lunedì 31 agosto 2015

Roberta Bruzzone: come e perché sono diventata Criminologa Investigativa


Siamo abituati a vederla, grintosa e determinata, su giornali e televisioni, mentre racconta l’evoluzione dei casi di cui si occupa. Capelli biondi, occhi azzurri e il chiodo di pelle nera da grande appassionata delle due ruote. La sua capacità di catalizzare l’attenzione, grazie alla sua preparazione e all’abilità nell’utilizzo di tutti i mezzi d’informazione, le ha procurato, da qualche anno a questa parte, gli oneri e gli onori della celebrità. Si tratta di Roberta Bruzzone, Criminologa Investigativa e Psicologa Forense di grande esperienza, che riesce sempre a far parlare di sé e del suo lavoro, che svolge con grande entusiasmo e competenza. Ma qual è il confine tra la professionista, la persona e il personaggio? Quale percorso formativo l’ha condotta a vestire i panni di Consulente in molti tra i casi alla ribalta della cronaca? E come riesce a destreggiarsi tra i vantaggi e gli svantaggi che la sua personalità forte le ha portato nel suo cammino professionale? È lei stessa a raccontarci chi è realmente Roberta Bruzzone e a trarre un bilancio del viaggio fatto finora, tra successi e polemiche, soddisfazioni e pregiudizi, sottolineando che il lavoro del Criminologo ha poco a che vedere col patinato mondo della TV e delle trasmissioni che si occupano di cronaca nera. Quando i riflettori e le telecamere si spengono, restano solo scelte coraggiose, da compiere col tempismo necessario che dirà se si riveleranno giuste o sbagliate. Restano i continui dubbi contro i quali soltanto uno studio costante può opporsi, dando un senso alle certezze che verranno. Resta la consapevolezza delle giornate di duro lavoro, senza sosta, in cerca della verità, spesso distanti dai propri affetti, tanto faticosamente cercati. E non c’è nulla di più personale del tempo passato lontano da casa a fare ciò che di più si ama al Mondo.     


Roberta Bruzzone, Psicologa Forense, Criminologa Investigativa e Criminalista di grande esperienza che, con la sua personalità e determinazione, incarna le aspirazioni di molti studiosi e professionisti: chi è e che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, il criminologo al giorno d’oggi? Che differenze ci sono tra l’Italia e il resto del Mondo?

Esistono diverse tipologie di Criminologi: ci sono i Criminologi Penitenziari, che operano a supporto della Magistratura di sorveglianza nella delicata fase dell’esecuzione della pena, nell’ottica della risocializzazione e del reinserimento sociale dei detenuti e i Criminologi che si occupano di ricerca accademica in svariati ambiti. Poi ci sono quelli come me, i cosiddetti Criminologi Investigativi, che, proprio come indica la definizione stessa, si occupano di investigazione, soprattutto nei crimini di matrice violenta (omicidio, stalking e violenza sessuale). Sono dei professionisti che, grazie alle competenze in area tecnico-scientifica e psicologico-forense, sono in grado di applicare strumenti conoscitivi criminologici “tradizionali e non” al mondo delle investigazioni criminali. Negli Stati Uniti vengono chiamati “Profiler”: in sintesi un soggetto capace di entrare nella mente criminale e di comprenderne il funzionamento, con una vasta esperienza in ambito investigativo e capace di processare le informazioni raccolte sulla scena del crimine secondo una logica stringente in cui i fatti, e soltanto quelli, la fanno da padrone. Ecco, questa è la parte principale del mio lavoro. A differenza dell'investigatore tradizionale, appartenente alle forze dell'ordine e non, il Criminologo Investigativo possiede una competenza più ampia che gli/le permette di affrontare e considerare tutti i molti aspetti del caso che gli/le viene sottoposto.


Dalle specializzazioni in Psicologia Forense, alle numerose esperienze come docente che cerca di trasmettere il grande impegno che occorre per passare dallo studio dei testi scientifici all’apparente caos di una scena del crimine: quanto è importante la formazione continua per chi voglia intraprendere la carriera di criminologo?

Devo premettere che, anche se in Italia è riconosciuta la competenza criminologica specialistica associata a diverse professionalità, non esiste un Albo dei Criminologi vero e proprio, come esiste invece in altre professioni quali lo Psicologo, (come nel mio caso), l'Avvocato, il Medico o il Giornalista, ad esempio. Non esiste neppure una Laurea specifica in ambito criminologico-investigativo. È bene fare chiarezza sul punto. Per fare questo lavoro è indispensabile prima di tutto laurearsi in Psicologia o, in subordine, in Giurisprudenza o in Medicina. Questi sono i percorsi di studi che consentono realistiche possibilità di accesso alla professione (la Laurea in Psicologia prima di tutto). Ma non basta: bisogna anche specializzarsi attraverso un lungo percorso formativo post Laurea. Io sono laureata in Psicologia, sono iscritta da molti anni all’Albo degli Psicologi e ho fatto diversi corsi di specializzazione sia in Italia, che negli Stati Uniti, sia in ambito criminologico, sia per approfondire lo studio delle Scienze Forensi. Questa è una professione che impone un continuo aggiornamento e quindi bisogna amare profondamente lo studio di queste materie. È proprio per questo motivo che ho fondato, nel 2009, l’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi (AISF), proprio per consentire una formazione specialistica pratica in questo campo anche nel nostro Paese.

Televisioni, giornali, Social Network: quando si parla di cronaca nera il confine tra informazione e intrattenimento sembra assottigliarsi. Qual è il suo personale equilibrio per riuscire a barcamenarsi tra la poltrona di un salotto televisivo e quella del salotto di casa? Che ruolo hanno, o dovrebbero avere, i mezzi di informazione nella risoluzione dei crimini?

Chiariamo un punto: le indagini non si possono fare seduti comodamente in poltrona, che sia quella di casa o quella di un cosiddetto salotto tv poco importa. E di aspiranti investigatori da poltrona o da tastiera ce ne sono davvero troppi ormai. Chi, come me, da oltre quindici anni, si occupa di crimini violenti (omicidi, violenze sessuali, stalking, pedofilia, etc.) sulla scena del crimine, la differenza tra “investigare sul campo direttamente” e “parlare di indagini che altri hanno svolto o stanno svolgendo” la conosce fin troppo bene. Sono stata, e sono tuttora, molto spesso coinvolta in qualità di Consulente Tecnico in vicende che ottengono grande attenzione mediatica e conosco bene il coefficiente di distorsione dei fatti che, se non si presta la debita attenzione, i media possono inserire nel modo in cui fatti e circostanze vengono raccontati, a volte anche in palese malafede e per favorire interessi personali. La gente, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha competenze di alcun genere in questo ambito e commenta a vanvera, convinta di trovarsi in una puntata della serie TV CSI. Ma non è così semplice. Occorrono competenze specifiche ed esperienza sul campo. Questa non è una professione che si impara sui libri o attraverso i telefilm. Dopo il caso Yara, ormai, in Italia sono diventati tutti “presunti genetisti” oltre che “presunti investigatori e criminologi”. Ed il livello di confusione e disinformazione è in continuo aumento. Oggi è sempre più difficile discriminare tra le “buone informazioni” e le “bufale”. E di gente che, come la sottoscritta, prima di parlare di un caso se lo studia nel dettaglio attraverso gli atti ce n’è sempre meno…



I suoi studi e la sua esperienza l’hanno resa anche un’abile divulgatrice della carta stampata, come dimostra uno dei suoi ultimi libri, “Chi è l’assassino. Diario di una criminologa”, edito da Mondadori. Come si sente nei panni di scrittrice e quali sono i suoi progetti per il futuro in merito?

