Giuliano Dego è
davvero uno scrittore d’altri tempi. Di quelli come, forse, non ne esistono
più, in grado di mettere il valore della scrittura al di sopra di ogni altra
cosa. Docente universitario per oltre vent’anni, tra Glasgow, Leeds e Londra,
ha pubblicato più di trenta libri in Europa e in America, spaziando dalla
narrativa di genere, alla poesia e curando anche molte edizioni italiane di
grandi classici. La sua stessa carriera è interessante come un romanzo e la sua
esperienza d’autore lo ha portato a confrontarsi con molte realtà editoriali,
tanto che è riuscito a trovare sempre la sua dimensione, dal grande, al piccolo
editore, passando anche attraverso molte redazioni giornalistiche. Il suo
ultimo romanzo “Il Segreto di Duska”,
edito da Giuliano Ladolfi Editore, che
abbiamo avuto il piacere di leggere e apprezzare per lo stile e la profondità,
è molto più di un thriller, poiché racchiude in sé il racconto di una vicenda
umana di grade interesse, come ci racconterà lo stesso autore, attraverso gli
occhi di personaggi che ci catturano per la loro credibilità, sempre in bilico
tra amore e morte.
Che scrittore sei?
Segui l’ispirazione a qualunque ora del giorno o hai un metodo al quale non
puoi rinunciare?
Seguo l’ispirazione, e te lo provo. Ho iniziato a scrivere in
inglese nel dicembre 1960, quando insegnavo Letteratura Italiana all’Università
di Glasgow. In quel periodo collaboravo con articoli e racconti al Glasgow Herald, il più antico e massimo
quotidiano scozzese, e pensavo che sarei diventato uno scrittore di lingua inglese.
Nel 1962, titolare di una cattedra di Letteratura Italiana all’Università di
Leeds, ho continuato collaborando al Penguin
book of European Literature, con 24 ritratti critici di poeti italiani del
Novecento. E ho iniziato a scrivere Moravia
per la collana Writers and Critics, che
pubblicava, in hardback e paperback, presso Oliver and Boyd nel
Regno Unito e Barnes and Noble negli USA. Il libro ha ottenuto un buon successo
di critica anche in Italia. Attilio Bertolucci, per dire, ne ha pubblicato un’ottima
recensione su Il Giorno. Aggiornato e intitolato Moravia
in bianco e nero, è uscito in italiano nel 2008, a cura di Giampiero
Casagrande Editore, un Editore svizzero con sedi a Lugano e Milano.
Mi rendo conto che, per i pragmatici inglesi, il talento di
uno scrittore torna utile all’Editore, mentre in Italia esso rappresenta una barriera,
a meno che lo scrittore sia amico dell’Editore, o “intrallazzato” con un
direttore di collana. Sono però cresciuto qui e provo emozioni più intense scrivendo
nella mia lingua d’origine.
Raccontaci la genesi
del romanzo Il Segreto di Duska, edito
da Giuliano Ladolfi Editore: come lo definiresti? Cosa ti ha ispirato durante la
stesura?
Tutti i miei romanzi, da L’ulcera,
a Il Dottor Max, da Seren la Celta, a Il segreto di Duska, i miei poemi narrativi, da La storia in rima, a Il poema dell’aldilà, e le mie raccolte
poetiche cercano verità e giustizia. Gli orrori che ho vissuto da bambino mi
turbavano, anche intellettualmente. C’era la guerra, e subivamo mitragliamenti
e bombardamenti che ci hanno costretti a sfollare, vivendo delle castagne cotte
che raccoglievo sui monti. I miei libri sono dunque “investigativi”. Ciò significa,
tra l’altro, che li scrivo perché vengano letti, e non perché sfoggino frasi ampollose
che bloccano il lettore.
Quando racconto a un qualsiasi inglese che la BUR ha
pubblicato Il Dottor Max in una prima
edizione di settemilacinquecento copie, le ha vendute e ha programmato la
seconda edizione, senza però arrivarci perché è cambiato il direttore della
collana, scuote il capo sconcertato. Anche Il
segreto di Duska fila via veloce, un fatto dopo l’altro, senza sbavature.
Quando l’Editore Ladolfi mi ha chiesto come mai, dopo aver pubblicato con Rizzoli
e Mondadori, mi sia rivolto a un piccolo editore – che comunque, chiarisco, non
si fa pagare – gli ho risposto che, alla mia età, non potevo permettermi di
aspettare anni per sapere che un mio libro era degno di pubblicazione. Ladolfi,
per contro, si comporta da inglese, risponde alle lettere, e ascolta, al caso,
i consigli degli autori.
Quanto ai contenuti, Il
segreto di Duska è una storia d’amore in un romanzo investigativo che scopre agghiaccianti documenti
ufficiali. Un thriller con partenza quieta e vicende drammatiche sempre più
incalzanti, il solo che apra un varco nei misteri più oscuri della medicina
ortodossa, toccando la nostra vita. La giovane Dottoressa Duska De Amicis
giunge, infatti, da Roma in una cittadina delle Alpi, per aprirvi il suo primo
ambulatorio. Ma inconfutabili documenti scientifici ne mettono in crisi la
fiducia nella medicina farmacologica per quanto riguarda le malattie degenerative.
