Di storie di donne non siamo mai sazie. Soprattutto
se sono scritte col trasporto che caratterizza lo stile di Luana Troncanetti.
Dopo il successo de “I silenzi di Roma”, Fratelli Frilli Editori, Luana
Troncanetti ha dimostrato tutta la sua sensibilità con “Gabbie”, una
raccolta di racconti autopubblicata che mette insieme storie di “donne in nero”,
intrappolate in gabbie, vere o immaginarie, dalle quali faticano a tirarsi
fuori.
Miriam, Giorgia, Adalet, Eva e Nunzia sono
le cinque protagoniste di altrettante storie che toccano profondamente l’immaginario
e la sensibilità del lettore. Chi conosce il talento letterario dell’istrionica
autrice, rimarrà piacevolmente colpito, ancora una volta, dalla potenza
descrittiva delle sue pagine, nelle quali è facile immedesimarsi. Ciascuno dei
personaggi femminili che vivono queste vicende, talvolta crude, è una
sfaccettatura letteraria dell’imperscrutabile fragilità delle donne e di tutti
i ruoli che ognuna di noi ha nella propria vita.
Questa raccolta di racconti ha un unico
vero difetto: è troppo breve per saziare la fame di tutte le lettrici più
voraci.
Cinque donne in gabbia che fanno i conti
con le sbarre che le imprigionano, fuori e dentro loro stesse: “Gabbie”, una
raccolta di racconti auto pubblicata, contiene storie caratterizzate da
interessanti spunti di riflessione, che, tra l’altro, hanno vinto premi
importanti. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato
durante la stesura? Cosa volevi comunicare?
“Gabbie” è una raccolta auto pubblicata sui
generis: in realtà quattro racconti su cinque figurano in antologie
cartacee con edizione canonica. È
capitato, citando il titolo dell’unico inedito, che qualcuno mi chiedesse
di leggere questi scritti. Mi sono detta che in pochi sarebbero stati disposti
ad acquistare un’antologia soltanto per me. L’idea, banalissima, è stata quella
di radunarli per offrire assaggi della mia penna a un prezzo più che contenuto.
A differenza di “Agrodolce”, una raccolta
pubblicata anni fa con l’Erudita (Giulio Perrone), quando li ho
accorpati in un unico file mi sono accorta del fil rouge: donne infilate in una
prigione.
Non restava che ideare un titolo e una
copertina che le rappresentasse. Gabbie mi
sembrava calzante, così come l’immagine libera da copyright che ho utilizzato
per realizzare la cover.
Il messaggio è racchiuso nell’aforisma di
Victor Hugo che introduce l’e-book: “L’anima aiuta il corpo e in certi
momenti lo solleva. È l’unico uccello che sostenga la sua gabbia.”
Che scrittrice sei? Quando e da dove nasce
la tua esigenza di scrivere? Segui l’ispirazione a ogni ora della giornata o
hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?
La mia attuale esigenza di scrivere mi
sorprende. Come sia nata, di colpo, questa voglia di raccontare storie davvero
non te lo so dire; il mio sogno sarebbe stato quello di disegnare. Scrivo in
modo più o meno sistematico da circa dieci anni, nel caos più totale, “con le
scie degli aerei nemici sulla testa.” Così mi diverte definire il mio metodo collaudato.
Miriam, Giorgia, Adalet, Eva, e Nunzia:
ecco le cinque donne protagoniste dei racconti noir. Come le definiresti? In generale,
come delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?
Le mie donne sono uccelli senza voce, mi
hanno chiesto di raccontare il loro canto nero. Soffocate da precetti e pregiudizi,
alcune di loro si macchiano di colpe che pagano senza sconti di pena. Altre,
del tutto innocenti, sono tuttavia incarcerate in quella mastodontica balla che
una donna, soprattutto se madre, deve farcela sempre. Nessuno, però, la
sostiene o le insegna come. Fra le cinque, Eva e Nunzia sono le uniche ad avere
figli. Le sole - in ogni possibile
accezione - costrette a sporcarsi le mani di sangue. Mi sento male tutte le
volte in cui rileggo le loro storie.
Per quanto mi riguarda, nei romanzi è
vitale una programmazione degli eventi e una delineazione preventiva dei
personaggi. Succede anche nelle duecento pagine che l’idea iniziale assuma
risvolti imprevisti, ma è più difficile. La scaletta aiuta a non perdermi e
soprattutto a non far smarrire il lettore.
Nei racconti brevi sono i protagonisti che
mi raccontano la loro storia. Fino a poco tempo fa avrei sghignazzato all’idea
di trasformarmi in una dattilografa. Invece, mi succede questo: anche quando
parto da un tema assegnato, e non da un’ispirazione tutta mia, scrivo sotto
dettatura. Carmen
è un esempio su tutti. Sfora abbondantemente le dieci cartelle, rappresentando
in genere la mia dimensione ideale. L’ho buttato giù in un’ora, quasi in
trance, senza sapere quale piega avrebbe preso la storia. Era Grazia, la
narratrice, che mi diceva tutto.
Tra Web, selfpublishing e case editrici,
gli autori di oggi sono portati, ma anche obbligati, a reinventarsi
continuamente. Facciamo un bilancio del tuo percorso di scrittrice, tra
difficoltà quotidiane e obiettivi raggiunti. È ancora possibile oggigiorno,
secondo te, vivere di scrittura?
È possibile per pochissimi. Anche i più
affermati si tengono stretto il lavoro che produce reddito. Portano avanti il secondo, quello della
scrittura, che potrebbe produrne con incognite che spesso prescindono logica e
meritocrazia. Mi sembra una scelta saggia ed è così da sempre.
A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci
quali sono i tuoi programmi per il futuro.
Ho quasi terminato di raccogliere la
documentazione necessaria a scrivere il sequel de “I silenzi di Roma”, un noir edito
dalla Fratelli Frilli Editori. In questa seconda puntata darò maggior
risalto a Paolo Proietti, ispettore capo della squadra mobile sezione omicidi
di Roma. Al momento è il coprotagonista del romanzo insieme a Ernesto, tassista
e amico fraterno.
Per delineare nel miglior modo possibile le
azioni del mio ispettore, sto scomodando due poliziotti e un’avvocata
penalista. Ho rallentato di almeno tre mesi l’inizio della stesura, voglio
evitare svarioni procedurali o suggestioni al limite del surreale; ho letto in
giro di ufficiali di Polizia in servizio attivo che soffrirebbero di attacchi
di panico e/o altre patologie invalidanti anche per chi svolge professioni meno
complesse. Romanzare è lecito, concedere licenze alla realtà senz’altro possibile.
Nonostante ciò, ho preferito frenare i tempi della seconda uscita per offrire
una storia che non scalfisca la veridicità e la logica. È un atto di cura
dovuto al lettore, anche al meno esigente.
Il secondo progetto richiederà parecchio
tempo: si tratta di un romanzo che ho steso di pancia circa tre anni fa. Va
ampliato e revisionato in ogni virgola. Non ha un genere specifico, il tema
principale è il terremoto. L’argomento mi sta a cuore perché sono di
origine marchigiana. Conosco bene, anche se in forma trasversale, lo strazio di
chi deve ancora combattere un evento che ha devastato cinque regioni italiane.
Racconterò quella più vicina a me per ragioni di sangue, il pensiero abbracciato
al dolore di tutte le altre.