domenica 30 ottobre 2016

Amedeo Di Marco: sono un artista “grigio-verde”!


Ama definirsi proprio così Amedeo Di Marco, classe 1954 e origini lucane: un artista grigio-verde, grigio nei capelli, ma verde nello spirito, perché quella passione per l’arte, nata sui banchi di scuola e rimasta sopita per una vita intera, è sbocciata di nuovo e con rinata intensità, ora che i tempi gli permettono di dedicarvisi anima e corpo, senza distrazioni. Non ha mai preso parte a una mostra, né i suoi paesaggi e i suoi scorci a olio hanno mai varcato la soglia di una galleria d’arte, ma la vitalità che esprimono è tale da catturare il fruitore con la sola potenza dei colori e delle storie che narrano e, grazie al passaparola della Rete, questo artista di grande talento ha ricevuto numerosi apprezzamenti e altrettante soddisfazioni.
Di sicuro non c’è un’età per emergere, né una data di scadenza per esprimere se stessi al meglio e le pennellate decise di Amedeo Di Marco, in continua tensione tra i ricordi dell’infanzia, la luce delle terre natie e le aspettative di un futuro ancor più luminoso, riscaldano l’animo di chi osserva le sue opere con grande energia. Non è la nostalgia ad animare Amedeo Di Marco, ma la speranza e l’entusiasmo per il bagaglio di emozioni che i ricordi di gioventù gli hanno lasciato e che è rimasto impresso sulla tela senza difficoltà. La stessa freschezza che Amedeo Di Marco sta dando alle sue poesie e ai suoi racconti, omaggio alle grandi tradizioni lucane e di prossima pubblicazione.
 
I colori di maggio

Da dove nasce il tuo bisogno di dipingere: è una passione che coltivi da sempre o si tratta di un talento che hai scoperto recentemente? Che artista sei?

Cattedrale di Moliterno
Da piccolo amavo disegnare e colorare come tutti i bambini, ma più di tutti gli altri la mia era una vera passione. Acquerelli e pastelli non mancavano mai nella mia cartella. Allo Scientifico espressi il meglio della mia vena artistica giovanile, ma incontrai lo scoglio di un Professore, bravissimo acquerellista, che bollò i miei lavori come farina di altro sacco, chissà perché, e decisi di cimentarmi in altro. Per venticinque anni, dunque, percorsi strade distanti dal mondo dell’arte finché, a metà degli anni Novanta, eventi casuali mi portarono ad aprire una cartolibreria. Incoraggiata da tele e colori, la passione sopita riesplose più forte di prima. Scoprii la pittura a olio e me ne innamorai dando vita, così, a tutti i miei attuali dipinti.  
Che artista sono? Amo stimolare il bambino che alloggia in me e, credo, in ognuno di noi, per cui oso definirmi artista grigio-verde, grigio nei capelli, ma verde nello spirito!

Cosa vuoi comunicare e cosa ti ispira maggiormente davanti a una tela bianca? Quali sono i soggetti che preferisci e le tecniche che prediligi?

Dodici anni
Sarà perché il desiderio di esprimermi in giovane età non ebbe guida, né sfogo; sarà perché sono molto legato a Marsicovetere, il paese nativo che lasciai a sedici anni; o forse sarà perché, contento e sazio del poco che c’era, ho il ricordo di una bellissima infanzia: per tutti questi motivi nel bianco di una tela ritrovo semplicemente la mia gioventù. Una gioventù fatta di amicizia, di aria aperta, di giochi e musica, di sano respiro della natura, di quella gioia di vivere e di attaccamento alle radici che porto sempre con me e che sono felice di condividere attraverso i miei dipinti. I soggetti preferiti nelle mie prime opere furono, ovviamente, gli angoli ed i vicoli di Marsicovetere. Seguirono paesi e paesaggi lucani, in rappresentanza dell’amore illimitato per la mia terra, i fiori e le stagioni, espressione costante di una forte attrazione per la natura, quella stessa natura che negli ultimi lavori ingloba e raffigura anche gli stati d’animo dell’uomo.
La tecnica pittorica che prediligo, soprattutto per la sua caratteristica brillantezza, è la pittura a olio su tela. Ha lo svantaggio di una lunga essiccazione, ma mi consente di ritoccare nel tempo il dipinto fino al pieno raggiungimento di quanto ho in animo di esprimere e comunicare.

