venerdì 25 maggio 2018

“Ossessione” di Stephen King. Il confine tra realtà e follia



Placida e sonnolenta provincia americana, metà degli anni Settanta. Quando Mrs. Underwood, insegnante di matematica al Liceo di Placerville, cade con il fianco sulla cattedra e, da lì, rotola per terra, il cranio squarciato da un colpo di pistola, la lezione non è cominciata da molto.
A costo di rovinarvi la sorpresa, è stato Charlie Decker, un ragazzo come tanti. Ma il bello è che i circa quaranta occhi, ancora assonnati, dei suoi compagni, che hanno assistito alla scena, restano spenti, come di fronte alle equazioni scritte sulla lavagna. Nessuno grida, né fugge via. Charlie si chiude la porta alle spalle e si siede in cattedra, iniziando una disperata avventura che coinvolgerà, nella sua intima ossessione, la vita e il destino di una classe intera, pronta a rispondere in modi inaspettati e imprevedibili.
Segreti di sesso, di sangue, di odio vengono alla luce, snocciolati uno a uno dagli stessi protagonisti, che sembrano cogliere al volo la macabra occasione per gettare la maschera dell’ipocrisia, pronti a rimetterci la reputazione, la sanità mentale e perfino la vita. Il garbuglio che si dipana, oscuro, davanti ai nostri occhi va ben oltre le bravate tra ragazzi e le piccole ingiustizie della quotidianità di provincia, mentre fuori da quel sorprendente microcosmo ordinato si affollano impacciate e impreparate forze dell’ordine e cronisti assetati di sangue.
In tutto ciò Charlie agisce da potente catalizzatore per scatenare la follia nascosta dietro ogni falso sorriso che ha di fronte. Unico figlio di una madre debole e di un padre violento, Charlie Decker è un ragazzo schivo e sensibile, che mal tollera le prepotenze, fino a fare un’ossessione del suo segreto senso di lealtà e giustizia.


In un crescendo di tensione, il maestro dell’horror americano, Stephen King, coglie magnificamente nel segno con “Ossessione”, un romanzo assai meno conosciuto di tanti altri capolavori, ma da rivalutare, perché ugualmente all’altezza del suo stile inconfondibile.
Scritto in tempi non sospetti rispetto ai recenti fatti di cronaca che sembrano emularlo, è il primo romanzo di Stephen King, anche se fu pubblicato nel 1977, dopo l’uscita di “Carrie”, con lo pseudonimo di Richard Bachman, assieme ad una serie di titoli oggi ben più noti.
Proprio a causa dei numerosi tentativi di emulazione, il romanzo è ormai fuori produzione per volere dello stesso King, al quale fu chiesto di ritirarlo dal commercio dopo l’ennesima strage in una scuola superiore, quando girò la voce che, in camera dell’adolescente che aveva fatto fuori buona parte dei suoi compagni, era stata trovata una copia di questo libro.
Tuttavia King, a quanto pare non troppo attaccato a questa sua prima opera, che considerava troppo acerba e priva del fascino del soprannaturale che sembra rappresentarlo al meglio nel panorama dell’horror, non ha fatto mistero di aver accolto di buon grado la richiesta di far cadere nel dimenticatoio questo thriller assolutamente impeccabile. Ma è qui che il romanzo si vendica, beffardo, vivendo ormai di vita propria: sghignazzando alle spalle dello stesso creatore è diventato quasi oggetto di culto da parte di molti fan, che ancora oggi, tra Web e mercatini, cercano di accaparrarsene qualche rara copia ancora in circolazione.
Lineare, asciutta, a tratti cruda, la vicenda è intervallata dai lucidi pensieri di Charlie, il protagonista, che la narra in prima persona, tra un ricordo e l’altro della sua giovane vita, in un catartico tentativo di dare un senso a ciò che subisce ogni giorno e sfogo alla noia e all’ossessione di giustizia, che si è annidata in lui da lungo tempo ed è esplosa nella violenza.
Charlie è un bravo ragazzo, al quale non si può fare a meno di affezionarsi nel corso della lettura, in barba al suo macabro e ingiustificabile gesto. Perché l’essere umano che nega l’evidenza è sempre più spesso carnefice di se stesso e il confine tra la normalità e la follia è così labile e inspiegabile che da sempre preferiamo ignorarlo, riducendolo a fatto di cronaca datoci in pasto tra un’incombenza e l’altra della nostra vita.


Spesso, sembra quasi suggerirci lo stesso King, è fin troppo facile voltarsi dall’altra parte e classificare come gesti squilibrati queste disperate richieste d’aiuto, soprattutto quando provengono da giovani e adolescenti che ci piace immaginare storditi dalla droga o da chissà cos’altro quando imbracciano le armi magari contro i loro stessi coetanei o gli insegnanti.
Così apparenti ragazzi della porta accanto diventano squilibrati assassini, in un coro di non posso crederci e te l’avevo detto, vittime di ciò che li ha generati. Ma prima che la fiction si trasformi di nuovo in realtà e che malesseri segreti diventino proiettili, siamo sicuri di essere davvero immuni da questo virus? Meglio non domandarselo neppure, almeno fino al prossimo telegiornale.


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