mercoledì 26 aprile 2017

Chef Rubio: non solo Cibo, Tv e Tatuaggi


Proprio in questi giorni sta finendo di girare “È uno sporco lavoro”, un programma che, a partire dal primo maggio su DMAX, lo vedrà cimentarsi in mestieri troppo spesso dimenticati, raccontando le storie di vita di un’Italia inedita. Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, è fatto così: non si tira mai indietro dove c’è da imparare e lo fa sempre col sorriso. Ma sotto a quel mosaico di tatuaggi, muscoli, barba, baffi e capelli, c’è molto di più del fenomeno mediatico del momento, lanciato dal programma “Unti e Bisunti”.
C’è un tipo di poche parole, un po’ ruvido, ma per timidezza, ci piace pensare, che, di sicuro, ha tanto da dire, oltre a ciò che si vede in Tv.
C’è un ragazzo che si mette nei panni degli altri e che sposa cause difficili, come la campagna del “Pasto Sospeso” assieme allo scrittore Erri De Luca, per non dimenticare chi fa fatica a mettere il cibo in tavola.
C’è un comunicatore che, con umiltà, impara e promuove nuove lingue come la LIS, la Lingua dei Segni Italiana, attraverso l’originale web-serie “Segni di Gusto”.
C’è un giovane coraggioso, con la testa da sportivo, non solo per i tanti anni di Rugby, ma anche per la capacità di mettersi in gioco, come ha fatto ideando il progetto “Origami Italiani” assieme al designer Filippo Protasoni, che vuole valorizzare le piccole realtà legate al mondo della pasta fresca.
C’è un tipo determinato, ma che si fa tante domande e che ripete spesso: “quando smetterò di fare televisione e passerò dall’altra parte…”, perché ha imparato che anche dietro la macchina da presa potrà esprimere il proprio talento.
C’è uno che ama scrivere e lo fa con delicatezza, senza presunzione e ha accettato volentieri di concederci un’intervista durante un’interruzione tra una ripresa e l’altra, per raccontarci un po’ di sé, rosicchiando minuti alla sua pausa pranzo. E chissà cosa stava mangiando…  



Non solo uno Chef di talento, ma anche un grande comunicatore a tutto tondo, che assaggia sempre, qua e là, nuove forme di condivisione. Come ti senti nei panni di scrittore? Quali sono i tuoi ingredienti segreti per raccontare le tue ricette?

Non mi piaceva l’idea di lasciare le ricette nude e crude, perché dietro ogni piatto c’è una storia ben precisa, così ho deciso di aggiungere dei prologhi che raccontano il mio punto di vista. Nient’altro che pensieri che sono venuti di conseguenza alle materie trattate di volta in volta, ma non solo, perché mi piace raccontare le mie esperienze a trecentosessanta gradi, come ho provato a fare nei libri nati da “Unti e Bisunti”.
Se mi sento scrittore? Ognuno è quel che è, credo. Se qualcosa ti riesce bene, vuol dire che è parte di te e devi continuare su quella strada. Ora non posso dire di sentirmi uno scrittore nel vero senso del termine, ma, chissà, scrivere mi piace e potrei diventarlo, un giorno, al di là delle mie ricette. E se quel che scriverò piacerà, sarò ben lieto di avere anche l’epiteto di scrittore.



Anche la narrativa sembra stuzzicarti, in particolare quella un po’ piccante. A quando un romanzo firmato Gabriele Rubini? E che romanzo sarebbe?

Mi piace fantasticare, anche se sono uno coi piedi per terra. Scriverò un romanzo quando finirò con la televisione, non prima, perché una storia ben scritta richiede tempo e attenzione. Ancora non saprei dire che tipo di romanzo sarebbe, saprò dirlo solo quando avrò messo insieme i pezzi. Le idee sono tante, lo ammetto.



A proposito di grandi scrittori, hai recentemente lanciato a Roma, nel cuore della Garbatella, la campagna “Pasto Sospeso” assieme a Erri De Luca. Facciamo un bilancio di questa iniziativa che sarà presto esportata anche a Dubai.

