Un presunto serial killer, spaventosamente
violento, terrorizza Düsseldorf. Georg Stadler, commissario di grande
esperienza, è deciso a catturarlo e, contro il parere dei superiori, chiede l’aiuto
di Elisabeth Montario, giovane psicologa criminale, nota per aver risolto,
grazie ai suoi profili, una serie di omicidi in cui la polizia brancolava nel
buio. Tra i due nasce un rapporto di forte complicità che li condurrà
nell’abisso della mente di un killer che sembra non volersi fermare davanti a
nulla. Inizia così “Muori con me”,
edito da Giunti, un thriller di Karen Sander.
Quando il doloroso passato di Elisabeth Montario
tornerà a galla, mettendo in pericolo le indagini e la sua stessa vita, Georg Stadler
dovrà mantenere tutta la lucidità necessaria per risolvere un caso che lo metterà
profondamente in discussione, in un crescendo di tensione e colpi di scena.
“Muori con me” è il primo di una serie di romanzi
che ha per protagonisti la coppia Stadler-Montario e che sta entusiasmando il
pubblico tedesco e non solo. Scorrevole, emozionante e coinvolgente, il romanzo
è molto ben costruito, sia per quel che riguarda il mistero da risolvere, sia per
il rapporto tra i protagonisti, profondo e mai banale. Lo stile di Karen Sander
è pulito e semplice, lasciando al lettore lo spazio necessario per entrare in
empatia coi protagonisti, che mostrano un aspetto umano interessante tanto
quanto la soluzione dei delitti. Al contrario di tanti personaggi solitamente
presenti nei thriller, così perfetti da sembrare invincibili, Georg ed
Elisabeth subiscono profonde trasformazioni all’interno della narrazione:
commettono errori, prendono abbagli e si mettono in dubbio, dimostrando che
sono talento, intuito e passione a fare la differenza anche nel loro duro
lavoro.
In attesa che, anche in Italia, vengano tradotti
tutti i successivi libri della serie, non si fatica a immaginare che un romanzo
così avvincente potrebbe facilmente essere adattato per il cinema o per la tv,
con grande soddisfazione di noi lettori che, dopo aver letto i libri, amiamo anche
vedere sullo schermo le storie che ci hanno fatto emozionare.
Anni Venti, Stanley Crawford è un cinico e
insopportabile gentiluomo inglese, il cui sarcasmo è superato solo dalla sua
abilità nei giochi di prestigio, che lo ha portato a girare il mondo vestendo i
panni del grande illusionista cinese Wei Ling Soo. In una società affascinata
dall’aldilà e in cui lo Spiritismo è di gran moda, Stanley è fermamente
convinto che, dopo la morte, non ci sia proprio nulla e viene invitato da un
vecchio amico a smascherare la giovane Sophie Baker, una presunta medium di
origini americane che si trova in Costa Azzurra, ospite di una ricca famiglia
che ha chiesto i suoi servigi. Stanley, incuriosito e diffidente, decide di
accettare l’incarico e incontra Sophie sotto la falsa identità di un uomo
d’affari, cercando di scoprire i suoi trucchi. Ma, complici i tramonti sulla riviera,
i consigli della zia Vanessa e un improvviso temporale estivo, Stanley si
renderà conto che avere fiducia nel prossimo fa assaporare la vita con
un’intensità tutta nuova, che non aveva mai provato prima. Sophie è brillante,
ironica, decisamente naïve e dotata di un fascino irresistibile, ma sarà una
vera medium? Una cosa è certa: il soprannaturale esiste e non c’è nessun trucco
nella magia dei sentimenti.
Woody e l’amore? Ci si potrebbe davvero scrivere un
libro. Ma se avete amato “Midnight in Paris”, non potrete che emozionarvi anche
di fronte a “Magic in the Moonlight”
una fiaba moderna diretta da Woody Allen
di nuovo in stile belle époque, dove tutto, dalla sceneggiatura, alla
fotografia, passando per le musiche e le splendide interpretazioni di Colin Firth ed Emma Stone, ci coinvolge in un’atmosfera davvero unica. Non sarà il
solito Allen impegnato e introspettivo, ma, pur trattandosi di una piacevole
commedia romantica, i dialoghi non deludono affatto in quanto a profondità e coinvolgimento,
e i personaggi sono messi a fuoco alla perfezione, ottenendo, nell’insieme, un
risultato davvero gradevole. In un’Europa che si prepara agli anni della
dominazione Nazista, Stanley Crawford è il perfetto esempio dell’uomo moderno
che crede solo a ciò che vede. Quando egli si rende conto che anche un imperturbabile
razionale come lui può essere toccato dalla magia dell’amore, sceglie di
assecondare la sua imperfetta umanità, non smettendo di farsi domande, ma preferendo
rispondere solo a quelle che sono davvero alla sua portata. Ciò fa della sua
tanto celata fragilità qualcosa da condividere con chi non avrebbe mai
immaginato al suo fianco. Sophie, infatti, è tutto ciò da cui è sempre fuggito,
nascondendosi dietro un carattere intollerabile. E se è vero che gli opposti si
attraggono è bello constatare che al chiaro di luna tutto può succedere.
Maia è una ragazza dalla bellezza radiosa, eppure
enormemente timida. Si trova a Londra da un’amica quando una notizia
tristissima la sconvolge: il suo amato padre adottivo, Pa’ Salt, è morto.
Inizia così “Le sette sorelle. La storia
di Maia”, Giunti, il primo
volume della saga romantica di Lucinda
Riley.
