mercoledì 20 settembre 2017

Alessandra Redaelli: Arte, Amore e tante storie da scrivere


A lei scrivere romanzi piace proprio tanto. Ce lo ha confessato col sorriso, nel suo stile scanzonato e senza prendersi troppo sul serio. Soprattutto perché sono loro a guidarla, prendendola per mano, capitolo dopo capitolo. Ma chi è lei? Si tratta di Alessandra Redaelli, critica d’arte e curatrice di mostre d’arte contemporanea e loro sono Martina, Ananda, Nirvana e un mosaico di coloratissimi personaggi, protagonisti del suo primo romanzo, “Arte, amore e altri guai”, Newton Compton Editore, una storia frizzante e fuori dagli schemi, il cui impatto può essere paragonato a quello della Pop Art di Andy Warhol nel secolo scorso.
A dare una marcia in più a questa opera prima, oltre all’impronta stilistica molto personale dell’autrice, che aveva già caratterizzato i suoi saggi sulla storia dell’arte, sono proprio i suoi protagonisti. Quelle creature nate a due dimensioni, tra inchiostro e tastiera che, sul più bello, prendono letteralmente vita e si mettono a fare tutto da soli. E noi, lettori, ma evidentemente anche scrittori, ci mettiamo l’anima in pace e li assecondiamo, soprattutto quando a ispirarci è stata la nostra quotidianità. Alessandra Redaelli scrive di ciò che conosce e di ciò che ama e questo genuino trasporto si percepisce, pagina dopo pagina.
Martina, la protagonista della storia, è una donna che ha da poco superato i quaranta e si divide tra gli impegni di mamma di due adolescenti, i suoi gemelli Ananada e Nirvana, e gli obblighi di redazione della rivista d’arte con cui collabora. Ha un marito bello e attraente che ama moltissimo, ma quando si rende conto che qualcosa nel suo matrimonio inizia a scricchiolare, sarà costretta a mettersi profondamente in discussione, cercando di non perdere l’ironia che la contraddistingue, nonostante i guai che sembrano darle la caccia. Quella di Martina è una vita nella quale è facile immedesimarsi, fatta di fragilità, ma anche di tanti colori diversi, come potrebbe essere quella di ciascuna di noi, eroine di noi stesse, sempre di corsa, ma mai troppo impegnate per guardarci dentro, alla ricerca di un pizzico di romanticismo e passione.



Il passaggio dalla critica d’arte alla narrativa sembra esserti stato particolarmente congeniale, vista la naturalezza con cui hai costruito una storia divertente e dissacrante al tempo stesso, anche se, in fin dei conti, non ti sei allontanata troppo dal tuo mondo, visto che tanti stravaganti artisti fanno incursione tra le pagine di “Arte, amore e altri guai”, Newton Compton. Come nasce questa esigenza di raccontare e cosa ti ha ispirata durante la stesura del tuo primo romanzo?

L’esigenza di raccontare una storia come quella di Martina nasce dalla mia lunghissima esperienza all’interno di un mensile specializzato. Ho lavorato per tantissimi anni come collaboratrice fissa per la rivista Arte – della Cairo Editore – e collaboro ancora, ma per un lungo periodo ho vissuto proprio la vita della redazione. Ho avuto a che fare con diversi direttori, ognuno con i suoi talenti speciali e con le sue peculiarità. Ho lavorato gomito a gomito con colleghi fantastici con cui c’era uno scambio continuo e ho conosciuto una quantità di artisti, giovani o già famosi, che mi hanno entusiasmato e mi hanno fatto amare immensamente questo mondo. E poi c’era il caporedattore storico, quello il cui nome, nella cerchia dei critici e dei giornalisti di settore di Milano, fa ancora “tremare le vene e i polsi”. Un individuo pazzesco, indimenticabile, a tratti feroce e a tratti tenerissimo, che mi ha insegnato tantissimo e che ho messo al posto d’onore nei ringraziamenti del mio primo saggio. A lui – che oggi è in pensione e si gode la vita in una tranquilla cittadina del Piemonte – mi sono ispirata per uno dei personaggi che amo di più di “Arte, amore e altri guai”: il terribile Pitbull.

Già nei panni di saggista e divulgatrice hai dimostrato come, anche un argomento serio come quello della storia dell’arte, possa essere raccontato col sorriso. Facciamo un bilancio dei tuoi primi passi come narratrice: è un’esperienza che pensi di ripetere in futuro? Che autrice sei e come hai dovuto adattare il tuo metodo a seconda dei vari generi in cui ti sei cimentata?