Oltre a “Chi è l’assassino. Diario di una criminologa”, edito da Mondadori nel 2012, ho scritto numerosi altri libri dedicati ad alcuni casi di cui mi sono occupata in qualità di Consulente Tecnico (tra cui “Segreti di famiglia – il delitto di Sarah Scazzi”, Aracne, 2013 e “Il grande abbaglio - il caso di Enrico Forti”, Curcu & Genovese, 2013). Mi piace molto rivestire i panni di scrittrice e nel 2016 usciranno altri due miei libri, che sto scrivendo proprio in questo periodo, dedicati a temi scottanti come il lato oscuro dei Social Media e come riconoscere ed evitare un amore “sbagliato”, prima che sia troppo tardi.

Il suo impegno come professionista e come donna a favore delle donne, non più vittime inermi, ma risorse in ogni campo, le ha portato numerosi riconoscimenti. Che consiglio darebbe a una giovane che, prendendo ad esempio la sua carriera, volesse seguire le sue orme? È ancora possibile oggi, secondo lei, fare della propria aspirazione un mestiere, superando ostacoli e pregiudizi?

Posso dire che la mia è una professione meravigliosa, perché ha a che fare con la ricerca della verità e ti consente di sentirti utile ogni giorno per tante persone. L'aspetto negativo è che per tutto il resto ti lascia solo le briciole, soprattutto nei confronti della vita privata. Si viaggia tanto, non ci sono orari, non esistono Natale, Capodanno, feste di compleanno o ricorrenze varie. Se c’è da lavorare a un caso bisogna prendere e andare. E non tutti sono in grado di sopportare a lungo una compagna o una moglie che c’è un po’ a “singhiozzo”. Non è facile trovare un compagno che accetti uno stile di vita decisamente poco “casalingo” e che non entri in “competizione”. Insomma è una professione dura. Io sono stata molto fortunata perché convivo con un uomo straordinario, anche lui un affermato e stimato professionista, che sa comprendermi e che non si mette in competizione con me: si chiama Massimo Marino ed è un funzionario della Polizia di Stato. Avere al fianco la persona giusta fa davvero la differenza, ora lo posso dire con piena cognizione di causa. In passato non è stato così.



Quale caso della sua carriera ha richiesto maggiori energie come investigatrice? E quale storia, invece, è rimasta più impressa nella sua memoria e nel suo cuore come persona?


Potrei citarne moltissimi. Ma, in primis, c'è il caso di Sarah Scazzi in cui ritengo di aver svolto un ruolo importante. Ero stata nominata nel novembre del 2010 dall'avvocato di Michele Misseri per aiutarlo a ricostruire la vicenda. E, durante un colloquio in carcere, Michele mi rivelò per la prima volta che ad uccidere Sarah era stata la figlia Sabrina. Indubbiamente si è trattato di un caso molto importante in cui ho avuto modo di dare un contributo per la ricerca della verità sulla morte di Sarah. Ma non esistono casi di serie A e di serie B: do sempre il massimo perché la posta in gioco è altissima e non ho mai tradito la fiducia di chi mi incarica per far luce su vicende complesse.

www.robertabruzzone.com

giovedì 27 agosto 2015

Marina Baldi: cos’è il DNA e perché è importante


Chi siamo? Da dove veniamo? Dove siamo diretti? Ai primi due di questi quesiti filosofici la Scienza ha risposto già da tempo. È l’Acido Desossiribonucleico, meglio conosciuto come DNA, a contenere la chiave delle nostre origini: quel patrimonio genetico che ci rende unici e irripetibili, pur manifestando in modo ineluttabile chi ci ha generati biologicamente.
Ma cos’è esattamente il DNA e perché è così importante il suo studio al giorno d’oggi? La Dottoressa Marina Baldi, Biologa e Genetista di grande professionalità ed esperienza, ha risposto in modo chiaro e esauriente a questa domanda che ci poniamo tutti sempre più spesso. La conoscenza costantemente più precisa dei nostri caratteri genetici, infatti, è sempre più rilevante anche nella nostra vita quotidiana, sia per la prevenzione e la cura della nostra salute fisica, sia per i grandi risvolti civili e penali che il nostro patrimonio genetico ha di fronte alla legge. Dalla paternità dei figli, alle prove scientifiche in caso di delitti, il DNA, se saputo raccogliere e analizzare, è un’inequivocabile firma del nostro essere e va sempre e comunque preso in considerazione, senza eccezioni di sorta, in tutti i campi e le sedi opportune.
Dove siamo diretti, invece? Nel cammino della conoscenza è arduo il compito di chi cerca di fare in modo che biologia, senso di appartenenza e colpevolezza procedano il più possibile di pari passo. Ecco, quindi, che a quest’ultima domanda dobbiamo lasciar rispondere solo la nostra coscienza, almeno per il momento e, forse, il più a lungo possibile.


Dopo gli studi di Biologia sei diventata specialista in Genetica Medica, ma che cos’è il DNA e perché è così importante avere consapevolezza del nostro patrimonio genetico al giorno d’oggi?

Il DNA è la molecola nella quale sono scritti tutti i nostri caratteri ereditari, le nostre caratteristiche fisiche, la nostra predisposizione ad ammalarci di una malattia piuttosto che un'altra e quanto e come durerà la nostra vita. Una piccola parte del DNA, invece, non riguarda caratteri ereditari, ma è costituita da sequenze estremamente variabili, caratteristica che consente di distinguere un individuo dall'altro. Quest'ultima é la parte che si analizza in campo forense. Conoscere il proprio patrimonio genetico è importante perché ci aiuta a prevenire le malattie, a scegliere la cura migliore, ad individuare il rischi di trasmettere una certa malattia ai propri figli.

Da quando le indagini scientifiche hanno assunto grande rilevanza, sia in ambito civile, sia in ambito penale, il ruolo dei periti è sempre più importante all’interno dei processi. Chi è il Genetista Forense e di cosa si occupa concretamente?

Il Genetista Forense è colui che individua ed analizza tracce biologiche, sia dal punto di vista morfologico, che da quello qualitativo, estraendo da esse il DNA ed analizzandolo in modo da ottenere profili genetici peculiari di un individuo ed utilizzabili per l'identificazione di un reo, per scagionare un innocente o per stabilire un rapporto di filiazione negli accertamenti di paternità.