Maia fa immediatamente ritorno a Ginevra nello
splendido castello di Atlantis, dove viveva col padre e con l’affezionata
governante Marina, pronta a starle accanto. Ben presto la raggiungeranno le sue
cinque sorelle: tutte orfane provenienti da ogni angolo del mondo e adottate
bambine da quel padre carismatico e generoso che ha dato a ciascuna il nome di
una stella. Ad attenderle, però, c’è un curioso testamento: una sfera armillare
i cui anelli hanno incise alcune coordinate misteriose. Maia sarà la prima a
riuscire a decifrarle e a voler partire alla ricerca delle sue origini, in un
viaggio colmo di peripezie che la condurrà fino in Brasile, alla scoperta delle
avventure di Izabela, una sua antenata dalla quale ha ereditato tutta la sua
bellezza. Con l’aiuto del misterioso e affascinante scrittore Floriano, Maia
porterà alla luce una serie di segreti che sconvolgeranno per sempre la sua vita.
Quest’incantevole ed emozionante fiaba moderna, è solo una delle fatiche
di Lucinda Riley, una scrittrice di grande talento, il cui stile, delicato e
sobrio, è in grado di ammaliare davvero chiunque. In particolare “Le sette
sorelle. La storia di Maia” è il primo capitolo di una saga di sette libri che
ci stanno tenendo col fiato sospeso, raccontandoci, ciascuno, la storia di una
delle sorelle adottive coi nomi delle stelle e svelandoci i misteri del
castello di Atlantis, tra romanticismo e magia. Ogni sorella, infatti, si troverà
di fronte a un percorso che la condurrà verso il proprio destino, attraverso
tante avventure che quasi strizzano l’occhio alla letteratura fantastica, non
trascurando però gli aspetti storici dei fatti, né l’introspezione dei personaggi,
tratteggiati in modo intimo e coinvolgente. Una serie che si è dimostrata in
grado appassionare tutti, a tutte le età e in tutto il mondo, fino all’ultima
avventura.
“Qualche
volta fare la carogna è la sola cosa che resta a una donna”. A pronunciare queste parole è la pluripremiata
attrice Kathy Bates, che veste i
panni di Dolores Claiborne
nell’omonimo film del 1995, diretto da Taylor Hackford e tratto da un romanzo
di Stephen King. Dolores è una donna
forte e robusta, dai modi semplici e diretti. Quando viene accusata
dell’omicidio dell’anziana e ricchissima Vera Donovan, per la quale lavora come
domestica da oltre vent’anni, una parte del suo doloroso passato torna a
bussare alla sua porta. Molti anni prima, infatti, la donna è stata accusata dell’assassinio
del marito Joe, un alcolista violento e senza scrupoli. Dolores viene ben presto
prosciolta dall’accusa e la morte di Joe, avvenuta in circostanze misteriose
durante una spettacolare eclissi, viene archiviata come un incidente, ma
l’episodio mina irrimediabilmente il rapporto della donna con la figlia Selena,
interpretata dall’attrice Jennifer Jason Leigh. La ragazza, ormai diventata una
brillante giornalista, ha ben pochi ricordi della sua infanzia e, costretta a
tornare dalla madre per difenderla dalla nuova accusa di omicidio, si scontra
con le tristi vicende dell’adolescenza, che credeva di aver sepolto per sempre.
Ma la morte di Joe è stata davvero un incidente? E chi ha ucciso Vera Donovan?
Per scoprirlo non ci resta che affidarci ai ricordi più segreti di Dolores
Claiborne.
Si sa, durante le eclissi accadono le cose più strane.
Sembra che abbiano una strana influenza tanto su ciò che ci circonda, quanto su
noi stessi. Lo sanno bene Stephen King e lo sceneggiatore Tony Gilroy, che
hanno dato vita a un film straordinario, coinvolgente e terrificante nello
stesso tempo, emozionante e unico, come un’eclissi. Infatti, grazie anche alla
toccante interpretazione di Kathy Bates, già premiata per il ruolo di Misery
nell’omonimo film, sempre tratto da King, nessun appassionato del genere può
sottrarsi alla visione di questa pellicola. Le vicende drammatiche, magistralmente
narrate, ruotano, attorno a un’eclissi, sorprendente e raro spettacolo della
natura, ma si tratta soltanto di un affascinante pretesto.
In un continuo
susseguirsi di flashback, Dolores e Selena, ripercorrono le dolorose tappe del
loro rapporto madre-figlia, il vero tema centrale del film, tra ricordi tragici
e reciproche accuse, tentando di gettare le basi per una nuova, ma difficile relazione.
Il ritmo è lento, le atmosfere oscure, ma il tutto è sostenuto e cadenzato dai
dialoghi incalzanti tra le protagoniste, donne ferite in un mondo di uomini crudeli,
ma anche donne che non intendono rinunciare alle loro personalità forti. Lo
stesso personaggio di Vera Donovan, la ricca vedova che muore all’inizio del
film, ha un forte ascendente su Dolores, come si percepisce dai suoi stessi
racconti, che parlano di un rapporto di amore e odio, suggellato da un grande
segreto che ha tenuto unite le due donne per anni. E forse hanno ragione
entrambe: qualche volta fare la carogna è la sola cosa che resta a una donna.
Ma state tranquilli, uomini, la prossima eclissi ci sarà solo nel 2081: avete
tutto il tempo di godervi questo splendido thriller psicologico e magari
prendere qualche appunto per la sopravvivenza…
Nick Daniels è un giornalista vecchio stampo, di
quelli che le storie buone le riconoscono dall’odore. Quando l’ex campione di
baseball, Dwayne Robinson, deciderà di concedergli un’intervista esclusiva per
il Citizen, la rivista per cui lavora, Nick non se lo farà ripetere due volte.
Ma il giorno del colloquio, in uno dei ristoranti più in voga di Manhattan,
Nick non fa in tempo a accendere il registratore, che al tavolo accanto si
consuma un brutale omicidio: Vincent Marcozza, un avvocato noto per essere il
difensore dei più potenti capimafia della città, viene trucidato da un sicario
che riesce a far perdere le sue tracce. E questo è solo l’inizio per il povero
Nick, malcapitato testimone chiave di un’inchiesta che si rivelerà piena di
imprevisti e colpi di scena. Riuscirà Nick a risolvere il caso, scrivere un
pezzo decente e a salvare Courtney, suo capo e donna di cui è perdutamente innamorato?
