Dopo
aver conosciuto Maurizio D’Onofrio, il Presidente dell’A.S.D. Antonio Ianni, continuiamo il nostro viaggio
all’interno di questa squadra di calcio dilettantistico conoscendo alcuni dei
suoi giocatori e componenti.
Destreggiandosi tra le difficoltà della vita quotidiana, i ragazzi della
squadra, ogni domenica, scendono in campo onorando la maglia bianconera che
indossano, sulla quale Fatti i fatti
tuoi! è orgoglioso di vedere stampato il proprio logo in questo campionato,
inseguendo ciascuno non solo il pallone, ma anche il proprio bagaglio di sogni.
Oltre
a condividere i novanta minuti in campo, gli allenamenti e le trasferte, i
componenti dell’A.S.D. Antonio Ianni tengono alti i valori dell’amicizia e
della solidarietà che, sin dalla fondazione della squadra, ne hanno
caratterizzato il percorso sportivo, in memoria di Antonio, il ragazzo
prematuramente scomparso da cui prende il nome la società. Ciò che colpisce di
questo gruppo unito e coeso, nonostante i singoli componenti abbiano tutti
personalità molto forti, sia dentro, sia fuori dal campo, è proprio il profondo
affetto e rispetto verso Antonio, anche da parte di chi lo ha conosciuto solo
attraverso i racconti dei compagni e dei suoi familiari che seguono da sempre
le vicende della squadra.
In
rappresentanza di tutti i membri dell’A.S.D. Antonio Ianni abbiamo chiesto a
cinque di loro, Alessandro Mattiacci,
Giorgio Turini, Fabio Ferretti, Vincenzo Santini Calisti e al capitano Valerio
Scaramastra, cosa rappresenti per loro il calcio giocato e di fare per noi
un bilancio del loro personale percorso all’interno della squadra, ricordando
assieme gli aneddoti e gli episodi che sono rimasti maggiormente impressi nei
loro cuori, oltre ai loro progetti futuri. Le loro storie di vita hanno in comune la passione, la sensibilità e il
sacrificio che, come stiamo imparando seguendoli in questo combattuto
campionato di Terza Categoria, contraddistinguono questo sport davvero a tutti
i livelli. Cuore, grinta e polmoni,
come avrebbe detto Antonio.
Alessandro
Mattiacci
Il calcio è una parte molto
importante della mia vita. Ma non nel modo più diffuso, per me il calcio “vero”
è quello che si gioca a livello dilettantistico, dove non ci sono quei grandi interessi
che suscitano sospetto e odio. Il calcio per me dovrebbe essere un modo di
tenersi in forma fisicamente, un modo di passare del tempo con i tuoi amici e compagni,
un modo di condividere con gli altri, che hanno la tua stessa passione, quelle
sensazioni forti che provi ogni volta che scendi in campo. Significa combattere
uno accanto all’altro aiutandosi quando il tuo compagno non ce la fa e avere la
certezza che lui farà lo stesso per te. Il calcio è anche competizione con
l’avversario della domenica con il quale ti affronti al massimo delle tue
capacità, non regalandogli niente e con il quale alla fine della partita è
bello potersi stringere la mano o darsi un abbraccio, perché è stato bello e
stimolante affrontarlo.
Faccio parte di questa
squadra da quando è nata, facevo parte della squadra da cui poi è nata la Comit,
poi Quadraro, poi Capannelle ed oggi Antonio Ianni. Ne abbiamo fatta di strada
insieme. Gioco con questo gruppo da tanti anni, almeno dieci e non ho mai più
cambiato, perché è veramente un gruppo con cui mi trovo bene. I miei compagni
sono anche miei amici e non intendo staccarmi da loro. Dopo tanti anni da
giocatore, oggi sono un dirigente dell’A.S.D. Antonio Ianni. Continuo ad
allenarmi con la squadra, perché a me il gruppo piace viverlo innanzitutto
dentro il campo di gioco, sudare e mettere insieme gli sforzi per creare
qualcosa di grande. In quanto a vittorie non abbiamo avuto grandi soddisfazioni
ancora, ma per quanto riguarda la crescita personale, penso di aver ricevuto
tanto, da ogni componente della squadra o della società c’è sempre qualcosa da
imparare, nel bene o nel male e per gli altri sarà lo stesso nei miei
confronti. Per il futuro spero che continui così! Spero che questa squadra e
questa società riescano a portare avanti quei principi che rappresentano lo
sport: lealtà, sacrificio e disponibilità e sono sicuro che, con questi punti
ben saldi nella testa di ognuno di noi, le soddisfazioni sul campo non
tarderanno ad arrivare.
