giovedì 26 aprile 2018

Chiara Camerani: tutta la verità sul Satanismo


Ormai da qualche anno, anche nel nostro Paese, abbiamo assistito a un progressivo crescere dell’interesse mediatico e, conseguentemente, della partecipazione dell’opinione pubblica, verso il fenomeno del Satanismo, in particolare quando si ricollega alla commissione di crimini violenti. A volte a destare curiosità sono le modalità, apparentemente rituali, di determinati reati, altre volte si tratta del movente connesso, in qualche modo, a queste credenze pseudoreligiose, ma troppo spesso l’iniziale sicurezza dell’intervento di certe dinamiche durante la preparazione o la commissione del crimine, finiscono per esplodere come una bolla di sapone esclusivamente mediatica che non ha reali riscontri effettivamente accertabili nella realtà fattuale o processuale.
Qual è, dunque, la verità sul Satanismo e sui crimini a esso esteriormente collegati? A fare chiarezza sulla questione ci hanno pensato Chiara Camerani, Fabio Sanvitale e Perla Lombardo nel loro saggio “Satanismo, tra mito e realtà”, Sovera Edizioni, un vero e proprio manuale per addetti ai lavori, ma anche un interessante testo di approfondimento per semplici appassionati della materia che abbiano voglia di conoscere meglio cosa sia il Satanismo e quanto sia effettivamente legato alla commissione di crimini più di altri moventi “misteriosi”.
Come ci ha spiegato Chiara Camerani, Psicologa clinica esperta in criminologia e Direttrice del Cepic – Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia, ancora troppo frequentemente, in tema di Satanismo, soprattutto in ambito criminologico, c’è superficialità e confusione. Ciò anche a causa dello scarso approfondimento da parte dei media nel raccontare e spiegare le reali dinamiche che caratterizzano questi fenomeni. Insomma, proprio come durante i cosiddetti Secoli Bui, spesso ci si lascia guidare dall’esigenza di facile sensazionalismo e dal desiderio di vera e propria caccia alle streghe, senza analizzare una realtà a volte molto più semplice.
L’aspetto più interessante di questo testo, come ci spiega la stessa autrice, risiede nella lunga e circostanziata ricerca anche storica sul fenomeno, che permette di comprendere meglio le radici di questa credenza popolare, come vero e proprio culto, arrivando a una classificazione sistematica di tipo scientifico di tutte le manifestazioni di reato che, in un modo o nell’altro, hanno a che vedere col Satanismo. Grazie a questa classificazione si riesce a sgomberare il campo da ogni dubbio, distinguendo tutti i casi in cui il Satanismo è solo in apparenza attinente a fatti di sangue e scoprendo così che le volte in cui il Diavolo ci mette lo zampino, sono molte meno che di quelle che ci farebbe comodo credere.



“Satanismo, tra mito e realtà”, Sovera Edizioni, scritto in concerto con Perla Lombardo e Fabio Sanvitale, è un vero e proprio manuale, per gli addetti ai lavori e non solo, che deriva da anni di studi sul campo sulle radici più profonde di questo fenomeno e sulle sue manifestazioni criminose. Raccontaci la genesi di questo testo: come si sono svolte le ricerche e quali intenti vi siete proposti?

Circa otto anni fa il Satanismo ebbe un boom mediatico, profilandosi come una pericolosa realtà criminale. Mi colpì molto il fatto che, a fronte di tanto allarme e di tanta assoluta certezza degli esperti, non vi fosse in realtà alcuna “pistola fumante”, alcun elemento che dimostrasse le nefandezze di questi poveri satanisti, che venivano accusati di stupri, sacrifici umani, mutilazioni.
Secondo i criminologi infatti, non si trovava traccia dei reati a causa di una sorta di potere occulto che faceva sparire le tracce e che copriva ogni crimine. I dati sull’incidenza dei crimini satanici, inoltre, venivano snocciolati dagli esperti sulla base di un presunto numero oscuro (per sua natura inconoscibile) e decuplicati in base a qualche indefinita proiezione.
A fronte di tanta confusione e inaffidabilità oggettiva, ho ritenuto vi fosse necessità di intraprendere una indagine scientifica del fenomeno. Per molti anni il Cepic – Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia ha organizzato dei corsi di aggiornamento e formazione in criminologia al termine dei quali era prevista la stesura di tesine o la realizzazione di progetti di ricerca. La vera natura del credo satanico, l’analisi oggettiva ed imparziale sull’incidenza di reati satanico-rituali in Italia, la necessità di verificare se vi fosse un legame tra affiliazione satanica e commissione di crimini, sono divenuti l’oggetto della nostra ricerca, che in un secondo tempo è stata estesa fino a divenire un manuale.