Lo scopriremo solo leggendo “Altrimenti
muori”, un thriller di James
Patterson edito da Longanesi.
Il segreto di James Patterson? Bella domanda! Se
sapessimo come è riuscito a vendere oltre trecento milioni di copie in tutto il
mondo, diventando l’autore di thriller più amato degli ultimi anni, di certo
non saremmo qui a scriverlo. Ma Patterson è molto di più, per cui andiamo con
ordine.
Uno stile graffiante e scorrevole, capitoli brevi,
continui colpi di scena e grande acume nella descrizione dei personaggi sono
solo alcuni dei pregi che fanno leggere questo libro tutto d’un fiato e che
ormai hanno reso questo autore una vera garanzia per ogni lettore appassionato,
facendogli perdonare perfino lo scivolone sul luogo comune dei soliti italiani
mafiosi a New York. Una volta letto un libro di Patterson, viene voglia di collezionarli
tutti: dai numerosi romanzi della serie di Alex Cross, a quelli che hanno per
protagoniste le donne del Club Omicidi, passando per i thriller di Michael
Bennet e dell’Agenzia Private International, fino ai cosiddetti romanzi
singoli, come il nostro “Altrimenti muori”, tutti editi da Longanesi e Tea.
Vista la sua prolificità, Patterson non ha mai fatto mistero di avvalersi di
numerosi e fidati co-autori, i cui nomi sono sempre accanto al suo nelle copertine
dei romanzi, come Howard Roughan, che, in questo caso, ha collaborato con lui
nella stesura delle avventure di Nick Daniels.
Ma la vera grandezza di Patterson, quasi difficile
da credere, soprattutto se guardiamo all’editoria italiana, è la sua capacità
di essere un autore più che poliedrico, assolutamente trasversale. Dal giallo,
di cui è maestro, al rosa, passando per i libri per bambini e le sceneggiature
per il cinema e la televisione, nulla sembra poter sfuggire alla sua penna, con
gran successo di vendita e pubblico. Non c’è lettore che James Patterson non
sia in grado di soddisfare: provare per credere!
Lincoln, Nebraska. Frank Decker è un detective
tenace, con un profondo senso della giustizia e abile nel suo lavoro, tanto che
tutti lo credono vicino a una promozione: sarà lui il prossimo capo della polizia.
Finché un giorno, da un tranquillo sobborgo della città, scompare una bambina
di nome Hailey Hansen e tutto cambia. Le prime indagini sembrano non portare a
nulla e le statistiche sono spietate: se una persona scomparsa non viene
ritrovata entro le prime ventiquattro ore le probabilità che sia stata uccisa
sono altissime. Ma Frank è disposto a tutto pur di salvarla: anche a mettere in
discussione il suo matrimonio con Laura, lasciare il suo lavoro e una carriera
ormai avviata e iniziare un lungo viaggio fino a New York su tracce che
sembrano sempre più labili e inseguendo verità sempre più scomode. Riuscirà
Frank a mantenere la promessa fatta a Cheryl, la mamma di Hailey, e a riportare
la bambina a casa sana e salva?
“Missing.
New York” di Don Winslow, edito da Einaudi,
è solo il primo capitolo di una serie poliziesca che promette di tenerci col
fiato sospeso grazie a una serie di elementi decisamente positivi. Innanzitutto
la capacità dell’autore di mettere in piedi una storia credibile, su un
argomento molto attuale e non troppo esplorato come la ricerca degli scomparsi,
utilizzando un registro scorrevole, ma estremamente puntuale. I dialoghi sono
veloci e la descrizione delle indagini e delle procedure di ricerca, man mano
che il tempo passa inesorabile, è molto dettagliata e nello stesso tempo
incalzante. Il personaggio di Frank Decker, inoltre, è, in assoluto, l’eroe in
cui tutti vorremmo imbatterci: coraggioso e infaticabile, eppure profondamente
sensibile e coscienzioso. La sua psicologia riserverà senz’altro molte sorprese
nelle avventure che seguiranno, perché è un personaggio complesso, indiscutibilmente
a tutto tondo.
Un romanzo piuttosto breve, perfino troppo, da
leggere tutto d’un fiato e che non lascia affatto insoddisfatti, ma impazienti
di leggere i casi futuri.
A cosa serve la Storia? Bella domanda, vero? Chissà
quante volte ce lo siamo chiesti, da bambini, sui banchi di scuola, forse un
po’ confusi e annoiati, tra cronologie, battaglie ed eventi da ricordare. Fortunatamente
ormai siamo abbastanza grandi per prenderci una rivincita e iniziare a leggere
una Storia d’Italia decisamente insolita grazie a Cinzia Giorgio che, con la sua “Storia
Erotica d’Italia”,
edita da Newton
& Compton, ci farà vedere le cose da un punto di vista completamente
nuovo.
Che le doti amatorie degli Italiani siano leggendarie
è risaputo in tutto il Mondo, ma quanto sarà vero che sono così imbattibili?
L’autrice non pretende certo di rispondere in modo assoluto a questa domanda,
ma compie un’operazione decisamente intelligente: mette da parte le dicerie e
affonda il naso nelle fonti storiche, facendo rivivere personaggi che tutti
siamo convinti essere stati solo, re, dame, generali, artisti o politici e
invece, proprio come noi, spesso sono stati guidati dalle passioni, generando
intrighi e scandali che nessuno aveva mai osato raccontare prima.
Così dall’Antica Roma, agli scandali sessuali di
Berlusconi e Marrazzo, passando per il Medioevo di Boccaccio, le cortigiane
rinascimentali e gli amori ai tempi del Fascismo, pagina dopo pagina, scopriamo
una sorprendente Storia di relazioni intrecciate come e, perfino, meglio che in
un romanzo, in cui uomini e donne, contribuiscono equamente ad arricchire un
quadro assai intrigante.