È stata un’esperienza breve, ma molto emozionante per me. Non ho avuto modo di parlare molto con Erri perché, sotto sotto, siamo simili: siamo entrambi di poche parole, ma, forse proprio per questo, siamo entrati subito in sintonia.
“Pasto Sospeso” è un’iniziativa davvero importante, nella quale spero, in futuro, di riuscire a coinvolgere altre persone, non solo a Roma e a Dubai, come accadrà il prossimo 12 maggio, ma anche in altri contesti, perché è importante ricordarsi sempre di chi è meno fortunato di noi. La solidarietà nei confronti di chi vive un disagio tale da soffrire la mancanza di cibo non è mai troppa.



La cucina è tradizione, ma è anche un vero e proprio linguaggio tutto da decodificare. Raccontaci la tua esperienza con la LIS, Lingua dei Segni Italiana, presso l’Istituto Statale Sordi di Roma, da cui è scaturita la web-serie “Segni di Gusto”.

Imparare la LIS è stata un’esperienza unica. Al momento sono fermo, purtroppo, perché altri progetti mi hanno assorbito, ma posso già anticipare che in futuro proporremo altre clip di “Segni di Gusto”, perché è un’iniziativa che ha avuto grande successo. Imparare questo linguaggio totalmente nuovo per me non è stato semplice e, come tutte le lingue, sarebbe bene tenersi sempre allenati. La Lingua dei Segni non è ancora riconosciuta come lingua in Italia e con questo progetto anche io, nel mio piccolo, mi sono fatto portavoce di questa battaglia lunga e impegnativa che farò in modo di poter continuare a combattere quanto prima, tornando anche a prendere lezioni per salire di livello.



Anche per chi, come te, è sempre in prima linea e con le mani in pasta, l’occhio vuole la sua parte. In cosa consiste “Origami Italiani”, un progetto da te ideato e recentemente realizzato con il designer Filippo Protasoni e la Società Circus?

“Origami Italiani” è un progetto in cui credo molto e che ho coltivato per anni, quindi avergli dato finalmente vita è stata una grandissima soddisfazione, anche grazie a tutti coloro che mi sono stati accanto, supportandomi. Si tratta di un prototipo per un sistema di packaging rivolto alla vendita e al consumo di pasta fresca. Adesso aspetto solo che un investitore interessato a proseguire questo percorso si faccia avanti per lanciare questa iniziativa all’interno di piccole realtà quotidiane, come ristoranti e pastifici, per valorizzare anche queste piccole imprese, spesso in difficoltà rispetto alla grande distribuzione. L’obiettivo è rileggere il passato in chiave futura e riportare i giovani ad interessarsi di questo mestiere che ha una tradizione antica nel nostro Paese.



Tra Web e Social Network, cos’è la TV per te? Un fine o un mezzo? E cosa provi a stare anche dall’altra parte della macchina da presa, in qualità di regista, come nei POV – Point of View sul tuo sito ufficiale?


La Tv è sempre e solo un mezzo per raccontare storie. Ecco perché dietro la telecamera sono pienamente a mio agio come narratore. Quando smetterò di stare davanti, mi prenderò quello che mi spetta anche dietro la macchina da presa, potete giurarci.