Con Antonio ho giocato e
anche sofferto, fianco a fianco. Lui era un elemento fondamentale nel gruppo,
era un ragazzo pieno di vita e di voglia di fare, era molto competitivo e ci
metteva tutto se stesso in quello che faceva. Quando penso ad Antonio mi viene
in mente la sua grinta infinita. “Cuore, Grinta e Polmoni” è il motto della
squadra che porta il suo nome e non sono parole a caso. A ogni allenamento lui
era lì, primo del gruppo a tirare la corsa, alle partitelle non ci stava a
perdere, te lo sentivi addosso quando ce l’avevi contro e lo vedevi sbucare in
tuo aiuto quando giocava con te. In campionato, poi, dava tutto; a volte la sua
carica andava anche oltre il dovuto, in una circostanza me lo ricordo correre
da una parte all’altra del campo come un pazzo per poi girarsi verso la
panchina e dire: “Aò! Non ce sto a capì un cazzo! Che devo fa!?”. Me lo sono
guardato e gli ho detto: “Stai calmo Anto’, tu corri nella zona tua e fa quello
che sai fare in maniera semplice, questi te li magni!” lui non ha detto niente,
ha fatto come gli abbiamo suggerito ed è stato eccezionale. Una sua
caratteristica fondamentale, veramente difficile da trovare, era la sua
capacità di caricare tutta la squadra con racconti al limite della fantasia.
Prima di una finale alla quale non poteva partecipare è venuto negli spogliatoi
e ci ha parlato dei Masai, di come quel popolo lo affascinava e di come era in
grado di difendersi dagli attacchi dei leoni armato solo di lance. All’inizio
mi sembrava un racconto insensato, ma quando ha finito di parlare dentro di me
avevo il fuoco! Siamo usciti da quello spogliatoio pronti a combattere con il
leone, con o senza lance.
Antonio lo ricordo anche
fuori dal campo, era sempre fra i più “festaioli” quando si scherzava e rideva
lui si buttava in mezzo. Nei locali lo vedevi girare come una trottola,
sembrava che non fosse finito l’allenamento per lui!
Se penso ad Antonio ho
sempre in mente una figura forte, importante e alla quale potersi appoggiare. È
così che lo vediamo tutti ed è così che vogliamo che lo vedano anche gli
elementi della squadra che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo. In base a
questa immagine che abbiamo di lui cerchiamo di costruire la nostra squadra,
provando a dare, per quanto possibile, ai nuovi compagni il sostegno che noi
abbiamo sempre ricevuto da Antonio.
Di esperienze vissute che
potrei raccontare ce ne sono diverse: partite in cui abbiamo lottato per poi
vincere o perdere, ma uscendo comunque dal campo convinti di aver dato tutto.
Ricordo la coppa persa ai rigori con la squadra dimezzata, una partita di
campionato a Tor Bella Monaca vinta 3 a 0 dove abbiamo dato una dimostrazione
di quanto l’unione di intenti e l’aiuto reciproco possano portare lontano, ma
soprattutto mi viene in mente la partita giocata il 9 febbraio 2014, il giorno
dopo la scomparsa di Antonio.