Lo stile è limpido, scorrevole e accattivante, col
chiaro intento di divulgare e far riflettere, non solo attraverso figure
chiave, assolutamente esemplari dei periodi storici presi in esame, ma anche
grazie a ricostruzioni storiche impeccabili e fondamentali per inquadrare ogni
fatto. Un saggio in piena regola, col pregio di riuscire a informare e
approfondire, ma tenendo più che alta l’attenzione, quasi come quando si legge
un romanzo avvincente e non si vede l’ora di sapere come va a finire.
Deliziosamente evocativo e divertente, sorprendente
e mai banale, semplice ma estremamente accurato, questo libro è scritto
un’autrice di talento, che è stata in grado di rendere alla portata di tutti,
con innata eleganza, un tema spinoso e delicato, con la giusta dose di
irriverenza e compostezza, non scivolando mai in facili ovvietà. Del resto dal
passato c’è sempre da imparare…
Chi di noi non è assalito da numerose reminiscenze
scolastiche al solo sentire il nome di Denis Diderot? Illuminista, filosofo,
letterato, fautore dell’ambizioso progetto dell' Encyclopédie assieme al
collega D'alembert e intimo amico di giganti del pensiero moderno quali,
Voltaire, Rousseau e Grimm, non tutti sanno, però, che, tra le numerose opere
di Diderot, c’è anche un’interessante incursione nel mondo del romanzo con “La monaca”, un grande classico
decisamente sottovalutato, edito in Italia da varie case editrici, tra cui Garzanti.
La protagonista delle vicende narrate è Suzanne
Simonin, figlia adulterina appartenente a un’importante famiglia aristocratica
che, in età da marito, è costretta a chiudersi in convento, abbracciando la
vita monastica. All’inizio della sua permanenza a Longchamp Suzanne è quasi sollevata
da quella che ritiene un’inaspettata serenità, dopo un’infanzia di angherie e
soprusi da parte di una famiglia che la considerava inutile e scomoda, ma si
rende ben presto conto che, dietro a rapporti di apparente tranquillità, si
nasconde una terribile scia di violenza fisica e psicologica nei confronti
delle incolpevoli recluse come lei. Suzanne, allora, decide di tornare in seno
alla famiglia, ma l’astio e la freddezza con cui viene accolta la riportano ben
presto in convento, dove torna a essere vittima dell’istituzione che la
imprigiona e che non le ha perdonato l’iniziale ribellione alle sue regole
ferree. Nonostante la presenza di alcune compagne leali e degne di fiducia, il
fragile equilibrio di Suzanne si spezza di nuovo, dopo anni di reclusione e la
donna decide di fuggire, rifugiandosi a Parigi, dove morirà poco dopo,
rifiutata da tutti, sola e consapevole che non potrebbe esserci altra via
d’uscita alla sua condizione, se non la morte.
A lungo si è dibattuto se “La monaca” potesse
davvero appartenere al genere del romanzo, abbracciandone i canoni così come
delineati dai primi autori, e ciò che ci convince di più in tal senso, tralasciando
struttura dell’opera e stile dell’autore, è proprio la sottile introspezione
dei personaggi, in particolar modo della protagonista. La conclusione alla
quale ci porta questo romanzo è che gli individui non sono liberi, ma, di
fronte ai condizionamenti naturali e sociali, hanno una sola via da percorrere:
la conoscenza della realtà e della propria coscienza, l’unica forza umana in
grado di produrre genuini atti di libertà. Del resto questo non è altro che il
risultato dello stesso pensiero filosofico di Diderot, improntato, in quegli anni,
verso la fondazione di un metodo materialistico dialettico. Anche la struttura
e lo stile dell’opera, quindi, riflettono il metodo di analisi del filosofo
illuminista, il quale, pagina dopo pagina, esamina, con lucida e spietata delicatezza,
i comportamenti dei personaggi, facendone, solo in questo modo, emergere
personalità e condizionamenti: dalla freddezza dei genitori di Suzanne, all’omosessualità
della Superiora di Arpajon, alle contraddizioni tra i dettami religiosi e i
fatti che muovono i protagonisti verso il loro destino, il più delle volte
tragico e ineluttabile.
Di sicuro di fronte alla grande produzione di un
filosofo come Diderot il rischio di perdere di vista un’opera da molti
considerata secondaria come “La monaca” è piuttosto serio, ma ci piace pensare
come anche un romanzo, che per definizione ha il solo compito di intrattenere, possa
in realtà racchiudere, se attentamente analizzato, il cuore pulsante del
pensiero dell’autore. La tragicità della condizione femminile, la forza dell’Illuminismo
rivoluzionario, la ribellione verso i condizionamenti sociali come la religione
e la famiglia, la volontà di innalzare il proprio libero arbitrio a solo e
unico fautore delle nostre decisioni, sono sia i temi fondamentali che si analizzano
e snodano nelle vicende del romanzo, sia alcune tra le più importanti questioni
sulle quali Diderot ha incentrato tutta la sua ricerca filosofica, divenendo esponente
di un movimento le cui conseguenze rivoluzionarie ci influenzano ancora oggi.
Queste sono, senza dubbio, le principali motivazioni per cui è necessario
riscoprire quest’opera purtroppo sottovalutata, ma non possiamo dimenticare
anche l’aspetto più squisitamente ludico e ricreativo che deve accompagnare la
lettura di ogni romanzo e, anche in questo, Diderot non delude, delineando personaggi
che ci sorprendono e ci fanno riflettere, allo stesso tempo, e scavando, con
squisita sensibilità, nell’animo femminile attraverso le considerazioni della
protagonista, pur mantenendo sempre fedele a una scrittura lucida e composta.
