domenica 29 maggio 2016

Cassandra Rocca: il coraggio di scrivere, tra amore e risate


Se pensi che i sogni non si avverino mai, ricorda che a New York tutto può succedere! Cassandra Rocca ne era profondamente convinta quando, spinta dalla passione e dall’esigenza di scrivere, ha iniziato la prima stesura di “Tutta colpa di New York”, l’indimenticabile commedia romantica che racconta la storia di Clover, la dolce personal shopper innamorata dell’atmosfera natalizia, e di Cade, il divo hollywoodiano apparentemente imperturbabile in cerca di normalità. A questo primo romanzo che l’ha resa famosa, garantendole il suo primo contratto con la Casa Editrice Newton Compton, ne sono seguiti altri che hanno dato vita a una serie che ha fatto battere il cuore di tutte le lettrici e i lettori, tra emozioni e risate.
Per scrivere, infatti, occorrono coraggio, talento e dedizione, oltre a un pizzico di incoscienza e a tanta fortuna. Le delusioni sono sempre dietro l’angolo, ma, come Cassandra Rocca ci ha insegnato, grazie al suo stile fresco e scorrevole e alle sue storie piene di ottimismo e fantasia, non ci si può arrendere, se scrivere è un bisogno primario, nato dalle radici del nostro cuore. Dal self publishing, al contratto con un grande editore, la spontaneità e l’entusiasmo di quest’autrice, in grado di farci viaggiare in tutto il mondo solo attraverso carta e inchiostro, non sono cambiati. La sua capacità di coniugare l’intensità dell’amore alla leggerezza del sorriso è cresciuta, sviluppandosi in trame sempre più articolate e credibili e facendo sì che la genuinità delle prime opere lasciasse il passo a una penna più sicura e metodica, ma non per questo meno vera e originale.
Un’autrice italiana tutta da scoprire, per chi ancora non avesse letto le sue fiabe moderne, e da tenere d’occhio perché, prima della fine dell’anno, tornerà in libreria con una nuova divertente e appassionata storia d’amore e di sogni da realizzare.


Con la serie “Tutta colpa di New York” sei entrata nel cuore di tutti i lettori e le lettrici. Raccontaci la genesi di questi romanzi così fortunati: cosa ti ha ispirato?

Dopo metà della vita passata a sognare di vedere un mio libro in libreria, quattro anni fa mi sono decisa a inviare un manoscritto ad alcune case editrici. Ho scelto il mio romanzo migliore, secondo il mio guato, scritto a vent'anni e rivisto miliardi di volte, e mi sono messa ad aspettare una risposta... che non è mai arrivata.
Naturalmente quel rifiuto implicito mi ha bloccata, credevo fosse inutile continuare. Il sogno si era infranto e io non riuscivo più a scrivere.
Ma chi ha questa passione non può fare a meno di scrivere per troppo tempo e così, dopo otto mesi esatti dall'invio del manoscritto, ho ripreso in mano la penna, solo per il gusto di farlo. Ho deciso di iniziare con qualcosa di poco impegnativo: un semplice racconto natalizio, visto che era novembre e iniziavo già a respirare il clima delle feste, che adoro. Più scrivevo e più avevo voglia di farlo e la protagonista mi somigliava sempre di più a ogni pagina, con quella sua voglia di continuare a credere, nonostante tutto.
Dopo neanche un mese, “Tutta colpa di New York” era concluso e gli altri due romanzi erano già chiari nella mia mente.
A quel punto in me è nato il desiderio di capire se ero stata rifiutata dalle case editrici perché realmente credevano che non avessi la stoffa per questo lavoro, o se ero stata solo ignorata. Così ho provato la strada del self publishing. Voleva essere un esperimento, non mi conosceva nessuno, non ne ho parlato nemmeno alla mia famiglia, né mi sono fatta pubblicità sul web. Ho messo online il file del romanzo appena scritto e ho aspettato un riscontro, senza farmi troppe illusioni.
Dopo poche settimane ero inspiegabilmente prima in classifica su Amazon e nel giro di un mese ho firmato il contratto con la Newton Compton per l'intera trilogia. Il resto è storia e per me ha ancora dell'incredibile!

Che scrittrice sei: segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare? Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

Non avendo avuto un'infanzia felice, né un'adolescenza normale, rifugiarmi in realtà migliori era l'unico modo che avevo per andare avanti. I libri mi facevano stare bene, ma non erano sempre a disposizione. Così ho iniziato a scrivermeli da sola più o meno all'età di dodici anni: potevo evadere ogni volta che volevo, dovunque mi trovassi e mi bastavano solo un quaderno e una penna.
Seguivo l'ispirazione del momento, scuola permettendo, non pianificavo nulla, scrivevo e basta, tutte le volte che potevo. Del resto, lo facevo solo per me o per un pugno di amiche, il giudizio della gente non mi importava: una storia doveva solo farmi stare bene e distrarmi, nulla più.
Ora che scrivo per professione, cerco di impostare le cose in modo più razionale: faccio moltissime ricerche, soprattutto dal momento che adoro ambientare i miei romanzi all'estero. Sto attenta alla trama, a far sì che la storia non abbia buchi, che sia di facile lettura, coinvolgente e che sia verosimile, pur scrivendo commedie romantiche un po' fiabesche. Ma una volta iniziato a scrivere, finisco comunque per farmi trascinare dai personaggi. Se una storia non emoziona me per prima, non emozionerà nemmeno i lettori. Non riesco a scrivere a comando, devo sentire ogni parola e apprezzarla prima di tutto come lettrice.
Quanto al tempo, se ispirata scrivo ogni volta che ho un momento libero, anche a costo di appuntare frasi o idee sulle note del telefonino!