www.chefrubio.it



mercoledì 19 aprile 2017

Alessandra Paoloni: dieci anni di Storie

Clelia è una disoccupata cronica, Clarissa un’impiegata modello e Nicoletta una giornalista determinata e indipendente. Goffa la prima, timida la seconda, testarda e senza peli sulla lingua la terza. Tre donne e tre storie apparentemente agli antipodi, ma in realtà una sola, visto che si tratta di tre tra i più riusciti personaggi nati dalla penna e dall’estro creativo di Alessandra Paoloni in questi suoi primi dieci anni da autrice molto amata da un pubblico di lettori sempre più vasto e variegato, vista la versatilità di questa scrittrice appassionata.
Clelia, Clarissa e Nicoletta, infatti, rappresentano tutte un lato del carattere di Alessandra, sfaccettature brillanti di un’autrice che è riuscita a fare del proprio talento una professione e che non fa mistero di scrivere ciò che vorrebbe leggere, ovvero ciò che ama e ciò che conosce: una confessione sentita e coraggiosa in un mondo dell’editoria dove il successo, spesso, si costruisce a tavolino.
La passione per la scrittura di Alessandra, invece, risale all’infanzia, come capita a molti, e inizia dalla poesia. Passando attraverso generi apparentemente molto diversi, questa esigenza di scrivere è cresciuta con lei, diventando una compagna di vita e di lavoro, soprattutto in seguito al fortunato incontro con Newton Compton che l’ha scoperta e selezionata tra i tanti autori che si autopubblicano sul Web e, in seguito, ha pubblicato alcune tra le sue storie più belle, a cominciare da "Le infinite probabilità dell'amore", fino a "Hai conquistato ogni parte di me", appena uscita.
Dal romance, all’erotico, che l’hanno fatta conoscere e apprezzare dal grande pubblico, Alessandra Paoloni non ha mai lasciato da parte il fantasy, un genere che ama profondamente e che le permette di mostrare aspetti inediti della sua personalità di scrittrice sensibile e piena di fantasia, sempre pronta a creare e scoprire nuovi mondi.

Foto di Pietro Lenci - Tutti i diritti riservati

Dalla poesia, alla narrativa rosa, passando attraverso il fantasy e il racconto: la tua passione per la scrittura affonda le proprie radici nella tua adolescenza. Da cosa nasce la tua esigenza di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

Ciao Alessandra. Per prima cosa ti ringrazio per questa intervista e per la possibilità che mi dai di raccontarmi ai tuoi lettori. Come tu stessa hai detto, la mia passione per la scrittura nasce da ragazzina. Io adoravo leggere, quando ero bambina, e ho sentito l'esigenza di iniziare a raccontare io stessa delle storie che fossero tutta farina del mio sacco. Avevo voglia e desiderio di mettere sulla carta i mondi e i personaggi che creavo nella mia testa, di nascosto quasi. Scrivere, con il tempo, mi ha aiutato ad affermarmi come persona, per prima cosa. Mi ha aiutato a svelarmi, a mettermi in gioco. Sono una persona molto riservata e la scrittura è una delle poche cose che mi ha aiutato a rivelarmi agli altri. Inoltre la scrittura è un'amica che mi consola e mi aiuta nei momenti difficili. È un'amica, però, piuttosto birichina, perché arriva quando vuole e nei momenti più impensabili! A volte credo che le storie siano già tutte lì, davanti ai miei occhi o nella mia testa, in attesa di essere colte. Non ho proprio un metodo, a dir la verità. Capita che passo settimane senza scrivere. Altre volte, invece, per mesi interi non mi stacco dal pc. Non riesco a scrivere la notte a causa della mia miopia. Se lo faccio, il giorno dopo mi sveglio con un grande mal di testa. Cerco quindi di sfruttare le ore del mattino e del pomeriggio, quando posso. Comunque le storie mi aspettano. Sono pazienti quanto me.



Clelia, Clarissa, Nicoletta: donne apparentemente molto diverse tra loro, ma protagoniste ugualmente indimenticabili delle tue storie. Come le definiresti? In generale, come delinei i personaggi dei tuoi romanzi e le vicende che li coinvolgono?