Potrebbe sembrare che in Diderot manchi la forza drammatica e quasi lirica di
eroine accomunate dalla stessa condizione monacale di Suzanne, come la Capinera
di Verga, o la Signora di Manzoni, ma, considerando i differenti periodi
storici e gli approcci quasi agli antipodi degli autori, ci sentiamo,
soprattutto nell’ottica dello studio del monachesimo femminile, di consigliare
di leggere e studiare parallelamente questi tre autori e i loro personaggi,
così da comporre un interessantissimo mosaico di quella che fu una assai comune
condizione femminile per molti secoli in tutta Europa.
“Infine
giunse il momento terribile. Allorché dovetti entrare nel luogo in cui dovevo
pronunciare i voti, le gambe non mi ressero; due delle mie compagne mi presero
sotto le braccia. La mia testa era reclinata su una di loro ed esse mi trascinavano
a fatica. Non so che cosa accadesse nell’animo dei presenti, ma ciò che
vedevano era una giovane vittima morente che si portava all’altare e da ogni
petto sfuggivano sospiri e singhiozzi tra i quali sono certa che non si udivano
quelli di mio padre e di mia madre.” (La
monaca, Denis Diderot, Garzanti,1983).
Francia,
anno del Signore 1631: sotto il regno di Luigi XIII il cardinale Richelieu è
determinato a distruggere l’indipendenza delle piccole città di provincia di
estrazione Ugonotta e ordina di farne demolire le mura, segno tangibile di
autonomia e autogoverno. Inizia così “I
diavoli di Loudun” di Aldous Huxley,
Cavallo di Ferro Editore, ispirato a
una storia realmente accaduta e resa famosa dal film di Ken Russel, “I Diavoli”,
con Vanessa Redgrave e Oliver Reed.
Nel
piccolo centro di Loudun, il barone di Laubardemont, incaricato di eseguire
l’ordine del Cardinale Richelieu, trova un aspro oppositore in Urbain Grandier,
un prete che, pur mostrando un sincero senso di religiosità, conduce una
licenziosa vita privata, circondato da numerose amanti di vari ceti sociali.
Grandier si fa portavoce del malcontento popolare verso la controversa figura
di Richelieu e, in seguito alla morte del Governatore della città, ne assume i
poteri, opponendosi a qualsiasi decisione volta a fiaccare l’indipendenza del
popolo di fronte al re. La notorietà del giovane prelato cresce a dismisura,
complici il suo grande fascino e carisma e i numerosi pettegolezzi, affatto infondati,
che si raccontano sul suo conto. Anche suor Jeanne des Anges, frustrata e deforme
superiora delle Orsoline, si lascia sedurre dalla figura di Grandier, che ha
suscitato in lei un interesse non del tutto spirituale. La suora infatuata, nel
tentativo di stabilire un concreto rapporto con lui, lo invita a ricoprire il
posto di direttore spirituale del suo convento di clausura, ma viene
bruscamente rifiutata. È l’inizio di un furore isterico per la donna che,
convinta di essere posseduta dal demonio per mano dell’ignaro Grandier,
trasmetterà ben presto il suo malessere alle malcapitate consorelle, dando un
pretesto ai nemici politici del prelato per sbarazzarsi di lui con la
complicità dell’Inquisizione e di conniventi esorcisti.
Questo
romanzo storico, ispirato a una vicenda realmente accaduta che riguarda il più
famoso caso di possessione demoniaca di massa della storia, a tratti cronaca
lucida di un periodo oscuro della storia di una Francia ancora lontana dalla
Rivoluzione, è uno degli ultimi lavori di uno dei più grandi intellettuali
inglesi del nostro tempo, Aldous Huxley. Dopo una carriera dedicata alla
fantascienza e alla continua ricerca di nuovi mondi, Aldous Huxley fa un tuffo
nella storia più torbida della nostra Europa, raccontando con dovizia di
particolari vicende politiche e religiose di un mondo che non sembra essere
uscito affatto dai secoli bui. Lo stile è limpido, diretto, scorrevole, erudito
e ricco di vitalità, nonostante alcune descrizioni siano più vicine a ciò che
si potrebbe leggere in un saggio, piuttosto che in un romanzo. I personaggi
annaspano nei propri ruoli, come avvolti dalla fitta nebbia di una società
immobile, eppure sono delineati a tutto tondo in modo magistrale, in
particolare il protagonista Grandier, ecclesiastico convinto, ma anche uomo
dalla profonda carnalità, così libero da dover essere eliminato a ogni costo,
scomodando perfino il Diavolo.
Un
libro che si divora, nonostante la complessità della struttura e che,
recentemente ristampato dalla Casa Editrice Cavallo di Ferro in un’elegante e
colorata versione pocket, consigliamo
a tutti gli studenti che conoscono Huxley solo come visionario creatore di
dimensioni parallele, col monito che nulla di nuovo si può immaginare senza
affondare le radici negli incubi, spesso dimenticati, della storia passata.
Memorabile
rimane la versione cinematografica del 1971 diretta da Ken Russel e
magistralmente interpretata da Vanessa Redgrave, nei panni di suor Jeanne, e
Oliver Reed, nel ruolo di Grandier, dal titolo “I Diavoli”. Onirica eppure
incalzante: un raro e assai poco noto esempio di film in grado di sostenere il
confronto con un romanzo di altissimo livello, perché tenta di interpretarlo,
senza imitarlo pedissequamente.
Una
vicenda ispirata alla realtà che, nella sua drammaticità annunciata e
palpabile, non è poi così lontana dalla nostra società mediatica, dove, dalla
politica, alla cronaca, la continua ricerca del colpevole è pari solo
all’irrefrenabile necessità di distruggere chi non si è in grado di
comprendere.
Il ritrovamento fortuito di una Carta d’Identità,
un marito sospettoso e una giovane moglie dal caratterino spigoloso: ecco i
principali ingredienti dell’ultimo romanzo di Andrea Vitali, “Di Ilde ce
n’è una sola”, edito da Garzanti
e disponibile anche in formato e-book.