Quella partita era contro
l’Esercito Calcio e nessuno voleva giocarla, purtroppo la federazione non ha
accettato la nostra richiesta di rinvio e la decisione della squadra alla fine
è stata di presentarsi. Prima della partita si è fatta la conta di chi se la
sentisse di giocare e chi no, quando è stato chiesto a me erano già arrivati
troppi no e, nonostante io fossi contrario a giocare una partita con quello
stato d’animo interiore, ho deciso di farlo. Prima di entrare in campo ho
pensato: “Se proprio devo giocarla, questa posso solamente vincerla”. Da che
ero vuoto, senza la solita voglia e senza grinta, con un solo pensiero in
testa, quando è iniziata la partita ho cominciato a scaricare la tensione, mi è
venuto in mente come Antonio aveva affrontato tutte le partite giocate insieme
e ho capito come era giusto comportarsi. Alla prima lamentela di un loro attaccante
la mia risposta è stata: “Oggi perdi. Lascia sta’…”. La partita è andata avanti
così per tutti i miei compagni, noi non eravamo disposti a non vincere e così è
stato. Al fischio finale tutta la carica e la tensione accumulate sono calate e
ci siamo stretti in un abbraccio in mezzo al campo senza che nessuno avesse
voglia di festeggiare una partita che, in altre circostanze, lo avrebbe
meritato. Quella giornata mi ha dimostrato ancora una volta cosa significa far
parte di un gruppo del genere. Avevamo il vuoto dentro e avremmo preferito
rimanere ognuno a casa propria, ma lo stare insieme sapendo che tutti provavamo
la stessa sensazione di dolore ci ha aiutato. Giocare la partita alla fine è
stato meglio che guardarla, in qualche modo ho potuto scaricare parte di quello
che avevo dentro e quell’abbraccio collettivo a fine partita non si può
spiegare che emozioni mi ha fatto provare… Pensando a questi motivi mi convinco
sempre di più di quanto sia bello far parte di un gruppo di amici che
condividono una passione, quanto sia forte lo sport e soprattutto lo sport di
squadra, sia per tenere il proprio fisico in forma, sia per la crescita
personale di chiunque.
Giorgio
Turini
Per me il calcio, ad oggi,
è il mio secondo grande amore, perché il primo è mio figlio, ma resta comunque
è il mio primo amore della vita. Quell’ amore per il quale stai male se non
giochi. Il calcio è un sogno che ti spinge a trentadue anni a giocare ancora e
ad allenarti, perché ancora pensi che “da grande” potrai fare il calciatore
professionista. Il calcio è appartenenza, amicizia, gioia e dolore. Il calcio
rappresenta la vita su un rettangolo di gioco.
Sono fiero di dire che, con
un piccolo contributo, ho partecipato a far nascere questa squadra, l’Antonio
Ianni, ma già da diversi anni prima facevo parte di questo gruppo che
all’inizio era Quadraro, poi Capannelle.
Il mio bilancio come
giocatore sul campo si è concluso due anni fa, quando sono diventato padre. Con
la nascita di mio figlio, per problemi famigliari, ho dovuto smettere di
giocare le partite, ma tuttora ancora mi sento parte integrante del gruppo,
visto che mi alleno con la squadra. Dal futuro mi aspetto che i miei compagni
riescano a raggiungere la promozione di categoria, visto che ne hanno le
potenzialità.
Per me Antonio era un
grande amico, di cui conservo tanto ricordi. L’ho conosciuto il primo anno che
ho iniziato a giocare con il Quadraro Cinecittà, poi da allora è nata una
amicizia dentro e fuori dal campo, visto che abbiamo condiviso uscite e vacanze
extracalcistiche che rimarranno dentro il mio cuore e che conservo gelosamente.
Per chi lo ha conosciuto sicuramente rappresenta un meraviglioso ricordo. Penso
che noi tutti che abbiamo avuto il piacere di condividere con lui delle
esperienze dovremmo essere grati al Signore di averci dato la possibilità di
conoscere Antonio. Per quanto riguarda i nuovi ragazzi, spero che, attraverso i
nostri racconti, Antonio rappresenti un esempio da seguire, perché in fondo per
tutti noi lui era ed è un esempio.
Ho così tanti ricordi di
Antonio, che è difficile sceglierne uno. Posso dire che ho deciso, subito dopo
la sua morte, di dedicargli un tatuaggio che poi oggi insieme a quello di Fabio
Ferretti, detto Fettucina, hanno dato vita allo stemma della nostra squadra.
Avendo passato con
Antonio molti momenti dentro e fuori dal campo, molti dei miei ricordi sono
anche personali. Antonio ed io ci confidavamo molto. Per far capire che tipo di
persona era posso raccontare un episodio accaduto all’ interno della sfera
calcistica. Una domenica Mister D’Onofrio, l’attuale Presidente, decise di
schierare Antonio titolare nel ruolo di terzino sinistro dove per tutta la settimana
di allenamento avevo giocato in prova io stesso. Poco prima dell’inizio della
partita Antonio si avvicinò a me dicendomi: “Giorgio, perdonami se gioco io al
posto tuo, mi dispiace, mi sento in colpa!”. Antonio era questo, dentro e fuori dal campo,
una persona che si faceva in quattro per gli altri ed era in grado anche di
scusarsi per cose che non dipendevano dalla sua volontà perché si metteva
sempre nei panni degli altri.