Quale percorso formativo hai intrapreso per svolgere la tua professione e quanto è importante, nel tuo settore, tenersi costantemente aggiornati su tecniche in continua evoluzione?

Mi sono laureata in Biologia e poi specializzata in Genetica Medica. Successivamente, tra gli altri titoli, ho conseguito un Master di II Livello in Criminologia e Scienze Forensi e un altro, sempre di II Livello, in Genetica Forense. Queste sono materie in evoluzione perenne e le novità sono diffuse di continuo dai Centri di ricerca, direi quasi in modo quotidiano. Capisci quindi che l'aggiornamento è fondamentale ed imprescindibile per fare al meglio il proprio lavoro, dato che, oltretutto, una imprecisione o un errore può costare una condanna per un innocente o la libertà per un colpevole!

Nel corso della tua carriera ti sei occupata di moltissimi casi più o meno alla ribalta della cronaca. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che è rimasta particolarmente impressa nella tua memoria.

Ormai sono tanti anni che faccio questo lavoro ed ogni volta avviene qualcosa che rimane indelebile nel mio cuore... ma una delle emozioni più forti è stata per me la sera in cui ho saputo che era stato identificato l'assassino della Contessa Filo della Torre, il cui DNA era stato sotto il naso di tutti per venti anni e solo con la perizia ed accuratezza dei RIS era stato evidenziato. Mi sono battuta tanto con la famiglia e gli avvocati per far riaprire il caso e, successivamente, non farlo archiviare, però quella vicenda fu, per me, una grande lezione di vita, in quanto tutti eravamo convinti che l'autore del delitto fosse un'altra persona. Ho capito sulla mia pelle quanto sia pericoloso farsi un’idea preconcetta e quanto, invece, sia facile che ciò avvenga.

Che consiglio ti sentiresti di dare a chi volesse intraprendere il tuo stesso percorso professionale? Parlaci dei progetti nei quali sei attualmente impegnata e dei tuoi programmi per il futuro.

Il consiglio che do ai ragazzi che vogliono intraprendere questa professione è quello di studiare, impegnarsi in prima persona e di avere tanta umiltà. Non basta leggere gli atti di un processo per diventare esperti e nella vita c'è sempre da imparare. Anche io, nonostante i tanti anni di professione, cerco sempre di mettermi in discussione e di lavorare in collaborazione. E imparo sempre qualcosa di nuovo! A mio parere è l'unico modo per andare avanti e progredire umanamente e professionalmente. 

Attualmente sono impegnata in vari casi di cui, alcuni, molto complessi e, per la maggior parte dei quali, come puoi capire, non posso parlare diffusamente. Alcuni recenti, altri sono invece cold case che vengono rivalutati con le nuove tecnologie. Quanto al futuro, vorrei solo poter continuare così, giacché sono tanto fortunata da fare il lavoro che mi piace!

www.marinabaldi.it

lunedì 24 agosto 2015

Linda Kent: viaggio nel Romance e nei Sentimenti senza tempo


Delicata, poetica, evocativa: la penna di Linda Kent sa essere incisiva e soave nello stesso tempo, come solo quelle delle grandi autrici del passato sono state, da Jane Eyre a Georgette Heyer. Grazie al suo stile descrittivo e circostanziato, ogni romanzo di Linda Kent è una vera e propria esperienza sensoriale che, quasi come un viaggio, richiama i profumi e le atmosfere che tante di noi hanno sognato leggendo i grandi classici e riescono finalmente a riassaporare con gusto, grazie al talento di autrici preziose come Linda. Il romance, infatti, è un genere che nasce non solo dall’innata capacità di coniugare i sentimenti, ma anche da un profondo studio delle epoche e dei costumi nel quale sono ambientate le varie opere, cosa che le rende piccole perle d’inventiva, che seguono regole ben precise. Dalla brughiera del Devon, alle coste frastagliate della Cornovaglia, i romanzi di Linda Kent, tutti editi da Mondadori, anche in versione digitale, ci conducono attraverso buona parte del Regno Unito, seguendo le vicende di famiglie aristocratiche, eroine temerarie e gentiluomini che sembrano non esistere più. E se per Linda “quando si inizia a scrivere, è quasi impossibile smettere”, a noi lettrici accade esattamente la stessa cosa: una volta letto uno dei suoi romanzi non si può proprio rischiare di lasciarsi scappare il successivo!


Per scrivere bene occorrono passione, disciplina, talento e tanta curiosità, alimentata dallo studio costante e da numerose letture: tu che scrittrice sei? Segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo al quale non puoi rinunciare?

Ringrazio, prima di tutto, Alessandra Rinaldi per l’ospitalità sul blog “Fatti i fatti tuoi”: il contatto diretto con i lettori oggi è più facile e immediato grazie al Social Network, tuttavia il dialogo si limita spesso a un saluto o a un commento sotto forma di icona. L’intervista, invece, offre la possibilità di approfondire la conoscenza con un autore.
Nella tua domanda, hai individuato le “sorgenti” della scrittura: ognuna di loro è indispensabile e apporta il proprio contributo per la creazione dell’opera letteraria. Per quanto mi riguarda, seguo un metodo solo nella fase iniziale: raccolgo il materiale (storico, geografico, fotografico) che costituirà l’ossatura del romanzo, creo una sinossi e una scaletta dei capitoli (anche se entrambe provvisorie e suscettibili di cambiamenti anche notevoli), preparo le schede per definire i personaggi nelle loro caratteristiche fisiche e morali. La narrazione vera e propria, invece, a causa dei miei impegni di lavoro e di famiglia, non può seguire tempi ben precisi e quindi approfitto di ogni momento libero per scrivere, soprattutto durante il fine settimana o nelle giornate di festa.

Il romance è, senza dubbio, la tua dimensione più congeniale, un genere che richiede la capacità di declinare sentimenti universali in epoche a noi lontane: da dove nasce questa scelta? A quali esigenze risponde?

Ti racconto una storia. A dodici anni un’amica di famiglia che conosceva la mia passione per la lettura mi regalò Emma di Jane Austen; la cara signora, attratta dal disegno e dalla copertina rosa, credeva si trattasse di un racconto per bambine e pensò di aver sbagliato acquisto. Invece, per me si trattò di una rivelazione e mi procurai subito tutte le opere della scrittrice: appagavano il mio carattere “inguaribilmente romantico” e, nello stesso tempo, mi consentivano di conoscere un periodo storico che mi interessava; trattavano temi universali, ma con uno stile incomparabile per arguzia e ironia. Dalla Austen alle Sorelle Brontë, mi sono poi “nutrita” delle opere di tutti i grandi narratori del XIX secolo. Con voracità e insaziabile curiosità. Tuttavia, ritengo che libri quali Orgoglio e Pregiudizio, Persuasione o Jane Eyre siano ancora oggi insuperati per la loro ambivalenza: da un lato ci consentono di sognare (tingendosi d’azzurro, color di lontananza, direbbe Guido Gozzano), dall’altro, la loro attualità consente al lettore di immedesimarsi nella narrazione. Il romance e, in genere, tutta la narrativa sentimentale, discendono da questi capolavori attraverso una lunga filiazione di bravissime autrici, prima fra tutte Georgette Heyer. La loro influenza è tale da essersi estesa alla letteratura d’intrattenimento e alle commedie brillanti del grande schermo.