Assolutamente sì: è un’esperienza che intendo ripetere. E già mi frullano mille idee per la testa.
Scegliere un tono leggero, apparentemente facile (e dentro quell’ “apparentemente” c’è tanto) e uno sguardo scanzonato e dissacrante nei confronti di una materia considerata ostica come l’arte contemporanea è stata la mia sfida, e credo di averla vinta. Tanti colleghi – che peraltro stimo moltissimo e da cui ho imparato tanto – si affidano per parlare d’arte a un linguaggio erudito e complesso. Io ho voluto dimostrare che per parlare di cultura si può usare un linguaggio diverso e che la leggerezza, a volte, è la chiave migliore, perché non fa paura, non è respingente, non mette l’interlocutore in soggezione, ma al contrario lo fa sentire a suo agio. Già dimostrare che un mucchio di caramelle o una stanza vuota sono opere d’arte non è la cosa più semplice del mondo, se poi lo si fa arrotolandosi dentro frasi involute il lettore rischia di mettersi a prendere a testate il muro per poi passare a una fiction in tv. Far capire invece anche a chi non bazzica la materia, che l’arte contemporanea può essere assaporata col piacere di una fiction – ma una fiction che ti lascia dentro qualcosa, ti apre la mente e ti rende felice – ecco, è una bella soddisfazione.
In realtà non c’è tanta differenza tra il linguaggio di “Keep Calm e impara a capire l’arte” o di “I segreti dell’arte moderna e contemporanea” e quello del romanzo. L’idea – sostanzialmente – è la stessa: parlare di cose serie (in questo caso il matrimonio a una svolta, i deragliamenti amorosi, il ruolo della donna, l’amicizia, il sesso) in maniera leggera ma precisa e senza sconti. Diciamo che, ora che conosco Martina, la protagonista del romanzo, penso che “Keep Calm” e “I segreti” potrebbe averli scritti proprio lei.




Come definiresti Martina, l’indimenticabile protagonista della tua storia? In generale, come hai delineato tutti i personaggi, più o meno importanti, che le ruotano attorno, a partire dai suoi figli adolescenti, Ananda e Nirvana?

Martina è una donna multitasking tipica del nostro tempo: mamma acrobata, moglie, massaia (più o meno…), professionista. Vorrebbe dare il meglio di sé in tutti i suoi ruoli, ed è sempre in corsa contro il tempo: sia quello della quotidianità – che le sembra perennemente insufficiente – che quello degli anni che passano, del corpo che cambia. Quello che succede al suo matrimonio è come uno schiaffo in piena faccia, e tuttavia è la chiave che le permette di rileggersi come una donna nuova, capace ancora di sedurre e di salvarsi attraverso la passione per il suo lavoro, l’aiuto delle amiche e – arma fondamentale – l’autoironia. Diciamo che per lei si chiude una porta e si apre un portone (o un burrone, come direbbe Fedez… sta a voi decidere).

Immagina di avere una macchina del tempo: quale grande artista o scrittore del passato ti piacerebbe conoscere e intervistare? E quali domande gli faresti?

Oh… Vorrei essere Berthe Morisot e – cavolo – giuro che riuscirei a sedurre Manet, a fargli lasciare la moglie (tanto non l’amava: la tradiva compulsivamente) e a farmi sposare da lui. Altro che accontentarmi del fratello! Ok, seriamente? Vorrei incontrare Artemisia Gentileschi anziana – è morta a sessant’anni… per quegli anni era anziana – e farle una lunga intervista, capire come ha fatto allora, in una delle epoche più buie, lei, donna, indifesa e sola, a farsi strada in quel mondo di lupi (maschi) che è l’arte e a uscirne come la più vittoriosa delle guerriere.



