mercoledì 20 giugno 2018

“La Monaca” di Denis Diderot. Un classico da riscoprire



Chi di noi non è assalito da numerose reminiscenze scolastiche al solo sentire il nome di Denis Diderot? Illuminista, filosofo, letterato, fautore dell’ambizioso progetto dell' Encyclopédie assieme al collega D'alembert e intimo amico di giganti del pensiero moderno quali, Voltaire, Rousseau e Grimm, non tutti sanno, però, che, tra le numerose opere di Diderot, c’è anche un’interessante incursione nel mondo del romanzo con “La monaca”, un grande classico decisamente sottovalutato, edito in Italia da varie case editrici, tra cui Garzanti.
La protagonista delle vicende narrate è Suzanne Simonin, figlia adulterina appartenente a un’importante famiglia aristocratica che, in età da marito, è costretta a chiudersi in convento, abbracciando la vita monastica. All’inizio della sua permanenza a Longchamp Suzanne è quasi sollevata da quella che ritiene un’inaspettata serenità, dopo un’infanzia di angherie e soprusi da parte di una famiglia che la considerava inutile e scomoda, ma si rende ben presto conto che, dietro a rapporti di apparente tranquillità, si nasconde una terribile scia di violenza fisica e psicologica nei confronti delle incolpevoli recluse come lei. Suzanne, allora, decide di tornare in seno alla famiglia, ma l’astio e la freddezza con cui viene accolta la riportano ben presto in convento, dove torna a essere vittima dell’istituzione che la imprigiona e che non le ha perdonato l’iniziale ribellione alle sue regole ferree. Nonostante la presenza di alcune compagne leali e degne di fiducia, il fragile equilibrio di Suzanne si spezza di nuovo, dopo anni di reclusione e la donna decide di fuggire, rifugiandosi a Parigi, dove morirà poco dopo, rifiutata da tutti, sola e consapevole che non potrebbe esserci altra via d’uscita alla sua condizione, se non la morte.
A lungo si è dibattuto se “La monaca” potesse davvero appartenere al genere del romanzo, abbracciandone i canoni così come delineati dai primi autori, e ciò che ci convince di più in tal senso, tralasciando struttura dell’opera e stile dell’autore, è proprio la sottile introspezione dei personaggi, in particolar modo della protagonista. La conclusione alla quale ci porta questo romanzo è che gli individui non sono liberi, ma, di fronte ai condizionamenti naturali e sociali, hanno una sola via da percorrere: la conoscenza della realtà e della propria coscienza, l’unica forza umana in grado di produrre genuini atti di libertà. Del resto questo non è altro che il risultato dello stesso pensiero filosofico di Diderot, improntato, in quegli anni, verso la fondazione di un metodo materialistico dialettico. Anche la struttura e lo stile dell’opera, quindi, riflettono il metodo di analisi del filosofo illuminista, il quale, pagina dopo pagina, esamina, con lucida e spietata delicatezza, i comportamenti dei personaggi, facendone, solo in questo modo, emergere personalità e condizionamenti: dalla freddezza dei genitori di Suzanne, all’omosessualità della Superiora di Arpajon, alle contraddizioni tra i dettami religiosi e i fatti che muovono i protagonisti verso il loro destino, il più delle volte tragico e ineluttabile.


Di sicuro di fronte alla grande produzione di un filosofo come Diderot il rischio di perdere di vista un’opera da molti considerata secondaria come “La monaca” è piuttosto serio, ma ci piace pensare come anche un romanzo, che per definizione ha il solo compito di intrattenere, possa in realtà racchiudere, se attentamente analizzato, il cuore pulsante del pensiero dell’autore. La tragicità della condizione femminile, la forza dell’Illuminismo rivoluzionario, la ribellione verso i condizionamenti sociali come la religione e la famiglia, la volontà di innalzare il proprio libero arbitrio a solo e unico fautore delle nostre decisioni, sono sia i temi fondamentali che si analizzano e snodano nelle vicende del romanzo, sia alcune tra le più importanti questioni sulle quali Diderot ha incentrato tutta la sua ricerca filosofica, divenendo esponente di un movimento le cui conseguenze rivoluzionarie ci influenzano ancora oggi. Queste sono, senza dubbio, le principali motivazioni per cui è necessario riscoprire quest’opera purtroppo sottovalutata, ma non possiamo dimenticare anche l’aspetto più squisitamente ludico e ricreativo che deve accompagnare la lettura di ogni romanzo e, anche in questo, Diderot non delude, delineando personaggi che ci sorprendono e ci fanno riflettere, allo stesso tempo, e scavando, con squisita sensibilità, nell’animo femminile attraverso le considerazioni della protagonista, pur mantenendo sempre fedele a una scrittura lucida e composta. Potrebbe sembrare che in Diderot manchi la forza drammatica e quasi lirica di eroine accomunate dalla stessa condizione monacale di Suzanne, come la Capinera di Verga, o la Signora di Manzoni, ma, considerando i differenti periodi storici e gli approcci quasi agli antipodi degli autori, ci sentiamo, soprattutto nell’ottica dello studio del monachesimo femminile, di consigliare di leggere e studiare parallelamente questi tre autori e i loro personaggi, così da comporre un interessantissimo mosaico di quella che fu una assai comune condizione femminile per molti secoli in tutta Europa.



“Infine giunse il momento terribile. Allorché dovetti entrare nel luogo in cui dovevo pronunciare i voti, le gambe non mi ressero; due delle mie compagne mi presero sotto le braccia. La mia testa era reclinata su una di loro ed esse mi trascinavano a fatica. Non so che cosa accadesse nell’animo dei presenti, ma ciò che vedevano era una giovane vittima morente che si portava all’altare e da ogni petto sfuggivano sospiri e singhiozzi tra i quali sono certa che non si udivano quelli di mio padre e di mia madre.” (La monaca, Denis Diderot, Garzanti,1983).


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