Sei riuscita a fare del tuo più grande talento un mestiere: che ostacoli hai incontrato e incontri ancora adesso nel tuo percorso? Cosa significa, al giorno d’oggi, collaborare con un grande Editore? Che consiglio ti senti di dare a chi volesse seguire le tue orme?

In realtà, per me scrivere non è mai diventato un vero e proprio mestiere: ancora oggi è solo una grande passione e questo mi consente di esprimermi con la massima libertà. Mi ritengo fortunata, perché la collaborazione con Mondadori, iniziata nel 2013, mi ha portato grandi soddisfazioni. La crisi dell’Editoria rende, però, sempre più difficile e incerta la via della pubblicazione con una grande Casa Editrice, mentre il boom del self-publishing ha aumentato enormemente la possibilità per un esordiente di farsi conoscere o, per un autore già affermato, di diffondere le sue opere rimaste nel cassetto. Si deve comunque considerare anche il rovescio della medaglia, cioè un volume immenso di produzione, offerta talvolta a costo irrisorio, che può stordire e confondere il lettore e che destina all’oblio le opere in un lasso di tempo sempre più breve. Tuttavia, a chiunque avverta il “sacro fuoco” della scrittura consiglio di non arrendersi, ma di munirsi di pazienza e di una buona dose di tenacia, rinforzarsi contro le delusioni e andare avanti. Cercando, sempre, di migliorare.

Con l’avvento sempre più deciso dell’ebook, anche nel nostro Paese, l’intera industria editoriale sta attuando molti cambiamenti. Tu che lettrice sei? Che generi preferisci? Non rinunceresti mai al profumo delle pagine fresche di stampa o ti affidi volentieri alle nuove tecnologie?

Sono una lettrice instancabile: adoro (ri)leggere i grandi classici della letteratura internazionale e li alterno con le più recenti proposte della narrativa italiana e straniera. Il formato elettronico offre un innegabile risparmio di costi e di spazio, ma la carta stampata, per me, resta insuperabile: possiedo un e-book reader, ma non mi regala affatto le stesse emozioni di un libro “vero”.

A cosa stai lavorando attualmente? In quali luoghi incantevoli ci condurrai nel tuo prossimo romanzo? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.

Ho terminato il prossimo romance, che spero si rivelerà una sorpresa gradevole per le mie lettrici. Mi piace spaziare nel tempo e affrontare nuove sfide; scrivere storie che, pur nel rispetto dei canoni tradizionali del genere, posseggano una loro originalità. Scelgo sempre luoghi che ho avuto la fortuna di visitare, con l’intento di trasmettere a chi legge le emozioni che ho provato in prima persona, anche se mi documento con cura per capire come risultassero all’epoca della narrazione.

Spero che questo quinto libro possa essere pubblicato nel 2016 ma, nel frattempo, ho già intrapreso la via di una nuova avventura. Ancora una volta diversa, sia per epoca storica che per ambientazione. Perché quando si inizia a scrivere è quasi impossibile smettere: forse dovrei avvisare le aspiranti autrici che la scrittura provoca assuefazione.

www.lindakentauthor.com

giovedì 20 agosto 2015

Ester Sanjuan: non smetterò mai di cercare mia sorella, Daniela Sanjuan


Quello fraterno è un legame per la vita. Una sorella o un fratello, maggiore o minore che sia, è il primo vero paradigma col quale ci confrontiamo, il polo opposto dal quale ci sentiamo attratti e, nello stesso tempo, respinti, il punto di riferimento più prossimo a un genitore e più vicino a un amico: rivale all’occorrenza e complice se necessario. Un rapporto complesso che ha affascinato gli studiosi di ogni epoca e che né il tempo, né lo spazio possono annullare. Neppure quando di una sorella si perdono le tracce, come è accaduto a Ester e Daniela Sanjuan.
È il 23 ottobre 2003 quando la appena quattordicenne Daniela Sanjuan, nata in California da padre Argentino e madre Italiana, scompare nel nulla dalla Comunità “Il Piccolo Carro” di Bettona, in provincia di Perugia, dove si trova per un grave disagio comportamentale che la affligge da tempo. Quella di Ester e Daniela poteva essere una vita scintillante. Figlie di un affermato ballerino, non le separano neppure due anni di età e crescono insieme, viaggiando tra l’Italia, l’Argentina e gli Stati Uniti. Ma forse proprio questo spostarsi da un continente all’altro durante l’infanzia ha segnato il carattere delicato di Daniela, portando alla luce tutte le sue fragilità, fino al punto di non ritorno. Cosa può essere accaduto a Daniela? Forse è fuggita dalla Comunità in cui si trovava in cerca di un nuovo equilibrio? Qualcuno l’ha aiutata? O magari qualcheduno si è approfittato della sua ingenuità e dei suoi sogni di bambina?
Una cosa è certa: Ester sente la mancanza di sua sorella. Ha nostalgia dei loro giochi di bambine, delle risate, dei dispetti e di tutto ciò che quel rapporto unico sarebbe potuto diventare nel corso degli anni: dalle semplici confidenze quotidiane, agli eventi importanti della vita, come il matrimonio o la nascita di un figlio.
Sono dodici anni che non si hanno notizie di Daniela e sono davvero tanti, forse troppi. Ma si può smettere di cercare una ragazza che nel giugno scorso avrebbe festeggiato il suo ventiseiesimo compleanno?


Chi è Daniela? Raccontaci la sua storia.

