“Giulia:
ciao nonno, posso
farti un’intervista?
Nonno
Pietro:
un’intervista? Certo, ma su cosa mi vuoi intervistare?
Giulia: vorrei chiederti qualcosa sulla
Prima Guerra Mondiale.
Nonno
Pietro:
ma io ero molto piccolo a quel tempo, invece la Seconda l’ho combattuta tutta
in Africa!
Giulia: sì, lo so, nonno. Però io vorrei
chiederti com’era “essere bambini” durante la Prima Guerra Mondiale. Penso che
sono pochi i bambini di allora che possono raccontare le loro impressioni e
così farò davvero un’intervista esclusiva!
Nonno
Pietro:
va bene, allora fammi pure le domande e cercherò di ricordare…
Giulia: quanti anni avevi quando ti sei reso
conto che l’Italia era in guerra?
Nonno
Pietro:
io sono nato il 29 giugno del 1911, ma sui miei documenti risulta il 1 luglio,
perché a quei tempi, nascendo in casa, spesso si ritardava la comunicazione al Comune.
Anche se avevo quattro anni quando l’Italia è entrata in guerra, il 24 maggio 1915,
non me ne sono accorto subito, perché a Pachino, il paesino in Sicilia dove
sono nato, le cose si sapevano sempre dopo. A quel tempo non c’era la radio, né
la televisione e poi eravamo una famiglia semplice, non si parlava molto di
politica.
Mio padre era un
contadino, in casa c’erano già altri tre bambini, le responsabilità erano tante
e la situazione economica dell’Italia non era sicura.
All’epoca io ero il terzo
di quattro fratelli: zia Giuseppina del 1907, zio Giuseppe del 1909 e poi zio
Corrado del 1914. Nel 1916 sarebbe nato anche Concetto, un altro fratello.
In casa con noi viveva
anche il nonno, Pietro, che era rimasto vedovo e veniva accudito dalla mia
mamma.
Giulia: insomma eravate proprio tanti. La
casa era abbastanza grande?
Nonno
Pietro:
Era una casa modesta, di paese, con una grande cucina dove c’era il forno a
legna per fare il pane, che tutti noi bambini aiutavamo a impastare e cuocere,
una camera da letto per i genitori e i bambini più piccoli, una camera per gli
altri figli e un salottino per accogliere gli ospiti. C’era anche un locale per
raccogliere le provviste alimentari per l’inverno ed uno spazio dove viveva
l’asino che aiutava mio padre in campagna.
In un altro locale
c’erano le botti dove si conservava il vino prodotto nei vigneti, sia per la
famiglia, che per la vendita.
Galline e cane vivevano
nel cortile comune, dove di giorno giocavamo noi bambini e la sera ci si
riuniva tutti per parlare un po’ di come era andata la giornata.
Giulia: che bello, nonno, sembra una vita
serena!
Nonno
Pietro:
lo era, ma era anche tanto faticosa! I genitori iniziavano a lavorare la
mattina presto, andando nei campi dove ancora non c’erano tante macchine e si
doveva fare tutto con la forza delle proprie braccia. E anche a casa i lavori
domestici erano molto più faticosi: si lavava tutto a mano, le cucine erano a
legna e occorreva governare il fuoco, le strade non erano asfaltate e la
polvere era sempre dappertutto… senza aspirapolveri, come ora!
Giulia: però l’aria era pulita e non c’era
il buco nell’ozono!
Nonno
Pietro:
questo sicuramente! Tutto ciò che si usava era naturale e permetteva di
mantenere un giusto equilibrio tra l’uomo e la natura.
Giulia: e i bambini come passavano le loro
giornate? Quando si andava a scuola?
Nonno
Pietro:
Si iniziava la scuola a sei anni, subito con la prima elementare. L’asilo non
era molto frequentato, perché i bambini rimanevano in casa con la mamma e
l’aiutavano nei lavori domestici, nell’accudire gli animali o nelle attività in
campagna.
Giulia: e tu quando ti sei accorto della
guerra?
Nonno
Pietro:
Avevo cinque anni compiuti e l’ho capito una
sera quando la mamma ha dato a papà una lettera che era arrivata dal Distretto
di Siracusa e che diceva che doveva andare a passare la visita per vedere se
idoneo per il fronte. Non lo avevano chiamato all’inizio della guerra perché
lui era già in età avanzata ed aveva tre figli, ma le cose al fronte andavano
male e cominciavano a richiamare anche le persone non più giovanissime.
