mercoledì 24 gennaio 2018

Massimo Cuomo: ogni storia è come la prima…


Da queste parti uno straniero lo riconosci al volo. Massimo Cuomo presenta così il suo Salvatore Maria Tempesta, il protagonista di “Piccola Osteria senza parole”, il romanzo pubblicato da E/O nel 2014 che, dopo il successo del suo debutto con “Malcom”, lo ha consacrato tra le penne più apprezzate del nostro scenario letterario attuale. Anche Massimo Cuomo, infatti, proprio come il misterioso Tempesta, è un puro: uno scrittore inconfondibile e riconoscibile come uno straniero in un luogo lontano, tra realtà e fantasia, dove non va mai nessuno e non succede mai nulla. Il lettore pensa di aver imparato a conoscerlo, di aver inquadrato il suo stile, la profondità dei suoi personaggi, la struttura originale delle sue storie. Ma, a ogni suo nuovo romanzo, Massimo Cuomo riesce a stupire come alla prima lettura per la libertà con cui si muove tra le storie, donando al lettore il piacere di nuove scoperte, senza negargli il gusto di ritrovare la forza di uno stile che cresce, pur restando sempre fedele se stesso.
In “Bellissimo”, l’ultimo romanzo anch’esso edito da E/O, Massimo Cuomo racconta la storia di due fratelli, il bellissimo Miguel e lo sfortunato Santiago, opposti quanto due facce della stessa medaglia che hanno in comune molto più di quel che vorrebbero ammettere. La vicenda si snoda, con delicato e onirico surrealismo, tra l’apparentemente incolpevole fascino di Miguel e la frustrazione crescente del primogenito Santiago, andando a toccare in profondità la complessità senza tempo dei rapporti famigliari fatti di aspettative e pregiudizi culturali troppo spesso incompatibili con le leggi del sangue, giocando, talvolta, coi linguaggi della fiaba e del mito.
Ogni caleidoscopico personaggio che colora le pagine di Massimo Cuomo ha la capacità di scavare una nicchia nell’intimo di un lettore sensibile e la più grande capacità di questo autore è la sottile ed emozionante attesa che sa creare tra un libro e l’altro. Una sensazione unica, appena sotto l’epidermide, che non è legata alla serialità di un protagonista, come capita con tanti scrittori di grande talento, ma alla curiosità e al desiderio di lasciarsi sorprendere da una nuova imprevedibile storia.



Evocativo, poetico, delicato, ma allo stesso tempo tagliente, ruvido, realistico: il tuo stile, unico nel panorama letterario attuale del nostro Paese, ti rende uno degli autori più interessanti degli ultimi anni, in grado di scrivere storie solo apparentemente diversissime tra loro. Facciamo un passo indietro: come, quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: hai un metodo collaudato o ti lasci guidare dall’ispirazione?

Grazie per questa premessa, per questi complimenti. Mi gratificano perché confermano gli obiettivi che mi sono dato strada facendo, primo fra tutti scrivere a modo mio ciò che sento di voler scrivere nel momento. Un modo che è lo stesso di quando ero ragazzo, perfezionato dall’esperienza. È sempre stata la cosa che ho saputo fare un po’ meglio delle altre, scrivere: mi ha portato prima al Liceo Classico, alla facoltà di Scienze della Comunicazione poi, alle prime esperienze da giornalista. In quel periodo intervistavo la gente, stendevo pezzi di cronaca e mi sembrava il mestiere che avrei fatto da grande. Invece, dopo un po’, ho capito che non mi sarebbe bastato, che nella scrittura inseguivo piuttosto la possibilità di stupire, di inventare, di emozionare gli altri. A un certo punto ho deciso di provarci e ogni volta, prima di ogni nuovo romanzo, è un po’ come la prima volta: mi ascolto per intuire se c’è una storia che più di altre si fa sentire e poi soltanto la assecondo. In genere si tratta di qualcosa che mi ha colpito e chiede di essere analizzato o più spesso di qualche ferita da rimarginare. C’è molta ispirazione, sì. Però modulata dall’analisi razionale di tutto ciò che è successo prima, dalle lezioni, dalle sensazioni che ogni singola pubblicazione mi ha lasciato e che in qualche modo condizionano sempre le storie successive e come decido di raccontarle.

