Saper
interpretare scientificamente la grafia di un soggetto è un’arte. Vi sembra un
controsenso? Nient’affatto. La nostra scrittura è unica e irripetibile quasi
quanto un’impronta digitale e solo le capacità e le abilità del grafologo sono
in grado di riconoscerne i tratti peculiari e, all’occorrenza, spiegarne i
segni in modo da tracciare un profilo dell’autore. Sara Cordella, grafologa
forense di grande professionalità ed esperienza, ci spiega in cosa consiste
questo mestiere particolarmente interessante, svelandocene i segreti.
L’interpretazione
scientifica della scrittura, che permetta di tracciare un profilo della persona
a cui appartiene, è un tema affascinante, ma complesso. Chi è un grafologo
forense? Che studi occorrono e di cosa si occupa?
Il
grafologo forense è colui che si occupa di tutte le sfumature della grafia e
dei documenti in generale in ambito legale. Di solito il grafologo forense è
iscritto all’albo dei tecnici in tribunale alla voce “esperti in analisi e
comparazione della grafia”. Veniamo quindi identificati in due fasi del nostro
lavoro: l’analisi e la comparazione degli scritti.
Il
grafologo sa, di una grafia, tracciarne un profilo o farne un’attività di
identificazione. E le due fasi non sono per niente svincolate.
Da
gennaio del 2013 siamo stati riconosciuti a tutti gli effetti come professione
e questo è un riconoscimento molto importante che molte categorie (come per
esempio i criminologi) ancora non possono vantare.
Personalmente,
dopo la laurea in Lettere, sono diventata consulente grafologo presso la Scuola
Patavina di Grafologia, specializzandomi in grafologia peritale e poi, nel
tempo, prendendo altre specializzazioni utili al mio lavoro.
Attualmente
lavoro per il tribunale e per studi legali e sono consulente di alcune agenzie
investigative. Ho anche la fortuna di poter insegnare la mia materia un po’ in
tutta Italia.
In molti se lo
domanderanno: quali sono i tratti preponderanti che ci permettono di
riconoscere la grafia di un soggetto? Quando e come si formano? È possibile camuffarli?
Considera
che i primi “segni grafologici” si formano nel ventre della mamma, assieme alla
formazione dei foglietti embrionali. Questi sono i segni temperamentali che ci
accompagneranno per tutta la vita. Ci sono poi i segni del vissuto, quelli che
si modificano in base alle esperienze della vita, che crescono con noi e ci
cambiano come fossero le rughe del nostro viso. In alcuni casi, come per
esempio quando si scrive una lettera anonima, si cerca di camuffare la propria
grafia per non farsi riconoscere. Il ‘problema’ è che si possono modificare
alcuni segni, ma non si possono controllare tutti allo stesso tempo. Perciò, la
propria impronta grafica sfugge sempre. E il bravo grafologo la sa sempre identificare.
Dall’interpretazione dei
primi disegni dei bambini, alla lettura delle ultime lettere dei suicidi: la
scrittura ci accompagna in tutto il percorso della nostra vita. Cosa ti rivela
lo studio di questi documenti in apparenza così diversi?
La
scrittura è una sorta di fotografia di sé stessi che coglie la morfologia e i
tratti salienti di ognuno nel momento stesso in cui viene fissata sul foglio.
Il grafologo è fortunato perché ha tra le mani un negativo. A lui spetta il
compito di sviluppare questo negativo in una fotografia a colori, cogliendo le
singole sfumature di una personalità: il carattere, l’intelligenza, ma
addirittura la postura e la presenza di eventuali patologie che vanno a
modificare il tratto grafico.
Nel corso della tua
carriera ti sei occupata di moltissimi casi, più o meno alla ribalta della
cronaca. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia in cui hai percepito
particolarmente che il contributo della tua professionalità avrebbe fatto
intraprendere la strada giusta.
Io
ho iniziato a studiare grafologia affascinata dall’ultima lettera di Luigi
Tenco e questo è sempre stato il filo rosso che ha accompagnato tutta la mia
storia grafologica. Ecco, secondo me questo è il caso per eccellenza nel quale
il contributo grafologico è essenziale per trovare la “soluzione”. La scena del
crimine, infatti, fu a suo tempo totalmente compromessa da una serie di errori
e leggerezze. La lettera di Tenco, correttamente interpretata e letta, diviene
scena del crimine stessa. Un grafologo, in questo ambito, è un criminalista a
tutti gli effetti perché opera sul documento con le stesse modalità con le
quali si opera sulla scena del crimine, usando anche gli stessi strumenti (la
fotografia forense, gli ultravioletti e infrarossi, il microscopio ecc.).
Quali sono al momento i
tuoi progetti per il futuro? E che consiglio ti sentiresti di dare a chi voglia
intraprendere questo interessante, ma difficile, percorso professionale?
Il
mio progetto per il futuro è quello di riuscire finalmente a pubblicare un
libro. Vivo sommersa da bozze e idee che devo finalmente riuscire a
concretizzare. Tra i buoni propositi che mi sono imposta c’è pure quello di
avere un rapporto meno conflittuale con la tv e soprattutto con la diretta,
consapevole del fatto che quello grafologico è un linguaggio che va fatto conoscere
nella sua scientificità e nelle sue potenzialità.
Per
diventare grafologi ci vuole una continua passione e curiosità. Lo studio della
grafologia si nutre di amore, costanza e di una buona dose di capacità
intuitive. I segni grafologici si devono vedere, conoscere e saper ritradurre
in parole. Consiglio sempre, per la formazione, di affidarsi a scuole
riconosciute dall’AGI (Associazione Grafologi Italiani), in percorsi non
inferiori ai tre anni. E poi di fare tantissimo e costante esercizio
quotidiano. Di grafia ci si nutre ogni giorno.
Nessun commento:
Posta un commento