Come si struttura un perfetto romanzo d’amore? Quanto contano un buon incipit e un’efficace scansione dei capitoli? Svelaci i tuoi segreti…

Non ho segreti, né così tanta esperienza da poter dettare regole. So quel che ho imparato negli ultimi anni, anche grazie alle mie editor: un romanzo d'amore deve seguire uno schema preciso, deve avere una protagonista femminile in cui le lettrici si possano identificare, un protagonista maschile da favola, un amore appassionato ma anche travagliato – per mantenere vivo l'interesse – e il sospirato lieto fine. Quest'ultimo punto è tassativo, altrimenti non si tratta di un romanzo rosa!
L'incipit è fondamentale, serve a far entrare immediatamente un lettore nella storia: troppe disgressioni stancano, i dettagli e le pause vanno dosati nel corso della stesura. Il risultato deve essere equilibrato, dare l'impressione di essere stato scritto di getto nonostante l'attenta pianificazione. Bisogna “mostrare”, più che raccontare... Insomma, non è facile come sembra!
Ma, tecnica a parte, credo che la vera perfezione di un romanzo la decreti il lettore, non l'autore.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Con l’avvento del digitale, cosa è cambiato per gli autori 2.0?

Si spera sempre di poter vivere della propria passione, anche se in Italia le cose sono più complicate che in altri paesi. Un po' per via di tasse e obblighi burocratici assurdi che dimezzano i guadagni, ma anche per una ingiustificata reticenza dei lettori a dare fiducia agli scrittori italiani: vige questa convinzione che gli stranieri lo fanno meglio, chissà perché!
Il digitale ha decisamente contribuito a far conoscere nuove voci: è alla portata di tutti, soprattutto dei più giovani – molto più portati alla tecnologia – e ha convinto più persone a leggere, a provare autori e generi diversi, anche grazie ai prezzi bassi e alla grande varietà di titoli in commercio. Il rovescio della medaglia, secondo me, è dato dalla pirateria, che di certo non aiuta gli autori a vivere di scrittura, dal momento che li priva di parte dei guadagni. Senza dimenticare che tenere un libro in mano, fatto di carta e inchiostro, ha sempre il suo fascino, non paragonabile a un file anonimo su un computer e sono ancora molti coloro che preferiscono sfogliare le pagine, piuttosto che toccare uno schermo.
Da autrice, sono contenta di essere presente sul mercato in entrambi i formati e accontentare, così, tutte le tipologie di lettori.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Sto per iniziare la stesura del prossimo romanzo, ma la trama è ancora in lavorazione e non posso anticipare nulla. Ciò che posso dire è che si tratterà ancora di una commedia romantica, che credo ormai sia il mio marchio di fabbrica, sperando di offrire a chi mi segue un prodotto piacevole. Se la stesura procederà senza intoppi, potrei tornare in libreria entro la fine dell'anno.


venerdì 20 maggio 2016

Fabio Beccacini: quando Torino si tinge di ‘noir’


A Torino l’inverno volge al termine, ma, come spesso accade, la primavera tarda ad arrivare poiché gli ultimi scampoli di gelo hanno stretto la città in una morsa che sembra provenire dai Paesi dell’Est e che sta paralizzando un quartiere dopo l’altro. È in questo clima, più metaforico che meteorologico, che il Commissario Giorgio Paludi si ritrova invischiato in un’indagine che sembra impossibile da risolvere. Ogni indizio svela risvolti sempre più inquietanti su un’organizzazione inaspettatamente articolata che opera tra le vie della città. Tutto ha inizio con due omicidi difficili da collegare: quello di una ragazza, il cui cadavere viene ritrovato da due parcheggiatori abusivi in un magazzino in disuso, con polsi e caviglie legati, e quello di un uomo dalla dubbia reputazione, titolare di un’agenzia matrimoniale dedita alla truffa, che viene rinvenuto nel suo ufficio, trucidato da numerosi colpi di arma da fuoco. Non sarà facile, per il Commissario Paludi, unire, in questa scacchiera metropolitana, una serie di fatti solo apparentemente scollegati tra loro, i quali hanno tutta l’aria di essere il frutto di un’associazione criminale che, da Budapest, ha deciso di regolare i conti proprio nella città di Torino.
“Mentre Torino dorme”, Fratelli Frilli Editori, è l’ultimo romanzo di Fabio Beccacini che, con questa nuova indagine del Commissario Giorgio Paludi, ha dimostrato, ancora una volta, il suo amore per la città di Torino, rendendola un vero e proprio personaggio muto della storia, non semplicemente un’arrendevole testimone dei fatti. In questo giallo, intriso di cronaca e attualità, l’autore imprime alla narrazione un ritmo serrato che coinvolge il lettore fino al sorprendente epilogo. La capacità descrittiva di Fabio Beccacini è tale da alleggerire il testo, arricchendolo di immagini così vivide da fuoriuscire letteralmente dalle pagine, grazie anche ai dialoghi taglienti e allo spessore del protagonista, un Commissario decisamente fuori dagli schemi.



Un mosaico di brutali omicidi rivela le pericolose spire di un’organizzazione criminale che vuole travolgere Torino: sono questi gli ingredienti di “Mentre Torino dorme”, Fratelli Frilli Editori. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa vuoi comunicare?

