giovedì 21 maggio 2015

Sara Cordella: chi è il Grafologo Forense


Saper interpretare scientificamente la grafia di un soggetto è un’arte. Vi sembra un controsenso? Nient’affatto. La nostra scrittura è unica e irripetibile quasi quanto un’impronta digitale e solo le capacità e le abilità del grafologo sono in grado di riconoscerne i tratti peculiari e, all’occorrenza, spiegarne i segni in modo da tracciare un profilo dell’autore. Sara Cordella, grafologa forense di grande professionalità ed esperienza, ci spiega in cosa consiste questo mestiere particolarmente interessante, svelandocene i segreti.

L’interpretazione scientifica della scrittura, che permetta di tracciare un profilo della persona a cui appartiene, è un tema affascinante, ma complesso. Chi è un grafologo forense? Che studi occorrono e di cosa si occupa?

Il grafologo forense è colui che si occupa di tutte le sfumature della grafia e dei documenti in generale in ambito legale. Di solito il grafologo forense è iscritto all’albo dei tecnici in tribunale alla voce “esperti in analisi e comparazione della grafia”. Veniamo quindi identificati in due fasi del nostro lavoro: l’analisi e la comparazione degli scritti.
Il grafologo sa, di una grafia, tracciarne un profilo o farne un’attività di identificazione. E le due fasi non sono per niente svincolate.
Da gennaio del 2013 siamo stati riconosciuti a tutti gli effetti come professione e questo è un riconoscimento molto importante che molte categorie (come per esempio i criminologi) ancora non possono vantare.
Personalmente, dopo la laurea in Lettere, sono diventata consulente grafologo presso la Scuola Patavina di Grafologia, specializzandomi in grafologia peritale e poi, nel tempo, prendendo altre specializzazioni utili al mio lavoro.
Attualmente lavoro per il tribunale e per studi legali e sono consulente di alcune agenzie investigative. Ho anche la fortuna di poter insegnare la mia materia un po’ in tutta Italia.

In molti se lo domanderanno: quali sono i tratti preponderanti che ci permettono di riconoscere la grafia di un soggetto? Quando e come si formano? È possibile camuffarli?

Considera che i primi “segni grafologici” si formano nel ventre della mamma, assieme alla formazione dei foglietti embrionali. Questi sono i segni temperamentali che ci accompagneranno per tutta la vita. Ci sono poi i segni del vissuto, quelli che si modificano in base alle esperienze della vita, che crescono con noi e ci cambiano come fossero le rughe del nostro viso. In alcuni casi, come per esempio quando si scrive una lettera anonima, si cerca di camuffare la propria grafia per non farsi riconoscere. Il ‘problema’ è che si possono modificare alcuni segni, ma non si possono controllare tutti allo stesso tempo. Perciò, la propria impronta grafica sfugge sempre. E il bravo grafologo la sa sempre identificare.

Dall’interpretazione dei primi disegni dei bambini, alla lettura delle ultime lettere dei suicidi: la scrittura ci accompagna in tutto il percorso della nostra vita. Cosa ti rivela lo studio di questi documenti in apparenza così diversi?

La scrittura è una sorta di fotografia di sé stessi che coglie la morfologia e i tratti salienti di ognuno nel momento stesso in cui viene fissata sul foglio. Il grafologo è fortunato perché ha tra le mani un negativo. A lui spetta il compito di sviluppare questo negativo in una fotografia a colori, cogliendo le singole sfumature di una personalità: il carattere, l’intelligenza, ma addirittura la postura e la presenza di eventuali patologie che vanno a modificare il tratto grafico.

Nel corso della tua carriera ti sei occupata di moltissimi casi, più o meno alla ribalta della cronaca. Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia in cui hai percepito particolarmente che il contributo della tua professionalità avrebbe fatto intraprendere la strada giusta.

Io ho iniziato a studiare grafologia affascinata dall’ultima lettera di Luigi Tenco e questo è sempre stato il filo rosso che ha accompagnato tutta la mia storia grafologica. Ecco, secondo me questo è il caso per eccellenza nel quale il contributo grafologico è essenziale per trovare la “soluzione”. La scena del crimine, infatti, fu a suo tempo totalmente compromessa da una serie di errori e leggerezze. La lettera di Tenco, correttamente interpretata e letta, diviene scena del crimine stessa. Un grafologo, in questo ambito, è un criminalista a tutti gli effetti perché opera sul documento con le stesse modalità con le quali si opera sulla scena del crimine, usando anche gli stessi strumenti (la fotografia forense, gli ultravioletti e infrarossi, il microscopio ecc.).

Quali sono al momento i tuoi progetti per il futuro? E che consiglio ti sentiresti di dare a chi voglia intraprendere questo interessante, ma difficile, percorso professionale?

Il mio progetto per il futuro è quello di riuscire finalmente a pubblicare un libro. Vivo sommersa da bozze e idee che devo finalmente riuscire a concretizzare. Tra i buoni propositi che mi sono imposta c’è pure quello di avere un rapporto meno conflittuale con la tv e soprattutto con la diretta, consapevole del fatto che quello grafologico è un linguaggio che va fatto conoscere nella sua scientificità e nelle sue potenzialità.

Per diventare grafologi ci vuole una continua passione e curiosità. Lo studio della grafologia si nutre di amore, costanza e di una buona dose di capacità intuitive. I segni grafologici si devono vedere, conoscere e saper ritradurre in parole. Consiglio sempre, per la formazione, di affidarsi a scuole riconosciute dall’AGI (Associazione Grafologi Italiani), in percorsi non inferiori ai tre anni. E poi di fare tantissimo e costante esercizio quotidiano. Di grafia ci si nutre ogni giorno.


Sara Cordella Blog

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