Li amiamo così tanto, che sembriamo non
poterne più fare a meno: decine di Chef, provenienti da tutto il Mondo,
affollano le nostre televisioni, giornali, pagine Web. Stellati o
anticonformisti, volubili o inflessibili, innovatori o tradizionalisti: ce n’è
davvero per tutti i gusti, ma quella
che, secondo le ultime tendenze, sembra essere la professione del futuro è ben
più complessa di quel che appare in tv e richiede impegno, inventiva e coraggio
non comuni, per farsi strada nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza,
dove sono i consumatori, e non gli indici di ascolto, a dettare legge.
C’è di buono che, oltre a sentirci tutti
un po’ Chef, in grado di osare in esperimenti culinari di ogni tipo, la cultura
del buon cibo, fatto di ingredienti semplici e materie prime d’eccellenza, si
sta diffondendo sempre di più, nonostante la crisi economica, e lo dimostra il
grande successo di pubblico di eventi come Expo 2015.
Ma, con così tanta concorrenza e degli standard
sempre più alti, come si fa, oggi, a diventare dei grandi Chef? Che differenza
c’è tra cuoco e Chef? E quali percorsi formativi bisogna intraprendere per
realizzarsi al meglio in questo campo? Ce lo spiega lo Chef Fabio Campoli, uno tra i più acclamati e apprezzati Chef del
panorama gastronomico italiano da oltre quindici anni. Docente, consulente,
scrittore e, dal 2006, fondatore e Presidente de “Il Circolo dei Buongustai”, una vera e propria Accademia del gusto
e delle eccellenze del settore. Tra innovazione e tradizione, condivisione e
cultura, lo Chef Campoli ci darà i consigli giusti per fare di una passione un
mestiere, raccontandoci anche le fasi più importanti del suo personale percorso
professionale, fatto di sacrifici, soddisfazioni e priorità. Perché il vero
protagonista della vita di uno Chef è il cibo:
i sapori cambiano, ma il gusto non passa mai di moda.
Lo
Chef è il mestiere del futuro: da qualche anno a questa parte le statistiche
parlano chiaro. Si tratta, infatti, di una professione d’eccellenza, che
coniuga creatività e senso pratico, impegno e abilità, attitudine al comando e
capacità di mettersi al servizio degli altri, prendendosene cura. Come si
diventa dei veri Chef? Quale percorso formativo è richiesto e quanto è
importante essere sempre aggiornati sulle nuove tendenze?
Quelli che ancora oggi chiamo i miei “comandamenti
culinari” provengono, anzitutto, dalla formazione di base e quella superiore.
La base del mio mestiere è insita nello studio, perché se non avessi scoperto
il gusto della conoscenza e della curiosità come persona nei confronti di tutte
le mie passioni (in primis la cucina), non sarei riuscito certo a raggiungere
la notorietà attuale (per quel che conta!) data dal mio essere uno chef
“poliedrico”. E sono ben consapevole che, nel perseguire queste strade, occorra
una buona dose di fortuna, perché la formazione vera è insita nell’incontro delle
“persone giuste” da seguire. Il secondo scalino di difficoltà sta nel
riconoscerle, e specie quando si è molto giovani, nello scegliere di seguire
questi “maestri” a costo di favorire il proprio percorso di realizzazione,
piuttosto che il guadagno, soprattutto nei propri primi anni di attività, ma
non solo. E una volta rafforzati nella professione, sono fermamente convinto
che gran parte del successo si giochi sulla continuità e la costanza.
Essere sempre aggiornati sulle novità è
importante per qualsiasi mestiere, ma per quello del cuoco, a mio avviso, non
importantissimo. Perché il cibo ha come in sé qualcosa di magico: cambia nei
secoli ma al tempo stesso non passa mai di moda.
Qual
è stato il suo primo approccio a questo mestiere: come e perché ha scelto di
intraprendere questa strada? Cosa significa vestire i panni dello Chef e
gestire dei ristoranti di successo?
Il mio primo avvicinamento alla cucina è
avvenuto da giovanissimo, neanche a quattordici anni. E da primo lavoro
intrapreso per voglia di indipendenza (soprattutto economica), si è trasformato
prestissimo in una passione vera e crescente che non mi ha più abbandonato.
Anzi, è stata proprio lei a guidarmi verso l’evoluzione da “cuoco” a “chef”.
Perché scegliere il mestiere dello chef
vuol dire investire tutta la propria vita nel proprio lavoro, spesso vedendosi
per questo costretti a rinunciare alla propria vita personale. Vita da chef,
vita di sacrifici, ma anche di inenarrabili soddisfazioni emotive.