Cosa significa essere un artista nella società di oggi? Che ruolo ha, o potrebbe avere, l’arte in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo?

La casa di Melinda
L’arte, in ogni sua espressione, subisce l’influenza di quello che accade nella società.  Compito dell’artista nella società di oggi è quello di riuscire a gestire contemporaneamente lo stato creativo e quello commerciale.  Mentre lo stato creativo riesce ad adattarsi a ogni nuova situazione, quello commerciale, in periodi di crisi, subisce pesanti contraccolpi. Il danno economico colpisce soprattutto gli artisti che già tanto hanno investito e che vedono aprirsi una voragine tra loro percorso e il successo.  Gli artisti di oggi, inoltre, dovranno essere capaci di organizzarsi tecnologicamente, perché hanno a loro disposizione potenti e innovativi mezzi di comunicazione e ignorarli significherebbe morire ancor prima di nascere.
Dal punto di vista umano, nei momenti difficili della vita, l’arte è il rifugio che ci accoglie, la mano tesa in cui adagiamo i nostri sentimenti, soffiandoli verso l’eternità. È un potente antidoto alla solitudine, alla sofferenza morale, alla depressione.





A quali movimenti artistici del passato ti rifai? Quali sono i tuoi Maestri di riferimento?

Montagne nere
Se mi si concedesse un viaggio nel passato, il periodo artistico che visiterei sarebbe quello a cavallo tra Ottocento e Novecento: dall’Impressionismo all’Espressionismo. È in questi movimenti che mi perderei e ripercorrerei il cammino di Van Gogh e di Cézanne, che sono i Maestri che più mi affascinano.
Ogni vero pittore ha un suo stile personale, col quale marchia i propri lavori firmandone l’originalità.
Che nei miei dipinti la critica riesca a cogliere la mia mano e con essa la mia anima è la cosa che più conta e che più gratifica, a prescindere dall’opera in se stessa e da ogni collegamento col passato.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

L'agitazione
Il dipinto che sto per completare ha per titolo “L’agitazione” ed è la rappresentazione pittorica dello stato d’animo di tanti disperati in questo difficile periodo di crisi. Insieme alla pittura, sto scrivendo dei  racconti sui miei ricordi d’infanzia, con l’aggiunta di poesie,  anche dialettali, che raccoglierò in un libro dal titolo “Il paese felice”, a voler rappresentare, appunto, la bella gioventù che mai muore. La gioventù, infatti, come ogni bel ricordo, non va mai letta con nostalgia, ma vissuta con rinnovata gioia e con trasporto, proprio la stessa gioia di vivere che tutt'oggi guida i miei pennelli. Parola di artista grigio-verde!

domenica 23 ottobre 2016

Patrisha Mar: il mio Mondo di Scrittrice, tra Eccezioni e Incontri

Foto di Alessandra Carretta

Come vi sentireste se il vostro nuovo fidanzato fosse il modello più famoso al mondo? Siete sicure che tutto sarebbe proprio come in una favola, tra lusso e romanticismo? O forse sareste sempre in allarme, accecate dalla gelosia per le ammiratrici e dalla paura di non sentirvi all’altezza?
Sara ci è appena passata e, da quando sta con Daniel, uno tra i modelli più ricercati, sa bene cosa si prova a doversi confrontare con differenze che sembrano incolmabili e che hanno sconvolto la sua vita, prima decisamente monotona. Dopo le prime disavventure, infatti, tutto sembra procedere a gonfie vele, tanto da spingere Sara e Daniel a pensare di fare il grande passo insieme, ma, ancora una volta, il destino si mette di traverso. Prima la proposta di entrare a far parte del cast di un nuovo film hollywoodiano, poi il ritorno decisamente inaspettato di una persona che sembrava ormai solo un ricordo, scuotono la vita di Daniel, rimettendo tutto in discussione. Riuscirà Sara a mantenere il giusto equilibrio per entrambi o davvero l’amore non può vincere su tutto? In un crescendo di esilarante comicità e grandi sentimenti, Patrisha Mar torna a stupirci con “Ti ho incontrato quasi per caso”, Newton Compton, il nuovo romanzo che continua a raccontarci le peripezie sentimentali di Sara e Daniel, la ragazza acqua e sapone e il modello più reclamato del momento, già protagonisti del bestseller “La mia eccezione sei tu”. In attesa del terzo volume di quella che si avvia a essere una delle trilogie più amate degli ultimi anni per tutti gli appassionati di commedia romantica made in Italy, Patrisha Mar indaga a fondo sul significato dei sentimenti che possono legare due persone talmente diverse tra loro, da non poter fare a meno l’una dell’altra. Lo stile scorrevole e frizzante, che si modula a seconda del punto di vista dal quale vengono narrati i fatti, e un’impeccabile struttura sorretta da spassosi personaggi secondari, rendono questa lettura davvero imperdibile per tutti gli inguaribili sognatori, convinti che improbabile non significa impossibile

