Mimì è una giovane
psicologa in cerca di lavoro che, come tutti, subisce la crisi economica e si
ritrova costretta ad accettare una collaborazione temporanea con un’azienda che
concede prestiti, in attesa di tempi migliori. Mimì è un ragazza semplice,
intelligente e così sensibile da avere l’abilità di capire istintivamente se
qualcuno le sta mentendo, ma in una routine piena di preoccupazioni questa
capacità non sempre le è utile. Per distrarsi dallo stress di una vita
quotidiana che sembra scarseggiare di prospettive, Mimì, incalzata dall’amica
Franca, si iscrive a un corso di Yoga e conosce l’affascinante e magnetico
insegnante Swami, col quale scocca una scintilla tutt’altro che mistica. Quando,
a complicare la situazione, ci si metterà anche Enrico, il capo di Mimì, bello
e presuntuoso, il precario equilibrio della ragazza sarà messo a dura prova da
emozioni del tutto inaspettate, costringendola a fare una scelta tra due uomini
e due vite che non potrebbero essere più diverse.
Tra una posizione
di yoga e un battibecco di lavoro, Laura
Schiavini ci cattura col suo nuovo libro, “Tutta colpa dello yoga”, edito da Newton Compton e appena arrivato sugli scaffali delle nostre
librerie, replicando il successo di “A qualcuno piace dolce” e “Quando il
marito è in vacanza”.
“Tutta colpa dello
yoga” è un romanzo che si divora letteralmente: ironico, brillante, divertente
e profondamente attuale, tanto per l’energia dei personaggi, quanto per la
vivacità dei dialoghi, che confermano il talento di un’autrice che ha il dono
di incuriosire e intrattenere con uno stile semplice e spassoso. Un libro
imperdibile, comico e romantico, ideale per chi ama le storie d’amore, senza
mai rinunciare ai sogni e all’ironia.
Amore,
ironia e yoga quanto basta: ecco gli ingredienti del tuo nuovo libro “Tutta
colpa dello yoga”, edito da Newton Compton. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?
Mi piaceva l’idea
di questa ragazza con un dono: la capacità istintiva di capire se qualcuno
mente. Confesso di aver tratto spunto dalla fiction “Lie to me” anche se la
protagonista, pur essendo una psicologa, è lontana anni luce dal dottor
Lightman. Il resto è cresciuto piano piano intorno a Mimì, dall’ambientazione
tutta triestina ai personaggi secondari. Per Swami, il maestro di yoga, ed
Enrico, ho tratto ispirazione dalla realtà, romanzandola. Inoltre, avendo
praticato yoga per molti anni, è stato stimolante poterne parlare dal mio punto
di vista.
Da
dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autrice sei: segui l’ispirazione a
qualunque ora del giorno o hai un metodo collaudato al quale non puoi
rinunciare?
L’esigenza di
scrivere l’ho sempre avuta, ma per molti anni non l’ho messa in pratica. Diciamo
che mi piaceva raccontarmi le storie che inventavo. Ho sempre letto molto e a
un certo punto è scattato qualcosa che mi ha spinto a provarci. Prima con dei
racconti, che mi sono stati subito pubblicati da una rivista e poi cimentandomi
con il mio primo romanzo. Che giace ancora nell’archivio del mio computer.
Difficilmente il primo romanzo, a meno che uno non sia un genio, è destinato a
vedere la luce. Bisogna lavorare molto, provare e riprovare, affinare la
tecnica e il mestiere. Perché alla fin fine è di questo che si tratta: di
mestiere.
L’ispirazione, per
quanto mi riguarda, a parte rare eccezioni, non mi fulmina all’improvviso. In
genere parte da un’idea, che poi elaboro mentalmente. Se funziona la metto in
pratica, altrimenti la lascio andare. Ho sempre avuto difficoltà a scrivere le
scalette, ci sono riuscita solo con “A qualcuno piace dolce”, un romanzo che mi
ha dato molte soddisfazioni. Sarà per questo che ha avuto successo?
Quanto al mio
metodo, se così si può definire, scrivo in genere al pomeriggio e, se serve,
anche di sera. Raramente al mattino.
Sei
riuscita a fare del tuo più grande talento un mestiere: che ostacoli hai
incontrato e incontri ancora adesso nel tuo percorso? Cosa significa, al giorno
d’oggi, collaborare con un grande Editore?
Gli ostacoli che
si incontrano in questo campo sono tanti e a volte sembrano insormontabili. Per
contare i rifiuti che ho ricevuto dagli editori non bastano le dieci dita, ma
vincere un concorso, pubblicare con le riviste o con qualche piccolo editore
che credeva in me, mi ripagava delle delusioni e mi stimolava ad andare avanti.
Quando io ho iniziato, arrivare al grande editore era pressoché impossibile.
Negli anni seguenti le cose sono cambiate, ma la svolta si è avuta con il self publishing. Una sfida in cui mi
sono buttata con entusiasmo. Ho pubblicato “A qualcuno piace dolce” in e book
su una piattaforma on line, che lo ha diffuso nei principali store. Il romanzo è salito subito in
classifica e Newton Compton mi ha fatto un’offerta per acquisirne i diritti.
Certamente
collaborare con un editore importante è tutta un’altra storia. A cominciare
dall’editor. Per quanto l’autore sia scrupoloso e attento non ha, non può avere
una visione distaccata dell’opera. Gli altri due fattori fondamentali sono la
promozione e la distribuzione, che solo un editore importante può garantire.
Anche se hai scritto il più bel romanzo del mondo, è difficile che venga letto
se non si trova nelle librerie.
Il
rosa è, senza dubbio, la tua dimensione più congeniale: cosa pensi di questo
genere? Come mai non passa mai di moda?
A quanto pare, mi
riferisco alle recenti statistiche, le donne leggono più degli uomini. Credo
che, nonostante l’emancipazione, le donne amino sempre sognare il grande Amore.
Quello che arriva metaforicamente sul cavallo bianco a salvarti. A meno che non
sia tu a volerlo salvare a ogni costo: ma questa è un’altra, più complessa
questione. Certo i costumi cambiano, i gusti si affinano, ma i sentimenti
rimangono sempre gli stessi. Inoltre, secondo me, il rosa ha saputo
reinventarsi offrendo varie declinazioni sul tema. Basti pensare al chick lit, un genere scacciapensieri che
diverte e rilassa.
A
cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il
futuro.
Credo che il mio
prossimo romanzo sarà un po’ meno scacciapensieri e un po’ più profondo e
drammatico. Ma è troppo presto per parlarne.
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