Vivo a San Salvario, uno dei quartieri più contaminati della città e uno dei più criminali, anche se l'illegalità scivola abbastanza silenziosa, nascosta dallo scintillio della movida. La mappa geografica delle etnie che abitano qui rappresenta ogni angolo del pianeta. Ho soltanto seguito alcune di queste storie per vedere dove mi avrebbero portato e ho cercato di raccontarle. Mi è bastato guardare l'incrocio all'angolo sotto casa mia, dove i nigeriani spacciano, le albanesi e le cinesi si prostituiscono, e le mani si stringono. Sono arrivato in un attimo in appartamenti dove si consuma del sesso a pagamento, con la scusa del cane da portare fuori. Così iniziano i romanzi, erano lì, accanto a noi. E non lo sapevamo.

Di Commissari, più o meno famosi, se ne leggono davvero tanti nel panorama letterario italiano: come si fa a delineare un Commissario ‘di successo’, credibile e convincente? Chi è il tuo Giorgio Paludi? Come lo definiresti?

Immagino di non poter rispondere: non ne ho idea! Il Commissario Giorgio Paludi è uno inadatto alla vita, con un difetto grandissimo: non dimentica niente. E soprattutto è uno che non riesce a rassegnarsi alla sconfitta. Anche dopo anni di carriera, anche dopo aver capito qual è il gioco a cui la polizia è costretta a giocare: un ruolo di rimessa in una società sempre più 'grigia', in cui l'illegalità scolora e attacca ogni strato della città, scivolando tra le pieghe, come qualcosa di organico. Paludi è un pugile suonato sul ring, uno che si rialza sempre. Prende un sacco di botte e poi vince ai punti. Ma le cicatrici restano, sono tatuaggi nell'anima. Un'anima di quasi due metri. Non so se questa sia una buona ricetta per un Commissario di successo, anzi non sembrerebbe proprio! Ma è la sua.

Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che scrittore sei: segui l’ispirazione a qualsiasi ora del giorno o hai un metodo ben preciso dal quale non puoi prescindere?

Scrivo, leggo, penso storie a ogni ora del giorno e della notte. Senza sosta e assolutamente senza metodo. È il mio modo di vivere. Ho il vizio dell'immaginazione. E, anche se quando si tratta di storie noir, l'immaginazione non porta certo in posti soleggiati, non ne posso fare a meno. È la mia malattia. Ma ce ne sono di peggiori e ne ho anche di peggiori!

Torino, la città in cui è ambientata la storia, è un vero e proprio silenzioso e affascinante personaggio del romanzo. Quanto e perché ti senti così legato a questa città magnetica e misteriosa?

Torino è il personaggio più importante del mio libro. Una città che ho odiato a lungo, con metodo. Pur ammirandone l'innegabile bellezza e il fascino, ne vedevo solo le contraddizioni e l'esasperata mancanza di identità. Io, come il Commissario Paludi, sono ligure. Vagavo in cerca del mare come un rabdomante, mi perdevo nell'ordine superficiale della città., nell'educazione formale che mi voleva far credere. L'ho attesa per anni, Torino, come un'amante recalcitrante. E poi è arrivata, in tutto il suo splendore, nella somma piena di tutti i colori che riesce a dare: un nero intensissimo. Una cifra che ha solo lei, ma che disvela con pudore. E soltanto a chi la assedia, con grande cortesia.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Sto lavorando a tre storie insieme, come faccio sempre. Per me tutto è corale, multitasking, contaminato. Confuso. Confuso nel senso che ogni cosa ne ricalca un'altra e rimanda a una in più ancora. A provare a leggere il mondo e la nostra società, la vista va spesso fuori fuoco. Perde i connotati di quello che credevamo ovvio. Ed è proprio in quella sfocatura, in quella terra di nessuno, di cui non conoscevamo l'esistenza, che si trovano le storie più interessanti. E che mi sembra di trovare un senso a quello che faccio.
Magari volevate sapere qualcosa dei miei progetti e, invece, sto divagando...

Dunque: innanzitutto ho in cantiere un giallo ambientato nell'entroterra di ponente, con un medico di famiglia mezzo matto che indaga tra ottuagenarie con l'enfisema e turiste tedesche di un metro e ottanta cotte dal sole. Poi, c’è la quinta storia del commissario Paludi, in cui, per la prima volta, affiorerà una parte decisamente ingombrante del suo passato. E il terzo libro… no! Il terzo libro è proprio un segreto! Ed è, ovviamente, quello che mi sta appassionando di più…