Dopo il grande successo di “La mia eccezione sei tu”, Newton Compton Editore, Daniel e Sara tornano a fare i conti con le stesse diversità che li hanno fatti innamorare, in un seguito che non deluderà le aspettative dei lettori, tra equivoci, risate e romanticismo: “Ti ho incontrato quasi per caso”. Raccontaci la genesi di questi romanzi: cosa ti ha ispirato durante la stesura? Cosa vuoi comunicare?

Prima di tutto grazie ad Alessandra per avermi ospitata nel suo blog e per l'opportunità che mi ha dato di parlare un po' del mio mondo. Quando ho pensato per la prima volta al plot di “La mia eccezione sei tu”, venivo da un periodo pieno di impegni, avevo una gran voglia di scrivere commedia, di divertirmi e distrarre la mente. Ed ecco che, complice un servizio fotografico particolarmente hot di David Gandy che mi ha mostrato un'amica, ho avuto l'idea di base per il romanzo. Se fossi la ragazza di un modello famoso, che non disdegna servizi fotografici senza veli, come reagirei, come mi sentirei, come vivrei il nostro rapporto? Da lì è nata l'idea che la protagonista fosse una ragazza come tante, come noi, con una vita normale. Volevo enfatizzare questo aspetto importante delle differenze, in particolare di come si possano vivere le differenze, appunto, appartenendo a due "mondi" tanto diversi. Inoltre volevo che un altro fulcro centrale fosse la gelosia di lei, il suo modo di imparare a controllarla e a controllarsi, a mettere da parte le sue paure e i suoi dubbi per trovare un nuovo equilibrio. Per questo, per creare una maggiore empatia con la protagonista da parte del lettore, ho proposto solo il suo punto di vista, negando ai pensieri di Daniel, il protagonista maschile, di venire a galla. È stata una scelta sofferta per me, non far "parlare" Daniel è stato molto difficile perché la sua mente è più complessa di quanto possa sembrare. Non è l'uomo perfetto che Sara crede e noi con lei, vivendo nella sua testa tramite le pagine del libro.
Per questo la necessità di scrivere “Ti ho incontrato quasi per caso” è stata forte. Volevo che Daniel acquisisse agli occhi dei lettori quella tridimensionalità che in parte gli avevo negato nel primo romanzo, pur cercando sempre di arricchirlo e "spiegarlo" con i dialoghi e le situazioni vissute con Sara.
Poiché io credo nel lieto fine, nella vittoria del vero amore, e i miei romanzi ne sono la prova, volevo dimostrare che dopo un happy ending come quello di “La mia eccezione sei tu”, ci potesse essere altro, che i problemi non svaniscono all'improvviso per magia, ma che la felicità va conquistata giorno per giorno, a costo di sacrificare qualcosa di sé per andare incontro all'altro e questo proprio come nella realtà. Ho cercato di rendere reale una storia improbabile ma possibile, contestualizzandola anche grazie alla presenza di famiglie e amici che sono il sostegno dei protagonisti.
Si può dire che sia il primo sia il secondo romanzo siano commedie brillanti, ma dietro c'è qualcosa di più, anche se ho cercato di rendere i messaggi nascosti qua e là "leggeri".
Nelle mie intenzioni, fin dal tempo del self publishing, c’era di scrivere una trilogia delle eccezioni, con “La mia eccezione sei tu” appunto, “Ti ho incontrato quasi per caso” e l'ultimo che, invece, è dedicato a Virginia e Alessandro, rispettivamente la sorella di Sara e il miglior amico di Daniel.



