti con le sbarre che le imprigionano, fuori e dentro loro stesse: “Gabbie”, una raccolta di racconti auto pubblicata, contiene storie caratterizzate da interessanti spunti di riflessione, che, tra l’altro, hanno vinto premi importanti. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa volevi comunicare?

“Gabbie” è una raccolta auto pubblicata sui generis: in realtà quattro racconti su cinque figurano in antologie cartacee con edizione canonica. È capitato, citando il titolo dell’unico inedito, che qualcuno mi chiedesse di leggere questi scritti. Mi sono detta che in pochi sarebbero stati disposti ad acquistare un’antologia soltanto per me. L’idea, banalissima, è stata quella di radunarli per offrire assaggi della mia penna a un prezzo più che contenuto.
A differenza di Agrodolce, una raccolta pubblicata anni fa con l’Erudita (Giulio Perrone), quando li ho accorpati in un unico file mi sono accorta del fil rouge: donne infilate in una prigione. 
Non restava che ideare un titolo e una copertina che le rappresentasse. Gabbie mi sembrava calzante, così come l’immagine libera da copyright che ho utilizzato per realizzare la cover.
Il messaggio è racchiuso nell’aforisma di Victor Hugo che introduce l’e-book: “L’anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. È l’unico uccello che sostenga la sua gabbia.”

Che scrittrice sei? Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Segui l’ispirazione a ogni ora della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

La mia attuale esigenza di scrivere mi sorprende. Come sia nata, di colpo, questa voglia di raccontare storie davvero non te lo so dire; il mio sogno sarebbe stato quello di disegnare. Scrivo in modo più o meno sistematico da circa dieci anni, nel caos più totale, “con le scie degli aerei nemici sulla testa.” Così mi diverte definire il mio metodo collaudato.

Miriam, Giorgia, Adalet, Eva, e Nunzia: ecco le cinque donne protagoniste dei racconti noir. Come le definiresti? In generale, come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?

Le mie donne sono uccelli senza voce, mi hanno chiesto di raccontare il loro canto nero. Soffocate da precetti e pregiudizi, alcune di loro si macchiano di colpe che pagano senza sconti di pena. Altre, del tutto innocenti, sono tuttavia incarcerate in quella mastodontica balla che una donna, soprattutto se madre, deve farcela sempre. Nessuno, però, la sostiene o le insegna come. Fra le cinque, Eva e Nunzia sono le uniche ad avere figli. Le sole - in ogni possibile accezione - costrette a sporcarsi le mani di sangue. Mi sento male tutte le volte in cui rileggo le loro storie.
Per quanto mi riguarda, nei romanzi è vitale una programmazione degli eventi e una delineazione preventiva dei personaggi. Succede anche nelle duecento pagine che l’idea iniziale assuma risvolti imprevisti, ma è più difficile. La scaletta aiuta a non perdermi e soprattutto a non far smarrire il lettore.
Nei racconti brevi sono i protagonisti che mi raccontano la loro storia. Fino a poco tempo fa avrei sghignazzato all’idea di trasformarmi in una dattilografa. Invece, mi succede questo: anche quando parto da un tema assegnato, e non da un’ispirazione tutta mia, scrivo sotto dettatura. Carmen è un esempio su tutti. Sfora abbondantemente le dieci cartelle, rappresentando in genere la mia dimensione ideale. L’ho buttato giù in un’ora, quasi in trance, senza sapere quale piega avrebbe preso la storia. Era Grazia, la narratrice, che mi diceva tutto. 

Tra Web, selfpublishing e case editrici, gli autori di oggi sono portati, ma anche obbligati, a reinventarsi continuamente. Facciamo un bilancio del tuo percorso di scrittrice, tra difficoltà quotidiane e obiettivi raggiunti. È ancora possibile oggigiorno, secondo te, vivere di scrittura?

È possibile per pochissimi. Anche i più affermati si tengono stretto il lavoro che produce reddito.  Portano avanti il secondo, quello della scrittura, che potrebbe produrne con incognite che spesso prescindono logica e meritocrazia. Mi sembra una scelta saggia ed è così da sempre.  

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.  

Ho quasi terminato di raccogliere la documentazione necessaria a scrivere il sequel de I silenzi di Roma, un noir edito dalla Fratelli Frilli Editori. In questa seconda puntata darò maggior risalto a Paolo Proietti, ispettore capo della squadra mobile sezione omicidi di Roma. Al momento è il coprotagonista del romanzo insieme a Ernesto, tassista e amico fraterno.
Per delineare nel miglior modo possibile le azioni del mio ispettore, sto scomodando due poliziotti e un’avvocata penalista. Ho rallentato di almeno tre mesi l’inizio della stesura, voglio evitare svarioni procedurali o suggestioni al limite del surreale; ho letto in giro di ufficiali di Polizia in servizio attivo che soffrirebbero di attacchi di panico e/o altre patologie invalidanti anche per chi svolge professioni meno complesse. Romanzare è lecito, concedere licenze alla realtà senz’altro possibile. Nonostante ciò, ho preferito frenare i tempi della seconda uscita per offrire una storia che non scalfisca la veridicità e la logica. È un atto di cura dovuto al lettore, anche al meno esigente.
Il secondo progetto richiederà parecchio tempo: si tratta di un romanzo che ho steso di pancia circa tre anni fa. Va ampliato e revisionato in ogni virgola. Non ha un genere specifico, il tema principale è il terremoto. L’argomento mi sta a cuore perché sono di origine marchigiana. Conosco bene, anche se in forma trasversale, lo strazio di chi deve ancora combattere un evento che ha devastato cinque regioni italiane. Racconterò quella più vicina a me per ragioni di sangue, il pensiero abbracciato al dolore di tutte le altre.