Hai ragione a dire che queste tre donne sono diverse. In sostanza rappresentano alcuni aspetti di me che già posseggo o che vorrei possedere. Sono buffa e maldestra come Clelia, remissiva, a volte, come Clarissa e tenace come Nicoletta, quando si tratta di difendere le cose o le persone che amo. Loro sono me, o almeno una parte. Mi piace fare il gioco dei ruoli, quando creo un personaggio. Cucirgli addosso una maschera e poi strappargliela durante la narrazione. Mi piace anche ribaltare i ruoli che ho assegnato, un po' come se stessi facendo recitare i miei personaggi su un palcoscenico. In genere parto da un'idea generale del personaggio che si costruisce mano a mano, volta per volta, durante la stesura del romanzo. Così come per le storie, penso che anche i personaggi siano lì nella mia testa in attesa di essere "partoriti".  Poi diventano i miei amici di carta e, se sono fortunata, gli amici di carta di qualche lettore.



Che consiglio daresti a un giovane scrittore esordiente? È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura un mestiere a tempo pieno? Come si collabora con un grande editore?

I consigli che do sono sempre gli stessi e sembrano scontati: avere molta pazienza, essere umili, non pretendere di ottenere risultati nell'arco di qualche settimana. Siamo noi a essere al servizio della scrittura, non il contrario. Dico questo perché fare della scrittura un mestiere è davvero molto difficile. La concorrenza è molta, anche se siamo più o meno tutti sulla stessa barca. Bisogna lavorare sodo, scrivere molto e cercare di arrivare al lettore non soltanto per vendere, ma, prima di tutti, per farsi leggere. Saranno poi i lettori onesti e sinceri a cercare uno scrittore. A volte capita poi, come nel mio fortunato caso, che sia un grande editore a cercare uno scrittore sconosciuto. Ma attenzione: io non mi sono adagiata sugli allori, anzi. Il mondo della grande editoria è una giungla fitta dove ci si può perdere. Bisogna sempre tenere a mente i propri obiettivi e non farsi mai false illusioni.



Per saper scrivere bene, occorre, senza dubbio, leggere tanto: che libri ci sono sul tuo comodino? Se avessi una macchina del tempo, quali autori del passato vorresti conoscere?

Attualmente sto leggendo "Non mi uccidere" di Chiara Palazzolo. Avevo bisogno di tornare all'atmosfera dell'urban fantasy. Ma adoro i classici, come i libri delle sorelle Bronte. E se potessi tornare indietro, vorrei proprio conoscere Emily Bronte o Emily Dickinson. Due figure femminili che fin da ragazzina mi hanno sempre affascinato. Oppure vorrei scambiare due parole con Jane Austen e chiederle qualche dritta su come scrivere un buon regency, perché rientra nei miei progetti futuri.


A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.



Devo assolutamente consegnare ai lettori, che lo aspettano con infinita pazienza, il seguito della discendente di Tiepole. Tornare poi all'urban fantasy sta diventando quasi un’esigenza fisica. Nel 2018 saranno dieci anni che pubblico storie. Spero quindi di regalare racconti e nuovi romanzi. Per me è un bel traguardo. Mi sembra ieri, quando ho ricevuto la prima proposta di pubblicazione e invece ne è passata di acqua sotto i ponti! Di esperienze, belle e brutte, ne ho fatte. Ma sento che la mia strada è ancora lunga e io sono entusiasta di continuare a percorrerla. 