Fabio
Ferretti
Sono entrato a far parte
di questa squadra in un momento della mia vita in cui avevo maggiormente
bisogno di stimoli, adrenalina, competizione e di mettermi in gioco, cambiare
aria e soprattutto riprendermi il mio ultimo gioco da bambino. Il gioco del
calcio è condiviso con molte persone, ma al tempo stesso è un angolo
fanciullesco che custodisco gelosamente dentro di me. La mia storia parla di un
ragazzo che ha provato a diventare uomo, districandosi tra difficoltà e responsabilità,
ma mosso sempre e comunque da passione e divertimento. Finché il fisico e gli impegni
me lo consentiranno, il calcio rappresenterà quella scintilla che arderà dentro
di me quotidianamente: è la cosa più importante fra le cose meno importanti.
Antonio è quello che
cercavo, tutto quello che in un compagno bisognerebbe sempre trovare. Lealtà,
dedizione, complicità, se avevo perplessità su qualche mio modo di seguire le
attività agonistiche, ne parlavo con lui, mi rincuorava. Era la risata al
momento giusto, la pacca sulla spalla nel momento del bisogno. Antonio è quel
ragazzo che anche quando impossibilitato ad allenarsi e scendere in campo, faceva
di tutto per caricarci, aiutarci, sostenerci fino a straziarsi, lui per noi,
nelle avversità.
Per il gruppo, il suo
motto, CUORE-GRINTA-POLMONI, deve essere uno stile di vita dentro il campo. Noi,
pochi rimasti ad averlo avuto come compagno di squadra, cerchiamo anche con
l'aiuto
dei genitori, delle
sorelle, di sensibilizzare i nuovi che non lo hanno vissuto.
Una delle prime partite
che riuscii a disputare dopo quel maledetto 8 febbraio 2014 che ci ha portato
via Antonio, ci vedeva di fronte a una squadra ostica e abbastanza detestata,
il Dacica. In casa loro, decimati dagli infortuni, siamo riusciti a mettere la
partita sul binario giusto, 0 a 1. Dopo l’intervallo, subentro nella ripresa,
un secondo tempo molto combattuto nonostante avessimo messo a segno lo 0 a 2. Mi
piace pensare che sul finale di gara, con le forze che venivano a mancare,
Antonio sia venuto in nostro aiuto: ricordo che mi lanciai in un pressing
disperato, senza mai sapere da dove tirai fuori quella tenacia, rubai palla
sulla trequarti di campo avversaria, dal limite dell'area beffai il portiere
con un pallonetto onestamente tanto bello quanto insolito per me. Gioco,
partita, incontro. Non so descrivere che emozione provai, viene la pelle d'oca
e qualche lacrima solo a ricordarlo e il mio più grande rimpianto sarà sempre
di non aver potuto gioire con lui fisicamente di questo gesto anche se, come
detto, niente mi leva dalla mente, che quel giorno lui era lì con noi. Come
sempre. Non solo sulle spalle della nostra maglia da gioco, lui vive con noi. Racconterò
di lui, sempre, ai miei figli, ai miei nipoti, dirò di non smettere mai di sognare,
di credere sempre nel raggiungimento di un obbiettivo che uno nella vita si
prefissa. Si lotta fino alla fine per arrivare alla meta, questo ci ha lasciato
Antonio, questo è quello che va fatto.
Vincenzo
Santini Calisti
Dire cos’è per me il
calcio è molto complicato, perché porta con sé molti significati, ma se dovessi
sintetizzare questi concetti e dirlo in poche parole, direi che il calcio è ciò
che mi rende libero.
Sono entrato a far parte
di questa squadra otto anni fa, tramite un amico, di un amico, di un amico…
Le cose belle, però,
nascono quando meno te lo aspetti, e infatti ho trovato un gruppo unico, ormai
per me quasi una famiglia. Spero per il futuro che la squadra possa continuare
a crescere e togliersi qualche soddisfazione.
