martedì 12 maggio 2015

Il mio nome è Olimpia Orioli


Nella stanza di Luca c’era un cassetto chiuso. Uno di quei cassetti dove, a vent’anni, ti arrabbi se la mamma ficca il naso per mettere ordine. Uno di quei cassetti in cui i sogni diventano poesie, scritte su fogli stropicciati e quaderni di tanti colori. Uno di quei cassetti che Luca avrebbe riaperto solo molti anni dopo, da uomo adulto che, magari trasferitosi per farsi una posizione, tornava a casa per le feste a riabbracciare la famiglia. E avrebbe sorriso di sé stesso, Luca, e della sua ingenuità di ragazzo. Avrebbe sorriso di quei pensieri apparentemente sconnessi, destinati a rimanere segreti per la maggior parte di noi. Avrebbe sorriso di una purezza che non ricordava di avere, ormai così preso dalla frenesia della vita quotidiana.
Luca Orioli non aprirà mai più quel cassetto. Il tempo su di lui si è fermato quella sera del 23 marzo 1988 a Policoro, quando il suo corpo senza vita è stato ritrovato accanto a quello della fidanzata, Marirosa Andreotta, nel bagno della casa di lei.
Ma quel cassetto non è rimasto chiuso. Ci ha pensato mamma Olimpia, con la dolcezza e il coraggio che solo una madre può avere, a dare nuova vita al suo Luca. Olimpia ha messo ordine nel proprio cuore, prendendosi cura di Luca ancora una volta. I sogni, i pensieri e le speranze di Luca sono oggi raccolte in un libro dal titolo “Il mio nome è Luca Orioli”, edizioni Giuseppe Laterza, e costituiscono una preziosa eredità spirituale fortemente voluta da Olimpia. Perché ad un dolore eterno non si può che rispondere con l’eternità del ricordo.

Chi era Luca e quante volte al giorno pensi a lui?

Luca è, per me. Continua a vivere, al contrario di tanti viventi che vivono da morti, coi loro pesi sul cuore. Luca è vivo dentro di me, respira con me e vive in ogni mia cellula. Non posso dire quante volte al giorno lo penso, perché è con me continuamente. Ogni cosa che faccio, penso, dico, lui è con me. È la mia forza, la mia luce, la mia grazia, la mia dolcezza, la mia capacità di amare tutti come fossero Luca. Sento che questo è il suo grande desiderio e quindi mi metto in sintonia con questo amore, per lui divino, per me divino solo internamente, per il momento. E così riesco a vivere gioiosamente, con entusiasmo. Così il dolore per tutte le situazioni subite, sofferte e che veramente mi hanno straziato il cuore, questo dolore è per me fonte di elevazione, per cui io affronto tutto e riesco a trovare dentro di me tutte le energie e le risorse necessarie. Quindi, anche se intorno non dovessi avere nulla, so dove potrei attingere vita e vitalità. Se Luca adesso è in grado di essere per me tutto questo, si può facilmente immaginare come fosse in vita. Era uno studente modello e un figlio meraviglioso che, da piccolo, giocava con me, scherzava, mi dava i baci sugli occhiali, mi slacciava il grembiule. Una volta cresciuto ci sentivamo ogni sera e con lui dovevo parlare di tutto: dalla moda, alla letteratura, passando per la musica, la filosofia, l’arte, insomma proprio di tutto quello che, magari, durante la giornata, aveva attirato la sua attenzione o mosso una sua riflessione. Tutti mi dicevano che Luca era il figlio che ogni mamma avrebbe voluto avere e me lo dicevano già quando era in vita.

In questi anni qual è stato il momento più difficile, in cui hai creduto di non farcela?

Ce ne sono stati tanti, soprattutto ogni volta che dovevo andare in Tribunale. Diventavo di marmo, era come salire al patibolo. È una sensazione che fatico a descrivere. Ricordo un episodio in particolare: quando il caso è stato chiuso per la terza volta, ero convinta di non farcela. Invece quando mi è arrivata la notizia ho sentito come se il mio cuore fosse stretto tra le mani di qualcuno che lo teneva sollevato, tanto che io non ne sentivo più neppure il peso. Percepivo questa leggerezza indescrivibile, come se fossi stata un’altra, come se quella che ascoltava la notizia fosse un’altra persona e non io stessa.

Di fronte ad una storia così drammatica e assurda quanto spesso ci si chiede perché è accaduta e perché proprio a noi?