Dal mondo interiore di un ragazzo come tanti, al nord-est chiuso e impenetrabile, fino agli sconfinati cieli del Messico: le ambientazioni e le vicende delle tue storie sembrano celare significati metaforici, allegorici perfino. Come le scegli e le rendi così vivide? In che modo ti rappresentano?

Sono una persona molto riflessiva. Mi faccio domande su tutto quello che mi capita, ogni giorno, e sul senso profondo della vita e delle relazioni. È uno “stato di coscienza” costante, che ho acquisito nel tempo, e che non mi permette di vivere quasi nulla in modo superficiale o del tutto spensierato. In un certo senso è uno stato di infelicità latente perché l’unico modo per sentirsi del tutto felici credo appartenga all’incoscienza: i bambini riescono a esserlo per davvero. Eppure non rinuncerei a questa condizione, senza la quale peraltro non sarei mai arrivato alla scrittura: nei romanzi trasporto le mie riflessioni, la visione della realtà che ho costruito un pensiero dietro l’altro molto prima di mettermi a raccontarla. Poi ci aggiungo il mio stile personale, che non è uno stile perfetto, anzi, riesco a intuire con una certa chiarezza i limiti della mia scrittura, quasi dei difetti ripetuti, che però reputo necessari: io scrivo così ed è così che riesco a esprimermi; cerco solo di migliorarmi, leggendo gli altri e dedicando un tempo crescente alla stesura del testo. Possedere uno stile in fondo è questo: risultare in qualche modo riconoscibile. E per farlo cerco di restare me stesso sempre, anche sulla carta.


L’insicuro Zan, l’imprevedibile Tempesta e i due opposti Miguel e Santiago: tutti protagonisti molti diversi tra loro, ma ugualmente memorabili. Come li definiresti e quanto c’è di autobiografico in loro? Come delinei, in generale, i personaggi dei tuoi romanzi?

Sono un po’ in ognuno di loro. Semplicemente ho evidenziato per ciascun protagonista delle caratteristiche che mi sono appartenute in fasi diverse della vita oppure che attengono a lati differenti del mio carattere. L’abilità è quella di non risultare troppo riconoscibile, di sparire fra le righe come dovrebbe fare un buon narratore: la scelta di rinunciare alla prima persona, nei due romanzi successivi al primo, dipende anche da questo.
Li concepisco, i miei personaggi, come accade con la trama: comincio a intravederli un poco alla volta, me li porto a spasso, nella testa, anche per parecchio tempo prima di mettermi a delinearli per iscritto. E, quando quel momento arriva, descriverli è facile, perché è come raccontare di qualcuno che conosci bene. Il loro nome e cognome in genere nasce lì: glielo assegno di getto, pensandoci un istante appena, e il più delle volte è un battesimo definitivo. Per il resto li racconto per come “sento” che vadano raccontati, per come li ho capiti. E così gli faccio fare cose che semplicemente ritengo giusto che facciano.

È ancora possibile, secondo te, al giorno d’oggi, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Che suggerimenti daresti a un giovane aspirante che volesse seguire le tue orme? Facciamo un bilancio della tua carriera fino ad oggi: cosa significa collaborare con un editore di qualità e come ci sei arrivato?