È l’estate del 1970 e fa particolarmente caldo, quando
Oscar, operaio in cassa integrazione, viene informato che qualcuno ha ritrovato
la Carta d’Identità della giovane e stravagante moglie, dalla personalità
piuttosto volubile: Ilde Ratti. E sarà proprio per evitare discussioni con la
Ilde che il povero Oscar, assai diffidente, inizierà a indagare sulla faccenda,
forse anche per ammazzare il tempo, suo malgrado, nelle lunghissime giornate di
calura estiva che sembrano non dare tregua nemmeno a un incolpevole cassintegrato
come lui, costretto in casa tutto il giorno.
La vicenda, che giungerà a un epilogo inaspettato,
è narrata con la maestria e l’umorismo sagace che gli affezionati lettori del pluripremiato Andrea
Vitali ormai conoscono bene: lo stile è scorrevole e discorsivo, i personaggi
esilaranti e incredibilmente realistici e le vicende fin troppo quotidiane, ma,
forse proprio per questo, ancor più in grado di catturare la curiosità del
lettore. Vitali non ha bisogno di scomodare brutali assassini o avventurosi
amanti per attirare l’attenzione dei suoi ammiratori: vera protagonista di
tutti i suoi romanzi è la vita lacustre della piccola provincia italiana e il
brulicare di personaggi unici e di vicende ai limiti dell’incredibile che vi
gravitano attorno. Non per questo, però, possiamo dire che i romanzi di Andrea
Vitali siano tutti uguali. Questo, più che prolifico, inesauribile tessitore di
trame sa stupirci ogni volta con una trovata diversa. Complice lo stile squisitamente
narrativo, unito alla brevità dei capitoli dal ritmo incalzante, l’autore ci
porta per mano in quello che si vede essere un mondo che ama e che, per quanto possa
sembrar stretto, non deve essere poi così male se è una tale fonte di
ispirazione.
Ho il forte presentimento che molti di noi
abbiano atteso questo momento con ansia per giorni, mesi, addirittura anni.
Ebbene, l’attesa è finita: il magico potere della luccicanza è tornato a popolare i nostri incubi di insaziabili
lettori con “Doctor Sleep”,
l’attesissimo seguito di “Shining” di Stephen
King, edito in Italia da Sperling
& Kupfer. Dopo più di trent’anni dalla pubblicazione del suo
capolavoro, il re del brivido firma uno dei sequel più attesi degli ultimi
decenni, lasciando ancora una volta il suo pubblico senza fiato.
Come abbiamo letto in numerose interviste
rilasciate per la promozione del romanzo, i personaggi inquietanti che
popolavano l’Overlook Hotel, magistralmente reso sullo schermo dal film
capolavoro di Stanley Kubrick interpretato dall’indimenticabile Jack Nicholson,
hanno tormentato le notti del maestro dell’horror per molti anni dopo la
pubblicazione di “Shining”, tanto da spingerlo a riportarli in vita in questo romanzo
che inizia esattamente dove si era interrotto il precedente, dopo l’incendio
del lugubre hotel.
A quella tragedia sono scampati Richard
Hallorann, cuoco dell’albergo, Wendy Torrance, moglie del custode invernale
Jack Torrance, morto nel vano tentativo di fermare le fiamme, e il loro
figlioletto, Danny Torrance, rimasto miracolosamente illeso nel corpo, ma non
nell’anima. Il protagonista del romanzo è proprio un Dan ormai cresciuto, ma
ancora profondamente segnato da ciò che accadde all’Overlock. Dan, dopo anni
passati allo sbando in giro per l’America, cercando di combattere contro
un’eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione, ha finalmente
messo radici in una piccola città del New Hampshire, trovando lavoro in un
ospizio. Aiutato da un gatto in grado di prevedere il futuro, Dan cerca di
accompagnare i vecchietti nell’ultima parte della loro vita, donandogli il
conforto che solo il potere della luccicanza
è in grado di dare, diventando Doctor Sleep, il Dottor Sonno.
Sarà l’incontro con la misteriosa Abra
Stone, dotata di un potere ancor più abbagliante del suo, a sconvolgere di
nuovo la fragile esistenza di Dan, riportando in superficie l’orrore di demoni
spaventosi che credeva ormai sepolti da tempo, ma che in realtà sono cresciuti con
lui.
King ricostruisce e approfondisce un mondo
demoniaco di presenze oscure che sono più vicine di quel che noi tutti vorremmo
credere, senza rinunciare al suo stile asciutto e diretto, spesso sarcastico e
distaccato, ma a tratti emozionante e perfino commovente. La capacità
dell’autore di farci entrare in una dimensione parallela, fatta di mostri
all’apparenza assolutamente inoffensivi e nascosti dietro facce comuni, ma in
realtà potenzialmente distruttivi e capaci di annientare la nostra volontà, è a
dir poco unica e la tensione è sempre palpabile anche mettendosi nei panni dei
personaggi che, nonostante le loro potenti capacità soprannaturali, sembrano
essere anche più vulnerabili di noi semplici esseri umani.
“Doctor Sleep” è un romanzo emozionante e coinvolgente
sin dalla prima pagina, irrinunciabile per gli appassionati ammiratori di King,
nonostante non tutti ne siano rimasti soddisfatti, ma ugualmente avvincente e
interessante anche per i più scettici che credono sia tutta fantasia. O,
meglio, vogliono credere. Buona lettura e sogni d’oro!
Dopo oltre duecento anni dalla
realizzazione del romanzo più noto della scrittrice inglese, la personalità e
le opere di Jane Austen continuano a influenzare le autrici de nostri tempi,
come abbiamo potuto già constatare analizzando la trilogia di Pamela Aidan.