www.paolonialessandra.blogspot.it



mercoledì 5 aprile 2017

Matteo Strukul: i Medici come non li avete mai letti


Da Cosimo e Lorenzo, fino a Caterina, i Medici sono una tra le famiglie del Rinascimento Italiano che ha segnato maggiormente la Storia dell’intera Europa del tempo, fra battaglie per la supremazia e faide per il potere, coniugate ad amori e intrighi di palazzo, oltre che a una passione per le arti a tutto tondo. Tra saggi e monografie, tanto è stato scritto su questi personaggi così illustri, ma nessuno è riuscito a farli entrare nell’immaginario comune, annullando quasi tutti i secoli di Storia che ci separano da loro, come Matteo Strukul grazie alla sua trilogia a loro dedicata, edita da Newton Compton, che da mesi è ai primi posti delle classifiche di vendita e nelle vetrine delle nostre librerie.
Questa trilogia si divide in “I Medici. Una dinastia al potere” che ripercorre l’ascesa per il controllo della città di Firenze dei due fratelli Cosimo e Lorenzo, dopo la morte del patriarca Giovanni; “I Medici. Un uomo al potere” che racconta la vita ricca di colpi di scena di Lorenzo il Magnifico, tra donne appassionate e avversari imprevedibili e “I Medici. Una regina al potere” che narra la tenacia e la risolutezza di Caterina e il suo difficile percorso verso il riscatto della maternità grazie al misterioso Nostradamus.
Attraverso un linguaggio narrativo forte e vibrante, Matteo Strukul ci restituisce protagonisti che sembra quasi di toccare e conoscere, tanto balzano fuori dalla pagina, grazie al suo stile scorrevole e incalzante. Il ritmo serrato della narrazione, che alterna continuamente febbrili sequenze dialogiche a descrizioni ricche e curate, rende la lettura dinamica e coinvolgente. Immagini delle battaglie, dei duelli e delle sale di palazzo scorrono davanti agli occhi del lettore assieme a tanti piccoli dettagli che, come pennellate di colore, dipingono una sorprendente Firenze senza tempo, regina delle arti e del commercio.
Una lettura imperdibile per tutti coloro che amano le atmosfere uniche del romanzo storico, senza rinunciare all’adrenalina e alla passione. 

Tra cinema, televisione e letteratura, l’Italia sta riscoprendo l’immenso valore del proprio Rinascimento e della famiglia che più di tutte ha contribuito a renderlo unico: i Medici. Raccontaci la genesi della tua trilogia composta da “I Medici. Una dinastia al potere”, “I Medici. Un uomo al potere” e “I Medici. Una regina al potere”, Newton Compton: cosa ti ha ispirato durante la stesura e cosa vuoi comunicare?

Essendo un grande lettore, oltre che uno scrittore, ho la fortuna di potermi calare in entrambi i ruoli e di scrivere, quindi, le storie che vorrei leggere. Sulla famiglia dei Medici, ad esempio, sono convinto che mancassero delle opere di narrativa, soprattutto per quanto riguarda figure come Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, ma anche su Caterina. Di sicuro c’erano molti saggi e biografie in materia, ma pochi romanzi letti e conosciuti dal grande pubblico, almeno fino a qualche mese fa.
È proprio da questa convinzione che ho iniziato a scrivere questa trilogia, ormai quasi quattro anni fa. Prima dell’uscita del primo libro, infatti, ho dedicato un paio d’anni allo studio dei documenti e delle testimonianze storiche, mentre per la stesura di tutti e tre i romanzi ho impiegato circa un anno e mezzo: un lavoro lungo, ma che adesso mi sta dando grandissime soddisfazioni. Ho raccolto tutto il materiale possibile riempiendo pagine e pagine di appunti sui fatti storici e su tante indicazioni sul contesto, dai tessuti usati, alla moda del tempo, passando per la dieta, le tecniche di combattimento con le armi rinascimentali, la geopolitica del periodo e tutto ciò che poteva aiutarmi a ricostruire quel mondo così lontano da noi.
Mi fa sorridere ripensare a quando, nel 2013, ho iniziato a studiare le storie fiorentine. Ricordo di aver appreso quasi subito che Cosimo aveva trascorso un periodo in esilio a Padova, che è la mia città, e questo mi è sembrato quasi un segno del destino che mi ha dato la spinta per continuare a costruire questo progetto e portarlo a compimento, proponendolo a un grande editore come Newton Compton, col quale desideravo collaborare già da tempo e che leggo con piacere sin dalle serie dei Tascabili Economici 100 pagine, 1000 Lire e dei Mammut. Ammiro, infatti la capacità di divulgazione e diffusione di queste edizioni a un pubblico sempre più vasto e variegato e anche l’attenzione verso gli autori, seguiti e supportati, oltre a una tradizione di saggistica dedicata ai Medici che meritava un filo di continuità con questa mia saga popolare, il cui successo è stato amplificato anche dalla contemporanea uscita della fiction Tv targata Rai, che, però, non è tratta dai miei testi.