Scrivere con l’obiettivo di farne una professione è pericoloso: si corre il rischio di perdere di vista il senso profondo della letteratura, che dovrebbe creare un prodotto artistico prima che commerciale. Il mio suggerimento è di sforzarsi soltanto di scrivere delle belle storie, che siano il più possibile personali e originali. Per riuscirci occorre acquisire più consapevolezza possibile rispetto al panorama letterario (eventualmente mirato al proprio genere) in cui ci si vorrebbe inserire, acquisire una “visione d’insieme” studiando i meccanismi che governano questo mondo, imparare a scegliere i libri giusti da leggere e leggerli con spirito critico. E poi spedire e sperare, perché non è vero che gli editori non leggono quello che ricevono. Io ho spedito ed E/O mi ha scelto, le cose sono andate così. E considero un vantaggio il fatto di aver cominciato e proseguito questa esperienza con un editore indipendente di qualità perché mi ha permesso di viverla esattamente come volevo, in libertà e con puro spirito artistico. Il fatto che non sia una professione a tempo pieno, forse, ha reso i miei libri più belli.


A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Dopo aver portato in giro “Bellissimo” per parecchi mesi è arrivato il momento di dedicarsi a una storia nuova che sta prendendo forma nei miei pensieri. Vedo lo scenario e il senso di quello che vorrei raccontare ma è prematuro dare qualsiasi anticipazione.

Nel prossimo futuro ho un paio di progetti che sto perfezionando: un reading musicale per “Piccola Osteria senza Parole” che vedrà la luce in primavera. E poi l’organizzazione di una rassegna letteraria interna a un’importante azienda italiana. Il responsabile del personale ha letto tutti i miei romanzi, è venuto a una presentazione e alla fine mi ha avvicinato: «Te la sentiresti di raccontare le tue storie, magari anche le storie di altri scrittori, ai dipendenti di un’azienda per invogliarli a leggere di più?». E io potevo dirgli di no?

www.massimocuomo.com


mercoledì 17 gennaio 2018

Sandro Settimj: l’amore? Non è una fiaba…


Una cosa è certa. Anzi, due. La prima è che a Ugo piacciono molto le donne. Non solo per le bimbe, infatti, il principe azzurro delle fiabe sarà il paradigma col quale ogni uomo in carne e ossa sarà destinato a perdere il confronto. Anche per Ugo, sempre convinto di avere a che fare con un esercito di principesse che hanno perso la scarpetta, lo scontro con la realtà è sempre una doccia fredda. Prima si innamora di una donna, poi la corteggia, ce la mette proprio tutta, ma, quando arriva il fatidico momento della prova della scarpina di cristallo, quella che ha di fronte non è mai la sua Cenerentola e ne rimane puntualmente deluso.
La seconda è che, chiunque abbia letto “Per quanto mi riguarda sono sempre innamorato”, il romanzo d’esordio di Sandro Settimj edito da Mondadori, di cui Ugo è l’indimenticabile protagonista, ne è rimasto talmente colpito, da attendere con ansia di conoscere quale sarà il futuro di questo eroe dei nostri tempi, così romantico e confuso che, altro che Christian Grey, come direbbero i duemila.
Lasciando da parte l’ironia, in un panorama letterario internazionale decisamente saturo di maschioni dai portafogli gonfi, Ugo è davvero come un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, che il buon Manzoni non ce ne voglia. Ed è così di coccio, come si direbbe a Roma, da essere semplicemente irresistibile. Ugo è un ragazzo come tanti: sognatore, fragile, sensibile, di quelli che hanno imparato a difendersi con una battuta sarcastica sperando di farsi notare come brillanti seduttori, ma che, in fondo, sono solo eccezionalmente ingenui. Quando decide di partire come animatore di villaggi turistici, Ugo ha già collezionato un paio di quelle delusioni d’amore che marchiano più di un tatuaggio. Ma non sa che quello è solo l’inizio di una serie di disavventure amorose degne di un romanzo di formazione alla rovescia. Tra donne fatali e timide ragazzine alle prime esperienze, nessuna sembra corrispondere all’irraggiungibile ideale femminile di Ugo, finché una ragazza imprevedibile gli ruba il cuore.
Ironico e graffiante, Sandro Settimj ci avvolge col suo stile scorrevole e diretto, fatto di dialoghi scoppiettanti e veloci cambi di scena che nulla tolgono alla profondità di alcune riflessioni fatte per bocca del protagonista, senza mai farci perdere il sorriso. Una storia tenera e divertente, autentica e irriverente, così attuale e moderna, da essere senza tempo, proprio come l’amore.


