Non amo inventare parole nuove, perché
ritengo che la lingua italiana sia già sufficientemente ricca di sinonimi con
sfumature di significato talmente sottili, da diventare quasi “contrari” per
chi non ha troppa voglia di comunicare. Tuttavia blogoriale è un termine
di mia invenzione che mi martella in testa già da un po’. A metà strada tra un post
e un editoriale, il blogoriale è un editoriale a misura di Fatti i
fatti tuoi!. Per certi verso un ritorno al passato, quando, parecchie ere
digitali fa, i blog erano diari personali in cui si raccontava la propria
quotidianità e, a volte, con quel pizzico di supponenza che è propria di chi
scrive, si commentava l’attualità, il sentire comune, le storie degli altri.
Mi sono scervellata parecchio su come
iniziare questo nuovo percorso. Dopo aver dato voce e volto a tante persone e
alle loro storie, guardarsi dentro senza essere prolissi e presuntuosi non è
semplice. Ma, tutto sommato, il blog è mio e, almeno ogni tanto, faccio come mi
pare. Perché noi scrittori, scribacchini, giornalai, pennivendoli,
marchettari, chiamateci come più vi aggrada, ce lo chiediamo spesso
(praticamente sempre): a chi interessa ciò che scriviamo?
Anni fa, ancor prima di entrare a far
parte del mio ordine professionale, scrivevo per un direttore verso il quale
non nutrivo alcuna stima. Un pallone gonfiato, come direbbero in un film
americano, senza né arte, né parte, ma con un ego grande come un buco
nero. Ricordo che una volta mi commissionò un articolo sulla scrittura, il
giornalismo e l’editoria di oggi. Il solito pezzo di colore che non risponde a
nessun interrogativo e non dà nessuna notizia, per non scontentare nessuno, più
che altro. Mi impegnai, come è mio costume. E mi scavai dentro a fondo. Dopo
aver conosciuto e intervistato (già all’epoca) tanti promettenti autori
emergenti e piccoli editori volenterosi, qualche conclusione utile e personale
potevo trarla. Era un pezzo accorato e forse un filino presuntuoso, lo ammetto
volentieri, smanioso di andare dritto al punto e lasciare un segno, proprio
come sono io. E, naturalmente, non sortì l’effetto che speravo su Mister
Universo Direttore. “A nessuno frega un cazzo della tua opinione, non stai facendo
il tema della Maturità,” mi apostrofò, cassando il mio lavoro come quello di una
Cappuccetto Rosso che sa a malapena digitare sulla tastiera. Naturalmente mi
incazzai. E tanto. Ma abbozzai. Tornai a casa da quella riunione di redazione
ferita e allattai mia figlia, anche se, probabilmente, con tutta quell’acidità
che avevo in corpo, era più yogurt che latte.
È passato un po’ di tempo da questo
episodio e, con un pizzico di esperienza in più, devo amaramente ammettere che
Mister Direttore aveva ragione. La dura, durissima verità è che a nessuno
importa nulla di ciò che scriviamo. Anche perché, lo avrete letto recentemente,
secondo un nuovo rapporto Ocse, gli studenti italiani sono sotto la media non
solo per quanto riguarda le scienze, ma anche, e in modo più preoccupante, per
quanto concerne la lettura, la letteratura e la comprensione di ciò che
leggono. Cioè, non solo leggono poco, schifano i giornali e si informano
frammentariamente, ma il più delle volte non capiscono nemmeno quello che
leggono. Ergo, se già è difficile digerire frasi con soggetto, predicato
e complemento, cosa vuoi che gliene importi ai giovani di sforzarsi di capire
cosa pensa quel povero nerd che ha scritto quella cosa o quell’altra? Un
Benny Hill Show, con solo risate finte in sottofondo, praticamente. E menomale
che l’indagine è stata svolta sui più giovani, sui quali, sempre più spesso, ci
fa comodo accanirci, perché temo che i risultati su noi adulti sarebbero
davvero allarmanti. Del resto, questi giovani nativi digitali li cresciamo noi
che avevamo il telefono a gettoni, ma predichiamo bene e razzoliamo male.
Anche per noi, pseudo-professionisti (o
aspiranti tali) della parola scritta non va tanto meglio. Scriviamo gratis o,
se va bene, sottopagati. Estremamente sottopagati. Scriviamo sbeffeggiati,
insultati, minacciati. Aggrediti, verbalmente e non solo. E se, per portare a
casa la pagnotta, scendiamo a compromessi e scriviamo di qualcosa che non è
nell’empireo delle materie più nobili (che sono proprio quelle che alla fine
nessuno si fila) siamo venduti, mercenari, affabulatori, creatori di
fake news che vogliono solo speculare sulla pelle di poveri creduloni. Per non
parlare dei luoghi comuni che circolano su chi scrive gialli, rosa o saggi,
come se tutto debba essere necessariamente incasellato, classificato,
catalogato a tutti i costi.
In questo circolo vizioso di indifferenza
non è facile per gli autori credere in ciò in cui scrivono, tanto quanto per i
lettori credere in ciò che leggono. E quindi la risposta alla domanda ‘a chi
interessa ciò che scriviamo’ non può che essere sconfortante.
Forse non tutti si rivedranno nel quadro
che ho descritto e non pretendo certo di avere la formula magica per
trasformare in virtuoso questo circolo apparentemente senza fine, ma forse, nel
nostro piccolo, un modo per ritrovare un velo di speranza c’è.
Lettori di tutto il mondo, unitevi e,
autori, fate altrettanto!
A Natale su dieci regali senz’anima
che siete costretti a fare, regalate almeno un libro. O un abbonamento a un
giornale, cartaceo o online. Su dieci foto di bambini, gatti, orsetti, nani e
pallette di Natale che inviate a ripetizione per fare gli auguri, mandate un
link a un articolo che vi ha colpito e spiegate il perché. Su dieci catene di
S. Antonio, ‘spero di essere il primo a mandarti un albero di Natale ecc.
ecc’. spezzate la catena (che tanto tutti siamo sfigati lo stesso) e
regalate una citazione, un sonetto, una poesia, l’incipit di un romanzo.
E voi autori, scrittori, blogger,
giornalisti, colleghi: su dieci articoli che scrivete sull’ultimo tronista, il
gieffino, il naufrago, il morto ammazzato, le accise sulla benzina, i presepi e
i crocefissi (e, vi assicuro, lo faccio anche io!), scrivete un articolo che vi
tocca nel profondo. In cui dite davvero la vostra. Anche se, di ciò che
pensate, non gliene frega niente a nessuno. Magari non cambia niente, ma
cambia voi. Cambia noi.
A Natale regalate parole che
diventano fatti. A voi e famiglia, naturalmente.