Quattro storie per non
dormire direbbero gli esperti e noi, che di storie ce ne
intendiamo, vi assicuriamo che il quarto libro della premiata ditta Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani merita davvero
di essere letto da tutti gli appassionati del crimine e della cronaca nera che
hanno un particolare attaccamento per la Capitale. “Sangue sul Tevere. Storie
di serial killer, valige e canari”, Sovera Edizioni, racconta, infatti, le
storie di Cesare Serviatti, Vincenzo Teti, Pietro De Negri e dello Squartatore
del ’76, vicende spesso poco note e sulle quali, senza dubbio, non si è detto
proprio tutto, almeno fino alla stesura di questo libro.
Ma
lasciamoci svelare dallo stesso Fabio
Sanvitale, non solo scrittore, ma anche giornalista investigativo di grande
esperienza, tutti i retroscena su questo testo, al quale ha contribuito anche
il Professor Vincenzo Mastronardi, criminologo di grande fama.
Fabio, dopo tre libri
che vertevano sulla trattazione di un unico caso, con Armando Palmegiani avete
deciso di districarvi tra più storie con un unico denominatore comune: il fiume
Tevere. Cosa vi ha spinto a dividervi in
quattro? È forse un modo originale di raccontare la Roma più torbida del
secolo appena trascorso?
Direi
di no. Il punto di partenza è stato scoprire che a Roma, nell’ultimo secolo,
hanno operato più depezzatori, cioè
assassini che, dopo aver ucciso, hanno fatto a pezzi le loro vittime per vari
motivi. Subito ci è balzata agli occhi la storia di Pietro De Negri, la più
recente. E quella di Vincenzino Teti. Poi Armando s’è ricordato di Serviatti,
una storia del tempo dei treni a carbone. E io ho tirato fuori dagli archivi
della memoria quella dello Squartatore del ’76, che viene dalla mia infanzia.
Ci sarebbe da chiedersi che infanzia ho avuto.
Trattandosi di casi di
cronaca l’analisi e lo studio preliminare degli atti sono, senza dubbio,
fondamentali, sia prima, sia durante la stesura del libro. Quanto tempo occupa,
di solito, questa ricerca? E, in particolare, quale caso trattato in “Sangue
sul Tevere” ha richiesto maggiormente le tue energie?
Trovare
gli atti, esaminarli: ci vogliono settimane. Parliamo di migliaia e migliaia di
pagine per ogni caso. Poi bisogna leggere tutto, pagina per pagina. Quindi mesi
di lavoro minuzioso. Ma non basta, bisogna cercare altre fonti: i quotidiani,
le biblioteche, altri libri, se esistono, nastri di vecchie trasmissioni tv,
parlare con i parenti, i testimoni ancora viventi. Per questo è la vicenda del
“canaro” che ci ha portato via più tempo: abbiamo scelto di confrontarci con la
famiglia di Giancarlo Ricci, la vittima. Per raccontarla in modo diverso. E
questo confronto è durato mesi.
Dal giornalismo, al teatro,
passando per numerosi libri, la tua è una vita dedicata alla scrittura, con una
predilezione particolare per la cronaca nera. Da dove nasce questa passione? E
in quali altri progetti ti stai cimentando al momento?
Ho
sempre saputo che da grande avrei scritto. Lo decisi quando andavo alle
superiori, semplicemente perché mi piaceva immensamente vedere la parola
svolgersi sul foglio. La parola è tutto: ferisce e placa. È la base della
comunicazione e della sapienza. Davvero non si può chiedere di più a dei
piccoli segni sulla carta! Io l’ho sperimentata al cinema, a teatro, nel
giornalismo e non ho ancora finito di scoprirla. La nera è arrivata tardi, ma è
stata lo sviluppo inevitabile della mia immensa passione per il mistero, che è
nata già quando andavo alle medie. Io credo che il mistero sia una chiave di
lettura straordinaria della realtà. Attualmente con Armando lavoriamo, come
sempre, ad almeno un paio di progetti contemporaneamente, se non tre: lo
facciamo sempre. E poi sto lavorando anche a due storie di tutt’altro genere,
un giallo e una storia gialla, sì, ma
più brillante, in tono lieve di commedia.
Al giorno d’oggi,
complici anche il grande e il piccolo schermo, i casi di cronaca nera suscitano
molto interesse. Che consiglio daresti a un giovane scrittore, che voglia fare
di questa passione un mestiere, perché sia in grado di fare la differenza, realizzando
un lavoro di qualità?
Ovviamente
di partire dagli atti. Di perdere tempo a ricostruire i passaggi, i
collegamenti, i dettagli. Poi di essere sempre aggiornato sull’evoluzione
scientifica e di non accontentarsi di avere un’infarinatura. Di leggere una
tonnellata di roba sulla nera, per distinguere le fonti buone da quelle
cattive. Di prendersela quando la giustizia non c’è, ma anche di essere
compassionevole verso le vittime e gli errori, perché in fondo siamo esseri
umani e dobbiamo capire che il male è un gesto inevitabile del nostro vivere.