Per quanto riguarda l’indagine sui casi dal punto di vista criminologico, avete proposto una classificazione analitica delle varie condotte. Da quali presupposti siete partiti e a quali conclusioni sieste giunti?

Dopo la raccolta dei casi, ci siamo resi conto che molti di essi non avevano nulla a che fare con il Satanismo; la maggior parte scaturivano da uno smodato bisogno di sensazionalismo da parte di esperti e giornalisti, altri erano attribuibili a psicopatologia del reo (ad esempio il delirate che vede il demonio nella vittima), alcuni, pur attuati da persone che dichiaravano una appartenenza ad un credo satanico, non traevano da esso il movente, bensì da motivazioni banali quali litigi e gelosie.
Più che gli adoratori di satana, un numero consistente di reati, riguardava persone semplici e fortemente religiose che volevano invece cacciare il demonio.
Sorprendentemente, la ricerca ha evidenziato che commettono più reati i religiosi nell’ingenua convinzione di cacciare il demonio, che non i satanisti. Per questa ragione abbiamo ritenuto opportuno offrire una classificazione analitica sul modello del Crime Classification Manual che costituisse una linea guida per gli operatori, facilitando la lettura di indizi, simboli e specifici indicatori investigativi e comportamentali.

Oltre agli aspetti investigativi, vi siete soffermati sull’analisi del Satanismo come vero e proprio culto, anche rispetto alle altre religioni, e come fenomeno culturale e di costume. A quali esiti vi ha condotto questa ricerca e quale aspetto ti è rimasto più impresso come esperta e professionista?

Parto dal presupposto che, indipendente dalla credenza religiosa personale, un professionista debba avvicinarsi a tali fenomeni in maniera assolutamente imparziale. La religione, quale essa sia, svolge una funzione psicologica importante nella vita di molte persone. Quando non scade nel fanatismo essa costituisce uno strumento di aggregazione e un “equilibratore” psichico e morale. In tal senso, pur essendo atea, ho il pieno rispetto per ogni forma di spiritualità ma come studiosa non posso non considerare ogni forma di credo come una superstizione. Non ritengo infatti che alla luce di tale prospettiva, il credere nella resurrezione di Gesù o nella verginità della Madonna debba avere maggior dignità rispetto alla credenza negli Ufo, in Dei pagani o persino in Satana.
Nel nostro approccio al Satanismo, come alle realtà settarie di cui ci siamo lungamente occupati, considera ugualmente degna ogni forma di religione, credo, celebrazione o forma spiritualità a patto che chi la pratica non commetta reato.
Non entriamo quindi nel merito della credenza superstiziosa, ma osserviamo le dinamiche del gruppo, cosa fanno gli aderenti, se commettono reati o violenze, l’eventuale grado di pericolosità.
Nel caso del Satanismo per quanto concerne reati quali omicidio, stupro e violenza, a eccezione di un solo caso, non abbiamo trovato alcun nesso tra propensione al crimine e affiliazione satanica. Ciò ci ha spinto a studiare tale realtà religiosa e a prendere contatto con appartenenti a chiese occultistiche e sataniche anche perché ci siamo accorti che molti esperti giudicavano il fenomeno senza aver in alcun modo approfondito la storia e la filosofia di tali movimenti, liquidandoli con qualche categorizzazione descrittiva.
Nel manuale abbiamo lungamente descritto la filosofia satanica e credo che l’opportunità di conoscere meglio il pensiero dei tanto temuti satanisti sorprenderà molti lettori.

