mercoledì 25 novembre 2015

Fabio Amendolara: quando il giornalismo diventa una missione


Ha da poco ricevuto una medaglia dalla Presidenza del Senato della Repubblica per il suo costante impegno a difesa dei diritti delle donne vittime di violenza e, con le sue inchieste, tenta di far luce su alcuni dei misteri della sua terra, la Basilicata. Si tratta di Fabio Amendolara, un giornalista che, con passione e talento, ha fatto del suo mestiere una vera e propria missione con grande naturalezza e senza sensazionalismi, scrivendo semplicemente di ciò che sa, di ciò che vede e di ciò che riesce a scoprire, investigando sul campo.
La più grande capacità di Fabio è proprio quella di fare giornalismo servendosi di tutti i media a sua disposizione, dalla carta stampata, alla radio, passando per il web e la televisione, senza che stridano l’uno con l’altro. I suoi libri inchiesta, “La colpa di Ottavia” e “Il segreto di Anna”, EM Editore, raccontano la storia della piccola Ottavia De Luise, vittima dimenticata di una rete di pedofili a metà degli anni Settanta, e di Anna Esposito, il Commissario ritrovata morta nel 2001, ma che, solo apparentemente, sembra essersi suicidata.
Quello di Fabio Amendolara è un modo di fare giornalismo che coniuga alla lealtà dei grandi del mestiere, l’abilità di utilizzo di ogni mezzo di divulgazione, lasciando che siano i fatti riscontrabili a parlare e non le opinioni nate solo dalla voglia di schierarsi sempre e comunque.

Hai iniziato la tua carriera di scrittore con due storie molto diverse: quella di Ottavia De Luise e quella di Anna Esposito, due misteri apparentemente dimenticati. Come mai hai scelto di occupartene? Chi sono Anna e Ottavia?

Sono le storie di due vittime dimenticate. La Basilicata ci aveva messo una pietra sopra e l'Italia non le conosceva. Ma erano le storie di due vittime che meritavano riscatto. La prima perché Ottavia, che era una bambina di 12 anni, è stata definita dal carabiniere che doveva cercarla (Ottavia scompare da Montemurro, in provincia di Potenza, il 22 maggio del 1975) "una poco di buono" perché "si accompagnava con gli anziani del paese". Era invece un caso di pedofilia riconosciuto da tutta la comunità di Montemurro e finito nel peggiore dei modi: con la morte della bambina. Quello di Anna Esposito è un omicidio truccato da suicidio. Bisognava restituire dignità alla vittima.


I casi che hai trattato sono profondamente legati alla tua terra, la Basilicata. Da dove nasce l’esigenza di diffondere e raccontare storie del territorio da cui provieni?

La Basilicata è, da sempre, un ghetto mediatico. Tutto ciò che accade qui difficilmente esce dai confini regionali. E anche i casi di cronaca nera, di cui lettori di giornali e telespettatori sono ghiotti, vengono ignorati dalla stampa nazionale. Ma è una terra che ha bisogno di attenzione: sono una ottantina - stando ai dati forniti dall'Associazione Libera - gli omicidi misteriosi che non hanno trovato soluzione. La Basilicata si è meritata sul campo l'appellativo di "regione noir". Nonostante ciò è ignorata dai grandi quotidiani e dalle televisioni. Per me far conoscere queste storie al grande pubblico è stata anche una sfida intellettuale.


Ti senti più un giornalista o uno scrittore? Come coniughi queste professioni solo apparentemente così diverse?

Sono solo un giornalista. Mi occupo di inchieste e cerco di farlo con tutti i mezzi mediatici disponibili: carta stampata, tv e - cosa sperimentale per la cronaca nera - anche la radio, strumento finora mai usato per raccontare le storie delle vittime. Ovviamente tra gli strumenti che ha a disposizione un giornalista ci sono anche i libri: ecco perché ho raccontato la storia di Ottavia e quella di Anna anche “in quel formato”.



Qual è, o quale potrebbe essere, il ruolo dell’informazione nella risoluzione di casi come quelli di cui ti occupi?

Ritengo che riscoprire un certo giornalismo, ormai desueto e ignorato dai direttori dei quotidiani, sia necessario. L'investigazione giornalistica è quasi scomparsa e ha lasciato spazio a chi fa il copia e incolla delle intercettazioni telefoniche o preferisce la strada più semplice: fare da megafono alle Procure. È invece necessario riscoprire il giornalismo investigativo per rendere autorevoli quotidiani e televisioni che, colpiti duramente dalla crisi dell'editoria e dall'avvento dei social network, rischiano di essere sempre meno incisivi.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Sono concentrato su tre morti sospette: tre carabinieri - uno del Centro Italia e due della Calabria - che nelle versioni ufficiali si sono suicidati. Gli atti delle inchieste, invece, raccontano altro.

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