E ora immagina di avere
una bacchetta magica: di quale libro scritto da un illustre collega del passato
ti impossesseresti volentieri per
farlo tuo in qualità di autore? Si tratta, forse, di un romanzo giallo?
No,
se potessi ruberei ad Ann Rule il suo “Un estraneo al mio fianco”. Dico, quando
ti ricapita di conoscere da vicino uno come Ted Bundy tanto da poterci scrivere
sopra un libro così sconvolgente? Se fosse un giallo, uno qualunque di quelli
di Mc Bain: ah, saper scrivere un decimo bene di come faceva lui…!
Già
in occasione dell’uscita del precedente libro, “Omicidio a Piazza Bologna. Una
storia di sicari, mandanti e servizi segreti”, Sovera Edizioni, avevamo avuto
modo di farci i fatti di Armando Palmegiani, grande esperto della scena
del crimine. Di seguito vi riproponiamo la recensione del testo e l’intervista
rilasciataci lo scorso anno e notiamo con piacere che le promesse fatte sono
state tutte mantenute!
“11 settembre 1958.
Quando la signora Maria Teresa Viti, di professione domestica, suona più volte il citofono di via Monaci 21, a Roma, e non
riceve risposta, si preoccupa subito. La padrona di casa, Maria Martirano, 49
anni, moglie dell’imprenditore Giovanni Fenaroli, è una donna puntuale,
precisa, a tratti maniacale. Non è mai successo che non le abbia risposto a
quelle tre scampanellate concordate da sempre. Ma la Viti non sa che Maria
Martirano non potrà più risponderle: la ritroveranno poco dopo strangolata sul
pavimento della sua sempre impeccabile cucina all’americana. Questo è solo
l’inizio di un giallo che ha tenuto col fiato sospeso l’Italia intera per molto
tempo e sul quale ancora non è stato detto tutto. Fortunatamente a far luce
sulla vicenda, giungendo a delle conclusioni che, naturalmente, non vi
sveleremo, ci hanno pensato Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani col loro libro
“Omicidio a Piazza Bologna. Una storia di sicari, mandanti e servizi segreti”,
pubblicato da Sovera Edizioni.
I protagonisti di
questa intricata faccenda, subito in cima alla lista dei sospettati, sono
l’Ingegner Giovanni Fenaroli, piccolo imprenditore in crisi e marito della
vittima, e il giovane elettrotecnico Raoul Ghiani: il primo accusato di essere
il mandante, il secondo l’esecutore materiale del delitto. In accordo con
l’impianto accusatorio Fenaroli avrebbe incassato, in seguito alla morte, anche
violenta, della moglie, una cospicua polizza assicurativa che gli avrebbe
permesso di risollevare le sorti della sua ditta, e Ghiani avrebbe ricevuto una
lauta ricompensa in denaro per i suoi servigi. Dopo un processo ricco di
sorprese, nel giugno del 1961, i due vengono condannati in prima istanza
all’ergastolo, pena esemplare, che viene confermata dalla Cassazione solo due
anni dopo, nel 1963. Fenaroli muore in carcere nel 1975, mentre Ghiani, che si
è sempre dichiarato innocente, ottiene la grazia nel 1983 dal Presidente
Pertini e attualmente vive a Firenze. Le indagini e i processi ebbero un’enorme
risonanza a livello mediatico, spaccando letteralmente l’opinione pubblica,
come accade anche oggi, in innocentisti e colpevolisti, complici i continui
colpi di scena, a partire da alcune perquisizioni dai risultati inaspettati,
passando attraverso testimonianze fin troppo dettagliate per essere verosimili
e coincidenze tanto incredibili da risultare insolite perfino per un romanzo,
fino all’ipotesi di un rocambolesco coinvolgimento dei servizi segreti.
Sanvitale e Palmegiani
ci accompagnano per mano attraverso tutta la vicenda, dal dettagliato
sopralluogo della scena del crimine, fino alle fasi processuali, non
tralasciando nessuna pista investigativa, battuta e non, da inquirenti e
giudici. La narrazione è veloce e coinvolgente e gli autori non sono solo
investigatori onniscienti, sapientemente distaccati, ma veri protagonisti della
ricostruzione dei fatti, grazie a una tecnica tutta basata sulla vivacità dei
dialoghi e sulla continua presenza di colpi di scena e flashback. Scorrevole,
ma circostanziato, estremamente tecnico, ma piacevolmente colloquiale, questo
libro, complice il ricco apparato di foto, piantine, documenti e pagine di
giornale, si legge tutto d’un fiato, anche per la non comune capacità degli
autori di ricostruire, con perizia e sufficiente maestria, l’affresco di un’epoca
difficile e di un’Italia vorace perché ancora affamata, ma, tutto sommato, non
molto diversa da quella di oggi. Di certo lo stile non è squisitamente
narrativo e raffinato come ci hanno abituato altre coppie di scrittori del
genere, che affollano gli scaffali delle librerie, ma la grande professionalità
e il fiuto investigativo degli autori sono indiscutibili, e la competenza
tecnica, che potrebbe risultare monotona è, in fin dei conti, ben stemperata
dal tocco discorsivo e informale.”