Un aspetto interessante dal punto di vista della comunicazione è il ruolo dei media: tra disinformazione e allarmismo, come dovrebbero porsi giornali, Tv e Social per raccontare temi e fatti tanto delicati?

Direi che dovrebbero sforzarsi di fare vera informazione di ogni notizia sia essa politica, criminale o culturale, cosa che purtroppo non si fa più da molto tempo.
Per i media, come per molti esperti di cui i media si avvalgono, la regola è stupire e vendere se stessi o la notizia. L’assenza di una educazione e di una comunicazione mediatica approntata al rigore e all’onestà intellettuale lascia spazio alla creazione di notizie ad hoc, che parlano alla “pancia” della gente. Gli esperti non analizzano, non spiegano, ma sollevano moti emotivi. I giornalisti prediligono lo spettacolo a scapito dell’informazione e chi ne fruisce assorbe in modo passivo ciò che viene proposto. Una comunicazione facile, generalistica, che impigrisce la mente e non spinge al ragionamento critico. Ogni tentativo di analisi metodologica o complessa (e perciò controcorrente) viene ostacolata e ridotta al silenzio. Trovo che tale appiattimento sia molto triste oltre che estremamente pericoloso.

Facciamo un bilancio della tua esperienza come Direttrice del Cepic – Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia: che risultati avete raggiunto fino a oggi? E quali sono i traguardi che vi ripromettete di raggiungere prossimamente? Raccontaci quali sono i vostri programmi per il futuro.

Non posso che propendere per un bilancio positivo.
Il Centro oggi, oltre che per la ricerca e la formazione, si pone come riferimento e offre consulenza tecnica in svariati ambiti. Unitamente a quelle abituali (sia in ambito penale che civile), ci occupiamo di aree specifiche quali la valutazione della pericolosità settaria, la tutela degli uomini maltrattati in ambito familiare o vessati in fase di separazione conflittuale (seppure una minoranza, gli uomini maltrattati costituiscono una realtà in crescita), la valutazione della pericolosità nelle condotte sessuali devianti (ad esempio Bondage e sadomasochismo, considerati ancora, spesso a torto, come vere e proprie perversioni piuttosto che come diverse inclinazioni sessuali). Diciamo che non ci piacciono le cose facili!
A breve saremo impegnati in un importante progetto che vede coinvolte Università e polizie europee. Abbiamo vinto un bando europeo triennale per il contrasto dei crimini in rete e contiamo, a partire da ottobre, di avviare un corso di criminologia al termine del quale saranno previsti, per i più preparati e meritevoli, dei tirocini retribuiti nell’ambito del progetto.
Abbiamo un paio di saggi in cantiere e stiamo estendendo la nostra attività formativa in un settore estremamente attuale che è quello dell’Intelligence applicata alle fonti aperte.
Abbiamo scelto la via più impervia che è quella della professionalità e della scientificità, poniamo attenzione ai fenomeni più spesso oggetto di pregiudizio e ignoranza e infine, in ambito sociale e clinico stiamo preparando uno dei pochissimi corsi di formazione in Italia sul tema sessualità e handicap, argomento di cui raramente si parla e si conosce ancora troppo poco.
Direi che per il momento siamo sufficientemente impegnati.