In
qualità di fondatore e Presidente de “Il Circolo dei Buongustai” si sta
facendo, ormai da molti anni, portavoce della cultura del buon cibo come
sinonimo di gusto, salute e tradizione. Facciamo un bilancio di questo percorso
di divulgazione e condivisione: quali sono gli obiettivi raggiunti dal Circolo
e quali le difficoltà contro cui vi scontrate ogni giorno?
Il
Circolo dei Buongustai, che ha visto la sua nascita nel
2006, è la massima espressione di un organo nuovo poiché si propone come
agenzia specializzata in ricerca e sviluppo, consulenza, marketing,
comunicazione e promozione enogastronomica a trecentosessanta gradi. Lo staff è
attivo all’interno di una struttura innovativa (una cucina moderna, funzionale
e accessoriata di ogni dettaglio, con uffici adiacenti), dove le nostre idee
evolvono sapientemente, passando da ricette a progetti commerciali innovativi.
Perché al Circolo dei Buongustai la cucina non è un fine, ma un mezzo, per
conoscere e comunicare la cultura dei popoli, per trasmettere messaggi e fare
informazione pubblica, per costruire eventi e attività, come vere e proprie
storie da raccontare ai clienti.
Il Circolo dei Buongustai nasce per
contraddistinguersi con la propria filosofia, insita nel vivere privatamente e
professionalmente sempre “intorno alle buone cose”, cioè in nome dell’etica,
del rispetto e del confronto continuo verso chiunque si trovi a collaborare con
noi.
E forse questa è tra le più grandi
difficoltà giornaliere: trovare le persone giuste con cui lavorare nel nome
degli stessi ideali e degli stessi comportamenti sul lavoro, sia che si tratti
di clienti, che di dipendenti. Ma la
prima difficoltà in assoluto, in un’ottica globale e spero momentanea per il
nostro paese, resta la trasmissione della cultura, sia in termini di canali
realmente disponibili che di interesse delle persone, che, invece che
innalzarsi, va scemando nei confronti dell’alimentazione per un eccesso di
messaggi comunicati ai consumatori spesso nel modo più sbagliato. Inizio a
sentire il loro allontanamento, causato da una certa confusione
“medico-mediatica” sugli alimenti.
Non
solo mondanità, televisioni e viaggi. Quello dello Chef è un mestiere di
sacrifici continui. Che consiglio darebbe ad un giovane che, prendendo ad
esempio la sua carriera, volesse seguire le sue orme?
Oltre ad auspicare per la generazione
presente un imprescindibile “riavvicinamento alla cultura”, il mio consiglio ai
giovani non prende altro che il nome di “volontà di gavetta”: un’espressione
che può sembrare scontata, ma oggi, proprio perché sono spesso coinvolto in
consulenze per l’apertura di nuovi ristoranti e di conseguenza nella formazione
dei cuochi addetti, mi sento di dire che mi sembra un concetto un po’
dimenticato, in un mondo in cui tutto sembra sempre più “essere dovuto”, senza
sentire il bisogno di dimostrare prima di che pasta si è fatti. Ai giovani
vorrei davvero riuscire a trasmettere, oltre alle mie tecniche culinarie,
l’importanza della costanza e della dedizione, dell’autocontrollo e del senso
di responsabilità sul lavoro, perché credo fermamente che siano queste le doti
indispensabili e distintive in un mondo in cui trovare un lavoro sta diventando
una questione difficile e selettiva.
Ai giovani consiglio anche di non farsi
incantare da falsi miti, dalle scuole di cucina che promettono apprendimenti
rapidi in cambio di investimenti cospicui: per un cuoco, proprio come per altri
mille mestieri, l’esperienza vera è data dal vivere quotidianamente la cucina,
la brigata e dal destreggiarsi abilmente tra le mille avventure che contraddistinguono
la vita nel mondo della ristorazione intero.
Ci
racconti un episodio, un aneddoto, una storia che, in tanti anni di professione
ed esperienza è rimasta particolarmente scolpita nella sua memoria.
Ebbene sì, a volte ritrovarsi in cucina è
come vivere in un film: è piena di emozioni, ma capita anche di scontrarsi in
dispetti tra cuochi e oculati sabotaggi. Non potrò mai dimenticare come,
qualche anno fa, nel corso di un evento privato per un centinaio di invitati,
ho dovuto reinventare da zero la seconda portata del pranzo, dal momento che
tutto il gustoso (e costoso) pesce fresco acquistato era “misteriosamente
scomparso”!
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