mercoledì 23 ottobre 2019

Cristiano Ranalletta: il ‘mio’ cielo sopra il Pigneto



È impulsivo, ruvido, graffiante, e nel suo stile, tagliente e poetico al tempo stesso, c’è un ritratto della Roma di oggi, caotica e inafferrabile, eppure mollemente lenta e sempre capace di sopravvivere a se stessa con l’imperturbabilità imperiale che la contraddistingue da secoli. Stiamo parlando di Cristiano Ranalletta e del suo ultimo romanzo, “Il cielo sopra il Pigneto”, edito da Scatole Parlanti.
Che Cristiano Ranalletta sia un osservatore vorace e attento della realtà che lo circonda è evidente sin dalle prime righe di questa nuova storia in cui Federico, il protagonista, guida il lettore attraverso un viaggio ai confini tra la vita vera e quella virtuale, descrivendo la Roma in cui ha vissuto e continua a vivere con grande senso di appartenenza. La goliardia, il multiculturalismo, la furbizia, ma anche la ferocia e la diffidenza si miscelano attraverso lo sguardo di Federico e di tutti i personaggi che incontrerà nel suo cammino, in un percorso di vita che ha come denominatore comune l’amore e, in un certo senso, la ricerca della felicità e della realizzazione.
Con una lucidità e un realismo tali da rasentare quasi il senso di alienazione, Cristiano Ranalletta ripercorre strade e quartieri già esplorati in passato, in molti modi differenti, da tanti scrittori e registi, mantenendo ben salda la cifra della propria personalità letteraria e lasciando tenere il timone ai suoi personaggi, talvolta variegati e allegri, talaltra malinconici e distanti tra loro, come isole dentro la città.
La modernità con cui quartieri come il Pigneto e Tor Pignattara vengono raccontati attraverso le peripezie di vita quotidiana dei protagonisti, mantiene in sé l’ammaliante afflato di un film in bianco e nero, senza perdere la freschezza dell’originalità tanto ricercata, descrizione dopo descrizione, riflessione dopo riflessione, dialogo dopo dialogo.


Molti autori lo hanno già fatto in passato, ma anche tu sei riuscito a trasformare, con grande originalità, la città di Roma e, in particolare, il Pigneto, in un vero e proprio personaggio, che interagisce con tutti gli altri presenti nel tuo ultimo romanzo, “Il cielo sopra il Pigneto”, Scatole Parlanti. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa volevi comunicare?

Be’, intanto grazie.  In quello che ho scritto c’è molto vissuto, c’è tensione, emotività.
Il romanzo fonde un percorso individuale, esistenziale e amoroso, con uno collettivo, socioculturale. Due filoni disgiunti che però si sono amalgamati creando una duplice suggestione. È stato prevalentemente il mio stomaco a dettarmi il testo, riga per riga. Da anni ruotavo attorno a quei temi (inclusi quelli esistenziali: la felicità, l’amore), poi come per magia hanno preso forma.

Che scrittore sei? Da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Segui l’ispirazione in ogni momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?

Non scrivo quasi nulla durante il giorno. Penso, raccolgo materiale dalla strada o dal vissuto lo integro con delle riflessioni più accademiche, poi a un certo punto lo stomaco mi dice che ci siamo. A quel punto scrivo di getto.

Roma, Tor Pignattara e il Pigneto, in particolare, sembrano proprio “respirare” autonomamente tra le pagine del tuo romanzo, facendo da sfondo alle vite di un caleidoscopio di personaggi che intrecciano le proprie diversità, facendosi forza nelle rispettive identità. In generale come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li coinvolgono? E come si fa a trasformare una città complessa come Roma in un vero e proprio personaggio?

In generale mi rifaccio molto alla realtà nella creazione dei personaggi. O quantomeno nel caso specifico del romanzo “Il cielo sopra il Pigneto”. La realtà che vivo non ha nulla da invidiare alla più fervida immaginazione. Osservo molto.
Il mio è stato un atto di amore nei confronti del territorio, da qui probabilmente la trasformazione in personaggio. Ad ogni modo, penso che Roma si presti molto bene, Pasolini riusciva magnificamente in questo.

Per saper scrivere bene, occorre senza dubbio leggere molto: che libro c’è al momento sul tuo comodino? Quali sono le tue autrici e i tuoi autori di riferimento? Cosa chiederesti a una o uno di loro, se avessi la possibilità di incontrarlo, in un’immaginaria chiacchierata tra il tempo e lo spazio?