L’esperimento condotto con “Il diario di
Mr. Darcy”, Tre60 Edizioni, da Amanda Grange, prolifica scrittrice
inglese, specializzata nell’interpretazione creativa dei classici della
letteratura, è simile, ma racconta in modo fluido e piacevole i pensieri del
nostro Darcy attraverso le intense pagine del suo diario personale.
La vicenda inizia circa un anno prima
rispetto alla versione originale, ripercorrendo le tappe salienti del
tradimento di Wickham, che cerca di plagiare Georgiana Darcy, e si conclude un
anno dopo il matrimonio tra Darcy e Elizabeth, ormai felici e affiatati nella
rinnovata tenuta di Pemberly. Le vicende intermedie sono proprio le stesse che
tutti conosciamo alla perfezione, vissute nei panni di Darcy: il primo incontro
al ballo, la permanenza con Jane a Netherfield Park, il grande rifiuto di
Lizzie, il nuovo incontro a Pemberly, la disgrazia di Lydia a causa del solito
Wickham e il tentativo disperato di rimettere a posto le cose, fino allo
splendido lieto fine, il tutto raccontato in modo fedele e appassionato,
facendo risaltare quella sensibilità profonda del temperamento di Darcy che
egli stesso cela agli occhi di Elizabeth, ostentando orgoglio e superbia.
Lo stile della Grange è pulito, gradevole
e credibile e denota una profonda conoscenza del romanzo e dello stile di Jane
Austen, tanto che è in grado di ricreare, col giusto tocco di modernità, le
squisite atmosfere di tempi e luoghi che hanno fatto sognare a occhi aperti
milioni di lettrici e lettori in tutto il mondo.
Tutti i personaggi, compresi quelli
minori, mantengono la propria personalità, così come erano stati magistralmente
delineati dalla stessa Jane, nonostante cambi il punto di vista degli eventi.
L’intero romanzo, disponibile anche in versione e-book, scorre velocemente,
grazie anche alla veridicità dei dialoghi e delle descrizioni, forse insuperata
in questo filone di autrici che si ispirano ai personaggi della Austen, reinventandoli
nelle loro opere. Anche l’acume e l’ironia del personaggio di Elizabeth, di
solito paradossalmente trascurato in questi casi, non passano affatto in
secondo piano e sono resi alla perfezione attraverso gli occhi di Darcy che,
sebbene spiazzato, in un primo momento, dallo spirito allegro e gioioso della
ragazza, ne rimane catturato, pagina dopo pagina, arrendendosi al nuovo
sentimento che sta nascendo dentro il suo cuore.
Nessun appassionato ammiratore di Jane
Austen riuscirà a resistere alla tentazione di leggere quest’incantevole
rivisitazione di una delle, ormai longeve, storie d’amore più belle di tutti i
tempi.
A chi non è mai capitato di ritrovarsi in
una imbarazzante situazione alla Bridget Jones? E chi di noi donne, almeno una
volta nella vita, non ha tenuto un diario, provando a emulare l’eroina inglese,
alla quale sembra succedere proprio di tutto? L’abbiamo lasciata, ormai qualche
anno fa, felice e pazzamente innamorata del suo Mark Darcy, dopo pagine e
pagine di risate, passate tra strategie per accalappiare l’uomo perfetto,
l’incessante lotta ai chili di troppo e la scelta delle mutandine giuste per
ogni occasione, e l’abbiamo recentemente ritrovata in tutte le librerie e poi
in tutti i cinema alle prese con nuove e spassosissime avventure dai risvolti
davvero inaspettati. Ma andiamo con ordine.
In “Bridget Jones. Un
amore di ragazzo”, edito da Rizzoli,
la scrittrice Helen Fielding
infatti, vera pioniera del chick lit, ha sconvolto i milioni di fans in tutto
il mondo con una mossa davvero audace: Bridget è di nuovo sola e nel modo
peggiore possibile, è rimasta vedova e con due figli piccoli, Billy e Mabel. Lo
sconcerto è stato grande, me ne rendo conto, ma, ragazze, dobbiamo farci
coraggio!
Anche io sono stata tentata di chiudere il
libro e di lanciarlo disgustata contro il muro, ma non l’ho fatto, e non solo
perché lo stavo leggendo sul mio affezionato lettore, in versione e-book. A
Bridget bisogna sempre concedere una possibilità. E Bridget, infatti, non mi ha
delusa neppure stavolta.
Alle soglie dei cinquanta, disperata,
depressa e con due figli piccoli, Bridget è la stessa pasticciona di sempre,
che ne combina una al minuto, manda a fuoco la cucina per fare le salsicce, fa
mille buoni propositi e poi non ne mantiene nemmeno uno, e ha un pessimo
rapporto con la tecnologia, dal telecomando della TV, allo smartphone di ultima
generazione. Dopo un lungo periodo di lutto però, la nostra amata Jones decide
di darsi una mossa: si mette a dieta e finalmente riesce a perdere tutti i
chili di troppo, smette definitivamente di fumare e si iscrive a Twitter,
lasciandosi prendere dal vortice dei Social Network. Circondata dagli amici di
sempre, Tom, Jude, Talitha e Daniel, il solito marpione che al cinema era stato
interpretato da Hugh Grant, e ora è il padrino di Billy e Mabel, ma non sembra
essere cambiato più di tanto, Bridget cerca di essere una madre migliore
possibile per i suoi figli e, nello stesso tempo, decide di tentare una nuova
carriera come sceneggiatrice di soggetti cinematografici, riscoprendo il
talento per la scrittura.
Il risultato è una miscela esplosiva di
esilaranti episodi di vita quotidiana, tra il comico e il grottesco, che vi
faranno ridere a crepapelle e vi strapperanno anche qualche lacrima, facendovi
spesso riflettere su voi stesse e sul vostro modo di affrontare il futuro anche
nelle difficoltà.