Che autrice sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non vuoi rinunciare? Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

La mia esigenza di scrivere è lì, sempre presente. Nasce dalla mia fantasia, dalla mia voglia di immaginare vite e persone, situazioni lontane o magari più vicine, di immedesimarmi in altri caratteri e cercare di capirli. È una sorta di viaggio nella vita, e non riesco a farne a meno. Mettere tutto su "carta" lo rende più reale, lo rende possibile.
Se potessi scrivere nel momento stesso in cui l'ispirazione è all'apice, sarebbe perfetto, un vero sogno. In realtà devo piegarmi alle necessità della vita famigliare, quindi scrivo quando la mia bimba è alla scuola materna e quando fa il riposino pomeridiano. Non sempre, quindi, l'ispirazione è al top, se proprio vedo che non è giornata, mi vado a leggere un buon libro. Scrivo di getto direttamente al computer, ma quando ho delle idee e non posso scrivere al pc, segno tutto nella mia agenda, per riutilizzarle in un secondo momento. Lavoro molto sui personaggi, che diventano un vero punto di partenza, e su cui poi modello la traccia di trama che ho in mente, cambiandola in corsa, quando necessario, per adattarla all'esigenza dei personaggi stessi.

Come definiresti Daniel e Sara, i protagonisti della tua storia, così apparentemente diversi eppure tanto legati da un destino che li vuole uniti? Come delinei, in generale, i personaggi dei tuoi romanzi?

Che bella domanda! Daniel è un uomo passionale e appassionato, in tutto quello che fa. Un uomo che ha bisogno di dimostrare quanto vale, che ha sofferto in passato, ma ha saputo farne un punto di forza per costruirsi un futuro migliore. Un uomo che vuole credere nell'amore e che, alla fine, viene premiato. Sara è la ragazza della porta accanto, è noi. Piccoli sogni nel cassetto, grandi aspettative per l'amore, una donna che ha bisogno di controllare tutto per non permettere alle sue insicurezze di farla da padrona.
Per quanto riguarda i personaggi in generale, in realtà, non so neppure dire come funziona: si affacciano nella mia mente così, all'improvviso, mi suggeriscono il carattere, il background, i desideri e le paure. E io li assecondo, lasciando l'istinto libero di seguirli, aggiustando la storia che avevo in mente per permettere ai personaggi di essere se stessi e coerenti fino in fondo. Mi accorgo così, che involontariamente, i miei personaggi sono molto diversi l'uno dall'altro, proprio come le persone sono diverse nella vita reale. È un processo creativo davvero stimolante.

Per saper scrivere bene occorre, certamente, leggere tanto: che generi e quali autori prediligi? Che libri ci sono sul tuo comodino?

La lettura è la vera palestra di un autore, dove si esercita la mente e si affina la lingua, dove la fantasia è libera di volare.
Ho sempre letto fin da ragazzina, cominciando dai classici come Piccole Donne e Anna dai capelli rossi, che resteranno sempre cari al mio cuore. Crescendo sono diventata una grande fan dell'Ottocento inglese e dei suoi incredibili autori, di cui ho letto tutto il possibile: Jane Austen, Charlotte Brontë, Charles Dickens, Anne Brontë, Elisabeth Gaskell, Oscar Wilde per citarne solo alcuni. Sono state le mie letture di formazione.
A questi autori se ne sono aggiunti di contemporanei che adoro, tra cui, per fare degli esempi, Mary Balogh e Lisa Kleypas, un must per me nel romance storico, per il fantasy Cassandra Clare e Maggie Stiefvater, per le commedie brillanti Susan Elisabeth Philips per citarne una, ma ce ne sono tante altre, moltissime italiane.
Sul mio comodino si troverà sempre un romance storico, un classico inglese, un fantasy e contemporary romance, che sono anche i miei generi preferiti.



