Placida
e sonnolenta provincia americana, metà degli anni Settanta. Quando Mrs.
Underwood, insegnante di matematica al Liceo di Placerville, cade con il fianco
sulla cattedra e, da lì, rotola per terra, il cranio squarciato da un colpo di
pistola, la lezione non è cominciata da molto.
A
costo di rovinarvi la sorpresa, è stato Charlie Decker, un ragazzo come tanti.
Ma il bello è che i circa quaranta occhi, ancora assonnati, dei suoi compagni,
che hanno assistito alla scena, restano spenti, come di fronte alle equazioni
scritte sulla lavagna. Nessuno grida, né fugge via. Charlie si chiude la porta
alle spalle e si siede in cattedra, iniziando una disperata avventura che
coinvolgerà, nella sua intima ossessione, la vita e il destino di una classe
intera, pronta a rispondere in modi inaspettati e imprevedibili.
Segreti
di sesso, di sangue, di odio vengono alla luce, snocciolati uno a uno dagli
stessi protagonisti, che sembrano cogliere al volo la macabra occasione per
gettare la maschera dell’ipocrisia, pronti a rimetterci la reputazione, la
sanità mentale e perfino la vita. Il garbuglio che si dipana, oscuro, davanti
ai nostri occhi va ben oltre le bravate tra ragazzi e le piccole ingiustizie
della quotidianità di provincia, mentre fuori da quel sorprendente microcosmo
ordinato si affollano impacciate e impreparate forze dell’ordine e cronisti
assetati di sangue.
In
tutto ciò Charlie agisce da potente catalizzatore per scatenare la follia
nascosta dietro ogni falso sorriso che ha di fronte. Unico figlio di una madre
debole e di un padre violento, Charlie Decker è un ragazzo schivo e sensibile,
che mal tollera le prepotenze, fino a fare un’ossessione del suo segreto senso
di lealtà e giustizia.
In
un crescendo di tensione, il maestro dell’horror americano, Stephen King, coglie magnificamente nel
segno con “Ossessione”, un romanzo
assai meno conosciuto di tanti altri capolavori, ma da rivalutare, perché
ugualmente all’altezza del suo stile inconfondibile.
Scritto
in tempi non sospetti rispetto ai recenti fatti di cronaca che sembrano
emularlo, è il primo romanzo di Stephen King, anche se fu pubblicato nel 1977,
dopo l’uscita di “Carrie”, con lo pseudonimo di Richard Bachman, assieme ad una
serie di titoli oggi ben più noti.
Proprio
a causa dei numerosi tentativi di emulazione, il romanzo è ormai fuori
produzione per volere dello stesso King, al quale fu chiesto di ritirarlo dal
commercio dopo l’ennesima strage in una scuola superiore, quando girò la voce
che, in camera dell’adolescente che aveva fatto fuori buona parte dei suoi
compagni, era stata trovata una copia di questo libro.
Tuttavia
King, a quanto pare non troppo attaccato a questa sua prima opera, che
considerava troppo acerba e priva del fascino del soprannaturale che sembra
rappresentarlo al meglio nel panorama dell’horror, non ha fatto mistero di aver
accolto di buon grado la richiesta di far cadere nel dimenticatoio questo
thriller assolutamente impeccabile. Ma è qui che il romanzo si vendica, beffardo,
vivendo ormai di vita propria: sghignazzando alle spalle dello stesso creatore
è diventato quasi oggetto di culto da parte di molti fan, che ancora oggi, tra
Web e mercatini, cercano di accaparrarsene qualche rara copia ancora in
circolazione.
Lineare,
asciutta, a tratti cruda, la vicenda è intervallata dai lucidi pensieri di
Charlie, il protagonista, che la narra in prima persona, tra un ricordo e
l’altro della sua giovane vita, in un catartico tentativo di dare un senso a
ciò che subisce ogni giorno e sfogo alla noia e all’ossessione di giustizia,
che si è annidata in lui da lungo tempo ed è esplosa nella violenza.
Charlie
è un bravo ragazzo, al quale non si può fare a meno di affezionarsi nel corso della lettura, in barba al suo macabro e
ingiustificabile gesto. Perché l’essere umano che nega l’evidenza è sempre più
spesso carnefice di se stesso e il confine tra la normalità e la follia è così
labile e inspiegabile che da sempre preferiamo ignorarlo, riducendolo a fatto
di cronaca datoci in pasto tra un’incombenza e l’altra della nostra vita.
Spesso,
sembra quasi suggerirci lo stesso King, è fin troppo facile voltarsi dall’altra
parte e classificare come gesti squilibrati queste disperate richieste d’aiuto,
soprattutto quando provengono da giovani e adolescenti che ci piace immaginare
storditi dalla droga o da chissà cos’altro quando imbracciano le armi magari
contro i loro stessi coetanei o gli insegnanti.
Così
apparenti ragazzi della porta accanto diventano squilibrati assassini, in un
coro di non posso crederci e te l’avevo detto, vittime di ciò che li
ha generati. Ma prima che la fiction si trasformi di nuovo in realtà e che
malesseri segreti diventino proiettili, siamo sicuri di essere davvero immuni
da questo virus? Meglio non domandarselo neppure, almeno fino al prossimo
telegiornale.
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