Abbiamo
domandato allo stesso Armando Palmegiani di confidarci, in esclusiva, le
impressioni e i commenti sulla composizione di questo libro, che recensiamo in
anteprima, e i progetti futuri di questa coppia di autori di talento.
Armando, raccontaci la genesi di questo libro: come nasce
l’idea di approfondire le vicende legate a questo caso? E, più in generale,
come scegli i casi sui quali concentrare la tua attenzione in vista della
stesura di nuovo libro? Come organizzi il lavoro col tuo collega?
La
scelta, ovviamente, la facciamo in due: con Fabio c’è un affiatamento che ha
quasi dell’incredibile. Generalmente scegliamo storie dove c’è qualcosa da
raccontare, e qualcosa da scoprire, insomma: casi sui quali non è stato detto
ancora tutto. Per prima cosa acquisiamo e studiamo attentamente tutti gli atti
e poi iniziamo a strutturare il libro nella maniera migliore possibile, per
fare in modo di tenere alta l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina.
Ciò che scrive uno è sempre riletto e integrato dall’altro e l’intera stesura
avviene in totale collaborazione, fino alla correzione delle bozze prima della
stampa.
“Omicidio a Piazza
Bologna” è l’ultimo libro di una fortunata serie
scritta in collaborazione col giornalista investigativo Fabio Sanvitale: come
vi siete incontrati e cosa vi ha spinto a unire le vostre forze con così
proficui risultati, soprattutto per la gioia di noi lettori appassionati del
brivido?
Ci
siamo conosciuti proprio per il caso Fenaroli: Fabio stava preparando una
recita teatrale sul caso, un monologo, e aveva saputo da un comune amico della
mia passione per la cronaca nera e in particolare per questo caso così
contorto. Quasi subito è nata un’amicizia molto forte, fino a quando un giorno gli
telefonai e gli proposi di scrivere un libro insieme sul caso Girolimoni, il
primo di cui ci siamo occupati e che ha avuto un discreto successo. Fabio ne fu
entusiasta e iniziammo a investigare
insieme, accorgendoci subito che era nato un sodalizio di rara forza. Tutto
scaturì proprio da quella telefonata e sono sicuro che andrà avanti ancora a
lungo.
Svelaci in anteprima
quali sono i vostri progetti per l’immediato futuro: state già studiando gli
atti per fare luce su nuovi crimini? O magari state pensando di sperimentare
generi differenti, strizzando l’occhio alla narrativa, per esempio?
Forse
deluderò qualcuno, ma non credo che faremo insieme della narrativa, per il
semplice fatto che abbiamo già tanto di quel lavoro in programma, che sarà
difficile pensare a qualcosa di differente per un bel po’ di tempo! Prima di
tutto abbiamo il prossimo libro in cantiere che, posso già anticiparvi, uscirà
a novembre. Leggerete storie romane
davvero incredibili! Poi abbiamo almeno altri quattro casi in fase trattazione,
nel senso che abbiamo già avuto l’accesso agli atti processuali e stiamo
acquisendo il materiale per iniziare a scrivere. Ecco, diciamo che anche noi lavoriamo
in serie alcune volte, pur essendo
bel lontani dall’essere seriali!
Sappiamo che Fabio è
giornalista e scrittore, ma tu, in qualità di esperto delle scene del crimine,
hai una formazione e un percorso professionale decisamente differenti: come
nasce la tua passione per la scrittura? È un talento che coltivi da sempre o lo
hai scoperto solo ultimamente?
Scrivere
è una passione che ho scoperto da poco, ma che ho deciso di coltivare, anche se
non mi reputo un vero scrittore. Mi piace parlare delle mie passioni e
condividerle, così mi limito a tradurle in forma scritta, tutto qui. Il mio
stentato italiano scritto è in realtà un italiano
orale, scrivo come parlo, mi spiace per i lettori più esigenti, ma spero di
comunicare così il mio coinvolgimento e di arrivare a più persone possibile,
anche a chi potrebbe non possedere tutti gli strumenti tecnici per raccapezzarsi
di fronte a casi che a volte sembrano grovigli impossibili da districare.
Ogni scrittore che si
rispetti è senza dubbio un lettore attento: cosa ami leggere nel tempo libero?
Dacci qualche consiglio di lettura.
Ovviamente
mi piace molto leggere e amo spaziare da Jeffery Deaver a James Patterson,
passando per Valerio Evangelisti e Stefano Benni e poi, naturalmente, molti
saggi su casi di cronaca nera e, più in generale, sulla criminologia e sulla
criminalistica.