A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


In futuro uscirà una nuova commedia brillante con Newton Compton, per cui ho già firmato. Ho finito di scrivere il romanzo in cui i protagonisti sono Virginia e Alessandro, già incontrati nei primi due libri, e sono, quindi, in attesa di novità. Al momento sto scrivendo un nuovo romance, più intimistico e sentimentale, che spero verrà come voglio io. La storia mi ha totalmente avvinta! 


domenica 16 ottobre 2016

Emma Pomilio: in viaggio con una Narratrice della Storia di Roma


La prima cosa che si impara a scuola, quando ci si approccia allo studio della Storia, è la differenza tra la Storia dell’Uomo, quella con la esse maiuscola, per intenderci, tra epoche e dati inconfutabili, e la storia del singolo individuo, quella che si distacca dal procedimento scientifico di conoscenza indiscutibile e si perde nella testimonianza diretta e nel racconto. Per quanto profondamente diverse, queste discipline si uniscono, in campo letterario, in quello che si definisce romanzo storico, lo sposalizio per eccellenza tra la realtà di un’epoca storica, che l’autore cerca di far rivivere più realisticamente possibile, e la storia di personaggi inventati, che per un lettore vorace diventano vivi e vividi tanto quanto quelli storici realmente esistiti. Ogni scrittore che si sia cimentato nella stesura di un romanzo storico ha la propria tecnica e il proprio stile: c’è chi si inserisce tra fenditure inesplorate, che, per lo storico, rimangono lacune irrisolte, intrecciandovi vicende e personaggi che abbiano buona credibilità, e chi, invece, intesse trame inventate in modo parallelo a quanto di storico è avvenuto realmente, lasciando che i personaggi di fantasia interagiscano anche con quelli storici.
Lasciando da parte gli autori che utilizzano la Storia solo come un pretesto, uno sfondo per dedicarsi ad altri generi, tra le scrittrici italiane che si occupano di romanzo storico, dedicandosi, in particolare, alle intricate vicende della Roma Antica, Emma Pomilio spicca per l’accuratezza dei suoi romanzi, così vibranti e intensi, ma allo stesso tempo scorrevoli e puliti, da farci avere l’impressione di stare viaggiando su una macchina del tempo. La passione di Emma Pomilio per la scrittura e, in particolare, per la Storia di Roma è di matrice antica, nasce da letture specifiche e da una propensione alla narrazione di storie oltre la Storia che si perde nella sua infanzia, come solo i talenti più radicati, e conferma quell’intima certezza di ogni lettore entusiasta che la Storia non sia solo una materia da sussidiario, ma qualcosa di vivo che, tra battaglie e dinastie, intreccia la vita di tutti noi, influenzandoci più di quel che crediamo. Nei romanzi di Emma Pomilio, tutti editi da Mondadori, la vera protagonista è Roma, col suo brulicare incessante di personaggi indimenticabili, questioni sociali ancora attuali e vicende le cui conseguenze storiche hanno costruito la cultura e le tradizioni dell’intera Europa di oggi. Romanzi destinati a travolgere e coinvolgere lettori di tutte le età, portandoli a viaggiare nel tempo e nello spazio.

Avventura, intrighi e misteri in una Roma che si perde nei secoli passati: sono questi gli irresistibili ingredienti che caratterizzano i tuoi romanzi. Ti definisci una narratrice: quando ti sei resa conto che questa passione sarebbe potuta diventare una professione. Come e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

Vengo da una famiglia di scrittori, ma non ho cominciato a scrivere presto, perché volevo cambiare, affrontare cose nuove. Questa svolta si è rivelata una forzatura, così sono tornata alle origini e ho cominciato a fare quello che so fare meglio, inventare storie e raccontarle. Dunque ho cominciato a scrivere per una scelta ragionata, ma non perché io mi aspetti grandi cose da questa professione, solo perché mi piace. L’esigenza di scrivere deriva da una mia forte predisposizione, come l’amore per la lettura, che mi ha accompagnato tutta la vita, infatti credo che la lettura sia stata la mia vera educazione, più di quella scolastica.