www.beccacini.it



domenica 15 maggio 2016

Monica Capizzano: tra Criminologia e Prevenzione


Col suo saggio “Droghe da stupro e nuove sostanze psicoattive”, Falco Editore, la Criminologa Monica Capizzano ha affrontato un argomento di grande interesse, colmando una lacuna nella manualistica scientifico-divulgativa del nostro Paese e centrando l’obiettivo di chiarire dubbi e sfatare luoghi comuni in una materia in continua evoluzione. Accanto alla dettagliata spiegazione scientifica sulla nascita e sulla natura di queste sostanze di origine sintetica, sempre più diffuse in Europa, Monica Capizzano analizza le dinamiche che accompagnano la somministrazione di queste droghe da parte dei cosiddetti sex offender, descrivendone i vari profili. Tra questi è dato largo spazio ai casi in cui il carnefice ricerchi le proprie vittime all’interno dello stesso nucleo familiare, attuando dei meccanismi particolari per carpirne la fiducia, i quali vedono, nell’utilizzo delle droghe, solo l’apice di un disegno criminoso molto complesso. L’autrice approfondisce, inoltre, in modo particolare, quali siano le conseguenze fisiche e psichiche che queste sostanze hanno sulle vittime e quali siano le terapie riabilitative che possano giovare in seguito a una violenza subita sotto l’effetto di tali droghe.
Il coraggio e la perseveranza di Monica Capizzano nel presentare il suo libro nelle scuole e in numerosi eventi divulgativi dimostrano come scrivere un libro vada ben oltre la ricerca e la stesura di ciò che rimane impresso sulla carta. Per un professionista un saggio è un progetto di vita, oltre che di lavoro, soprattutto quando abbraccia temi che potrebbero fare la differenza per tante giovani menti non del tutto consapevoli delle conseguenze di ciò che accade loro. In questo modo Monica Capizzano sta facendo della cultura e della prevenzione la vera cura e non soltanto il palliativo per una piaga sempre più dolorosa, restituendo ai suoi studi criminologici il più genuino valore sociale che li contraddistingue, a cominciare dalla Calabria, la sua terra d’origine.


Dopo la laurea in Scienze Politiche, hai approfondito lo studio della Criminologia, specializzandoti in diversi settori, come il criminal profilig, anche all’estero. Come mai hai scelto di intraprendere questo percorso?

Sono stata cresciuta a pane, “Signora in giallo” e “Tenente Colombo”. Mia nonna ed io ci divertivamo così. Sono sempre stata una bambina “particolare”, che non si accontentava del no o del assoluti. C’era sempre qualcos’altro da spiegare. Sono stata la voce fuori dal coro, quella che non aveva paura di dire la sua. Leggevo Baudelaire e Poe e ascoltavo musica francese. Ero difficile da gestire, questo mi diceva mia madre. L’unica al mondo che aveva le “istruzioni per l’uso” era mia nonna.
A undici anni feci un brutto incidente in bici. A maggio di quell’anno avevano assassinato il giudice Falcone e, mentre mi trovavo ricoverata a Bari, uccisero anche il giudice Borsellino. Li ho sempre considerati delle persone speciali, molto più che degli esempi da seguire. E da quegli eventi drammatici capii che la mia vita “da ribelle” doveva avere un significato. Che il mio senso di giustizia e di verità doveva essere canalizzato in qualcosa d’importante. Ecco, come è nato il desiderio di studiare Criminologia. Facendo tre lavori contemporaneamente riuscii a finire gli studi in Calabria e poi intrapresi quelli che mi portarono a Padova e negli States.
La Criminologia è una scienza per cui, assieme allo studio del comportamento umano, ho molto rispetto e credo che lo meriti anche a livello istituzionale. Fino a quando porteremo “in scena” i delitti come spettacolarizzazione del macabro, la Criminologia non avrà mai la considerazione che merita.

Nel tuo ultimo saggio, “Droghe da stupro e nuove sostanze psicoattive”, Falco Editore, affronti, in modo scientifico ed efficace, un tema troppo spesso sottovalutato nel nostro Paese. Cosa ti ha spinto a occuparti di questo argomento così complesso?

Nel mio primo viaggio studio in America ho avuto modo di approfondire la tematica delle droghe. In laboratorio abbiamo lavorato sul riconoscimento delle stesse e sul loro studio. Rientrata in Italia ho approfondito gli studi. Grazie al mio curriculum è stato possibile mettermi in contatto con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Da qui in poi, il mio interesse maggiore è stato per le droghe da stupro: fenomeno sottaciuto in Italia ed anche nel mondo. Ho partecipato anche alla conferenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del Dipartimento Politiche Antidroga nel giugno 2014 e, in quell’occasione, si è accennato alle droghe da stupro. Allora mi sono detta che sarebbe stato utile scrivere un saggio scientifico e criminologico su questo tema. Ho raccolto tutte le mie conoscenze ed esperienze, oltre ai dati scientifici e mi sono avvalsa anche della preziosa collaborazione della massima esperta al mondo sulle droghe da stupro, la Prof.ssa Ashraf Mozayani, che ha curato la prefazione del mio libro. Il patrocinio della Polizia di Stato è stato un riconoscimento immenso che ha permesso la rapida diffusione del manuale. Sono seguite numerose presentazioni alle quali hanno partecipato tante persone che volevano saperne di più e, con mia grande soddisfazione sono arrivati anche premi nazionali e internazionali. Ancora oggi il mio libro resta il primo manuale in Europa a trattare le droghe da stupro e le nuove sostanze psicoattive.

Tra seminari, convegni e presentazioni, stai girando l’Italia per dimostrare che, per prevenire determinati crimini, la divulgazione è molto importante. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia di cui sei venuta a conoscenza grazie alla tua attività di docente e che è rimasta scolpita nella tua memoria di studiosa e nel tuo cuore di donna.

Sono tra i pochi, e lo dico con orgoglio, che ha attuato un piano di prevenzione a trecentosessanta gradi nelle scuole. Parlare di un caso a posteriori è più semplice, rispetto ad assumersi la responsabilità di educare i giovani a volersi bene e rispettare gli altri, ma questo non mi ha mai spaventata. Gli argomenti che tratto nelle scuole, oltre alle droghe da stupro, sono i pericoli in rete, lo sport, il bullismo e il cyber bullismo.
Spesso mi reco in Istituti che si trovano in zone difficili o dove studiano ragazzi che hanno situazioni familiari drammatiche. Mi è capitato, mentre parlavo alla platea, di osservare i ragazzi in sala che si commuovevano e si emozionavano. Ho un modo molto diretto di approcciarmi ai giovani e questo crea spesso dei legami forti. Alla fine degli incontri molti ragazzi si avvicinano per ringraziarmi. Una ragazza, in particolare, una volta, mi ha stretto le braccia al collo e piangendo mi ha detto: “Grazie, sei un esempio di vita! Da oggi vorrò essere una persona migliore grazie alla tua visita a scuola”. Ecco, è questo il motivo per cui dedico la mia vita e il mio lavoro alla prevenzione. Se anche solo un ragazzo in mezzo a mille torna a casa e, ripensando all’incontro, decide di cambiare la sua vita, allora io ho vinto!

