È il 1964, un’estate insolita
è alle porte e, mentre al Teatro Greco di Siracusa si rappresenta la “Medea” di
Euripide, alla Marina viene ripescato il corpo senza vita di Sebastiano
Spicuglia, il giovane figlio di un cordaro della città. Inizia così l’ultima avventura
del Commissario Paolo Portanova, il personaggio nato dalla penna di Alberto Minnella e nuovamente
protagonista dell’ultimo romanzo del talentuoso autore agrigentino, “Una mala jurnata per Portanova”, Fratelli Frilli Editori.
Per l’imperturbabile
Commissario Portanova si apre un’indagine dai risvolti delicati, durante la
quale egli dovrà fare i conti con un imprenditore ambiguo, un giudice
intransigente e perfino con l’imprevedibile scomparsa del padre della vittima. Riuscirà
Portanova a barcamenarsi tra insofferenze e malumori, a non cedere alla
nostalgia della moglie Carla e alle tentazioni di un’affascinante dirimpettaia?
Col suo stile diretto e
graffiante, Alberto Minnella conferma, ancora una volta, di essere all’altezza
di autori ben più esperti, facendo immergere il lettore in un’atmosfera d’altri
tempi, nella quale l’intuito dell’investigatore era al di sopra di qualsiasi
altro mezzo di ricerca delle prove e esaltando così la genuinità e l’autenticità
dei suoi personaggi. Portanova, infatti, è, prima di tutto, un uomo che fa
delle proprie debolezze delle fedeli compagne di strada da accogliere con quel
pizzico di tagliente umorismo che lo rende ben lontano dai fumettistici supereroi
da thriller ai quali, ormai, siamo abituati. Il Commissario Portanova è uno che
non si vergogna affatto di doversi fermare a riflettere, quando è necessario, perché
la soluzione di un caso, spesso, arriva quando meno te lo aspetti, ma ha sempre
lo stesso profumo: il fragrante aroma di un sigaro Toscano.
“Una
mala jurnata per Portanova”, Fratelli Frilli Editori, è una nuova indagine di
Paolo Portanova, che ci permette di conoscere meglio questo Commissario dal
temperamento unico, alle prese con un caso decisamente insolito. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha
ispirato durante la stesura?
“Una mala jurnata per
Portanova” nasce in un tardo pomeriggio freddo-freddissimo
di un febbraio di due anni fa, con una birra fredda-freddissima in mano e guardando lo sceneggiato Rai “I figli
di Medea”. Mi ha affascinato la disperazione simulata da Enrico Maria Salerno
durante la trasmissione. Ed è proprio dalla simulazione, dalla “maschera” e dal
gioco che ne scaturisce con lo spettatore che sono nati i personaggi di questa
seconda disavventura siracusana datata 1964. Questo, quindi, il punto di
partenza che mi ha invogliato a scrivere il romanzo; una storia disperata, in
cui tutti mentono su tutto, compreso Paolo Portanova, oppresso nel suo ruolo di
poliziotto.
Da
dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione a
qualunque ora del giorno o hai un metodo ben preciso al quale non sai
rinunciare?
Sono come i sigari che
fumo. L’ispirazione non è che la prima fiamma: importantissima per
l’accensione, di certo, ma per mantenere la combustione per come dev’essere,
per una buona fumata, insomma, bisogna che dia le boccate giuste, senza surriscaldare
mai il tabacco o farlo spegnere troppo spesso. Ecco, quando scrivo mi faccio
prendere da un’idea per me straordinaria, che m’accende, che vince la mia pigrizia
e mi fa sedere alla scrivania. Poi, in silenzio, ci lavoro in maniera quasi
ossessiva, scrivo per il doppio che posso e leggo per il triplo, cercando di
non far troppo caso all’alito fetido dell’insuccesso che ogni scrittore ha sul
collo prima che qualcuno legga il nuovo racconto partorito.
Chi
è Paolo Portanova, il protagonista del tuo romanzo? Come lo definiresti e, in
generale, come delinei i personaggi delle tue storie?
Una critica sui miei
personaggi sarebbe faziosa e forse un pizzico presuntuosa. Di Portanova, però,
posso dire che è un uomo onesto, genuino e che fa il suo mestiere senza
eroismi, con poltroneria e tantissima calma. Distratto da una malinconia
ancestrale, senza alcuna via d’uscita.
Al
giorno d’oggi, come dimostrano le pagine di cronaca, le indagini scientifiche
sembrano prevalere su quelle tradizionali: come mai hai deciso di ambientare i
tuoi romanzi negli anni Sessanta, discostandoti da un’attualità fatta di DNA,
impronte digitali e luminol?
Il mio modo di vivere è
caotico e spesso non prendo mai il verso
giusto. E per verso giusto intendo quello che, di solito, ci si aspetta da
un uomo contemporaneo: dalla sua carriera programmata, all’impossibilità di fallire.
Guai neri, se capita, c’insegnano. Niente di scientifico e di programmato,
insomma. Credo fosse inevitabile, quindi, riversare tutto questo nelle mie
storie, nei personaggi e nella maniera in cui essi interagiscono con il mondo.
Forse i miei romanzi ad
alcuni sembreranno poco originali (Un
altro commissario? Uff! Per carità…), ad altri eccessivamente azzardati (Un poliziotto che non riesce a scoprire con
arguzia chi sia l’assassino? Caspita, voglio leggerlo!), ma sono certo di
una cosa: nei racconti di Portanova ci sono io, con la mia apatia, le mie
ossessioni, le mie euforie, il mio carattere difficile (per chi mi sta vicino),
il mio pessimo rapporto con il telefono e le distanze e i dolori subiti che
sono tagli profondi. Sono romanzi scritti con onestà e tanto, tanto
divertimento. E spero che questo passi al lettore. Nient’altro. A me piace
raccontare le storie che vorrei leggere. Lascio le rivoluzioni a chi le sa
fare.
A
cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il
futuro.
Sto lavorando al terzo Portanova che chiuderà la stagione
del ’64 e aprirà un nuovo ciclo di storie, sempre più dure, caotiche,
malinconiche, che sanno di sigari buoni, di birra gelata e dei colori della
Siracusa che ho vissuto io.
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