La storia d’amore dei miei genitori potrebbe sembrare una di quelle che si vedono nei film. Mio padre è nato in Argentina e abita negli Stati Uniti dove, fin da giovanissimo, ha iniziato la carriera di ballerino. A metà degli anni Ottanta arriva in Italia grazie a una borsa di studio e conosce mia madre. È amore a prima vista. Nel 1987 nasco io e, dopo qualche tempo, mia madre decide di seguire mio padre negli Stati Uniti e si trasferisce in California, dove nasce mia sorella Daniela, solo diciotto mesi dopo di me. Siamo felici, ma mio padre è sempre molto preso dal suo lavoro e, poco prima che io compia tre anni, mia madre decide di tornare di nuovo in Italia portandoci con sé. Viviamo in provincia di Napoli per circa tre anni, poi ci trasferiamo di nuovo dall’altra parte dell’Oceano, in Argentina, con mia madre, dove è più facile incontrare e passare del tempo con mio padre, anche se solo raramente, purtroppo. Dopo circa otto anni, papà decide di portare con sé Daniela negli Stati Uniti per un periodo. Vuole che viaggi con lui, accompagnandolo anche nel suo lavoro, in modo tale da potersi conoscere meglio. I mesi passano e, nel frattempo, mia madre ed io torniamo in Italia, in attesa che anche Daniela e mio padre ci raggiungano.
Ricordo che li aspettavamo con ansia, contenti di poterci finalmente riunire dopo tanto tempo. Ma la gioia dura poco. Mia madre si rende subito conto che Daniela è strana: è agitata, nervosa, quasi spaventata tanto da fare spesso la pipì a letto, nonostante sia ormai grande. Quando mio padre, dopo qualche giorno, torna in America, Daniela comincia a manifestare i primi segni di aggressività. Rompe gli oggetti senza motivo, tenta di scappare di casa, alza le mani se non ottiene quello che vuole. È fredda e distaccata perfino con me. Mangia appena, fa una doccia dietro l’altra e si copre anche quando fa caldo, come se volesse nascondersi. Mia madre e mia nonna sono preoccupate e anche io, nonostante sia un’adolescente, mi rendo conto che qualcosa non va, Daniela non sta bene.
A malincuore mia madre decide di rivolgersi agli Assistenti Sociali. Dopo qualche settimana di ricovero forzato in vari Ospedali tra Napoli e Avellino, si libera un posto nella Comunità “Il Piccolo Carro” di Bettona, in provincia di Perugia, e mia madre dà il suo consenso perché Daniela venga trasferita lì. È proprio dalla Comunità che, il 23 ottobre 2003, Daniela scompare senza lasciare traccia, dopo aver tentato di fuggire ben due volte nei giorni precedenti. Da allora non sappiamo più nulla di lei.

Cosa è accaduto il giorno della scomparsa? Come si sono svolte le ricerche?

Non sappiamo di preciso cosa sia accaduto. Ci hanno detto che l’allarme alle Forze dell’Ordine non è stato dato immediatamente e, successivamente, tutti hanno contribuito a cercarla anche nei giorni successivi, ma non è servito a nulla. Spesso ci siamo chiesti cosa è stato fatto realmente per trovarla, ma forse non avremo mai una risposta precisa.


Tu cosa pensi della scomparsa di Daniela? Secondo te cosa le è accaduto?

Ho sempre pensato che Daniela, inizialmente, sia scappata, anche perché non era la prima volta che tentava di farlo. Era così irrequieta, come se avesse sempre paura di qualcosa e so che voleva tornare a casa da me e da mia madre. D’altro canto non è stato trovato nessun corpo, quindi la mia speranza che Daniela sia viva è ancora tanta e vorrei che qualcuno mi aiutasse a cercarla. Era poco più di una bambina quando è scomparsa e non ci si può dimenticare di lei in questo modo.
In questi anni ho avuto occasione di conoscere alcuni ragazzi e ragazze che si trovavano in Comunità con lei e tutti hanno detto che Daniela desiderava andarsene e poter tornare a casa. Alcuni genitori di questi ragazzi, inoltre, si sono lamentati dell’operato dei dipendenti della Comunità, considerandolo non idoneo. E poi ci sono i resti umani ritrovati nei boschi nei dintorni di Perugia nel febbraio 2013. Di chi sono? Perché nessuno degli inquirenti ci ha contattate per farci sapere se sono state fatte delle analisi su quelle ossa e se possiamo escludere che si tratti di Daniela?
Perfino un sensitivo si è interessato del caso di mia sorella, convinto che sia morta per mano della stessa persona che, secondo lui, avrebbe ucciso anche altre donne scomparse nello stesso periodo, ma gli inquirenti non l’hanno mai ritenuta una pista attendibile.
Si è esclusa anche l’ipotesi che Daniela possa essere tornata in America da mio padre, che è stato dichiarato totalmente estraneo alla faccenda. Le domande e le supposizioni sono tante e non nascondo che mi sento sola e confusa.

Qual è stato il momento più difficile in questi anni? Oggi chi vi sta più accanto concretamente e quotidianamente?

Non sono stati in molti ad interessarsi della storia di mia sorella. Ne ha parlato la trasmissione “Chi l’ha visto?”, soprattutto all’inizio, ma poi, senza nuovi elementi, hanno smesso di occuparsene. L’Associazione “Cercando Fabrizio e…” mi ha permesso di conoscere molte persone che mi hanno manifestato la loro solidarietà. Lo scorso 14 giugno ero presente anche io a Roma, assieme a tanti familiari di scomparsi, alla manifestazione “Dove sei?”, indetta per tenere alta l’attenzione su questo fenomeno.

Che ruolo svolgono, o potrebbero svolgere, secondo te, l’opinione pubblica e tutti i mezzi d’informazione di fronte a un caso di scomparsa? A chi vorresti lanciare un appello?

L’opinione pubblica non si interessa abbastanza dei casi di scomparsa e dei familiari che vivono come in un limbo, in attesa di avere notizie sui loro cari. Si potrebbe fare molto di più: la solidarietà di tutti sarebbe importante e non solo tra noi che viviamo questo dramma. Le Forze dell’Ordine devono fare qualcosa di concreto.

Vorrei tanto che si parlasse di più della storia di mia sorella, che si raccontasse di lei e che si facesse qualcosa per cercarla. In pochi, purtroppo, conoscono la vicenda e il volto di Daniela, come, invece, magari, accade con altre bambine e ragazzine scomparse. Chissà come sarà oggi, me lo chiedo spesso. Sarà cambiata? Sarà cresciuta? Spero tanto che prima o poi qualcuno mi aiuti a rispondere a queste domande. Di sicuro io non smetterò mai di cercarla.

lunedì 17 agosto 2015

Daniela Albania: come dipingere le Emozioni della Natura


Il ruggito determinato di una leonessa dal manto screziato di verde e blu, gli occhi curiosi di uno struzzo dalle piume rosa e argentate, le penne brillanti di un gallo dalle ali leggere come bollicine dai mille colori. La Natura e gli animali di Daniela Albania, pittrice di grande creatività e talento, esprimono, attraverso le sfumature dei colori caldi e freddi, le emozioni che più li avvicinano a noi esseri umani, solo apparentemente così diversi.
L’abilità di Daniela Albania nell’armonizzare gamme di tinte non realistiche, per far emergere i sentimenti più profondi degli animali impressi sulla tela, è una dote non comune, che coniuga la sua ammirazione e curiosità per il Mondo della Natura con il desiderio di elevarlo a una dimensione interiore, dove non conta solo ciò che si vede con gli occhi, ma anche ciò che si percepisce con la sensibilità che ci rende unici e irripetibili.
La ricerca di questa artista autodidatta nasce dalla passione per il disegno a grafite, per poi sfociare nello studio del colore a olio, e la vede sempre pronta al confronto con ciò che la circonda, tra contaminazione e originalità, verso un orizzonte di possibilità infinite.