Nonostante il lavoro ti porti a viaggiare spesso, il legame con la tua terra, la Calabria, è molto forte. Se per partire ci vuole coraggio, cosa occorre per rimanere nel nostro Paese a costruire qualcosa di importante?

Io credo che per restare ci voglia coraggio! Ho fatto entrambe le cose. Sono partita e sono tornata per restare. Rimanere in una terra difficile come la Calabria è una delle forme di coraggio più incosciente che conosca. Se, poi, ti sei messa in testa di cambiare le cose in questa terra difficile, allora sei un po’ stupida, più che coraggiosa! A parte gli scherzi, quello che voglio dire è questo: non voglio andar via da casa mia e, soprattutto, non voglio che la mia terra resti in mano a chi finora l’ha soltanto massacrata. I giovani possono formarsi anche all’estero, ma devono ritornare e rendere grande la Calabria perché la Calabria è grande! Io sono Calabrese fino al midollo e sono fiera di esserlo. Molte volte mi domando se tutto ciò che sto facendo serva davvero a qualcosa, ma poi a questo pensiero ne sopraggiungono altri e non mi scoraggio mai.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Ho fondato due Associazioni con persone straordinarie. La prima, in ordine di tempo, è la Fenix Club Asd, nella quale mi occupo del progetto Sport e Legalità. Avviciniamo i giovani allo sport per allontanarli dai pericoli della strada e far conoscere loro valori come il rispetto per sé e per gli altri. La seconda è Brutia Libera, un’Associazione socio culturale che ha come cuore pulsante la prevenzione. Inoltre sto lavorando al mio prossimo libro. Ma di questo non posso svelare ancora nulla, dovrete pazientare un altro po’. Una cosa la posso dire. Sto lavorando per avere un futuro per me e per quella che un giorno sarà la mia famiglia.



venerdì 13 maggio 2016

Roberto Negro: storia di un mistero tra passato e presente


Nella torrida estate del 2014 a Perinaldo, in provincia di Imperia, accade un fatto inquietante. Il cadavere di uno sconosciuto, in avanzato stato di decomposizione, viene ritrovato poco lontano dal paese, seviziato a sfigurato a tal punto, da renderne impossibile il riconoscimento. Il Maresciallo Calì si rende subito conto che ciò che ha di fronte è solo l’inizio di un’indagine che si prospetta più complessa del previsto, visto che la soluzione dell’enigma sembra trovarsi tra le pieghe di un passato apparentemente sepolto. In un continuo avvicendarsi tra passato e presente, la storia ci guida in un viaggio nella vita di un manipolo di loschi individui in cerca di redenzione e riscatto, tra i quali spiccheranno i tre protagonisti della vicenda, tutti arruolati, per motivi molto diversi, nella Legione Straniera. Più di trent’anni dopo l’addestramento e la convivenza forzata tra i legionari, in condizioni di vita molto dure, i protagonisti della vicenda si ritroveranno ad affrontare le conseguenze di un tradimento che hanno cercato invano di cancellare dalla loro memoria.
“Il mistero del cadavere senza nome”, Fratelli Frilli Editori, è il nuovo romanzo di Roberto Negro che è riuscito a fare, ancora una volta, della sua profonda conoscenza dell’animo umano e delle dinamiche criminali la carta vincente per la costruzione di un giallo dalla struttura praticamente perfetta. Tutti, prima o poi, devono fare i conti col proprio passato e i personaggi di questo romanzo, sperimenteranno sulla loro pelle come le colpe di gioventù si paghino duramente, anche quando meno ce lo aspettiamo. Roberto Negro controlla lo scorrere del tempo, in un alternarsi tra passato e presente, come un demiurgo onnisciente che guida il lettore verso la soluzione di un mistero che affonda le proprie radici nel disagio sociale e nella solitudine.



Un cadavere misterioso, tre protagonisti dalla personalità fragile e un continuo alternarsi tra passato e presente: sono questi gli elementi de “Il mistero del cadavere senza nome”, Fratelli Frilli Editori. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Dopo quattordici romanzi, nove dei quali hanno come protagonista un commissario, ho sentito l'esigenza di scrivere una storia diversa rispetto al passato. Qualcosa che mi consentisse di uscire dagli schemi ai quali mi sono legato raccontando le vicende di un personaggio seriale.
Era tempo che mi frullava nella testa l'idea di elaborare un testo che parlasse dei disagi umani, dei sensi di inadeguatezza che viviamo rispetto alla realtà. La vita, molto spesso, ci insegna che le scelte di oggi non saranno valide domani e che la nostra esistenza, per fortuna o per sfortuna, dipende dai punti di vista soggettivi ed è in continua evoluzione.
I protagonisti del mio romanzo, per scelta spontanea o indotta, saranno costretti a mutare costantemente la loro vita, facendo scelte caratterizzate soprattutto dal tradimento ideologico.