 “Per quanto mi riguarda sono sempre innamorato”: non è solo il titolo del tuo romanzo d’esordio, edito da Mondadori, ma anche la filosofia di vita del protagonista della storia, un aspirante seduttore decisamente imbranato che meno capisce le donne e più ne è affascinato, nonostante collezioni una disavventura amorosa dopo l’altra. Raccontaci la genesi di questa storia: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Il romanzo è basato su un nucleo di racconti scritti nell'arco di venti anni e lasciati lì da parte finché non ho pensato di unirli e riadattarli nell'ambito di una storia unica che descrivesse - in chiave semi seria - l'apprendistato sentimentale e sessuale di un giovane. Il risultato può definirsi, a suo modo, un romanzo di formazione.

Come definiresti Ugo, l’indimenticabile protagonista della tua storia? Quanto c’è di autobiografico in lui? E, in generale, come delinei i personaggi dei tuoi romanzi e le vicende che li coinvolgono?

Ugo è un ragazzo normale - l'antitesi del maschio duro e puro - che ha avuto la sfortuna di nascere con un'indole romantica nell'epoca sbagliata. Lui ama le fiabe, crede nell'amor cortese e deve quindi fare i conti con la dura realtà: l'universo femminile che incontra sul proprio cammino si rivela assai distante dal modello sognato.
Gli spunti iniziali dei racconti e alcuni personaggi sono indubbiamente frutto della mia esperienza, ma le storie hanno un loro corso totalmente autonomo, tanto che oggi non saprei più dire cosa è "vero" e cosa frutto di fantasia, perché scrivere storie significa viverle e la mente è un organo suggestionabile che finisce col non distinguere più la realtà dalla immaginazione.
La scelta della narrazione in prima persona implica che i personaggi e le vicende siano visti e descritti con gli occhi del protagonista, uno che fatica a prendersi sul serio e più in generale a prendere sul serio la vita e i suoi abitanti.

Non solo letteratura, ma anche televisione: che differenza c’è tra scrivere un romanzo e una sceneggiatura? Che autore sei: segui l’ispirazione o hai un metodo collaudato? Quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Facciamo un bilancio della tua esperienza fino a oggi, tra passione e professione.

Romanzo e sceneggiatura sono due scritture totalmente diverse, a partire dal fatto che il primo è un prodotto finito, mentre la seconda è solo un anello intermedio suscettibile di mille interpretazioni diverse da parte del regista, degli attori ecc. Ciò che li accomuna, nel mio caso, è l'uso della scaletta, ossia la suddivisione in scene che mi aiuta a programmare il percorso della narrazione. Il mio modo di scrivere parte inizialmente quasi sempre da un dialogo o da un'immagine e spesso mi ritrovo a buttare giù scene senza un ordine cronologico che poi provo a incasellare qua e là nell'ambito di una scaletta. Il lavoro successivo è quello di cucire i pezzi fra loro scrivendo le scene mancanti. È un po' come il gioco della Settimana Enigmistica in cui bisogna unire i puntini per vedere cosa apparirà.
La mia esigenza di scrivere si è manifestata all'improvviso alla fine dell'università. La parte autobiografica del primo racconto è proprio quella. Mi trovavo in cantina a preparare la tesi, ma in realtà fissavo il telefono con il cuore in gola: "lei" non chiamava. Così ho iniziato a scrivere (non la tesi) e la cosa mi ha fatto sentire bene. Oggi scrivere è una delle poche cose che mi fa alzare felice al mattino.
Per quanto riguarda il bilancio tra passione e professione, questo pende ahimè tutto dalla parte meno piacevole. Se non sei Ken Follet, il romanzo è un lusso che devi riuscire a mantenere scrivendo innanzitutto per vivere.