www.cepic-psicologia.it


mercoledì 18 aprile 2018

Manuela P. Kane: tutti i Colori dell’Amore


Si dice che, quando si è innamorati, si riesca a percepire il profumo della primavera anche in pieno inverno, come in un’eterna stagione di rinascita e fioritura, anche se ci si trova nelle avversità più drammatiche. È proprio questo ciò che accade a Gabriel e Michelle, i protagonisti di “Mille Primavere” di Manuela P. Kane, Lettere Animate, un uomo, medico e soldato, e una donna forte e fragile allo stesso tempo, molto diversi tra loro, ma inaspettatamente legati da un sentimento puro e profondo che sboccia e cresce tra i meravigliosi paesaggi naturali del Ruanda, una terra difficile, martoriata da una guerra civile che sembra non finire mai.
Tra il sogno e la realtà, tra il passato e il presente, Manuela P. Kane affronta tematiche storicamente complesse con la delicatezza e la vitalità del linguaggio dell’amore e di tutti i suoi colori. Lo slancio e la naturalezza dello stile, evocativo e scorrevole, con cui l’autrice intreccia i destini di Gabriel e Michelle assieme alle vicende della guerra civile e della società ruandese, le fanno perdonare qualche descrizione forse troppo dettagliata. L’accuratezza di alcune ricostruzioni, invece, sorprende, ricordandoci come siano le storie a fare la Storia, nel bene e nel male, e portandoci a riflettere sulle radici della nostra attualità. Protagonisti, infatti, oltre all’amore che si trova a dover superare ostacoli impensabili, come la guerra, il tempo e lo spazio, sono la curiosità e il rispetto per la diversità dell’altro e la forza della solidarietà e della comprensione come armi non-armi così potenti, da poter vincere qualsiasi battaglia.
Sono proprio i mille colori dell’amore a rendere magica la lettura di questo romanzo d’esordio, assieme all’entusiasmo che traspare da parte dell’autrice verso una storia e dei personaggi in cui ha investito molto di se stessa e della sua vita, intraprendendo un percorso che la porterà lontano.


Una delicata ma difficile storia d’amore in grado di travalicare perfino i confini del tempo, sullo sfondo della guerra civile ruandese: sono questi gli ingredienti di “Mille Primavere”, Lettere Animate. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa vuoi comunicare?

Ho iniziato a scrivere i miei pensieri e le mie emozioni a quattordici anni.  Avevo un diario pieno di parole, di sentimenti, di frasi che attraversavano la mia mente ogni giorno. Solo nel 2015 ho deciso di provare a comunicare ciò che ogni giorno da anni la mia anima mi trasmetteva. Avevo bisogno di urlare al mondo il dolore che assorbo guardando documentari, ascoltando storie vere e leggendo racconti di persone che ogni giorno soffrono all'insaputa dei più fortunati. Fortunati come me, come chiunque oggi cammina con dignità. E proprio in quel periodo mi sono imbattuta in un documentario sul genocidio del Ruanda. Ho capito che avevo bisogno di un pezzo di storia umana, di storia vera per poter dar voce alle emozioni.

Da cosa nasce la tua esigenza di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualsiasi momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non sai rinunciare?

Sono una persona molto sensibile ed empatica. Somatizzo fisicamente molto il dolore, la tristezza e i problemi personali e degli altri. Scrivere è stata la mia ancora di salvataggio. Riesco a esprimere tutto ciò che mi riempie il cuore e la mente, è liberare l’anima e sollevarsi verso il cielo.
Una tela bianca su cui dipingere le mille emozioni.

Gabriel e Michelle, due protagonisti indimenticabili, legati da un sentimento puro e profondo, ma segnati da un destino triste. Come li definiresti? In generale come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?

Gabriel e Michelle rappresentato l’amore in tutte le sue sfumature.
L’amore vero, quello per cui si combatte, si piange e si sorride. L’amore che si vive una sola volta nella vita, l’amore che tutti vorremmo. Sono entrambi dei sognatori, buoni nell’animo ma anche pieni di paure e fragilità. Nei primi capitoli sono ancora molto fanciulleschi, il loro amore sembra essere quasi adolescenziale.  La guerra trasformerà i loro caratteri, fortificherà i loro cuori e spezzerà quel lato ancora così infantile.
La prima parte di “Mille Primavere” la definirei una vera crescita spirituale per entrambi.
Per delineare i personaggi mi sono ispirata a me stessa e alle persone a me più care. Hanno molti tratti fisici e caratteriali delle persone che amo di più. Non solo i protagonisti, ma anche gli altri personaggi della storia.
Le vicende invece sono nate grazie alle mie esperienze da lettrice compulsiva e alla mia forte curiosità e passione per le diverse culture e i popoli più bisognosi.

L’Africa è un’ambientazione affascinante e quanto mai attuale: una terra bellissima, dilaniata da guerre e povertà che rendono difficile credere nel futuro. Come mai l’hai scelta come sfondo del tuo romanzo? Cosa hai voluto trasmettere?

