Ci
sono storie che non si raccontano. Restano imprigionate tra le righe di un
trafiletto o a prendere polvere tra i faldoni delle denunce in Procura. Non
fanno quell’imponderabile salto di qualità che le rende degne di far notizia e
non possono essere approfondite più di tanto, perché la legge dice che, se sei
maggiorenne e hai voglia di andartene senza più dare notizie, scomparire è tuo
diritto, nessuno può fermarti.
Questa
è una storia come tante. Una storia sconosciuta
e di sconosciuti, come la maggioranza
di noi. Una storia di voglia di vivere, dove, a un certo punto, qualche
meccanismo si inceppa e tutto sembra perduto. La storia di una madre, Zoubida
Chakir, e di una figlia, Imane Laloula.
Zoubida
vive in Marocco e, quando decide di separarsi dal marito, sua figlia, Imane, ha
nove mesi. In casa della famiglia di Zoubida sono in tanti a condividere due
stanze e, per quanto siano molto uniti, la situazione non è semplice.

Nel
1992 Zoubida lascia Imane dai nonni e parte per l’Italia in cerca di lavoro.
Impiegherà alcuni anni a trovare un impiego stabile come badante e domestica e,
solo allora, nel 1995, dopo tanti sacrifici, riuscirà a far venire in Italia
anche la figlia, ormai quindicenne. All’inizio le due si stabiliscono a Firenze
e Imane frequenta il Liceo Artistico per un anno.
“Imane era veramente
un’artista. Faceva dei disegni bellissimi, tanto che molti li ha tenuti la
scuola. Adorava Firenze, dove si sentiva circondata dall’Arte e dalla bellezza.
Ma la nostra felicità è durata poco: col mio piccolo stipendio non riuscivo a
pagare l’affitto e abbiamo iniziato a passare da una casa d’accoglienza
all’altra. Sentivo che Imane era infelice, ma non sapevo come fare. Alla fine
ho trovato un lavoro e una casa a Montecatini e ci siamo trasferite. Quando era
triste Imane diceva sempre che si era sentita morire due volte: la prima quando
si era trasferita dal Marocco in Italia e la seconda quando da Firenze si era
dovuta spostare a Montecatini. Firenze le mancava tanto, ma una volta a
Montecatini ci siamo date da fare e lei si è iscritta all’Istituto Alberghiero
che ha frequentato per un anno, con profitto.”

A
poco più di diciannove anni conosce il ragazzo che diventerà suo marito. Anche
lui è marocchino ed entra e esce dal carcere di continuo per reati legati alla
droga, ma Imane se ne innamora perdutamente.
“Non sapevo nulla di
questo ragazzo, finché, sistemando le cose di Imane, ho trovato le lettere che
lui le spediva dal carcere. Mi sono preoccupata subito e abbiamo discusso, ma
lei non voleva sentire ragioni e allora, quando lui è uscito dal carcere, ho
accettato che lei lo portasse in casa. Imane voleva sposarlo a tutti i costi e
così, il 16 settembre del 2001, si sono sposati in Marocco. Io continuavo ad
avere problemi di salute ed ero molto preoccupata per l’influenza che questo
ragazzo stava avendo su Imane, ma alla fine ho accettato il matrimonio per
amore di mia figlia e ho partecipato anche io. Speravo che le cose così
sarebbero migliorate e che anche lui si mettesse a lavorare, ma Imane ormai era
troppo cambiata.”

“Quando, all’inizio del
2003, ho saputo da alcuni conoscenti che il marito di Imane era finito di nuovo
in carcere, ero davvero agitata. Vedevo che lei faceva di tutto per aiutarlo,
ma le cose non miglioravano. A giugno sapevo che Imane voleva andare in Marocco
a trovare i nonni e, quando è venuta a trovarmi a casa mia per preparare alcune
cose per il viaggio, le ho proposto di partire insieme alla fine del mese,
quando anche io potevo prendere le ferie dal lavoro. Le ho detto che non poteva
andare avanti così, che doveva lasciar perdere quel marito che le stava
rovinando la vita e che sapevo che lui era finito in carcere ancora una volta.
Ero davvero preoccupata. Ho cercato di convincerla ma lei si è arrabbiata
moltissimo. Abbiamo discusso come non ci era mai capitato prima e lei è andata
via sbattendo la porta e dicendo che non voleva avere più nulla a che fare con
me e che non dovevo cercarla più. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista.”

“Mio padre, il nonno di
Imane, era cieco e diceva sempre che lei era la luce dei suoi occhi. Da piccola
gli stava sempre accanto. Tutti i nostri parenti vorrebbero tanto
riabbracciarla e io mi sentirei come in Paradiso se solo lei si facesse viva e
se sapessi che sta bene. È la mia unica figlia e sono passati così tanti anni,
che ho davvero paura che ormai sia troppo tardi. Chiedo solo che non venga
dimenticata e che qualcuno ci aiuti a non perdere mai la speranza di poter
rivedere il suo sorriso il più presto possibile.”
E' l'appello disperato di una mamma! E' lasciata sola dallo Stato Italiano , che pensa a cercare , attraverso carabinieri, polizia, protezione civile, e trasmissioni che si occupano di scomparsi, altri più noti o che fanno audience!
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