Per saper scrivere bene, occorre, certamente, leggere tanto. Quali sono i tuoi autori di riferimento? Immagina di avere una macchina del tempo: chi dei grandi maestri del passato ti piacerebbe conoscere e intervistare? E quali domande gli faresti?

Leggere fa indubbiamente bene, non solo per scrivere. In quanto agli autori di riferimento, bisogna capire cosa si intende. Io venero scrittori lontanissimi dal mio stile (e dalle mie capacità) come Marquez o Joseph Roth, ma quello che sento più vicino, ossia che considero come un modello di equilibrio fra umorismo e pathos, è senza dubbio Pennac.
Non so se vorrei incontrare i grandi scrittori del passato, perché spesso i geni si rivelano persone assai deludenti sul piano umano. Preferisco leggerli. L'unica domanda che mi viene in mente nasconde in realtà una profonda invidia ed è rivolta in generale ai grandi sfornatori di best seller americani: "Come diamine fate a maneggiare e intrecciare le storie di un centinaio di personaggi a romanzo senza perdervi?" La verità è che non voglio conoscere Follet, ma il suo pusher!

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.

Al momento ho appena terminato il secondo romanzo di Ugo, impelagato in una difficile prova di convivenza. Il futuro spero che mi vedrà ancora impegnato a scrivere. Sarebbe un buon segno...

mercoledì 10 gennaio 2018

Tania Paxia: le “strane” logiche della scrittura

Le storie sono al centro di tutto. E quando le storie sono romantiche, divertenti e imprevedibili come quelle che scrive Tania Paxia, anche le “strane” logiche della scrittura hanno un senso, prendendo in prestito uno dei titoli dei suoi romanzi più apprezzati dai lettori, “Le strane logiche dell’amore”, Newton Compton.
Saper mettere al centro dei propri obiettivi di scrittrice semplicemente quello di essere letta, a prescindere dal supporto, è la filosofia di quest’autrice dallo stile ironico e graffiante. Dopo essersi cimentata a lungo nel fantasy, Tania Paxia si è messa alla prova, quasi per gioco, anche con il romance, il genere che l’ha portata dal selfpublishing a confrontarsi con “nuove” logiche, quelle del grande mercato editoriale, senza mai perdere il suo spassoso disincanto e la capacità di far sorridere attraverso gli intrecci che vivono i suoi personaggi.
Per quanto, all’apparenza, fantasy e romance siano due generi diametralmente opposti, l’impronta di Tania è ben chiara in ogni sua storia nella quale spiccano sempre la forte personalità dei protagonisti e quell’aura magica di un destino inaspettato, in cui tutto ciò che accade sembra casuale, ma, in fondo, ci piace pensare che sia semplicemente ad attenderci. Come quando Cameo, la protagonista di “Le strane logiche dell’amore”, si ritrova dalle mani quel libro misterioso dal quale avranno inizio tutte le sue avventure. O quando May, la protagonista di “Ti amo già da un po’” e “Ti amo ma non lo sai”, decide di tornare nella sua cittadina d’origine e inizia a fare i conti con un amore non ancora dimenticato che ha ignorato per troppo tempo, nonostante abbia segnato la sua adolescenza. Sono solo attimi di vita quotidiana, apparentemente come tanti altri e simili a quelli vissuti da ciascuno di noi, ma che, nelle storie di Tania cambiano la vita di due eroine degne di popolare l’inarrestabile fantasia di noi lettori, già in attesa della prossima avventura…


