Claudio e Vergy sono tornati. I due
irresistibili investigatori dell’occulto, che abbiamo accompagnato in tante
altre avventure all’insegna della paura, stavolta hanno un compito davvero
importante. Hanno accettato l’incarico di accompagnare, come guardie del corpo,
il Professor Franco Brandellini, nel corso di una visita presso uno strano
parco divertimenti ispirato, in tutto e per tutto, alla nota Innsmouth
lovecraftiana. La cittadina immaginaria, nata tra le pagine del maestro dell’horror,
sembra proprio prendere vita sulle coste del Massachussetts e una serie di
stravaganti turisti si lasciano avviluppare dall’atmosfera da brivido, cercando
di rivivere le emozioni provate leggendo il grande autore americano. Ma cosa si
nasconde dietro agli strani rituali ai quali tutti prendono parte con tanto
entusiasmo? È tutta una recita o, sotto le maschere dei vari figuranti, c’è
qualcosa di spaventosamente reale?
Per scoprirlo non ci resta che
leggere “Lovecraft’s Innsmouth”, il
nuovo romanzo di Claudio Vergnani, Dunwich Edizioni. Innovativo e
pungente: lo stile dell’autore ha qualcosa di unico che riesce a coniugare
sapientemente il ritmo incalzante dei dialoghi al vetriolo, con le inquietanti
descrizioni del male che minaccia continuamente i protagonisti e tutto ciò che
li circonda. La costruzione della storia è originale e convincente. Il terrore
è talmente ben amalgamato all’ironia che, a volte, è perfino difficile star
dietro a tutti i personaggi, scena dopo scena, in un crescendo di tensione che
ci guida verso un epilogo davvero sorprendente.
Un’avventura
surreale e terrificante, in bilico tra paura e ironia: raccontaci la genesi del tuo nuovo romanzo,
“Lovecraft’s Innsmouth”, Dunwich Edizioni, cosa ti ha ispirato durante la
stesura?
Ho parlato proprio di questo in una
nota introduttiva al romanzo che ho scritto e postato sulla mia pagina
Facebook. La ripropongo con piacere:
“…Tutto è iniziato da un libro. Cosa
non sorprendente, immagino. Si trattava di un’antologia firmata da molti
autori, alcuni celebri (King), altri meno. Racconti senza relazione tra loro
che non fosse il mondo di H. P. Lovecraft. Racconti che citavano personaggi già
comparsi nella produzione del solitario di Providence o altri, inventati, ma
in linea con la celeberrima cosmogonia.
Scovai
tale antologia casualmente in biblioteca, frugando tra gli scaffali in cerca di
qualcosa che potesse solleticare la mia ormai incallita curiosità. Pur
riconoscendone le indubbie doti, non sono mai stato un lettore troppo convinto
delle opere di Lovecraft, ma quell’antologia mi attirava. Prometteva una visione
più recente di un universo immaginativo unico nella storia della letteratura
(non “di genere”, intendo proprio della letteratura tutta).
Era
il libro che avrebbe potuto dirmi come Lovecraft era “sopravvissuto” e come era
stato “traghettato” tra i lettori 2.0.
La
curiosità era stimolata. Lo presi.
Il
tempo di aprirlo e di leggere qualche pagina per scoprire che tale libro non
esisteva. Almeno non quello che avevo creduto io. L’antologia era costituita
di una serie di racconti dove gli autori si limitavano ad imitare lo stile di
Lovecraft con il torto però…
di non essere lui.
Sono
arrivato in fondo, come sono arrivato in fondo all’unica maratona cui ho
partecipato nella mia vita. Stringendo i denti e strisciando sulle ginocchia.
Felice di aver finito e deciso a non ripetere l’esperienza.
Ho
fatto leggere l’antologia a un amico (un vero “talebano degli Old Ones”) e
anche lui – pur tributando il doveroso e mistico rispetto al suo idolo – ha
ammesso che “i racconti non dicono molto”.
E
se non dicono molto, che racconti sono?
Quantomeno
non dicono nulla che Lovecraft non avesse già detto, con la freschezza
dell’originalità.
Iniziò
la discussione che vi risparmio e che si può riassumere in poche parole: È
possibile oggi scrivere “su” Lovecraft dicendo qualcosa di nuovo senza
tradirne lo spirito?
Si
poteva perlomeno tentare. Ecco quindi Lovecraft’s
Innsmouth…”
Chi
sono Claudio e Vergy, i due investigatori dell’occulto, protagonisti di questo
libro e di molte altre avventure? Come li definiresti e, in generale, come
delinei i personaggi delle tue storie?
Mi piace considerarli due uomini. E
che, come tali, rifiutano le bassezze di una società indegna e preferiscono
lottare su più fronti, quando spesso, invece, sarebbe più semplice arrendersi e
farne parte. Fanno ciò che fanno per necessità, e non per convinzione o per
qualche infantile slancio eroico, consci che la verità di oggi è la menzogna di
domani. E viceversa. Rinuncerebbero volentieri alla violenza insita nella loro
professione – e, per quel che possono, la rifuggono – ma sanno anche molto bene
che la vita ha affidato loro un ruolo, e non è facile sottrarsene. D’altro
canto, chi deve fare le cose difficili? Chi può.
L’horror,
in tutte le sue sfaccettature, è decisamente il tuo genere. Che scrittore sei?
Quando hai scoperto questa passione e da dove nasce la tua esigenza di
scrivere?
È abbastanza casuale che io scriva
horror. In realtà, infatti, il mio horror
è pieno zeppo di contaminazioni di altri generi. Sono un lettore onnivoro e i
generi mi sono sempre parsi un modo – onesto e sensato – per permettere al
lettore di orientarsi, ma nulla di più. Tanto per essere chiari, non credo che
se in un titolo io inserisco la parola “cuore” allora automaticamente il
romanzo in questione sarà più profondo nel parlare d’amore. Però ritenevo – e
ritengo – che l’horror possa essere un recinto letterario all’interno del quale
possano verificarsi eventi che toccano in profondità l’animo umano, se
“affrontato” in un certo modo.
È
ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo
pieno? Che ostacoli hai incontrato e incontri ancora oggi nel tuo percorso?
Per me no. Per altri non so. Sugli
ostacoli non saprei che dire. Forse la crisi, il drastico calo dei lettori, un
Paese che non brilla (al di là di quanto voglia far credere) per apertura
intellettuale e per diffusione della cultura, ma la verità è che ciò che è più
duro da affrontare, per me, è il sospetto che molti lettori odierni
preferiscano la ripetizione all’innovazione.
A
cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il
futuro.
Sto lavorando a un noir che dovrebbe
uscire la prossima primavera. Credo sia un bel romanzo, dove elementi
fantastici si fondono con altri d’attualità, in una miscela che spero possa
risultare estraniante per il lettore. La domanda però è: al lettore italiano
medio piace che un romanzo mischi le carte in tavola e gli sottragga quel
placido abbandonarsi che è rappresentato da una lettura prevedibile? Se saremo
in grado di rispondere a tale domanda conosceremo – al di là di tante
congetture, discussioni e ipotesi – il reale stato dell’editoria e della
lettura come fenomeno di costume in Italia. Personalmente, non ho tale
risposta; anche per questo non me la sento di fare altri progetti “letterari”.
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