A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


La mia professione ufficiale è quella della curatrice di mostre, e per i mesi a venire ho tanti appuntamenti (si trova tutto sulla mia pagina Facebook). Per Newton Compton, poi, sto lavorando a un nuovo saggio. Sarà completamente diverso dai due precedenti, perché non sarà scandito in microcapitoli monografici su un’opera, ma avrà un andamento fluido e consequenziale. Anche se il tono – dont’t worry – sarà assolutamente il mio. E poi… chissà. Ti dirò: a me scrivere romanzi piace proprio tanto. 

mercoledì 13 settembre 2017

Carmela e Mariagrazia Colletta: aiutateci a trovare Salvatore


Da quando esistono software in grado di invecchiare i volti impressi sulle foto dei minori scomparsi in tutto il mondo, le immagini di adulti con lo sguardo da bambini si moltiplicano ogni giorno, dando una speranza a famiglie dilaniate da anni di dolore e sofferenza. I capelli possono diventare grigi e le rughe segnare guance e fronte, ma non esiste tecnologia in grado di modificare le espressioni pure che solo i bambini hanno quando li immortaliamo in una fotografia. Proprio come è accaduto con Salvatore Colletta, scomparso a quindici anni da Casteldaccia, a pochi chilometri da Palermo, il pomeriggio del 31 marzo 1992, venticinque anni fa.
Non c’erano gli smartphone quando il sorriso curioso di Salvatore è stato cristallizzato nella stessa foto che oggi è stata invecchiata, mostrando, con buone probabilità, che volto Salvatore potrebbe avere ora che ha superato i quarant’anni. Carmela La Spina, la mamma di Salvatore, e Mariagrazia Colletta, la sorella, conservano questo foto come un amuleto da tenere sul cuore, l’ultima speranza perché Salvatore non sia dimenticato, assieme a tanti bambini di cui si sono perse le tracce.
Quel pomeriggio di marzo del ’92, Salvatore si è allontanato in compagnia dell’amico dodicenne Mariano Farina, che ha coinvolto Salvatore nel progetto di vivere un’avventura lontano da casa e dalla famiglia. Salvatore era un ragazzo timido e non ha saputo sottrarsi, così i due ragazzini si sono fatti accompagnare in motorino da un amico in Contrada Gelso e da lì si sono perse le loro tracce. Quella fuga, che probabilmente doveva essere solo una ragazzata, si è trasformata in un incubo per chi è rimasto a casa ad aspettarli entrambi. Un incubo lungo venticinque anni e fatto ricerche a vuoto, segnalazioni infondate e piste inconsistenti, tra pentiti e millantatori. La maggior parte degli avvistamenti, nel corso degli anni, sembravano individuare i ragazzi nei campi nomadi, ma ogni volta che gli inquirenti hanno tentato di verificare le segnalazioni sono arrivati troppo tardi, quando dei ragazzi avvistati non c’era già più traccia.
L’ultima pista percorsa risale a oltre sei mesi fa, quando, a Roccamena, in provincia di Palermo, assieme alle ossa di almeno altri dieci sconosciuti, sono stati individuati i resti di due ragazzi adolescenti. Alla famiglia Colletta è stato prelevato il DNA per accertare o meno che si tratti di Salvatore, anche se è un’ipotesi improbabile, visto che le ossa sembrano risalire a oltre quarant’anni fa. Tuttavia le difficoltà di comparazione dei DNA sta allungando i tempi di attesa delle famiglie, amplificandone il dolore.
La sofferenza di chi aspetta da un quarto di secolo di poter riabbracciare un figlio si percepisce forte nelle parole di mamma Carmela. La stanchezza, la solitudine, la rabbia sono sentimenti che si alternano nei cuori di chi, a volte, si sente più “scomparso” degli scomparsi stessi. Possibile che non si possa fare qualcosa di più per cercare? È questa la domanda che si fa ogni giorno Carmela. Forse solo lo straniamento che si prova osservando le foto invecchiate al computer potrebbe spingerci a fare qualcosa di più perché questi adulti senza volto non rimangano bambini per sempre.

Chi è Salvatore? Ci racconti la sua storia.

Carmela: Salvatore era un ragazzino tranquillo e spensierato. Era riservato e timido. Andava a scuola e il pomeriggio amava giocare a pallone con gli amici. Non aveva problemi e andava d’accordo con tutti, ma soprattutto era molto attaccato ai suoi fratelli, coi quali aveva un rapporto profondo. Sono sicura che non aveva intenzione di scappare di casa, dandoci un dispiacere











Quando lo avete visto l’ultima volta? Cosa è accaduto il giorno della scomparsa e come si sono svolte le ricerche nel corso degli anni?