Come si struttura il romanzo storico perfetto? Quanto contano una ricerca approfondita, un’efficace scansione dei capitoli e dei personaggi credibili per il periodo storico trattato? Svelaci i tuoi segreti…

Il romanzo storico perfetto non esiste, ogni romanzo risente dell’epoca in cui è scritto, l’autore non riesce mai ad annullarsi abbastanza e riporta nel romanzo le idee sue e del tempo in cui vive, quindi, anche se ha studiato a fondo la società e l’epoca che descrive, commette comunque degli errori. Certo ci sono romanzi storici fatti più o meno bene, ma lo scrittore non deve credere che basti studiare case, vestiti, armi... la cosa più importante è la mentalità. Le manchevolezze nella preparazione si evidenziano soprattutto nei dialoghi, parte molto difficile. Spesso i dialoghi dei romanzi storici sono del tutto anacronistici e rivelano spietatamente l’epoca in cui vive lo scrittore.
Solo quando si saranno comprese a fondo la mentalità e le usanze del periodo che si vuole narrare, allora si potranno creare dei personaggi credibili e delle storie credibili. È per questo che io sono molto scettica verso gli scrittori di romanzi storici che cambiano spesso epoca, perché già è molto difficile immedesimarsi in una sola.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura un mestiere a tempo pieno? Cosa significa collaborare con un grande editore? Dai un suggerimento a un giovane che volesse seguire le tue orme.

Fare della scrittura un mestiere a tempo pieno è il sogno degli scrittori, ma si avvera per pochi, sono pochi gli scrittori che vivono di scrittura e pochissimi nella nostra piccola Italia, (piccola come mercato) in cui si vendono pochi libri: è un sogno che si può avverare nei paesi anglofoni, dove c’è la possibilità di vendere molte copie proprio perché c’è un più vasto mercato. Inoltre per gli scrittori italiani è anche molto difficile farsi tradurre all’estero. Credo sia per questo che solitamente gli scrittori italiani hanno un doppio lavoro.
Il grande editore ha una grossa distribuzione e questa è una cosa molto importante, ma ha di solito anche ottimi redattori, che sanno contribuire ai giusti miglioramenti del libro. Lavorare con un grande editore è una cosa buona proprio per questo, perché si ha a che fare di solito con persone preparate. In particolare io scrivo romanzi ambientati nell’Antica Roma e la persona preparatissima che fa l’editing dei miei libri è una grande conoscitrice del mondo classico. Non è facile ottenere queste cose e io mi sento fortunata ad aver pubblicato con Mondadori.
A un giovane che vuole fare il romanziere suggerisco di leggere tanto per formarsi, ma di non imitare mai nessuno, di avere il coraggio di seguire il suo istinto, di dare spazio alle sue intuizioni e scrivere di quello che conosce meglio, solo col suo entusiasmo potrà entusiasmare qualcuno. Direi: “Giovane scrittore, cerca il tuo stile, solo se sarai autentico riuscirai”. Da epigoni può sembrare più facile all’inizio, ma poi... è il nulla.

Roma è indiscussa protagonista di tutti i tuoi romanzi: cosa ti lega a questa città dalla storia intricata e complessa? Quali opere e quali autori ti hanno ispirato maggiormente nel tuo percorso di autrice?

Di Roma mi affascina proprio la lunga storia intricata e complessa: su Roma non si finisce mai di imparare, perché è stata grande e ha cambiato le sorti di tanti popoli. La sua storia è la storia dei suoi rapporti con i popoli diversi e agguerriti con cui si è scontrata e dai quali ha sempre preso il meglio, non solo bottino e tasse, ma anche cultura. L’apertura mentale dei Romani antichi è ineguagliabile. Scrivendo su Roma ho potuto ampliare le mie conoscenze dei Celti, dei Germani, degli Etruschi. Su Roma si scoprono di continuo cose nuove. Roma non è qualcosa di morto in libri polverosi o in epigrafi spezzate, come pensa tanta gente, Roma è dentro di noi perché parte fondante della nostra cultura. Oggi l’archeologia, che si serve di sistemi sofisticati, ci offre nuove interpretazioni della storia di Roma. Stanno diventando credibili cose ritenute mitiche. Questo ha aperto nuove prospettive anche per il romanziere, che può considerare alcune pagine di storia da un diverso punto di vista.
Cara Alessandra, mi chiedi se ci sono autori che mi hanno ispirato per scrivere i miei romanzi. Ho sempre letto tanto, ma, finita l’adolescenza, nulla ha più avuto su di me un’influenza significativa. Già allora avevo maturato il mio gusto. Avevo letto Salgari, Twain, Alcott, Verne, Hugo, Dumas, Manzoni, Melville, e già c’era tutto quello che avrei scritto: azione, avventura e mistero, con in più la mia particolare predisposizione a sondare i problemi sociali. Uno strano mix in cui oggi mi riconosco e che si è creato con le letture fatte da giovanissima. Almeno credo, o forse avevo fatto queste letture perché ero predisposta?