No, mai. Quello che riuscivo a chiedere a Dio è stato solo di dirmi cosa avevo fatto per meritare ciò che mi stava capitando e non il perché stesse accadendo a me. Chiedevo cosa avessi fatto per meritare tutto questo dolore e perché Dio non si commuovesse di fronte a questa sofferenza straziante e senza limiti, aggravata dalle menzogne di chi mi aveva nascosto la verità e me l’aveva negata di fronte alla legge. Costoro sopportano il peso di una verità che è stata negata, travisata, dissimulata sotto i cavilli procedurali, coperta dall’incompetenza. Hanno usato armi che io definisco profondamente illegali e che ledono il diritto del cittadino, che fa semplicemente appello alla Costituzione e alla legge. Anche se purtroppo ho dovuto constatare che sembra non esserci una legge che protegga l’onesto, sono e resto garantista. Spesso però la legge protegge il delinquente e quindi Caino viene difeso da tutti, mentre Abele viene ignorato, banalizzato ed è oggetto di tutto il male al quale deve quasi abituarsi, se vuole sopravvivere.

Come si fa a non essere solo arrabbiati per l’accaduto e increduli per le motivazioni che si sono ricostruite nel tempo?

In tutto questo tempo io mi sono convinta che il male è di chi lo fa, non di chi lo riceve. Se io mi dovessi mettere a confronto con chi ha taciuto e con chi non è stato in grado di compiere il proprio dovere, sia testimoni, sia inquirenti, io mi sento infinitamente più fortunata di loro, perché non devo vivere con questi pesi sulla coscienza e so che sulla mia anima non potrà scendere nessuna goccia di sangue innocente, la mia anima è rimasta pulita. Se penso a Luca credo che lui non avrebbe voluto rancore da parte mia. Dovevo riuscire a trasformare i risentimenti in sentimenti, chiedendo a Dio di darmi la forza di continuare a credere, a lottare, a sperare. A Dio ho chiesto solo di essere resa strumento di bene e nient’altro. Questo mi ha aiutata. Ero arrabbiata e lo sono stata per molto, ma si è trattato di una rabbia figlia del bene. Mi domandavo continuamente perché chi sapeva qualcosa non parlasse e non fosse toccato dal pensiero di lasciare un’eredità così pesante ai propri figli, oltre a quella che si sarebbero portati dentro. Non c’è luce quando c’è senso di colpa e nessuno più di me capisce quanto è terribile vivere senza luce interiore. Per questo, in tanto buio, io ho cercato la mia luce e ho preso esempio dalla pianta che quando intorno a sé non ha né acqua, né luce, né aria, affonda le sue radici e cerca tutto quanto ha di riserva nelle sue profondità, per sopravvivere. Questo è esattamente quello che ho fatto.

Dalla raccolta di tutti gli scritti e le poesie di Luca è nato un libro di rara profondità, che dimostra quanto le domande e i sogni dei giovani siano così simili in ogni tempo e in ogni epoca. Chi sarebbe oggi Luca?

I sogni di Luca, in quel cassetto chiuso, che io ho aperto e ho messo a disposizione di tutti, sono i sogni di tutti gli altri giovani che adesso, attraverso lui, mi stanno chiedendo di fare qualcosa per loro. Di fare qualcosa per amore e cercare di sopperire alle tante situazioni in cui i giovani rimangono da soli e vengono ignorati, maltrattati. Io non so come, ma sento che Luca continua a vivere nei sogni degli altri giovani e di tutte le altre persone che oggi hanno l’età che avrebbe avuto lui, ormai non più giovanissimi. Il mio impegno è per tutti, tutti coloro che sono stati giovani come Luca e che ora invecchiano, mentre Luca è rimasto giovane per sempre. Si tratta di sogni belli, liberi, freschi, verdi, che vengono rivissuti attraverso le poesie di Luca e io cerco di alimentarli con questo amore che Luca mi ha lasciato in eredità. È a questi suoi scritti, che sono per me un’immensa eredità spirituale, che la mia vita si ispira ogni momento. Luca è nei suoi sogni e sono sicura che, se fosse qui, li avrebbe realizzati tutti con l’entusiasmo che lo contraddistingueva.

Quali sono stati, in questo lungo periodo di dolore e ricerca, i cinque minuti di felicità che ti hanno permesso di continuare a vivere?


Veramente non sono solo cinque minuti. Ogniqualvolta riesco a donare un sorriso o farlo nascere sul viso di chi era triste, io vivo l’immensità di Luca, la sua profondità spirituale, il suo arrivo presso Dio. È come se mi mettessi le ali e riuscissi a raggiungerlo e questo mi unisce ancora di più a lui. E siccome di sorrisi, per fortuna, ne faccio partorire tanti nelle persone che mi stanno accanto, mi sento felice e vicina a Luca. Ormai far nascere un sorriso è la mia unica aspirazione e mi dà una gioia così profonda, da farmi chiedere al Signore di non farmi morire fino a quando potrò essere sorriso e speranza per chiunque Egli voglia.

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