Ha da poco ricevuto una medaglia
dalla Presidenza del Senato della Repubblica per il suo costante impegno a difesa dei diritti delle donne vittime di violenza
e, con le sue inchieste, tenta di far luce su alcuni dei misteri della sua
terra, la Basilicata. Si tratta di Fabio
Amendolara, un giornalista che, con passione e talento, ha fatto del suo
mestiere una vera e propria missione con grande naturalezza e senza
sensazionalismi, scrivendo semplicemente di ciò che sa, di ciò che vede e di
ciò che riesce a scoprire, investigando sul campo.
La più grande capacità di Fabio è
proprio quella di fare giornalismo servendosi di tutti i media a sua
disposizione, dalla carta stampata, alla radio, passando per il web e la
televisione, senza che stridano l’uno con l’altro. I suoi libri inchiesta, “La colpa di Ottavia” e “Il segreto di Anna”, EM Editore, raccontano la storia della
piccola Ottavia De Luise, vittima dimenticata di una rete di pedofili a metà
degli anni Settanta, e di Anna Esposito, il Commissario ritrovata morta nel
2001, ma che, solo apparentemente, sembra essersi suicidata.
Quello di Fabio Amendolara è un modo
di fare giornalismo che coniuga alla lealtà dei grandi del mestiere, l’abilità
di utilizzo di ogni mezzo di divulgazione, lasciando che siano i fatti
riscontrabili a parlare e non le opinioni nate solo dalla voglia di schierarsi
sempre e comunque.
Hai
iniziato la tua carriera di scrittore con due storie molto diverse: quella di
Ottavia De Luise e quella di Anna Esposito, due misteri apparentemente
dimenticati. Come mai hai scelto di occupartene? Chi sono Anna e Ottavia?
Sono le storie di due vittime
dimenticate. La Basilicata ci aveva messo una pietra sopra e l'Italia non le conosceva.
Ma erano le storie di due vittime che meritavano riscatto. La prima perché
Ottavia, che era una bambina di 12 anni, è stata definita dal carabiniere che
doveva cercarla (Ottavia scompare da Montemurro, in provincia di Potenza, il 22
maggio del 1975) "una poco di buono" perché "si accompagnava con
gli anziani del paese". Era invece un caso di pedofilia riconosciuto da
tutta la comunità di Montemurro e finito nel peggiore dei modi: con la morte
della bambina. Quello di Anna Esposito è un omicidio truccato da suicidio.
Bisognava restituire dignità alla vittima.
I
casi che hai trattato sono profondamente legati alla tua terra, la Basilicata.
Da dove nasce l’esigenza di diffondere e raccontare storie del territorio da
cui provieni?
La Basilicata è, da sempre, un ghetto
mediatico. Tutto ciò che accade qui difficilmente esce dai confini regionali. E
anche i casi di cronaca nera, di cui lettori di giornali e telespettatori sono
ghiotti, vengono ignorati dalla stampa nazionale. Ma è una terra che ha bisogno
di attenzione: sono una ottantina - stando ai dati forniti dall'Associazione
Libera - gli omicidi misteriosi che non hanno trovato soluzione. La Basilicata
si è meritata sul campo l'appellativo di "regione noir". Nonostante
ciò è ignorata dai grandi quotidiani e dalle televisioni. Per me far conoscere
queste storie al grande pubblico è stata anche una sfida intellettuale.
Ti
senti più un giornalista o uno scrittore? Come coniughi queste professioni solo
apparentemente così diverse?
Sono solo un giornalista. Mi occupo di inchieste e cerco di farlo con
tutti i mezzi mediatici disponibili: carta stampata, tv e - cosa sperimentale
per la cronaca nera - anche la radio, strumento finora mai usato per raccontare
le storie delle vittime. Ovviamente tra gli strumenti che ha a disposizione un
giornalista ci sono anche i libri: ecco perché ho raccontato la storia di
Ottavia e quella di Anna anche “in quel formato”.
Qual
è, o quale potrebbe essere, il ruolo dell’informazione nella risoluzione di
casi come quelli di cui ti occupi?
Ritengo che riscoprire un certo
giornalismo, ormai desueto e ignorato dai direttori dei quotidiani, sia
necessario. L'investigazione giornalistica è quasi scomparsa e ha lasciato
spazio a chi fa il copia e incolla delle intercettazioni telefoniche o
preferisce la strada più semplice: fare da megafono alle Procure. È invece
necessario riscoprire il giornalismo investigativo per rendere autorevoli
quotidiani e televisioni che, colpiti duramente dalla crisi dell'editoria e
dall'avvento dei social network, rischiano di essere sempre meno incisivi.
Sono concentrato su tre morti
sospette: tre carabinieri - uno del Centro Italia e due della Calabria - che nelle
versioni ufficiali si sono suicidati. Gli atti delle inchieste, invece,
raccontano altro.
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