Come sei riuscito a coniugare adrenalina e credibilità storica e come hai gestito l’interazione tra personaggi inventati e realmente esistiti? Per far sì che i lettori si appassionino ai tuoi romanzi, come bilanci attualizzazione e ricerca?

Come dicevo, la ricerca storica è indispensabile, sia per la credibilità di fatti e personaggi, sia per il ritmo che si vuole imprimere alla narrazione.  Quando mi sono dedicato a questo progetto mi sono reso conto che dovevo fare una scelta che, leggendo le recensioni dei lettori, anche all’estero, credo sia stata apprezzata dai più. Non potevo raccontare tutto, altrimenti non sarebbero bastati certo tre volumi e milleduecento pagine di storia. Quindi ho deciso di dividere la narrazione per quadri, suddividendola in mesi e anni, saltando da un evento a un altro e raccontando solo i fatti che per me erano più significativi ai fini della valorizzazione dei personaggi. Agli eventi storici ho intrecciato, così, gli archi narrativi che mi hanno permesso di mantenere un ritmo il più serrato possibile. Il taglio che ho dato alla narrazione è appositamente action, poiché volevo una storia che potesse essere apprezzata sia dal lettore appassionato di romanzo storico che vuole fedeltà rispetto ai fatti storicamente accaduti, sia al lettore di oggi che magari predilige l’aspetto narrativo scorrevole e veloce più strettamente legato all’azione, il quale è evidente in alcune sequenze specifiche collegate alle battaglie, come la Congiura dei Pazzi o la notte di San Bartolomeo e si adatta a fruitori di tutte le età. Ho notato con grande piacere che molti ragazzi hanno letto questa saga, accostandosi così alla Storia. Spesso alle presentazioni che ancora sto facendo in giro per l’Italia mi capita di veder partecipare, ad esempio, la ragazzina di 15 anni che viene accompagnata dalla mamma che ne ha 45 che, a sua volta, accompagna la mamma che ne ha 70 e così via, e questo mi dà grande soddisfazione. Il lettore è paracadutato direttamente nel vivo della storia e ne apprezza la ricostruzione dai dettagli e dai dialoghi, senza bisogno di particolari note introduttive. Probabilmente sarà questo stile estremamente attuale che rende questa trilogia così trasversale.

Nella tua carriera di autore ti sei cimentato in vari generi diversi, creando, tra l’altro alcune trilogie, tra cui quella dedicata ai Medici, appena pubblicata. Come ci si barcamena tra thriller, fantasy e storico? E quali sono le regole per strutturare una perfetta trilogia? Svelaci i tuoi segreti…

Questa sui Medici è la seconda trilogia che scrivo e mi ha fatto molto riflettere il modo così diverso in cui sono nate. La prima che ha per protagonista Mila Zago, edita da E/O, vede il mio esordio e nasce da un singolo romanzo che ha avuto un discreto successo, tanto che è stato tradotto anche all’estero e ha dato origine a una serie a fumetti. Grazie al finale aperto del primo libro ho potuto costruire un seguito e, successivamente, un terzo volume, dando vita, così, a una vera e propria trilogia, cosa che, all’inizio, non avrei mai immaginato. Non ci sono trucchi, né segreti. È stato solo grazie al successo del primo romanzo che l’editore mi ha proposto di scrivere gli altri due e io ero entusiasta all’idea.
Per la trilogia dei Medici, invece, la scelta di creare una trilogia è stata, in un certo senso obbligata fin dall’inizio ed è derivata dalla voglia di esplorare il più possibile le generazioni e i personaggi che hanno caratterizzato questa grande famiglia. E questa scelta è stata proposta all’editore giusto, che l’ha sposata e condivisa immediatamente.
Per il tipo di scrittore che mi sento di essere sono convinto che siano i personaggi a fare i libri. Sono i personaggi a guidarmi e suggerirmi quanto spazio dedicare a ciascuno di loro. Io posso costruire trama, intreccio e unire i vari punti di vista, ma, alla fine, sono loro a prendere il sopravvento, perché i personaggi devono essere memorabili e restare nel cuore e nella testa del lettore più della storia stessa. E devo dire che quando hai a che fare con personaggi come Cosimo, Lorenzo, Caterina e poi Brunelleschi, Nostradamus e Leonardo è facile rimanere stregati sin dalle prime parole! Ma anche quando ho ideato io stesso dei personaggi originali, come Mila, ho cercato di caratterizzarli il più possibile attraverso molti dettagli che colpissero l’attenzione del lettore.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Cosa significa collaborare con un grande editore? Dai un consiglio a un esordiente che volesse seguire le tue orme.