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Sto lavorando a un romanzo sulla Roma dei Tarquini e su un personaggio particolarmente enigmatico, Mastarna – Servio Tullio. Parliamo della Roma arcaica. Non abbiamo molti documenti, non abbiamo certezze e le società arcaiche sono difficili da capire e da narrare, proprio come è difficile da comprendere per noi il pensiero arcaico, in cui il soprannaturale, il sacro, è tanto mescolato all’umano, che non c’è una netta divisione tra i due ambiti. Si tratta di una sfida e io mi metto in gioco.
Grazie Alessandra dello spazio che mi hai offerto e un caro saluto ai tuoi lettori.






www.emmapomilio.it





domenica 9 ottobre 2016

Flaminia Savelli: Crimini e Misteri, tra Giornalismo e Letteratura

Nessuna come lei ha raccontato crimini, delitti e misteri della Capitale, approfondendo con chiarezza e rigore, nel suo ultimo libro, le storie di giovani assassini che si sono macchiati di tragici fatti di sangue lungo tutta la Penisola: si tratta di Flaminia Savelli, giornalista e scrittrice di grande professionalità ed esperienza.
Flaminia Savelli si occupa di cronaca nera da molti anni e, dopo aver pubblicato con Newton Compton diversi volumi di approfondimento circa i più noti casi di cronaca che hanno tinto di sangue le strade di Roma, ha pubblicato il saggio “Giovani, carini ma assassini”, edito nuovamente da Newton Compton, nel quale racconta, con lo stile pulito e pungente che la contraddistingue anche come giornalista, le storie di giovani assassini al di sotto dei trent’anni che, coi loro crimini, hanno sconvolto l’opinione pubblica italiana, spaccandola spesso a metà circa i trattamenti da adottare.
Tra le tante storie raccontate, Flaminia Savelli si è occupata, ad esempio, delle Bestie di Satana, dell’omicidio di Elisa Claps e del duplice omicidio di Novi Ligure, ripercorrendo fedelmente le varie piste investigative seguite dagli inquirenti e le vicende giudiziarie che hanno garantito la scoperta della verità processuale in merito a tanto sangue versato. Una penna dallo stile diretto e scorrevole, in grado di far riflettere e ragionare anche là dove la ragione sembra vacillare, offuscata dal buio della violenza.


Si dice che la passione per la cronaca nera scorra nelle vene di chi se ne occupa, proprio come il sangue che caratterizza i fatti che vengono narrati. Quando e come nasce il tuo interesse per questo settore? Cosa vuoi comunicare?

Ho iniziato a scrivere di cronaca nera per La Repubblica. Ho seguito casi che poi sono diventate storie per i miei libri. Un'occasione per approfondire e per conoscere da vicino le vittime e il contesto criminale in cui molti delitti romani e nazionali si sono consumati. L'intenzione è quella di raccontare più che comunicare...


Tra crimini, delitti e misteri, grande protagonista dei tuoi saggi è Roma, la tua città d’origine. Cosa ti lega alla Capitale e come mai hai deciso di approfondirne i segreti nella tua carriera di autrice?

Una città come Roma offre molti spunti di riflessione. Quello che emerge è che, in realtà, contrariamente a quanto si pensa, i delitti non si consumano solo in periferia. L'omicidio di Simonetta Cesaroni, in un elegante palazzo del centro, ne è un esempio non isolato. Ma se i primi tre libri parlano solo della Capitale, nell'ultimo, "Giovani, carini ma assassini", Newton Compton, il contesto si allarga a tutto il Paese, approfondendo molti più casi.



Ti senti più una giornalista o una scrittrice? Come coniughi queste due professioni solo apparentemente diverse? Qual è, o quale potrebbe essere, il ruolo dell’informazione e dell’approfondimento nella risoluzione dei casi di cui ti occupi?