Recentemente ho incontrato Michael Cunningham, abbiamo fatto una amabile chiacchierata.
In questo momento sto leggendo un romanzo di Guillermo Arriaga, apprezzai molto la trilogia di Alejandro Inarritu, per la quale Arriaga curò la sceneggiatura. Adoro Philip Roth. Ho amato Milan Kundera.
Vedi, io sono un ingegnere. Ho passato anni a leggere teoremi matematici complicatissimi. Ho cercato di farmi una cultura quasi da autodidatta.
Probabilmente avrei desiderato fare due passi con Pasolini per il Pigneto. Ma non ho una particolare smania di incontrare gli autori. L’unica persona che avrei voluto incontrare dell’ecosistema artistico è Marcello Mastroianni. Avrei voluto mangiare insieme a lui una pasta e fagioli in una vecchia trattoria romana. Godermi la sua bulimia di vita, la sua fragilità, la sua cortesia.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Ci sono diversi temi che mi frullano in testa: l’evanescenza dei desideri, la post verità e ancora l’amore, questo sentimento sublime che tenta di adeguarsi ai tempi delle piattaforme social, con conseguenze tragicomiche. 


mercoledì 9 ottobre 2019

Imma Tataranni non è Montalbano (al femminile)


Dopo un’intera estate di promo che ce l’hanno mostrata appollaiata sul suo galleggiante gonfiabile a forma di ananas nel mezzo di un mare calmo e turchese, lo scorso 22 settembre ha fatto il suo esordio Imma Tataranni – Sostituto Procuratore, la nuova fiction targata Rai Uno che ha ufficialmente aperto l’autunno delle prime serate del servizio pubblico dedicate alla serialità nostrana.
Sarà stata la recente scomparsa di Andrea Camilleri, seguita, poco dopo, da quella di Alberto Sironi, fatto sta che, neanche erano finiti i titoli di testa della prima puntata, gran parte della critica e dei telespettatori hanno sentito il bisogno di accostare la rossa dal tacco dodici al commissario più amato dagli italiani (ma un po’ meno da certi Direttori).
Prima di farci un’idea tutta nostra, abbiamo voluto seguire le avventure della Tataranni televisiva per qualche settimana e, soffermandoci unicamente sulle trasposizioni Tv, siamo giunti alla conclusione che la Tataranni non è un Montalbano al femminile, né, tantomeno, femminista. E, probabilmente, sia Camilleri, sia Sironi, se potessero, si farebbero una bella risata su tutta questa faccenda.


Che per affezionare e affezionarsi sia utile fare accostamenti di cuore e di pancia, ne siamo abbastanza certi, ma, almeno in seconda battuta, è bene fare riflessioni più profonde. Innanzitutto la Tataranni è donna. E non è una semplice evidenza, ma una piacevole novità anche per la rete ammiraglia della Rai che, nella sua fiction degli ultimi anni, non ha donne per protagoniste (se escludiamo quelle col velo e i voti perpetui), ma sono come comprimarie, spalle o gregarie atte al lancio di ruoli maschili. La Tataranni è donna, lavoratrice (e che lavoratrice!), moglie, madre e… faticosamente nuora. Tutti ruoli che spiccano a trecentosessanta gradi, alternandosi tra i ritmi della narrazione, che passa piacevolmente dal mistero da risolvere, alle esilaranti peripezie della vita quotidiana. Montalbano non solo è un uomo, ma è interamente circondato da una squadra di collaboratori uomini. Inoltre, come accade generalmente, in molte storie del Maestro le donne hanno ruoli e personalità quasi favolistiche, dalla femme fatale che mette tutti al tappeto, alla giovane innocente siciliana di una volta, col vestitino a fiori e i boccoli neri. Imma, dal canto suo, è moderna, testarda, meticolosa, con una memoria di ferro e un’abilità unica nel seguire e far seguire le regole, senza mai abbassare il capo di fronte alle gerarchie e ai potenti. Mariolina Venezia, la sua mamma letteraria, che, dopo i romanzi, ha contribuito a scrivere anche la sceneggiatura della fiction, si è battuta affinché la trasposizione televisiva della sua Tataranni non la trasformasse in una macchietta, più isteria che intelletto e ci è riuscita alla grande, perché la Tataranni tiene incollati allo schermo. Fa ridere, fa commuovere, fa riflettere. E se te ne perdi qualche dettaglio, hai persino voglia di riguardarla in streaming, perché quel sottile filo conduttore che lega ogni episodio al successivo, praticamente impercettibile in Montalbano, è intrigante e stimolante. Tra un caso e l’altro, Imma sa di essere una madre ingombrante, ma ciò non le impedisce di restare se stessa, invadente, ma anche protettiva. E le occhiate che riserva al giovane e bel carabiniere Calogiuri sono spassose tanto quanto la tenera sintonia che la lega a quel tesoro di marito che ha, Pietro, sempre pronto a mettere pace e freno, ma solo quando serve, alla sua esuberanza.


Imma Tataranni – Sostituto Procuratore è un raffinato e divertente gioco di equilibri, sullo sfondo di una Matera scintillante e cupa nello stesso tempo, e, a coronare questo gran lavoro di fino, c’è il talento di Vanessa Scalera, un volto poco noto sul piccolo schermo Rai che ha decisamente bisogno di facce nuove in questo senso.
Se c’è una cosa che accomuna Salvo Montalbano e Immacolata Tataranni è il senso del dovere e dello Stato, che si può e si deve trasmettere a chi guarda la Tv, anche attraverso le narrazioni di fantasia, e la capacità di entrambi questi personaggi, prestati dalla carta, di aprire uno spaccato sulla complessa e complicata giustizia italiana.