Antonio era unico. Inizio
con una frase forse scontata ma che racchiude tutto. Per la nostra squadra
rappresenta l’ideale a cui tutti ci ispiriamo, non solo quando siamo nel
rettangolo di gioco. Antonio era una persona fantastica, sempre sorridente,
sempre pronto a darti una mano e ad aiutarti. Corretto e leale. Ti bastava
starci insieme pochi minuti per capire quanto fosse speciale. Non posso
dimenticare quando, durante la malattia di mio padre, mi scrisse per dedicarci
(a me e mio padre) la vittoria della nostra squadra. Una cosa che può sembrare
sciocca, ma che riuscì a regalarmi un sorriso in quel momento, e a farmi
sentire la vicinanza di Antonio e di tutto il gruppo. La dedica finiva con il
suo motto “cuore, grinta e polmoni”.
Il momento che più mi ha
segnato è stato proprio il giorno in cui Antonio scomparve. Dovevamo giocare
una partita contro l’Esercito Calcio. Negli spogliatoi ci siamo guardati perché
non tutti se la sentivano di scendere in campo. Io ero fra quelli che volevano
giocare, ma non biasimo chi non ce la faceva, ognuno ha il suo modo di reagire
agli eventi della vita. Volevo giocare, perché entrare in campo significava per
me essere vicino ad Antonio. È stato grazie a questa passione che avevamo in
comune che ci siamo conosciuti. Io lo volevo salutare giocando, perché sapevo
che lui in quel momento era con ognuno di noi, e so quanto ci teneva a scendere
in campo e lottare con i compagni. Vincemmo la partita 1 a 0. Quando segnammo
il gol della vittoria, ricordo solo un’esplosione di una gioia strana. Era
mista a troppe cose, c’era rabbia, dolore, tristezza, ma anche gioia. La gioia
per me di sentire Antonio ancora una volta esultare insieme a me, come avevamo
fatto tante altre volte.
Valerio
Scaramastra
Il calcio giocato è una
delle cose più importanti della mia vita, lo è sempre stato. Ho iniziato a
giocare all'età di sei anni e da lì non ho mai smesso, e spero di poter giocare
ancora per molto tempo. Sicuramente fino a che le gambe mi sosterranno ce la metterò
tutta per andare avanti!
Mi potrei definire uno
dei "fondatori" della squadra (anche se all'atto pratico non è stato
cosi), ma mi piace pensare di esserlo, per quello che ho fatto prima di
conoscere Antonio, mentre ci giocavo insieme, e dopo la sua morte. Gioco in
questo gruppo da almeno undici anni, se non ricordo male, abbiamo cambiato
diverse maglie, giocatori e società, ma alcuni di noi ancora sono presenti nel
gruppo.
Il mio percorso tutto
sommato è stato sempre un crescendo, ovviamente con alti e bassi, che fanno
parte della vita. Il miglior anno calcistico lo abbiamo ottenuto nel penultimo
anno di A.S.D. Capannelle quando, anche con Antonio in campo, siamo riusciti a
raggiungere una promozione in seconda categoria, con una finale di coppa delle
province persa solo ai rigori. Lì eravamo un grande gruppo, un gruppo di amici
dentro e fuori dal campo, lo ricorderò sempre come l'anno migliore. Per quanto
riguarda il bilancio con l'A.S.D. Antonio Ianni, devo dire che avrei sperato di
ottenere molto di più, visto purtroppo anche il livello in cui si trova ora la
terza categoria, ed il potenziale dei giocatori che sono passati in questi
anni. Personalmente penso che a livello tecnico siamo andati sempre migliorando
con gli anni, però forse c'è sempre mancata la fame di vittoria, che magari ti
dava quella spinta in più per ottenere un traguardo migliore. Come si dice, la
speranza è l'ultima a morire, quindi mi auguro che ogni anno che verrà sia
sempre migliore e che magari ci faccia rivivere le emozioni provate in
quell'annata accennata in precedenza.