Da dove e quando nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

Come dico nel corso delle presentazioni, scrivere nasce dall'esigenza di raccontare il vissuto, l'interiorità che spesso mi porto appresso e che solo attraverso il racconto prende forma. Scrivere, per me, è un atto di grande coraggio, una condivisione con i lettori dei miei pensieri.
Scrivere è una forma esasperata di narcisismo, una sorta di autocompiacimento delle idee che ho dentro.
Gli spunti nascono all'improvviso, magari osservando le persone che passano mentre sto seduto al tavolo di un bar. Di loro osservo l'atteggiamento, il modo di camminare, di vestire e penso alla moltitudine di storie che mi passano davanti agli occhi e che non riesco a cogliere. Il metodo che seguo è quello del fotografo che, con l'obiettivo, cattura e cristallizza attimi. In fondo, uno scrittore è un fotografo che, armato di penna, trasferisce ai lettori immagini.

Come si struttura il “giallo perfetto”? Quanto contano un buon incipit e un’efficace scansione dei capitoli? Svelaci i tuoi segreti…

Non so se esista il giallo perfetto. Sicuramente esistono vicende umane che possono diventare incredibili e trasformarsi in veri e propri gialli. Quando scrivo penso alla realtà che voglio far vivere ai miei protagonisti, cercando di renderla più concreta possibile.
Di solito, quando elaboro i miei racconti, inizio sempre dal finale. Io so già dove voglio arrivare e, intorno a quell'obbiettivo, costruisco la storia. I capitoli si susseguono in fretta, arricchendosi di personaggi che caratterizzo per renderli “visibili” ai lettori.

Scrivere ciò che si conosce aiuta a coinvolgere i lettori: quanto la tua esperienza di vita e oltre trent’anni di carriera nelle forze dell’ordine influenzano la stesura dei tuoi romanzi?

L'influenza della mia carriera esiste per quel che riguarda la parte più tecnica dello scritto. Quando si parla di investigazioni, la mia esperienza professionale mi consente di essere certo di ciò che scrivo. Per quanto riguarda il racconto, come dicevo, prendo spunto dalla realtà che vivo in quel momento, dalle sensazioni che provo osservando le persone.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Sto scrivendo la nuova avventura investigativa del mio commissario. Dopo una pausa di un romanzo, racconterò di una sua indagine che metterà in risalto il provincialismo che regna nella nostra società. Non credo alle affermazioni degli abitanti di alcune regioni o città che si attribuiscono una mentalità “provinciale”. In tutte le realtà italiane esiste questa sorta di caratteristica negativa che emerge prepotentemente quando ci sono in ballo interessi sociali o economici. Anche la Liguria di Ponente non sfugge a questa regola. In una Ventimiglia, le cui ombre sono annientate dal sole torrido di un'estate che profuma di mare, vive uno spietato assassino che si nasconde in un branco di iene.


domenica 8 maggio 2016

Valentina Cebeni: tra sogni, segreti e ricette d’amore


Da quando sua madre ha lasciato tutto nelle sue mani, Elettra non è più la stessa. Nella panetteria dove è cresciuta, ogni cosa le ricorda la magnifica cucina di sua madre, fatta di profumi e fragranze uniche che sembrano provenire da luoghi lontani e sconosciuti. Elettra, scoraggiata e impaurita, si convince di non avere altra scelta: non le resta che scoprire cosa sua madre le abbia tenuto nascosto per così tanti anni, circa il suo passato e le sue origini. Tuttavia, ciò che l’aspetta non sarà affatto semplice. Per iniziare a rispondere ai tanti interrogativi che accompagnano da sempre la sua esistenza Elettra ha solo due indizi: una medaglietta con sopra inciso il nome di Titano, un’isola misteriosa in mezzo al Mediterraneo, e la ricetta dei magici panini all’anice che cucinava sua madre per sconfiggere la tristezza e tornare a sorridere. Saranno proprio questi inaspettati amuleti a donarle il coraggio e l’incoscienza necessari per intraprendere il viaggio alla volta di Titano, alla ricerca di tutte le risposte che neppure sue madre ha voluto darle. Divisa tra la paura di un luogo nuovo e non sempre accogliente e la curiosità di conoscere tutta la verità, Elettra è destinata a intraprendere ben più di un semplice viaggio su un’isola la cui storia si perde tra mille leggende. Ciò che l’attende sarà la scoperta delle sue radici e del profondo legame che la terrà per sempre unita a sua madre, tra sogno e realtà, in un mondo in cui tutto è possibile, quello della cucina.
“La ricetta segreta per un sogno”, Garzanti Editore, è il nuovo romanzo di Valentina Cebeni, una giovane autrice che, col suo stile poetico e delicato, ha superato, ancora una volta, ogni aspettativa. Si tratta, infatti, di una storia sulla forza delle donne, con un finale delizioso e pieno di speranza, ma dove nulla è lasciato al caso o ai sentimentalismi. Tradotto in tutta Europa, dove sta riscontrando un grande successo di pubblico, questo libro rappresenta alla perfezione tutta la devozione e la cura che l’autrice mette quotidianamente nel creare e cesellare una storia vibrante e coinvolgente, a beneficio dei suoi lettori. Elettra e tutti i personaggi femminili che popolano le pagine, sono stretti da legami che superano i confini del tempo e dello spazio, come solo il vero amore sa fare. Sullo sfondo c’è un’isola misteriosa, la cui storia ammalia, tanto quanto i sapori e i profumi che la sua cucina emana, raggiungendo il cuore di chiunque la abiti.    