L'Africa fa da sempre parte della mia vita.
Mia nonna è nata in Tunisia, mio marito è senegalese e le mie bambine hanno quindi per meta il sangue di quella meravigliosa terra. Il Ruanda è un paese che non conoscevo e ho deciso di scoprirlo grazie a un dossier sul genocidio ruandese del 1994.
Credo che l’Africa in sé trasmetta forza, coraggio e bellezza. Ma vi è dell’altro, l’Africa ha una morale per noi occidentali da non sottovalutare. Ci ricorda la fortuna di vivere in un paese libero da guerre, dallo schiavismo legalizzato dalle multinazionali. Ci ricorda che la fortuna a volte è semplicemente la normalità.
Mi ha colpito molto la forza di questo popolo che è riuscito a rialzarsi dopo una tragedia così grande e ho voluto raccontarlo attraverso il linguaggio di una storia d’amore senza tempo.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro come scrittrice.

Il seguito di “Mille Primavere” è già nelle mani della mia splendida casa editrice e spero che presto sarà pronto per farvi conoscere il destino di Michelle e Gabriel. In questo momento sto lavorando a un nuovo romanzo, una storia tra le foreste e i grandi laghi del South Dakota, tra i fili d’erba increspati delle Black Hills, tra i forti guerrieri Lakota e i nuovi coloni di un’America che saluta un Ottocento pieno di scoperte e conquiste.
Scrivere è la mia più grande passione, il futuro è imprevedibile, il destino è, ahimè, sconosciuto.
Ma credo che questa passione sia l'unico modo per dirottare entrambi dalla parte giusta, tra l'inchiostro e infinite pagine tutte da riempire.

mercoledì 11 aprile 2018

Tre buone ragioni per… bere un bicchiere di vino al giorno



Sarà la grande varietà di tipi e gusti, sarà l’emblema di convivialità che da sempre rappresenta, o sarà semplicemente quel senso di allegra e meditabonda leggerezza che ci concede, già al primo sorso, ma sembra proprio che un bicchiere di vino al giorno stia soppiantando la cara vecchia mela nel noto proverbio che ci terrebbe lontani del medico grazie a un moderato consumo quotidiano.
Dai poemi omerici, alla contemporanea letteratura internazionale, fino al grande e al piccolo schermo, in tanti hanno tessuto le lodi del vino come fonte di ispirazione, esempio del frutto di un duro lavoro al servizio della natura e insostituibile mezzo di comunicazione. Inoltre, bisogna ammetterlo, la cultura del buon vino va ormai così tanto di moda, che chi di noi non ha, almeno una volta nella vita, fatto roteare il proprio vino nel calice, millantando di sentire incomprensibili note fruttate o analizzandone le sfumature del giallo paglierino, senza sapere affatto cosa stiamo bevendo?
Mentre i sommelier spopolano ormai più degli chef, siamo sicuri che anche chi beve vino campi cent’anni? Ecco le nostre tre buone ragioni per bere un bicchiere di vino al giorno dato che una cosa è certa: fa davvero bene all’umore!

1.      Il vino fa bene al cuore. In dosi moderate, anche per gli anziani, il beneficio per il cuore e per le malattie vascolari in genere è scientificamente provato. Naturalmente è necessario non eccedere, né quotidianamente, né sporadicamente, se non si vuole andare incontro a problemi al fegato e al pancreas.

2.      Il vino fa bene all’amicizia. Servire un buon vino, sia fuori, sia durante il pasto, è segno di attenzione e cura versi gli ospiti. Non occorre diventare degli esperti per fare gli abbinamenti più corretti, basta informarsi esattamente come si fa quando ci si cimenta con una nuova pietanza. Se, invece, si è invitati e non si conosce precisamente il menù, la mossa vincente è di sicuro portare una bollicina di qualità o un vino da dessert, magari made in Italy.

3.      Il vino fa bene solo se bevi responsabilmente! In medio stat virtus, dicevano gli antichi e, come al solito, avevano ragione: beviamo vino, e non solo, con la giusta moderazione sempre e comunque ed evitiamo il consumo di alcolici soprattutto se, subito dopo, dobbiamo metterci alla guida. Si tratta di un segno di civiltà verso noi stessi e verso la vita di chi ci circonda.