I miei libri rispecchiano lo stile della cronaca asciutta, dunque resto una giornalista anche quando mi approccio alla stesura di un testo più corposo. Quando mi occupo di un caso per La Repubblica capisco quasi subito se può diventare materiale anche per una storia dei miei libri, ormai ho sviluppato un certo sesto senso al riguardo.
Nella cronaca degli ultimi anni spesso abbiamo assistito a dei colpi di scena grazie a documenti inediti che colleghi giornalisti o scrittori hanno fornito agli inquirenti, quindi anche l’informazione ha un ruolo importante. In realtà, personalmente, mi occupo principalmente di casi risolti, dove gli investigatori sono già risaliti all’assassino e al movente. Quelli irrisolti appartengono a un passato lontano.



Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che, tra le tante che hai studiato e approfondito è rimasta maggiormente impressa nella tua memoria di professionista e nel tuo cuore di donna.

Nell'ultimo libro ho raccontato le storie di giovanissimi criminali che hanno sconvolto il Paese con efferati delitti. Di certo, tutte le storie di questi adolescenti che improvvisamente sono diventati assassini mi hanno molto colpita, come professionista e come donna.


A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Sto lavorando molto, come sempre, ma, al momento, non svelerò ancora nulla…


domenica 2 ottobre 2016

Tre buone ragioni per… andare all’Opera


Non manca molto all’apertura delle nuove stagioni teatrali che ci accompagneranno nel corso dei prossimi mesi invernali. Tra commedie, musical e concerti, l’Opera occupa ancora un posto importante tra le proposte dei teatri storici del nostro Paese, ma quanto è valorizzata di fronte al grande pubblico? Si dice che, di fronte all’Opera, non si possa restare indifferenti, le emozioni che si provano sono sempre piuttosto estreme: dall’apprezzamento incondizionato, alla diffidenza totale. Una cosa è certa, come spesso accade, una tradizione squisitamente italiana le cui origini affondano nella nostra cultura più che in qualsiasi altra, finisce per essere valorizzata molto più all’estero, che nel nostro Paese, dove è poco conosciuta, soprattutto dai più giovani, e poco studiata. Ma da cosa dipende realmente quest’apparente mancanza di interesse? Ecco le nostre tre buone ragioni per andare all’Opera, concedendoci la possibilità di conoscere un mondo dal valore unico, che dovrebbe tornare a occupare il posto d’onore che gli spetta tra gli svaghi che arricchiscono il nostro tempo libero.

1.   L’Opera è cultura da condividere. Scegliamo attentamente i compagni di avventura coi quali affacciarci a questo mondo nuovo: l’Opera, infatti, è cultura a tutto tondo che va condivisa con entusiasmo, documentandosi a dovere per scegliere quella più adatta da ricordare con la giusta emozione come il primo approccio a quella che potrebbe diventare una piacevole abitudine, anche grazie al legame che ha creato con chi era seduto al nostro fianco.

2.      L’Opera è musica, racconto e attualità. L’Opera è uno spettacolo unico, un classico eterno che unisce, alla potenza della musica, delle storie emblematiche che svolgono una funzione catartica nell’intimo dello spettatore, mantenendo inalterata una sorprendente attualità, per quanto apparentemente lontane nel tempo. È sempre bene, quindi, prepararsi prima di assistere allo spettacolo, leggendo il libretto e ascoltando le arie più note, in modo tale da lasciarci coinvolgere completamente dall’atmosfera unica che ci sarà in sala, senza il timore di non capire cosa stia accadendo sul palco.

3.      L’Opera è tendenza e attesa. Una volta scelti i posti e prenotati i biglietti, lasciamoci travolgere dal brivido dell’attesa, godendoci il sottile piacere che accompagna la partecipazione a un vero evento. Diamoci, quindi, allo shopping sfrenato per scegliere il vestito giusto, oltre a trucco e parrucco, non perché ci sia un’etichetta da rispettare, ma per la soddisfazione di conservare un ricordo prezioso anche del bell’abito che indossavamo o delle scarpe che desideravamo da tempo e abbiamo acquistato per l’occasione, portando un pizzico della magia del palco anche tra le poltrone della platea.