Da dove nasce il tuo bisogno di dipingere? È una passione che coltivi da sempre o si tratta di un talento che hai scoperto recentemente? Che artista sei?

Ho sempre amato disegnare. In famiglia non sono l’unica a possedere questa capacità: mia madre disegnava modelli per sartoria e, sia nella famiglia materna, sia in quella paterna, ci sono stati cugini pittori. Anche mia sorella è molto brava nel disegno, è una passione che condividiamo.
Ho cominciato ad approcciare la pittura a olio solo intorno ai venticinque anni, volendo entrare nel mondo del colore e non limitarmi al disegno a grafite. Mi sono perdutamente innamorata degli Impressionisti francesi ed italiani, quindi ho iniziato a prendere spunto dalle loro opere per scoprire il loro modo di esprimere le emozioni.
Questa passione è rimasta per tanti anni un hobby, in parallelo alla mia attività lavorativa di Consulente di Processo. Ultimamente, essendosi ampliato il tempo libero a mia disposizione, mi sono concentrata su questa passione e ho prodotto numerose tele, studiando altri artisti nella ricerca del mio stile, necessariamente unico.


Cosa vuoi comunicare e cosa ti ispira maggiormente davanti a una tela bianca?

Sto finalmente capendo qual è la mia strada e quale tecnica mi è più congeniale per esprimere ciò che ho dentro, abbinando la pittura a ciò che amo: la natura e gli animali.
Nell'attenta osservazione del comportamento animale, ho scoperto che tantissimi atteggiamenti possono riflettere le stesse emozioni umane: ecco ciò che vorrei esprimere, emozioni umane dipingendo animali! Lo strumento principale è il colore che utilizzo senza una effettiva correlazione alla rappresentazione realistica. Il mio obiettivo è quello di utilizzare colori di fantasia, ma che diano l'impressione di essere assolutamente naturali nell'esprimere l'emozione del momento.
Un esempio è la leonessa con una apertura della bocca tale da esprimere un urlo, una rabbia interiore, una voglia di riscatto!


Dalla riproduzione realistica, al quadro astratto: il colore è il vero protagonista delle tue opere. Quali sono i soggetti che preferisci e le tecniche che prediligi?

Amo cogliere gli animali in atteggiamenti particolari, anche i più lontani da noi esseri umani, puntando molto sullo sguardo e la posizione del corpo.
La Natura in genere è uno dei miei soggetti preferiti, vista però con una lente d'ingrandimento alla scoperta di nuovi punti di vista, ad esempio quello di una formica.
Essendo autodidatta, le tecniche che adotto derivano da una ricerca di strumenti nuovi per riportare il colore sulla tela per ottenere diversi effetti, tutti orientati alla trasmissione della sensazione e non necessariamente da una riproduzione fedele della realtà.


A quali Movimenti Artistici del passato ti rifai? Quali sono i tuoi Maestri di riferimento?

Sono una onnivora in generale, per cogliere tutto quello che posso dall'osservazione di qualsiasi pittore contemporaneo o del passato. Resto, indubbiamente, molto legata all'Impressionismo e all'Espressionismo, per la grande destrezza nel gioco dei colori ma, nel contempo, apprezzo un tratto più definito che aiuti soprattutto a cogliere il movimento degli animali o la fluttuazione della natura al vento. Artisti contemporanei vicini al mio modo di sentire e dai quali ho preso spunto per alcune mie tele sono Gennaro D'Ambrosio, Alberto Lanteri, Jeremy Mann, Oleg Trofimov, Saverio Polloni e Claudio Malacarne.


A cosa stai lavorando ultimamente? Hai in programma la partecipazione a qualche Mostra? Svelaci quali sono le tue aspirazioni e i tuoi progetti per il futuro.

Attualmente cerco di mantenere in parallelo la produzione di tele con soggetti su richiesta a tele di mia ispirazione, legate al mondo animale e vegetale, sempre alla ricerca di cromie originali per esprimere l'emozione rappresentata.

Vorrei davvero continuare a partecipare a Mostre collettive, ma anche organizzare una Esposizione personale per raccogliere l'impatto delle mie opere sul pubblico. Vorrei anche poter condividere un Laboratorio collettivo con altri artisti o aspiranti tali, per coltivare quel vivaio di idee assolutamente necessarie per aggiungere nuovi stimoli alla mia creatività. Sarebbe davvero un’avventura entusiasmante!


giovedì 13 agosto 2015

Alice Basso: la scrittura è il mio mestiere!


Vani è una ragazza timida e introversa che ha fatto del suo intuito non comune un mestiere da esercitare ben lontana dalle luci della ribalta. Vani, infatti, è una ghostwriter: scrive libri sui quali altri autori mettono il loro nome e il loro volto, cercando di seguirne lo stile il più possibile, pur senza incontrarli mai. Fino al giorno in cui il suo editore le impone di conoscere Riccardo, uno scrittore importante, col quale Vani instaura un legame più profondo di quel che avrebbe voluto. I due creano insieme un libro che ha moltissimo successo e, ben presto, Riccardo sembra dimenticarsi della loro sintonia. Vani è delusa e ferita, ma cerca di risollevarsi, gettandosi sul lavoro, almeno finché non le accade qualcosa di davvero inaspettato. Una scrittrice per la quale sta lavorando viene rapita e uno strano Commissario di Polizia, che sembra aver percepito le straordinarie capacità intuitive di Vani, vuole il suo aiuto per investigare e risolvere il caso. Tra inganni, misteri e inaspettati colpi di scena, davanti a Vani si aprono molte strade: per la prima volta nella sua esistenza l’imprevedibilità della vita prende il sopravvento, diventando perfino più avventurosa di un romanzo. Chi ha rapito la scrittrice? Come comportarsi con Riccardo, che è stranamente tornato nella sua vita? E chi è veramente il misterioso Commissario che crede tanto in lei? Per Vani è giunto il momento di uscire dall’ombra: un libro può salvare una vita.
“L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome”, edito da Garzanti, è forse il debutto più sorprendente e riuscito dell’ultimo anno. Alice Basso, una vita dedicata alle tante sfaccettature della scrittura, non è solo una redattrice di grande professionalità, ma soprattutto una scrittrice di straordinario talento. Il suo stile pulito e divertente, rende il suo primo romanzo incredibilmente spassoso, vista la sua capacità di intrecciare la complessità delle relazioni umane al fascino di un mistero da risolvere, il tutto proprio nel complicato e spesso imprevedibile mondo dell’editoria, che lei conosce a fondo. Una lettura imperdibile, soprattutto perché è solo il primo capitolo di una serie che avrà Vani come protagonista e la vedrà crescere e cambiare coi suoi lettori, prendendo sempre più consapevolezza del suo dono: un intuito davvero infallibile. Un libro che, una volta iniziato, vi dispiacerà dover lasciare, quando sarete arrivati alla fine.