 Romantici equivoci, sogni da realizzare e un imprevedibile destino sempre pronto a metterci lo zampino: questi sono solo alcuni degli ingredienti dei tuoi romanzi, storie di vita quotidiana, ma con protagonisti eccezionalmente vividi. Da cosa nasce la tua esigenza di scrivere? Che scrittrice sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

La scrittura per me è sempre stata una necessità senza la quale non avrei mai avuto l’opportunità di sfogare tutte le mie ansie quotidiane; questa esigenza nasce quindi dal bisogno di trovare un metodo antistress per evadere – anche se per mezz’ora o, nei casi più fortunati, poche ore – dalla realtà.
Dunque… per quanto riguarda l’ispirazione, dipende. Sono sempre stata abituata a scrivere ovunque e a qualunque ora del giorno – porto sempre con me il mio fedelissimo portatile – per cui a volte scrivo tutto quello che mi passa per la testa, di getto, e poi lo correggo con calma nel tempo libero o, se proprio non sono convinta, durante la prima rilettura del capitolo. Quando mi capita di scrivere nel weekend o di notte me la prendo comoda e mi posso “permettere” un attimo di riflessione in più. E allora sì che incominciano i dubbi e i dilemmi della serie: “L’avrò scritta giusta questa frase?” oppure “Si capisce cosa intendo oppure ho ancora scritto in taniesco e riesco a decifrarlo solo io?”. Mi capita di trovare nel testo riflessioni della “me passata” che consiglia la “me presente” per eventuali modifiche. Sono un po’ confusionaria, lo so, ma alla fine tutto prende forma e trova il posto giusto.



May e Cameo: ragazze apparentemente molto diverse tra loro, ma protagoniste ugualmente indimenticabili delle tue storie. Come le definiresti? In generale, come delinei i personaggi dei tuoi romanzi e le vicende che li coinvolgono?

Sì, May e Cameo sono due ragazze diverse, ma hanno in comune qualche lato del carattere, come per esempio l’inclinazione a volerci vedere chiaro in determinate situazioni, la caparbietà e anche l’istinto (o il fiuto investigativo, in entrambi i casi). Un’altra cosa che le accumuna è l’ironia, ma questo perché io sono ironica per natura, quindi riverso qualche pizzico di me in ogni personaggio, anche secondario! In ogni libro ho lasciato un pezzettino del mio carattere o qualcosa che mi è davvero capitato nella vita. Per lo più prendo spunto dai sogni, ma anche da piccoli avvenimenti che mi sono davvero successi, come per esempio aver ricevuto un certo libro in anteprima. Cameo Pink è nata nel preciso istante in cui mi sono ritrovata tra le mani quel romanzo in particolare…



Per saper scrivere bene, occorre, certamente, leggere tanto. Quali sono le tue autrici e i tuoi autori di riferimento? Come mai hai deciso di dedicarti a un genere così amato come il rosa e cosa caratterizza il suo stile in questo senso?

Sembra strano, ma non ho mai amato particolarmente il genere rosa come lettrice; questo perché, fino a qualche anno fa, non mi ero mai avvicinata sul serio al romance, nel senso che le uniche autrici di cui io abbia mai letto qualcosa – moderno e non di base classica – per quanto riguarda il genere rosa sono state Sophie Kinsella e Lauren Weisberger col mitico “Il diavolo veste Prada”. Tutto il resto per me era un mistero. A scuola sono stata indirizzata verso un certo tipo di lettura definita dai più “letteratura impegnata” (dai classici, alla narrativa moderna). Forse è per questo che a un certo punto ho sentito la necessità di evadere e dedicarmi ad altro, come per esempio al fantasy. Anche quella è letteratura impegnata, per chi non lo sapesse. Solo perché in alcuni testi vengono citate creature immaginarie o fatti non appartenenti a questo mondo non vuol dire che abbiano minore importanza dal punto di vista psico-filosofico. Molti fantasy hanno una base filosofica e svariati richiami alla psiche, alle religioni o alla mitologia. Forse a confondere è la parola usata per definire un genere così vasto che va dai mondi alternativi, passa attraverso la magia e rivive anche nei “sogni”. I miei primi lavori sono stati dei romanzi in cui la magia è l’elemento centrale, ma mi sono ispirata anche ai miti e alle leggende. E dato che ho tanta fantasia le mie amiche hanno visto bene di lanciarmi una sorta di sfida: “Basta con questi fantasy, scrivi un rosa se ne sei capace!”. Sono una persona cocciuta – una testona! – e pur di non perdere la scommessa ho scritto la mia prima commedia a tinte rosa (Sono io Taylor Jordan!). E mi sono divertita un sacco! Ma proprio tantissimo! Così ho continuato per quella strada, perché sorridere mentre scrivi è una delle cose più belle del mondo.