Mia madre era tanto
preoccupata, perché capiva che si sarebbe trovata con tre bambini piccoli, un
quarto in arrivo, ed una persona anziana tutte sulle sue spalle. Lei era
rimasta orfana da bambina e non aveva altri parenti ai quali chiedere aiuto,
una situazione difficile per una donna sola in un piccolo paese della Sicilia,
dove il reddito familiare era legato al lavoro della terra.
I miei genitori parlarono
quasi tutta la notte per capire come poter fare, si fecero coraggio e presero
alcune decisioni.
Il mio papà trovò vari
braccianti di fiducia che avrebbero lavorato la terra sotto la guida della
mamma e il giorno dopo parlò molto con mia sorella grande, dicendole che
avrebbe dovuto prendersi cura di noi fratelli più piccoli, perché la mamma
sarebbe stata impegnata con il governo della terra.
A noi disse che ci
avrebbe affidato la sua casa e i suoi animali. Io mi sentii molto importante,
anche se non capivo bene cosa avrei dovuto fare, ma andai subito a dare da
mangiare al nostro asino, sperando che non mi tirasse qualche calcio. In
effetti penso di aver avuto un po’ paura dei suoi zoccoli così grandi in
confronto alle mie mani ancora da bambino piccolo.
Giulia: e poi cosa successe?
Nonno
Pietro:
mio padre andò a Siracusa e fu considerato idoneo. Gli proposero di diventare Ufficiale
perché era istruito, ma accettando sarebbe dovuto partire subito per il fronte,
mentre, da soldato semplice, poteva rimanere al distretto di Siracusa come
impiegato per il disbrigo delle pratiche amministrative. Non so quali siano
stati i pensieri di mio padre, ma so che decise di rimanere vicino alla sua
famiglia a Siracusa, rinunciando al titolo di Ufficiale. La sorte gli fu amica,
perché il Reggimento del quale avrebbe dovuto prendere il comando ebbe una
triste sorte.
L'8 giugno 1916 fu
organizzato il suo rientro in Italia dall'Albania, via mare. Per il trasporto
delle truppe partì un convoglio formato dal piroscafo Principe Umberto e da
altre navi di scorta. Sul Principe Umberto avevano preso posto, fra truppe ed equipaggio,
quasi tremila uomini.
Le navi salparono in
serata, per essere coperte dal buio, ma, poco dopo, la rotta del convoglio
s'intrecciò con quella di un sommergibile tedesco, l'U. 5, che lanciò due siluri.
Il Principe Umberto, colpito a poppa, s'inabissò nel giro di qualche minuto,
trascinando con sé quasi duemila uomini. Solo pochi poterono essere tratti in
salvo.
Ricordo ancora il dolore
di mio padre per questo evento e le preghiere di mia madre che ringraziava il
Signore per lo scampato pericolo.
Giulia: nonno, sembri ancora commosso mentre
mi racconti queste cose, ma allora come bambino cosa provavi?
Nonno
Pietro:
la nostra vita era così faticosa, che la stanchezza e la giovane età non mi
facevano sentire tanta paura e poi la mia mamma era sempre molto serena quando
ci raccontava le cose e ci coinvolgeva nella vita di tutti i giorni.
Giulia: come erano le tue giornate in quel
periodo?
Nonno
Pietro:
prima di iniziare la scuola ero praticamente sempre insieme a mia sorella
Giuseppina, Miniccia come la chiamavamo noi, e l’accompagnavo in tutte le sue
faccende. Andavamo a fare il bucato al
mare con la cesta dei panni sul carretto e mio fratello Giuseppe che governava
l’asino. La cesta era talmente grande per noi, che dovevamo tenerla in due e,
ogni volta, salire e scendere era un’impresa.
Mi ricordo che andavamo anche al mulino a far macinare la farina per
fare il pane e mia madre mandava solo noi per cercare di commuovere il Dazio,
che, allora, faceva pagare la tassa sul grano macinato: eravamo talmente magri
che sperava ci facessero uno sconto sul dovuto.
La mattina, mentre mia
sorella era a scuola, stavo con la mamma che andava in campagna per controllare
gli uomini al lavoro e allora mi sentivo più grande e facevo il padroncino
seguendola tra i filari delle viti per controllare se il terreno era stato
zappato o se erano arrivati i parassiti.
Quando, poi, ho iniziato
ad andare a scuola avevo solo il pomeriggio libero e, dopo aver fatto i compiti,
aiutavo nei lavori in casa e nel controllo dei conti che mia madre e mia sorella
facevano: mamma non sapeva leggere ma era bravissima con i numeri.