Gli spunti di critica ironica verso la
nostra routine giornaliera sono sempre più acuti e spassosi, pagina dopo
pagina: lo scorrere del tempo, la capacità di superare le avversità più
imprevedibili, lo sforzo di essere buoni genitori, alle prese con una scuola
sempre più esigente e con giochi elettronici di ogni tipo, che sembrano venir
fuori come funghi dopo la pioggia e, last,
but not least, la volontà di coltivare la propria femminilità, cercando di
non cedere troppo agli stereotipi o ai sensi di colpa o, magari, a qualche
bottiglia di vino. Brigdet è tutto questo e molto di più. È uno specchio della
donna di oggi, fragile e spesso disorientata, ma coraggiosa e incosciente
quanto basta per sopravvivere a qualsiasi cosa. Ed ecco che la nostra
inarrestabile beniamina si barcamena tra improbabili appuntamenti, un toy boy
davvero travolgente di nome Roxster, imbarazzanti avventure, tra sbronze e
pidocchi, e i sempre più numerosi scontri con un arrogante, quanto
affascinante, insegnante di Billy, Mr. Wallaker.
Questo libro scorre che è una bellezza,
frizzante e divertente, non deludendoci nemmeno nel finale, che potrebbe
essere, addirittura, l’inizio di nuove avventure che, ancora una volta, non
sapremo lasciarci sfuggire.
Non molto tempo dopo l’uscita del romanzo,
i cinefili appassionati di sequel hanno iniziato a scalpitare in attesa di
capire come si sarebbero sviluppate sullo schermo le avventure della Jones
interpretata da Renée Zellweger. La trama di “Bridget Jones’s baby” è decisamente diversa da quella del romanzo
e vede la nostra eroina, ormai più adulta, che, dopo ave rotto con Mark Darcy,
immancabile e sempre più affascinante Colin Firth, si butta sul lavoro di
produttrice e conosce Jack, uno spericolato americano che ha il sorriso
irresistibile di Patrick Dempsey, e intreccia con lui una relazione. Dopo poco
Bridget scopre di essere incinta, ma non sa chi dei due uomini della sua vita sia il padre del bambino. Questo è solo
l’inizio di una gravidanza davvero esilarante, complice anche una spassosa
ginecologa interpretata da Emma Thompson, verso un epilogo in cui non si può
far altro che seguire il cuore. Insomma, neppure la Fielding, che ha firmato il
soggetto del film e poi un nuovo romanzo sotto forma di diario che segue le
vicende della pellicola, “Bridget
Jones’s baby. I diari”, edito da Rizzoli,
sembra aver avuto il coraggio di far
fuori il nostro amato Darcy-Firth, colonna portante di quella che anche al
cinema si sta trasformando in una vera e propria serie. Chissà cosa riserverà
il futuro per Bridget e per la sua nuova famiglia…
Tra le commoventi pagine sulla sua amata Africa e
le taglienti storie di donne, è stato affascinante scoprire come nella vita di Doris Lessing, vincitrice del Premio
Nobel per la Letteratura nel 2007 scomparsa nel 2013, i gatti abbiano sempre
occupato un posto speciale. Tutto viene raccontato in “Gatti molto speciali”, edito da Feltrinelli.
Il primo gatto la Lessing lo accarezzò quando
viveva ancora in Persia, con la famiglia, all’età di soli tre anni e, a quanto
pare, fu amore a prima vista, nella convinzione che ogni gatto sia unico e
irripetibile. Nonostante i numerosi viaggi, dall’Africa, all’Inghilterra, Doris
Lessing non volle mai privarsi della compagnia di molti gatti, spesso ritenuti
più sensibili e comunicativi di tanti esseri umani e, fino alla fine, nel
tranquillo quartiere inglese dove viveva, non è stata considerata come la
scrittrice di fama mondiale, vincitrice del Nobel, ma semplicemente come la gattara
del circondario, tanto la sua casa era rifugio sicuro per tutti i felini dei
dintorni. In questo splendido libro, dedicato alla figlia, la Lessing racconta
la sua vita e quella delle persone che ha amato attraverso gli occhi dei gatti
che ha incontrato, tra aneddoti divertenti ed episodi malinconici, capaci di
commuovere per la limpidezza dello stile e la disarmante purezza con cui sono
narrati.
Dall’Africa, dove i gatti domestici andavano tenuti
separati da quelli selvatici, nonostante tutti subissero il richiamo della
natura, alla città di Londra, nella quale ha avuto a che fare con felini ormai abituati
a convivere con gli esseri umani e per questo più avvezzi alla città, ma a
volte non meno provati dalle difficoltà della vita randagia, il rapporto di
confidenza della scrittrice coi gatti che l’hanno circondata è sempre stato
molto intenso, a tratti felice, a tratti persino drammatico. I gatti della
Lessing assumono quasi connotazioni umane, alcuni dotati di personalità forti e
socievoli, altri vittime della paura e delle esperienze negative, alcuni
longevi e sani, altri condannati a lunghe trafile tra un veterinario e l’altro,
ma tutti di sicuro hanno avuto la fortuna di sedere accanto alla macchina da
scrivere di una delle autrici più intense del secolo appena passato e di
assistere alla creazione dei suoi capolavori.
Nulla meglio delle parole della stessa Lessing può
descrivere esaustivamente il suo attaccamento ai suoi compagni felini.
Augurandovi dunque, come sempre, buona lettura, riportiamo qui di seguito le
ultime commoventi righe del racconto che conclude l’edizione italiana di “Gatti
molto speciali”, dedicato a Rufus, un randagio che l’autrice ha curato e accolto
in casa per alcuni anni, accompagnandolo verso la fine della vita con la stessa
premura che avrebbe avuto verso un essere
umano.
“Quando
si conoscono i gatti, quando si è passata una vita insieme ai gatti, quel che
rimane è un fondo di sofferenza, un sentimento del tutto diverso di quello che
si deve agli esseri umani: un misto di dolore per la loro incapacità di
difendersi, e di senso di colpa a nome di tutti noi.”