Raccontaci la genesi del tuo libro d’esordio “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome”, un romanzo sul valore della scrittura, in bilico tra amore e mistero: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Beh, io lavoro nel mondo dell'editoria. Faccio la redattrice, la traduttrice, talvolta la valutatrice di inediti, per alcune piccole case editrici. È stato naturale trarre ispirazione dall'ambiente che conosco e che frequento tutti i giorni, anche perché il primo sacrosanto comandamento dello scrittore è scrivi di quello che conosci, e, nel mio caso, non solo si tratta di un contesto che conosco bene, ma pure parecchio divertente e portatore di spunti spesso esilaranti.

Vani, la protagonista del tuo romanzo, è una ragazza apparentemente schiva, ma molto curiosa e sensibile, affamata di storie. E tu che scrittrice sei? Quando hai scoperto questa passione e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

Io credo che la mia storia sia abbastanza banale (so che mi tiro la zappa sui piedi, che mi tornerebbe utile dipingermi come un personaggio unico e affascinante, ma che ci posso fare? La verità è la verità!). Insomma, come succede a migliaia, forse milioni di bambini, io ho iniziato sin da piccola a scrivere e poi semplicemente non mi sono più fermata. Sai quante persone conosco che hanno vissuto esattamente lo stesso? Quelle botte d'ispirazione per cui tardi ad addormentarti la sera, perché ti è venuta un'idea per una nuova storia... La fregola che ti coglie nei momenti più impensati, per cui ti metteresti ad appuntarti spunti o pensieri anche sugli scontrini della spesa... Quasi tutte le persone che conosco che hanno la passione per la scrittura, condividono queste esperienze e sanno perfettamente di cosa sto parlando!

È ancora possibile, oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Che ostacoli hai incontrato e incontri ancora oggi lungo il tuo percorso?

Io, in effetti, non faccio la scrittrice a tempo pieno e penso che siano molto molto rari (specie in Italia) i casi di coloro che ci riescono. Infatti una cosa che dico sempre a chi mi chiede consigli o illuminazioni su come diventare scrittore è di abituarsi a scrivere anche quando gli sembra di non avere tempo, forze o testa. C'è un sacco di gente che "sta scrivendo un libro" da anni e anni, ma di fatto non ci si mette mai seriamente d'impegno, perché "non ha tempo". Ecco, io dico sempre che se, un domani, diventerai uno scrittore, il tempo lo dovrai trovare, perché difficilmente camperai di soli diritti d'autore, quindi o ti abituerai a conciliare il lavoro che ti fa portare a casa la pagnotta con la scrittura, o dovrai abbandonare la seconda.

Ogni autore di talento deve essere anche un buon lettore: a quale romanzo sei più legata e che libro c’è, al momento, sul tuo comodino?

Ti confesso che ho una particolare predilezione per i romanzi per ragazzi, che conosco bene anche per ragioni di lavoro. La letteratura per ragazzi mi sembra ancora una delle più "pulite" e "oneste" del mondo, nel senso che è ancora relativamente poco inquinata dal marketing e dalle influenze della pubblicità: un libro per ragazzi o è buono, e allora viaggia per passaparola, o non lo è, e se al giovane lettore non piace a poco servono gli sforzi che l'ufficio marketing avrà fatto per pomparlo. Il mio romanzo preferito in assoluto è, non a caso, almeno apparentemente, un libro d'avventura per ragazzi: "La principessa sposa", di William Goldman. Dico apparentemente, perché, in realtà, è un romanzo fortemente intriso di ironia, talvolta anche di satira e di lezioni di vita anche profonde, che un lettore più adulto può cogliere e apprezzare ancora meglio di un ragazzino. Un romanzo multistrato in cui ogni strato è pieno di sapore, come una torta riuscita benissimo!

A cosa stai lavorando attualmente? Parlaci dei tuoi progetti per il futuro.


Questa domanda mi fa sempre particolarmente felice, perché mi dà l'occasione di annunciare che è previsto un seguito delle avventure di Vani e del suo amico commissario. Infatti, "L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome" nasce come storia destinata a far incontrare questi due personaggi, la ghostwriter e l'investigatore, in modo che formino una squadra destinata a indagare insieme anche su casi futuri. Il secondo caso è appunto in lavorazione, e dovrebbe uscire l'anno prossimo!

lunedì 10 agosto 2015

Giuliana De Angelis: mio fratello, Gianni De Angelis, è scomparso da troppo tempo!


Guardate bene questa foto. Avete mai visto questo ragazzo dal sorriso malinconico e nostalgico? Pensateci bene. Magari lo avete incontrato per caso, da qualche parte. O lo conoscete da poco e avete avuto modo di apprezzare la sua generosità, pur non sapendo molto di lui.
Quest’uomo dagli occhi buoni si chiama Gianni De Angelis ed è scomparso da Pontecorvo, in provincia di Frosinone, l’8 maggio 2013. Si è allontanato dal negozio di autoricambi, che gestiva col cognato, per spedire un pacco e, da quel momento, non ha più fatto ritorno. L’ultima telefonata Gianni l’ha fatta a sua sorella, Giuliana De Angelis, e, pochi istanti dopo, il suo telefonino vecchio modello risultava già spento. Gianni viveva un momento difficile della sua vita e Giuliana è sicura che si sia lasciato prendere dalla voglia di cambiare vita e fuggire dai suoi problemi, non dando più notizie di sé. Ma due anni di silenzio sono davvero tanti e la sua triste mancanza si è mescolata alla paura che possa essergli accaduto qualcosa e che, quello che era iniziato come un allontanamento volontario, si sia trasformato in qualcosa di ben più pericoloso.
Cosa è accaduto realmente a Gianni? Forse è riuscito a rifarsi una vita felice lontano da casa e ha paura di mettersi in contatto con la sua famiglia, dopo oltre due anni di assenza? O gli è successo qualcosa che gli impedisce di tornare dai suoi cari?
Guardate bene questa foto. Prendetevi il tempo necessario a memorizzare i tratti generosi di Gianni e, se vi capiterà di vederlo passare accanto a voi, non voltatevi dall’altra parte. Chiamatelo per nome e stringetegli la mano. Fategli ricordare da dove viene: la sua famiglia aspetta sue notizie, col sorriso. E ditegli che nulla è perduto che non si possa ritrovare, cercando.


Chi è Gianni, tuo fratello? Raccontaci la sua storia.          

Gianni è un ragazzo che, all’epoca della scomparsa, aveva compiuto da poco trentacinque anni. Era allegro, amichevole, sempre pronto a scambiare due chiacchiere con tutti. La sua passione era il calcio che praticava sin da piccolo. Era un ragazzo come tanti, che aveva le sue debolezze e ha fatto quelli che possiamo definire errori di gioventù che lo hanno portato ad abbandonarsi a qualche vizio, ma restava comunque una persona tranquilla, capace di mettere l’educazione e il rispetto al di sopra di tutto. Gianni era attaccatissimo alla sua famiglia: siamo lui ed io, non abbiamo altri fratelli o sorelle e il nostro legame era molto forte.