Giulia: e tuo papà non tornava mai a
trovarvi?
Nonno
Pietro:
lui era a Siracusa, che oggi in macchina si raggiunge in trenta minuti di
viaggio da Pachino, ma allora erano più di tre ore con la carrozza e il viaggio
costava, quindi non veniva spesso. Quando ci riusciva, però, era una festa,
perché ci sembrava sempre un miracolo e la mamma piangeva per un po’. Mio padre
era molto severo con noi figli e nelle poche ore che passava con noi ci
controllava sempre nei compiti e ci ricordava i nostri doveri. Solo verso mia
sorella grande, che allora aveva comunque meno di dieci anni, si rivolgeva
quasi con gratitudine, perché sapeva la fatica che le dava la gestione della
casa.
Un ricordo particolare è
la nascita di mio fratello Concetto nel 1916. Ricordo che mio padre riuscì a
venire solo dopo alcuni mesi dalla nascita e tenne stretto a sé il bambino per
tanto tempo, mentre mio fratello Corrado, ancora piccolo, piangeva perché era
geloso.
Il ricordo più brutto,
però, è legato a quando nel paese si veniva a sapere che c’erano state delle
vittime tra i paesani.
Non sempre arrivavano le
salme dei caduti, ma si andava tutti in Chiesa per pregare insieme ai familiari
che spesso erano giovani mogli e bambini, come me, che perdevano il padre.
Giulia: e come hai saputo che la guerra era
finita?
Nonno
Pietro:
non me lo ricordo con precisione, ma ricordo che, a un certo punto, le visite
di papà diventarono più frequenti, finché rimase con noi sempre e la mamma non
dovette più occuparsi dei lavori di campagna. A scuola ci dissero della fine
della guerra spiegandoci che era stata una grande vittoria e che il Paese
avrebbe avuto tanti benefici, ma, mentre il maestro ce lo diceva, in classe
eravamo solo quattro bambini, tutti gli altri erano a lavorare nei campi per
aiutare il bilancio familiare, quindi non facemmo tanti commenti e domande…
Giulia: ma non ci fu una festa per la guerra
finita e il ritorno della pace?
Nonno
Pietro:
non mi sembra, forse eravamo tutti così tanto stanchi e sofferenti, che la
voglia di festeggiare non era molta. Purtroppo ricordo che anche gli anni a
seguire non furono facili e le notizie politiche cominciarono a diventare
sempre più frequenti e a separare le persone rispetto alle scelte da prendere,
fino agli anni del Fascismo e del nuovo conflitto mondiale ma… questa è
un’altra guerra, quindi una nuova intervista, se vorrai farmela!”
Quest’intervista
è stata realizzata nel giugno 2010. Giulia aveva tredici anni e, in occasione
dell’esame di Terza Media, ha deciso di raccontare, con l’aiuto di tutta la
famiglia, la Prima Guerra Mondiale vista attraverso gli occhi di un bambino
speciale, il nonno Pietro, che, all’epoca del conflitto, aveva cinque anni.
Oggi
Giulia ha da poco compito diciotto anni e si sta preparando all’Esame di
Maturità con un solo piccolo rimpianto: non poter più intervistare il nonno
Pietro, per raccontare, attraverso i suoi ricordi, gli anni della Dittatura
Fascista e di come cambiò il nostro Paese, della Seconda Guerra Mondiale, che
ci mise in ginocchio, della sua lunga prigionia in Africa e poi della rinascita
del Dopoguerra e del boom economico che travolse l’Italia nel decennio
successivo. Ci sarebbe stato davvero tanto da scrivere, avventure che oggi
leggiamo solo nei romanzi, ma che appartengono alla memoria di vita di tanti
nonni, sempre più anziani e che non dovremmo mai stancarci di “intervistare”,
prima che la loro storia diventi Storia, con la esse maiuscola.
Giulia
Rinaldi è mia sorella, vuole diventare biologa ed è disordinata e incosciente,
ma anche tanto coraggiosa e altruista.
Pietro
Tringali, classe 1911, Maresciallo Maggiore in pensione dell’Esercito Italiano,
Cavaliere del Lavoro e inguaribile ottimista, si è spento esattamente un anno
fa, il 19 ottobre 2014, all’età di 103 anni, oltre un secolo di vita.
Pietro Tringali era mio
nonno.
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