Antonio era un ragazzo
magnifico, l'amico che tutti vorrebbero avere. Era una persona leale, generosa,
simpatica e piacevole. A livello calcistico si può definire un "cavallo
pazzo", forse un po’ indisciplinato tatticamente, ma la sua voglia, il suo
cuore e la sua grinta, facevano sì che riuscisse a colmare alcuni limiti. Il
sacrificio che metteva a disposizione della squadra era una cosa che è sempre
stata apprezzata e lo ha sempre contraddistinto. Era un combattente che non si dava mai per
vinto e ce la metteva tutta fino alla fine. Ovviamente per noi che lo abbiamo
conosciuto e giocato insieme rappresenta una figura molto importante, delle volte
è l'unica ragione che mi dà la forza e mi spinge a non mollare o a cambiare
squadra. Adesso mi rende orgoglioso essere il capitano di questa squadra e spero
vivamente che anche lui da lì su sia fiero di me. Certo è difficile far capire
alle persone che non l'hanno mai conosciuto il suo vero valore, anche se devo
dire che diversi compagni sono riusciti a "prendere a cuore" questa
squadra, facendosi motivare anche da tutto quello che ci circonda (le sorelle
di Antonio e i suoi genitori) e cercare il più possibile di essere utili alla
causa. Ci sono molte cose che mi ricordano di lui, sia dentro che fuori dal
campo durante la giornata, dal suo improvvisare frasi rap, alla famosa
"mossa del granchio", quando prese a cazzotti un albero perché era
stato espulso ingiustamente, a tutto il suo impegno quando è dovuto star
lontano dal campo per l'infortunio alle anche, e ogni domenica per motivarci al
meglio preparava sempre qualcosa di nuovo: il pallone con gli aggettivi dove
ognuno di noi doveva togliere il nastro che li copriva ma che poi uniti tutti insieme
ci legavano in qualcosa; le lettere con dei riferimenti a racconti di storie
accadute in passato; i suoi miti che per certi versi potevano essere anche i
nostri oppure lo striscione "faber est suae quisque fortunae" creato
il giorno della finale di coppa, con i fogli dei cori rivisitati in versione A.S.D.
Capannelle che ha consegnato a tutti i tifosi che erano presenti quel giorno e
così via, potrei tirarne fuori ancora molti di ricordi. Come detto ce ne sono
diversi di ricordi che sono impressi nel mio cuore, però una cosa che prevale
su tutte (forse perché l'ho vissuta in prima persona) è un fatto accaduto
durante una partita di campionato che giocavamo in casa (in quell'annata
"storica") contro il Real Aurora, avversari che avevamo già
affrontato diverse volte e con cui non c'è mai stata molta simpatia. Quel giorno
Antonio era in tribuna perché era da poco tempo che aveva scoperto questo problema
alle anche che non gli permetteva di giocare. La partita ovviamente era calda e
tirata, il clima tra tifosi e giocatori molto teso, quando verso la fine un
avversario fece un brutto fallo ad uno di noi, ed ovviamente dalla tribuna
(dove c’era Antonio) partì tutto l'accanimento possibile contro di lui. Poco
dopo la partita finì e ovviamente gli animi erano ancora accesi e i battibecchi
tra lui e questo avversario sono continuati anche fuori, quindi Antonio entrò
negli spogliatoi cercando di andarsi a scontrare con questa persona. Ovviamente
tutti cercammo di fermarlo (compreso io che ero in accappatoio e ciabatte)
quindi in tre cercammo di riportarlo nello spogliatoio e una volta dentro
riuscii a chiudere la porta spingendo Antonio dentro, ma lui che continuava a
cercare di liberarsi, quando tutto a un tratto si fermò, mi abbracciò forte e
scoppiò a piangere, urlando che voleva tornare a giocare, e non ce la faceva
più a stare fuori dal campo e non poterci dare una mano, ed io l'unica cosa che
ho potuto fare con le lacrime agli occhi è stato stringerlo forte a me dirgli che
sarebbe tornato presto. In questo episodio ho capito ancora di più tutto
l'amore che provava per il pallone e l'attaccamento e il bene che ci voleva, è
stato nello stesso tempo un momento triste, ma davvero emozionante che mi è
rimasto impresso in maniera incredibile. Per fortuna questa rivincita se l'è
presa poco dopo, nei quarti di finale di coppa di provincia, partita secca in
campo neutro e ovviamente ci capitò il Real Aurora, questa volta Antonio era in
panchina (al fianco della squadra anche se infortunato), la posta in palio era
alta e il caso ha voluto che sul risultato di 1 a 1 il Mister (al tempo
Maurizio D'Onofrio) decise di farlo entrare nella ripresa, ed fu proprio lui
che durante un calcio d'angolo nella mischia riuscì a segnare il goal del 2 a
1, scatenando l'apoteosi più totale, e permettendoci così di andare avanti in
quella coppa persa poi in finale ai rigori.