Quando lo hai visto l’ultima volta? Cosa è successo il giorno della scomparsa?

Il giorno della scomparsa, l’8 maggio 2013, Gianni è andato normalmente al lavoro. Lavorava con mio marito, gestivano insieme un autoricambi. Quella mattina c’era anche mio padre, che li aiutava a fare delle consegne. Poco dopo l’apertura Gianni si è allontanato per andare a spedire un pacco all’ufficio postale. Mi ha anche telefonato per avvisarmi e ricordo che, poco dopo aver concluso la telefonata, ho provato a richiamarlo, perché avevo dimenticato di dirgli una cosa, ma il suo cellulare era già irraggiungibile. E da allora non siamo più riusciti a rintracciarlo in nessun modo.

Come si sono svolte le ricerche in questi anni? Chi vi sta più accanto concretamente e quotidianamente?

Anche se non abbiamo avuto più notizie di Gianni dalle dieci di mattina, abbiamo iniziato a cercarlo intorno all’ora di pranzo. Ero preoccupata perché il telefonino risultava sempre spento e la cosa era insolita. Ci siamo recati subito alla Stazioni più vicine, come Cassino e Pontecorvo, pensando che potesse essersi allontanato in treno, ma nessuno sembrava averlo visto. Gianni, infatti, non aveva la patente in quel periodo, poiché gli era stata ritirata e, anche se aveva deciso di prendere la macchina per trasportare, fino alla posta poco distante, il pacco molto pesante da spedire, sapevamo che non si sarebbe mai allontanato in auto per un viaggio lungo senza patente.
Quando siamo tornati a casa, sempre più allarmati, abbiamo ritrovato una lettera nella quale Gianni aveva scritto che se ne sarebbe andato per sempre. Ci è crollato il mondo addosso, così siamo corsi dai Carabinieri a fare la denuncia di scomparsa. Le ricerche delle forze dell’ordine, però, non sono iniziate subito. La macchina l’abbiamo ritrovata noi familiari, grazie a un amico di Gianni, il 10 maggio, a pochi chilometri da casa, su un viadotto. Ovviamente ci siamo spaventati, perché il primo pensiero è stato che avesse deciso di farla finita e potesse essersi lanciato nelle acque del canale sottostante. Sono intervenuti i sommozzatori e l’unità cinofila per perlustrare anche la montagna circostante, ma non è stato trovato nulla. Dopo circa un mese dalla scomparsa si sono ripetute le medesime ricerche nella zona, ma l’esito è stato negativo, ancora una volta.
Gianni aveva dei problemi, come tutti, ma non aveva motivo di suicidarsi e il fatto di non aver trovato un corpo ha alimentato le nostre speranze di vederlo tornare a casa vivo, ma i mesi sono passati e da allora non è stato fatto più nulla. Nessuno ci ha più aiutato. Le ricerche si sono fermate e, anche se l’inchiesta non è ufficialmente chiusa, gli inquirenti hanno dedotto, grazie anche al contenuto di una seconda lettera che è stata ritrovata in casa, che Gianni si sia allontanato volontariamente.
Esattamente un anno dopo la scomparsa, nel maggio 2014, abbiamo ricevuto una segnalazione: qualcuno ha raccontato di aver visto un ragazzo somigliante a Gianni nei pressi della Stazione Termini di Roma. Abbiamo avvertito immediatamente i Carabinieri, ma alla fine siamo stati noi stessi a recarci sul posto per verificare se le indicazioni che ci avevano dato potevano essere utili, ma, ancora una volta, non è emerso nulla di concreto.

Tu che idea ti sei fatta? Secondo te cosa è accaduto a Gianni?

Secondo me Gianni se n’è andato. Stava passando un periodo estremamente difficile sotto molti punti di vista e forse ha sentito il bisogno di respirare aria nuova. Il suo matrimonio era appena finito e noi familiari eravamo preoccupati che potesse esagerare con l’alcol, quindi cercavamo di proteggerlo e di spronarlo, in buona fede, ovviamente. Forse, però, Gianni si è sentito oppresso e ha deciso di staccare da tutto e tutti. Noi eravamo solo preoccupati per la sua salute, perché sapevamo che poteva rischiare molto. Inoltre Gianni era un ragazzo fragile, che difficilmente si confidava o chiedeva aiuto. Probabilmente ha tenuto dentro di sé il proprio dolore per molto tempo, finché ha deciso di allontanarsi.
Io non voglio neanche pensare che abbia stabilito di togliersi la vita, non ne aveva motivo. Forse qualcuno gli ha fatto del male? Ce lo siamo chiesti spesso, ma era un ragazzo così tranquillo, non aveva nemici, chi poteva avercela con lui? Le indagini sulle sue frequentazioni non hanno portato a nulla. Anche i tabulati telefonici lo hanno testimoniato. L’allontanamento volontario resta l’ipotesi più probabile, credo, ma questo, dopo oltre due anni, non ci fa comunque stare tranquilli. È troppo tempo che Gianni è lontano da casa e non dà sue notizie.

È il ricordo a mantenere vive le persone di cui si sono perse le tracce e a dare alle famiglie la forza di non smettere mai di cercare. Qual è il tuo ricordo più vivo di Gianni?

I ricordi che mi legano a mio fratello sono tantissimi, perché, essendo solo due fratelli, eravamo molto uniti. Mi tornano alla mente tante giornate trascorse in allegria. Il giorno prima della scomparsa, ad esempio, siamo stati tutta la giornata insieme e lui si è messo a fare i compiti con mia figlia, scherzavano e ridevano. Gianni sembrava sereno e questa tranquillità, ora che so cosa stava progettando, mi è rimasta impressa nel cuore.
Quello che mi auguro davvero è che lui sia riuscito a ricostruirsi una vita da qualche parte e sia finalmente felice, come ha sempre meritato di essere, ma è ormai da troppo tempo che non abbiamo sue notizie. I nostri genitori sono distrutti: basterebbe una telefonata a ridare anche a noi quella gioia che da tanto sembra svanita dalle nostre vite.

Gianni era solito prendere il caffè con nostra madre tutte le mattine. Era un loro rito speciale per iniziare la giornata nel modo migliore. La mattina della scomparsa Gianni era stranamente turbato, mamma se n’è accorta. Ma chi poteva immaginare che non sarebbe più tornato? A volte Gianni aveva manifestato la volontà di andarsene e ricominciare da capo una vita nuova. Ma perché sparire in questo modo? Forse qualcuno lo ha aiutato e non ha avuto il coraggio di dirci la verità? Noi siamo la sua famiglia e gli vorremo sempre bene, qualsiasi vita avesse deciso di fare: ci basterebbe sapere che sta bene ed è felice delle sue scelte.