Chi di noi non è assalito da numerose reminiscenze
scolastiche al solo sentire il nome di Denis Diderot? Illuminista, filosofo,
letterato, fautore dell’ambizioso progetto dell' Encyclopédie assieme al
collega D'alembert e intimo amico di giganti del pensiero moderno quali,
Voltaire, Rousseau e Grimm, non tutti sanno, però, che, tra le numerose opere
di Diderot, c’è anche un’interessante incursione nel mondo del romanzo con “La monaca”, un grande classico
decisamente sottovalutato, edito in Italia da varie case editrici, tra cui Garzanti.
La protagonista delle vicende narrate è Suzanne
Simonin, figlia adulterina appartenente a un’importante famiglia aristocratica
che, in età da marito, è costretta a chiudersi in convento, abbracciando la
vita monastica. All’inizio della sua permanenza a Longchamp Suzanne è quasi sollevata
da quella che ritiene un’inaspettata serenità, dopo un’infanzia di angherie e
soprusi da parte di una famiglia che la considerava inutile e scomoda, ma si
rende ben presto conto che, dietro a rapporti di apparente tranquillità, si
nasconde una terribile scia di violenza fisica e psicologica nei confronti
delle incolpevoli recluse come lei. Suzanne, allora, decide di tornare in seno
alla famiglia, ma l’astio e la freddezza con cui viene accolta la riportano ben
presto in convento, dove torna a essere vittima dell’istituzione che la
imprigiona e che non le ha perdonato l’iniziale ribellione alle sue regole
ferree. Nonostante la presenza di alcune compagne leali e degne di fiducia, il
fragile equilibrio di Suzanne si spezza di nuovo, dopo anni di reclusione e la
donna decide di fuggire, rifugiandosi a Parigi, dove morirà poco dopo,
rifiutata da tutti, sola e consapevole che non potrebbe esserci altra via
d’uscita alla sua condizione, se non la morte.
A lungo si è dibattuto se “La monaca” potesse
davvero appartenere al genere del romanzo, abbracciandone i canoni così come
delineati dai primi autori, e ciò che ci convince di più in tal senso, tralasciando
struttura dell’opera e stile dell’autore, è proprio la sottile introspezione
dei personaggi, in particolar modo della protagonista. La conclusione alla
quale ci porta questo romanzo è che gli individui non sono liberi, ma, di
fronte ai condizionamenti naturali e sociali, hanno una sola via da percorrere:
la conoscenza della realtà e della propria coscienza, l’unica forza umana in
grado di produrre genuini atti di libertà. Del resto questo non è altro che il
risultato dello stesso pensiero filosofico di Diderot, improntato, in quegli anni,
verso la fondazione di un metodo materialistico dialettico. Anche la struttura
e lo stile dell’opera, quindi, riflettono il metodo di analisi del filosofo
illuminista, il quale, pagina dopo pagina, esamina, con lucida e spietata delicatezza,
i comportamenti dei personaggi, facendone, solo in questo modo, emergere
personalità e condizionamenti: dalla freddezza dei genitori di Suzanne, all’omosessualità
della Superiora di Arpajon, alle contraddizioni tra i dettami religiosi e i
fatti che muovono i protagonisti verso il loro destino, il più delle volte
tragico e ineluttabile.
Di sicuro di fronte alla grande produzione di un
filosofo come Diderot il rischio di perdere di vista un’opera da molti
considerata secondaria come “La monaca” è piuttosto serio, ma ci piace pensare
come anche un romanzo, che per definizione ha il solo compito di intrattenere, possa
in realtà racchiudere, se attentamente analizzato, il cuore pulsante del
pensiero dell’autore. La tragicità della condizione femminile, la forza dell’Illuminismo
rivoluzionario, la ribellione verso i condizionamenti sociali come la religione
e la famiglia, la volontà di innalzare il proprio libero arbitrio a solo e
unico fautore delle nostre decisioni, sono sia i temi fondamentali che si analizzano
e snodano nelle vicende del romanzo, sia alcune tra le più importanti questioni
sulle quali Diderot ha incentrato tutta la sua ricerca filosofica, divenendo esponente
di un movimento le cui conseguenze rivoluzionarie ci influenzano ancora oggi.
Queste sono, senza dubbio, le principali motivazioni per cui è necessario
riscoprire quest’opera purtroppo sottovalutata, ma non possiamo dimenticare
anche l’aspetto più squisitamente ludico e ricreativo che deve accompagnare la
lettura di ogni romanzo e, anche in questo, Diderot non delude, delineando personaggi
che ci sorprendono e ci fanno riflettere, allo stesso tempo, e scavando, con
squisita sensibilità, nell’animo femminile attraverso le considerazioni della
protagonista, pur mantenendo sempre fedele a una scrittura lucida e composta.
Potrebbe sembrare che in Diderot manchi la forza drammatica e quasi lirica di
eroine accomunate dalla stessa condizione monacale di Suzanne, come la Capinera
di Verga, o la Signora di Manzoni, ma, considerando i differenti periodi
storici e gli approcci quasi agli antipodi degli autori, ci sentiamo,
soprattutto nell’ottica dello studio del monachesimo femminile, di consigliare
di leggere e studiare parallelamente questi tre autori e i loro personaggi,
così da comporre un interessantissimo mosaico di quella che fu una assai comune
condizione femminile per molti secoli in tutta Europa.
“Infine
giunse il momento terribile. Allorché dovetti entrare nel luogo in cui dovevo
pronunciare i voti, le gambe non mi ressero; due delle mie compagne mi presero
sotto le braccia. La mia testa era reclinata su una di loro ed esse mi trascinavano
a fatica. Non so che cosa accadesse nell’animo dei presenti, ma ciò che
vedevano era una giovane vittima morente che si portava all’altare e da ogni
petto sfuggivano sospiri e singhiozzi tra i quali sono certa che non si udivano
quelli di mio padre e di mia madre.” (La
monaca, Denis Diderot, Garzanti,1983).
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