Carmela: L’ultima volta che lo abbiamo visto, il 31 marzo 1992, è uscito verso le quattro di pomeriggio, come faceva quasi tutti i giorni per andare a giocare con gli amici. Di solito stava fuori un’oretta o due, poi tornava a casa e ci preparavamo per la cena. Non si allontanava mai molto, di solito rimaneva proprio sotto casa. Tra i ragazzi che frequentava in quel periodo c’era anche Mariano Farina, il ragazzino col quale deve essersi allontanato, ma non erano amici intimi. Da allora neppure di Mariano si è saputo più nulla, sono scomparsi insieme, senza lasciare tracce certe che potessero aiutarci a cercarli. Quando ho saputo che Salvatore era andato via con Mariano, sono rimasta stupita, perché tra tutti gli amici che aveva all’epoca, era quello con cui probabilmente aveva meno confidenza. Quel pomeriggio c’erano anche altre persone con loro inizialmente, ma nessuna testimonianza ci ha dato elementi per trovare subito Salvatore. Quando mio figlio Ciro, che era con Salvatore, è tornato a casa e mi ha detto che il fratello sarebbe rientrato di lì a poco, non mi sono preoccupata subito. Ma col passare delle ore ho capito che era successo qualcosa. Non era da Salvatore tardare in quel modo.
Le ricerche sono iniziate tardi e sono state troppo lente fin dal principio. Abbiamo avuto molte segnalazioni, soprattutto nei campi nomadi. Io stessa, dopo quindici giorni dalla scomparsa, sono convinta di aver visto Mariano non troppo lontano casa, sulla Statale 113 a San Nicola, mentre ero in macchina con mio marito; perfino gli abiti coincidevano, ma, appena lui mi ha visto si è allontanato.

Voi che idea vi siete fatti: cosa può essere accaduto a Salvatore? Chi vi è stato più accanto in questo lungo periodo di dolore e attesa?

Carmela: Darei qualsiasi cosa per sapere cosa è accaduto a mio figlio. In questi anni, viste le tante segnalazioni nei campi nomadi, sono arrivata a pensare che un fondo di verità in quella pista forse c’è. Ma è davvero difficile riuscire a ricostruire l’accaduto e nessuno ci ha aiutato a farlo fino in fondo. A volte fatico a credere che siano passati venticinque anni da quel maledetto giorno. La famiglia si è stretta attorno a noi mentre tutti si dimenticavano di Salvatore e del nostro dolore, ma nessun altro, col passare degli anni, ha mai fatto nulla di particolare per la nostra disgrazia. Anche il Comune di Casteldaccia ci ha aiutato con alcune iniziative, ma è davvero faticoso far comprendere agli altri lo smarrimento quotidiano che si prova quando non si hanno notizie di un familiare. Non ci si abitua mai a questa sofferenza senza un perché.

Che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, l’opinione pubblica per aiutare le famiglie di fronte a un caso di scomparsa?

Carmela: Ricerche e appelli sono l’unica cosa importante per ritrovare qualcuno. Tutto deve essere accurato, approfondito e soprattutto immediato. Nel caso di mio figlio Salvatore noi siamo convinti che qualcuno sa molto più di ciò che ha detto e, forse, gli inquirenti avrebbero dovuto sentire più approfonditamente queste persone. Possibile che gli amici che, quel pomeriggio, erano con Salvatore e Mariano non sappiano nulla? Non posso crederci. Qualcuno sa e non ha detto tutto.
Solo nei primi dieci anni dalla scomparsa ci sono arrivate migliaia di segnalazioni di avvistamenti. Quante sono state davvero verificate? Neppure noi familiari lo sappiamo per certo. E ora tutti si sono dimenticati di noi.
Dai ritrovamenti dei resti di Roccamena sono passati mesi ormai. Hanno il DNA per le comparazioni, anche se non ci sono altre prove che le ossa ritrovare possano essere di Salvatore, ma ancora non sappiamo nulla di definitivo. Siamo a conoscenza del fatto che i procedimenti necessari per fare tutte le verifiche sono lunghi e complessi, ma ci domandiamo come mai ancora nessuno ci dia notizie.
Dopo circa cinque anni dalla scomparsa, la famiglia di Mariano è emigrata negli Stati Uniti e si trovano ancora lì, raramente ci sentiamo.

È il ricordo a mantenere vive le persone di cui si sono perse le tracce e a dare alle famiglie la forza di non smettere mai di cercare. Qual è il suo ricordo più vivo di Salvatore?

Carmela: Salvatore era troppo buono e genuino. Voleva crescere, ma era ancora ingenuo. Quel sorriso furbo e il suo carattere generoso, come posso dimenticarli? Era un ragazzino semplice e timido che amava la sua vita e la sua famiglia. Oggi sarebbe un uomo. Avrebbe potuto avere una casa, un lavoro, una famiglia tutta sua e invece gli è stato negato tutto. Rinnovo il mio appello a chiunque sappia qualcosa sulla scomparsa di Salvatore, soprattutto alle ultime persone che lo hanno visto, di dire tutta la verità, una volta per tutte.