Con l’affetto e il coraggioso sostegno del compagno, sottopone i pazienti
malati di tumore alla terapia biologica del Dottor Max Gerson, definito, da un
suo paziente, il Nobel Dottor Albert Schweitzer, “uno dei geni più eminenti
nella storia della medicina”. Ma, benché sia stata convalidata dal’American
Cancer Society e da ogni altra
fonte ufficiale, la Terapia viene ignorata dai colleghi,
lasciando spazio a un misterioso delitto.
Il segreto di Duska è
in effetti un thriller che aggiunge sostanza e profondità al genere.
In un Paese come il
nostro, dove i lettori sembrano diminuire costantemente, è ancora possibile,
secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Che difficoltà
stai incontrando nel tuo percorso?
Alla prima domanda ho già risposto, anche se indirettamente.
Aggiungo che, tranne Camilleri e Moravia – ma Moravia nei suoi ultimi romanzi è
scivolato nell’erotomania – non conosco scrittori italiani che vivano dei loro
libri. Quante volte, per questo, mi sono pentito di essere tornato all’italiano!
Ma con esso torna il mio passato e mi consolo.
Ogni autore di talento
deve essere anche un lettore curioso: a quale libro sei più legato? E cosa stai
leggendo attualmente?
Gli autori che più amo sono Victor Hugo per il romanzo e Lord
Byron per il Don Juan, poema
narrativo in ottava rima. Tra i molti
libri da me curati per la BUR, c’è il primo romanzo di Hugo, Bug Jargal, e l’ultimo, Novantatrè, per qualche aspetto il
migliore. Si tratta di un grosso volume, la cui introduzione e il commento mi
sono costati molto lavoro. Ma l’edizione, lodata e pagata, non è mai stata pubblicata.
Quanto al Don Juan, la mia traduzione
in ottava rima del primo canto, ha fatto una decina di edizioni, cosa inaudita
per un volume di poesia. Ma il nuovo curatore della collana BUR non mi ha mai chiesto
di tradurre i sedici canti successivi. Sic
transit gloria mundi, almeno nel Bel Paese.
A cosa stai lavorando
in questo periodo? Di cosa ti occuperai nel prossimo romanzo? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per
il futuro.
Nel maggio 2014 l’Editore
Ladolfi ha pubblicato Il poema
dell’aldilà – dal registratore le voci dolci o inquietanti dei semprevivi. Per
tre anni, in effetti, sui nastri del mio portatile ho conversato coi morti. Si
tratta di incontri con l’incredibile, il pazzesco in assoluto, l’evento più
sconcertante che possa accadere a un uomo sulla terra. Stiamo parlando di
contatti meccanici, e quindi controllabili a volontà, anche se incontrollabile
resta la sorda e cieca supponenza dei “benpensanti”, bloccati da un
“razionalismo” totalitario, un oscurantismo alla rovescia, che ci impedisce di
fare un balzo in avanti, spirituale e conoscitivo.
Mi sono concentrato
sulla nostra vita nell’aldilà, perché si tratta della ricerca che attualmente mi
coinvolge. Visto attraverso il contatto diretto con gli spiriti, l’aldilà non è
quello di Dante, fermo ai dogmi di San Tommaso d’Aquino e della Tradizione
Cattolica Romana. Il mio poema, in effetti, è il primo sull’argomento scientificamente
documentato. Ne Il poema dell’aldilà si
fanno vivi spiriti buoni e spiriti malvagi, che però non sono demoni. Quanto
alla loro pena, essa non è il fuoco eterno. È mentale e relativa al loro
evolversi. Chi vuole, può farlo pentendosi e tramite successive reincarnazioni.
Ciò non toglie che gli stessi spiriti sconsiglino di occuparsi di evocazioni
medianiche o registrazioni su nastro per frivola curiosità e senza la dovuta
preparazione. Il rischio di imbattersi in entità malefiche è elevato.
Ho parlato diffusamente dell’aldilà, non solo perché Il poema dell’aldilà è narrativo, ma
perché Il mistero dell'ombra furtiva,
il romanzo che sto scrivendo, è un giallo mozzafiato in cui, indagando su inusitati crimini, un poliziotto e una criminologa
penetrano l’enigma della nostra vita attraverso contatti diretti coi trapassati. Sto anche scrivendo la mia
autobiografia, che intitolerò Una vita
per capire. Estraniato da un mondo denso di violenze senza riscatto, indago
sul mio passato e quello della mia gente. Alternando umorismo e introspezione,
con prosa colloquiale e fluida, racconto le tensioni segrete della mia
fanciullezza attraverso il Fascismo e la guerra, poi i viaggi e gli amori di
gioventù, il disagio di una educazione convenzionale, la storia di un falso
amico e il mio destino di scrittore – vissuto e attivo per decenni in Gran
Bretagna e negli Stati Uniti. Quanto ai miei progetti per il futuro, ho pronto
per la pubblicazione un volumetto di poesie intitolato Piume nel tempo. La raccolta potrebbe interessare molti lettori:
essa illustra, di fatto, le mie reazioni alle realtà di costume, politiche,
culturali e cosmiche e, quindi anche intime, del nostro tempo.
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