Se dovessi dare un suggerimento a un esordiente, gli direi di avere grande determinazione e anche coraggio, perché, secondo me, soprattutto quando si scrive il primo romanzo, è inutile fare troppi calcoli per cercare di intercettare il progetto che possa avere successo a tavolino. Uno scrittore dovrebbe iniziare scrivendo il tipo di storie che conosce meglio in base alle letture che ha fatto per riuscire a esaltare il proprio talento. Personalmente, inoltre, privilegerei le ambientazioni italiane rispetto a quelle estere che possono risultare meno credibili. Un aspirante scrittore deve cercare di rimanere il più possibile integro e fedele a se stesso, alla sua storia e ai suoi personaggi per arrivare a colpire i lettori.
Una volta trovato un editore che creda in lui, lo scrittore può lasciarsi influenzare anche da altre logiche. Io stesso, prima di arrivare a vivere della mia scrittura ho intrapreso un lungo percorso con vari editori che, di volta in volta, hanno creduto nella forza narrativa delle mie idee e dei miei personaggi e mi hanno valorizzato al meglio anche in base ai loro interessi. Quella di pubblicare sempre con lo stesso editore è una prassi molto italiana, spesso imposta per esigenze di mercato e che di fatto a volte penalizza la vena creativa degli autori professionisti che non hanno la possibilità di sperimentare generi diversi, mentre io sono convinto che ogni singolo progetto vada pensato e confezionato per l’editore giusto che non dovrebbe essere sempre lo stesso.
Un autore emergente dovrebbe avere anche l’umiltà di accettare dei no, a patto di renderli uno stimolo per migliorare ciò che ancora non è abbastanza maturo nel suo lavoro, per arrivare ad essere un professionista e pian piano avere un confronto sempre maggiore con gli editori, per capire quali progetti possano funzionare per la crescita di entrambi in termini di riscontro con il pubblico, acquisendo così una sensibilità nuova.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Ho molti progetti per il futuro. Quello più concreto, al momento, che sarà disponibile tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, è un romanzo dedicato alla figura di Giacomo Casanova che uscirà con Mondadori. Sarà un romanzo storico avventuroso che darà anche una rilettura in chiave romantica del personaggio di Casanova, conosciuto per la sua misoginia. Casanova era un uomo vanitoso che, a causa di questo suo difetto, sminuiva altri aspetti inediti della sua personalità che io, col mio romanzo, cerco di far rivivere, esaltandone la generosità dell’indole, il tutto incorniciato dalle meraviglie del Barocco Veneziano.
La trilogia dedicata ai Medici è in corso di uscita in molti Paesi ed è stata selezionata come finalista del Premio Selezione Bancarella di quest’anno, cosa che mi ha dato un’immensa soddisfazione, visto che si tratta di un premio che viene dato agli autori da una giuria di librerie indipendenti che, quindi, sono fuori dalle logiche dei grandi circuiti di catena o dalle recensioni dei critici e riescono meglio a intercettare i gusti più genuini del pubblico dei lettori. Le librerie indipendenti, infatti, sono importantissime sia per i lettori, sia per gli scrittori che devono molto a questi professionisti della pagina stampata per la loro formazione e crescita. 

www.matteostrukul.com