Un’eroina coraggiosa, un’isola misteriosa e una ricetta segreta per sconfiggere la malinconia, alla ricerca della felicità e delle proprie radici: sono questi i magici ingredienti che stanno decretando il successo de “La ricetta segreta per un sogno”, Garzanti. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Ciao Alessandra, un saluto a tutti i tuoi lettori e grazie a te per la splendida ospitalità!
La storia di Elettra, come tutte le mie storie, è arrivata per caso, mentre leggevo la recensione di un libro sul pane. Da lì la scintilla, poi il bisogno di raccontare una storia dove si intrecciassero diversi destini femminili, figure che nella mia mente si muovevano nel panorama incantato di un’isola senza tempo dai tratti tipicamente mediterranei, tutte legate dal profumo evocativo dei ricordi, che per me fa rima con cucina.

Chi è Elettra, la dolce, ma determinata protagonista del tuo libro? Come la definiresti e, in generale, come delinei i personaggi delle tue storie?

Elettra è una donna smarrita, rimasta scottata dalla vita. Il suo percorso è tutto in salita sin dall’infanzia, ma, nonostante le difficoltà, lei non demorde mai e continua a lottare con tenacia per realizzare il proprio sogno, anche quando tutto sembra remarle contro. Lei è una guerriera e, a modo loro, ognuna delle donne che vivono nel romanzo lo è. In fondo, credo, lo siano un po’ tutti i miei personaggi, che ricalcano, o almeno questo è il mio intento, le tante avversità quotidiane con cui noi tutti siamo chiamati a misurarci. Non ci sono eroi o eroine: ci sono solo esseri umani, con tutti i loro imperdonabili difetti e le loro magnifiche virtù.

Quando e da dove nasce il tuo desiderio di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?

Il bisogno di raccontare storie è nato con me, anche se ho impiegato del tempo a capirlo, a comprendere quanto nel profondo la scrittura e io fossimo legate. Per questo, da quando l’ho scoperto, osservo nei suoi confronti una devozione quasi monacale, che mi spinge a dedicarmi a lei con metodo e disciplina.

Sei appassionata di cucina sin da piccola: quanto c’è di autobiografico in questo romanzo ambientato tra il calore dei fornelli e del focolare domestico?

Molto e niente. Tutti noi siamo in qualche modo legati a un profumo, a un episodio dell’infanzia, a un gesto spesso che ha a che fare con la cucina. Molti ricordano estasiati la torta al cioccolato della mamma, pronti a giurare che sia la migliore al mondo, e io non faccio eccezione. Ho solo voluto mettere a disposizione dei lettori le mie sensazioni, le emozioni che io per prima ho provato, perché ritengo che scrivere sia un po’ come cucinare: un atto d’amore, un donarsi senza riserve.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci i tuoi programmi per il futuro.

C’è una nuova storia, come spero ce ne saranno ancora centinaia, e sarà incentrata sulla vita di una donna. Per il momento, però, godetevi il viaggio con Elettra!



venerdì 6 maggio 2016

Ippolito Edmondo Ferrario: un viaggio negli ‘inferi’ della città


Neri Pisani è tornato. Lo stravagante antiquario, scontroso e solitario, che preferisce di gran lunga la compagnia di strane chincaglierie vecchie di secoli, piuttosto che quella dei suoi concittadini, si ritrova a essere l’involontario testimone della morte di un giovane che, durante un tiepido pomeriggio primaverile, precipita dalla finestra del suo appartamento, nel quartiere di Brera, durante una festa con degli amici. La vittima è un diciannovenne di nome Davide Crespi che frequenta il Liceo Classico e conduce una vita apparentemente serena, dato che appartiene a una delle famiglie più facoltose della città. Le indagini degli inquirenti, tuttavia, sembrano giungere a una conclusione che Neri non condivide affatto. Così, intraprendendo una sua personalissima indagine parallela, Neri scoprirà risvolti inaspettati sulla doppia vita del giovane Davide, fino a un epilogo che lascerà tutti letteralmente a bocca aperta.
“Il demone di Brera”, Fratelli Frilli Editori, è il secondo romanzo di Ippolito Edmondo Ferrario che ha per protagonista l’istrionico antiquario Neri Pisani, investigatore, suo malgrado, destinato a far luce sui torbidi misteri che incrociano il suo cammino nella città di Milano. Al di là della costruzione della storia, abbastanza convincente, anche se un po’ farraginosa in alcuni punti, l’autore ha il vanto di aver creato uno dei protagonisti più riusciti dello scenario noir degli ultimi anni. Politicamente scorretto a tal punto da ispirare simpatia, Neri Pisani è un sociopatico capace di inaspettati slanci di umanità, che ha fatto del suo disincanto verso tutto ciò che lo circonda la sua principale e imprevedibile arma per risolvere i crimini di cui diventa testimone. È la forza di questo personaggio intollerante, ma inspiegabilmente empatico, a trascinare con impeto il lettore fino all’ultima pagina, in un vero e proprio viaggio negli Inferi, attraverso i palazzi di una Milano, anch’essa muta protagonista, ma dove nulla è come sembra.



“Il demone di Brera”, Fratelli Frilli Editori, è un noir di grande attualità e dal ritmo incalzante, ambientato in una grande metropoli. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

La genesi è stata abbastanza naturale, trattandosi del secondo romanzo di una serie inaugurata un anno fa con “L’antiquario di Brera”. Più che altro, rispetto al precedente, ho cercato di fare un salto di qualità in termini di scrittura. Ho pensato a una storia meno movimentata rispetto alla prima, più profonda in termini di tematiche trattate, una sorta di percorso tragico e iniziatico del protagonista, una discesa negli inferi milanesi, dove per inferi intendo determinati ambienti metaforicamente paragonabili a un girone infernale.

