Siamo
quello che mangiamo, non c’è alcun dubbio. Il cibo è cultura, arte, creatività.
È espressione dell’unicità di ogni Popolo, come dimostra l’importanza mondiale
di Expo 2015 che si sta tenendo a Milano e sarà visitabile da tutti fino a
ottobre. Ma cosa vedono realmente i giovanissimi quando si affacciano su questo
mondo complesso e affascinante? La parola d’ordine è fantasia e il racconto che
segue ne è una prova particolarmente interessante. Il suo autore è Alessandro
De Iesu, un allievo al quarto anno del Liceo Scientifico Sant’Anna Falletti di
Barolo di Roma, al quale, visto il talento, auguriamo una lunga carriera da
scrittore in un prossimo futuro. Nel suo racconto Alessandro ha deciso di
lasciar perdere chef stellati e ristoratori multimilionari e si è calato in
panni decisamente insoliti, facendoci scoprire, con grande delicatezza e
sensibilità, che in ogni piccola cosa
si cela una storia degna di essere raccontata. Persino nel cassetto di una
cucina…
Io
ero un cucchiaio di Alessandro De Iesu
Io ero un cucchiaio e a
causa della mia essenza ho viaggiato per anni visitando case diverse, famiglie
diverse, stili di vita diversi e stati sociali diversi. Alla mia creazione ero
un nobile utensile destinato alle famiglie più ricche della mia città di nascita.
Ero fiero e gioivo della mia bellezza e del privilegio di assistere a numerosi
banchetti pieni di ricchezza e di cultura. Durante i numerosi pasti potevo
assistere silenziosamente a scambi commerciali, discussioni filosofiche,
strategie militari e molte altre attività che esprimevano tutta la potenza
della famiglia a cui appartenevo. Non c'erano preoccupazioni sul futuro, duro
lavoro o preoccupazioni verso persone al di fuori della famiglia, come vidi
successivamente durante il mio pellegrinaggio. Dopo molti anni, infatti, la
nobile casata si interessò a nuovi oggetti e mi reputò un oggetto vecchio e
inutile e fui venduto. In quel momento il mio orgoglio vacillò ed iniziò il mio
lungo viaggio.
Diventai il cucchiaio di
una famiglia di commercianti.
Le cene erano meno
fastose e le discussioni a tavola cambiarono. I miei nuovi proprietari
parlavano di ingiustizia, di diritti e di uguaglianze. Non avevo mai sentito
quelle parole prima d'ora e non conoscevo neanche l'esistenza dei problemi a
cui si riferivano. Davanti a me si aprì un mondo nuovo da cui ero incuriosito,
un mondo semplice in cui per ottenere qualcosa bisognava lavorare e un mondo di
contraddizioni in cui gli uomini che criticavano le famiglie più ricche,
predicando uguaglianza, mostravano invece un profondo e velato desiderio di
essere al posto delle persone verso cui mostravano odio in pubblico. Questo
mondo nuovo, portatore di novità, portò anche una particolare attenzione verso
l'antico e io da cucchiaio vecchio diventai un cucchiaio da antiquariato. Per
decenni rimasi in questo ambiente diventando spettatore del progresso, ma un
giorno mi ruppi. Non venivo più usato da molto tempo poiché considerato troppo
prezioso se non nelle serate più importanti e nell'ultima a cui partecipai,
divenuto col tempo fragile, mi bucai. Un oggetto rotto perde la sua importanza
e un cucchiaio bucato perde la sua funzione, cosi fui gettato via.
Mi ritrovai in mezzo alla
strada, inutile, immobile, finché non mi vide un bambino con i vestiti più
sporchi che abbia mai visto. Mi raccolse e mi portò nella sua casa dove
osservai una povertà che mai avrei potuto immaginare. In quella immensa povertà
ero visto come un oggetto magnifico e a nessuno importava del mio buco. Non venni
più utilizzato come cucchiaio ma come portafortuna da passare da generazione in
generazione. Dalla mia posizione potevo osservare la gentilezza, l'amore, la
rabbia l'odio e la fame.
In quel momento cambiai.
Io per colpa o grazie al buco che portavo con me non ero più un cucchiaio ma la
rappresentazione vivente della contraddizione dell'essere umano. Ero un oggetto
ricco in una casa povera, ciò che mi veniva versato scivolava via dal buco,
mostrando spreco e povertà. Io ero un cucchiaio. Ora sono una metafora.
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