Dal successo sul Web, a una collaborazione collaudata con un grande editore: facciamo un bilancio del tuo percorso d’autrice tra difficoltà e obiettivi raggiunti. Che consigli daresti a un giovane aspirante esordiente?

Il vero obiettivo è far leggere quello che scrivo. Il canale attraverso il quale avviene per me è indifferente, purché sia lecito e non a pagamento. Si è scrittori a prescindere dal marchio o non marchio in copertina. Le storie sono al centro di tutto. Nel mercato editoriale non funziona così, lo so bene, ma il mio pensiero è e resta questo. Ho sempre scritto per passione e per far divertire gli altri con le storie che mi saltano in testa. Non ho mai pensato (e non lo penso tuttora) di essere all’altezza della situazione. Cioè, è sempre stato un sogno irraggiungibile quello di avere un mio romanzo esposto nelle librerie. È il sogno di qualsiasi racconta-storie; passare dal digitale e dalla stampa ondemand agli scaffali è stato un salto nel buio ma non è sicuramente la fine di tutto il percorso. Da quanto ne so, certe occasioni capitano poche volte nella vita e bisogna imparare a riconoscere le buone possibilità dalle false speranze, perché il “fitto bosco”, Cappuccetto Rosso ci insegna, “è sempre pieno di insidie”. Per adesso sono stata fortunata, sarà che ho fiuto come May e Cameo! Ma anche qui ci vado con i piedi di piombo.
Per quanto riguarda i consigli, non so se sono in grado di elargire suggerimenti, ma alcune cose le ho imparate con l’esperienza (vedi “a forza di capocciate”): rimanere con in piedi per terra sempre e comunque perché non si è mai “arrivati”. E non fermarsi mai ai “no” o “Il tuo lavoro non è nelle nostre corde”. Le corde di cosa, non l’ho mai capito (che abbia contattato delle filarmoniche e non degli editori?), ma l’importante è non arrendersi mai e poi mai nell’inseguire i propri sogni. Basta avere tanta, tantissima, pazienza. “Che poi”, mi sono sentita dire, “se lo hai scritto non vuol dire che qualcuno debba pubblicarlo”. Faccio da sola, non ti preoccupare! Grazie al selfpublishing sono riuscita a raggiungere tante persone che mi hanno scaldato il cuore e che altrimenti non avrei mai avuto il piacere di conoscere attraverso i loro messaggi, le piccole recensioni e anche attraverso le critiche, che non fanno mai male.


A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Adesso sto ultimando l’ultimo libro di una serie che è stata già acquisita in parte dalla Newton Compton. Sto scrivendo anche il seguito di uno dei miei romanzi self, ma preferisco mantenere ancora un alone di mistero, perché non sono sicura se il tutto andrà a buon fine o meno! Ho anche dei fantasy in sospeso, ma purtroppo non riesco a trovare il tempo per ultimarli ed editarli come vorrei. Colpa anche della vista che in questo periodo non mi aiuta a stare davanti a uno schermo. La me talpina soffre. Ma continuo anche con gli occhi incrociati!