Anche Mariagrazia, la sorella di Salvatore, ha voluto ricordarlo raccontandoci cosa significa crescere senza sapere cosa sia accaduto a un familiare e lanciando nuovamente un appello a chiunque possa aiutarli, anche dopo venticinque anni dalla scomparsa:

“Non avere notizie di un fratello da oltre venticinque anni è una tortura difficile da spiegare. Potrebbe accadere a tutti, ma nessuno si preoccupa di prendersi cura di noi familiari coinvolti e più passa il tempo e peggio è. Da quando esistono i Social Network e basta un click per diffondere un appello in tutto il mondo, molte famiglie hanno un canale in più per chiedere aiuto. Anche noi abbiamo creato un profilo Facebook a nome di mio fratello, nel quale pubblichiamo continuamente le sue foto per tenere alta l’attenzione su di lui, anche dopo tutto questo tempo. Ma la tecnologia ha anche un’altra faccia della medaglia davvero crudele. In questi anni, oltre a segnalazioni inattendibili, in molti si sono presi gioco di noi, dichiarando di avere informazioni che si sono rivelate un buco nell’acqua. L’ultima delusione l’abbiamo avuta proprio nelle scorse settimane, quando un giovane del centro Italia, che poi abbiamo scoperto essere un lontano conoscente, ci ha contattati su Facebook dichiarando di avere notizie su Salvatore. Abbiamo provato in ogni modo a farlo parlare e a capire la verità, ma ha iniziato a cambiare versione più e più volte e non c’è stato modo di capirne l’attendibilità. Ci siamo anche rivolti alle forze dell’ordine per far fare le dovute verifiche o prendere provvedimenti, ma nessuno ha saputo aiutarci davvero.

Provate a mettervi nei nostri panni. Provate a immaginare, solo per un attimo, cosa si prova a vivere così. Possibile che non si possa organizzare una squadra di professionisti esperti in grado di proseguire più attivamente le indagini, anche per questi casi così difficili e lontani nel tempo? Ci sentiamo abbandonati e dimenticati da tutti, ma noi non vogliamo arrenderci. Non vogliamo perdere fiducia nella giustizia. E, soprattutto, non vogliamo perdere la speranza di riabbracciare Salvatore al più presto”.

mercoledì 6 settembre 2017

Tre buone ragioni per… andare in vacanza a settembre


Siete stanchi di sgomitare per pochi centimetri di spiaggia in più e di fare la fila a caselli, porti e aeroporti per raggiungere le mete delle ferie tanto agognate? Una soluzione c’è e non è certo quella di smettere di andare in vacanza! Si sa, per noi Italiani il Ferragosto è sacro, ma se ciò che state cercando è meno confusione e più tranquillità, con prezzi più accessibili e servizi migliori, dovete rassegnarvi a trascorrere il mese di agosto in città e posticipare di qualche settimana le vostre vacanze, puntando tutto sulle prime settimane di settembre.
Sono sempre di più, infatti, i viaggiatori che considerano questo periodo dell’anno il migliore per spostarsi, tanto al mare, quanto in montagna e perfino nelle grandi metropoli, meno caotiche del solito. “Se ne riparla a settembre” è una frase che non fa più paura ormai, grazie alle nostre tre buone ragioni per andare in vacanza a settembre.

1.      Meno folla, più relax e ospitalità. I numeri sono in aumento, ma viaggiare a settembre è ancora controcorrente, ecco perché sarà più facile rilassarvi e godere della più meticolosa ospitalità da parte delle strutture da voi prescelte, a prescindere dalle vostre mete preferite.

2.        Meno caldo, più natura e cultura. Anche passeggiare per parchi, ville, mostre e musei sarà meno stancante, soprattutto nel nostro splendido Paese, grazie alle temperature più godibili e meno infuocate delle settimane passate.


3.      Meno programmi, più risparmio e buon senso. Desiderate partire senza una meta, ma anche senza spendere troppo? Se non amate programmare al minuto le vostre vacanze e volete lasciarvi andare all’ispirazione senza farvi spennare, vi basterà solo un pizzico di buon senso per comprendere che settembre è il mese ideale per l’avventura.