Chi è Neri Pisani, l’istrionico antiquario investigatore, protagonista di questo libro? Come lo definiresti e, in generale, come delinei i personaggi dei tuoi romanzi?

Neri Pisani è un personaggio frutto di incontri, di precedenti libri scritti, figlio del quartiere di Brera in cui abito e in cui l’ho partorito. Volevo un personaggio fuori dal coro, grottesco, controcorrente, antimoderno, incancrenito nella sua intolleranza verso tutto e tutti, politicamente scorretto e che spiazzasse il pubblico. Spero di esserci riuscito, almeno in parte. È talmente bizzarro che piace, in effetti.
Gli altri personaggi, specie gli amici di Neri, sono tutti inspirati a persone reali, spesso miei amici che mi diverto a inserire nelle storie e a farli interagire con personaggi d’invenzione. Quindi, a parte alcuni personaggi totalmente frutto di invenzione, per gli altri mi limito a descriverli per quello che sono ricorrendo davvero poco alla fantasia.

Milano, la città in cui è ambientata la storia, a tratti diventa un vero e proprio personaggio del romanzo. Quando e in che modo ti senti legato alla tua città d’origine?

Milano: amore e odio. Questo è il sentimento che mi lega alla mia città. La si detesta, spesso, ma si è sempre qui, nella sua ombra. Di certo è una fucina ideale per raccontare storie, spesso poco edificanti. La realtà della cronaca a volte supera la fantasia e a uno scrittore non resta che attingere e raccontare, facendosene portavoce. Questa per me è Milano.

Che autore sei e quando ti sei reso conto che questo grande talento sarebbe potuto diventare un mestiere? Da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

Scrivere per me è un mestiere come un altro. È la cosa che so fare meglio, quindi mi risulta naturale. Non ho frequentato una scuola, ho sempre fatto tutto da autodidatta. Ho scritto molti saggi e ora mi sto dedicando al noir, ma la sostanza cambia poco. La scrittura per me è un lavoro quasi artigianale: occorrono studio, programmazione, impegno. E naturalmente tanto divertimento.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Attualmente sto lavorando al terzo episodio che avrà per protagonista Neri. E insieme sto concludendo la biografia di un personaggio che, nel secondo Dopo Guerra, partecipò come volontario a due conflitti, uno africano e uno mediorientale. Una storia cruda, forte, senza filtri, ma molto interessante dal punto di vista umano e da quello storico.

www.ippolitoedmondoferrario.it



domenica 1 maggio 2016

Tre buone ragioni per… diventare Blogger!


“Mamma, papà: da grande voglio fare il Blogger!” 

Chissà che effetto deve aver fatto ai nostri genitori sentirsi dire questa fatidica frase. Se i nostri nonni, infatti, temevano sesso, droga e rock’n’roll, oggi, tra smartphone, Social Network e Blogging, mamme e papà poco avvezzi alla tecnologia dovranno darsi davvero da fare per comprendere le aspirazioni dei loro rampolli nativi digitali. Una volta appurato che, possiamo assicurarvelo, non c’è nulla di illegale nel voler diventare Blogger, proviamo a rispondere alle tante domande che il buon senso ci fa venire in mente. Innanzitutto: si tratta davvero di un mestiere 2.0? Insomma, ci permetterà di mettere insieme il pranzo con la cena? E cosa occorre per diventare Blogger professionisti, oltre a tanto talento e a una buona dose di coraggio? Di sicuro, al momento, non ci sono titoli di studio, né corsi universitari che vi permetteranno di diventare Blogger, almeno sulla carta. Come ogni nuova professione, saremo noi audaci pionieri della scrittura sul Web a dettare le regole del gioco, perché, prima di tutto, il Blogging è istinto, sapientemente coniugato con qualche piccola regola d’esperienza. Ecco, dunque, le nostre tre buone ragioni per rompere ogni indugio e… diventare Blogger!


  1. Blogging è ispirazione e creatività. Se scrivere è la vostra passione, aprire un Blog sublimerà questo talento permettendovi di iniziare a interagire coi vostri lettori. Tra cibo, moda, letteratura e tecnologia, ce n’è davvero per tutti i gusti: basta trovare una nicchia in cui inserirvi e iniziare a creare contenuti di qualità che vi consentano di costruire una rete di contatti che vada oltre lo schermo del computer.
  2. Blogging è futuro e comunicazione. Che si tratti di un diario personale o di una piattaforma aziendale, il Blog è, certamente, tra i più efficaci mezzi di comunicazione del presente e del futuro, in grado di costituire una vera e propria professione a tutto tondo. Non occorre essere programmatori di computer o esperti di grafica, basta solo un po’ di intuito, tanta costanza e l’applicazione di qualche trucchetto molto semplice da imparare.
  3. Blogging è condivisione e coraggio. Come in ogni momento di crisi economica e culturale, inventare mestieri nuovi, in grado di contribuire alla crescita della nostra personalità e della nostra professionalità, è ciò che ci permette di non arrenderci allo sconforto dei periodi di difficoltà. Trasformare un semplice Blog in una fonte di guadagno che ci permetta anche di staccarci dalla tastiera richiede coraggio e, talvolta, un pizzico d’incoscienza, ma, con impegno ed entusiasmo, nulla è impossibile. 

Vuoi diventare anche tu un Blogger di successo? Clicca qui!