mercoledì 20 gennaio 2016

Massimo Fagnoni: vi racconto la mia Bologna

Foto di Donata Cucchi

Un incontro fortuito alla macchinetta del caffè della piscina dove si tiene in allenamento dà il via alla seconda indagine di Galeazzo Trebbi, poliziotto in pensione, ma investigatore privato per necessità che sembra proprio non poter appendere il distintivo al chiodo. Inizia così “Bologna non c’è più”, il nuovo romanzo di Massimo Fagnoni, edito da Fratelli Frilli Editori. L’autore torna a emozionarci e a farci sorridere grazie all’acume e alla graffiante personalità del suo protagonista, Galeazzo Trebbi, costretto, questa volta, a fare i conti con un’indagine più complessa di quel che appare, che lo porterà a confrontarsi col recente passato del nostro Paese. Il suo, infatti, è un viaggio attraverso i gruppi di estrema sinistra più ai margini della sua Bologna, ma anche fra le inquietudini e le frustrazioni dei cosiddetti nuovi poveri, famiglie che, prima di quest’asfissiante crisi che ci attanaglia, non avevano alcun problema ad arrivare alla fine del mese e che, oggi, sono costrette a vivere alla giornata.
In un colorato mosaico di personaggi di ogni tipo, Massimo Fagnoni delinea una Bologna squisitamente provinciale, eppure piena di slancio verso un futuro di obbligata globalizzazione delle diverse culture che la abitano, con lo spettro del terrorismo sullo sfondo. Un terrorismo che non ha i colori dei paesi arabi, ma che affonda le radici nella Storia recente del nostro Paese e che alcuni, nutriti dall’insoddisfazione e dalla voglia di riscatto, sembrano voler riportare alla ribalta, costi quel che costi. Ecco, quindi, che Trebbi, assunto da una ricca famiglia bolognese per proteggerne il rampollo, dovrà fare i conti con un garbuglio che, anche grazie al fedele amico, il Commissario Guerra, riuscirà a essere sbrogliato sul filo del rasoio, tra le strade di una Bologna tinta di nero.



“Bologna non c’è più”, Fratelli Frilli Editori, è una nuova indagine di Galeazzo Trebbi, nel quale il protagonista deve fare i conti col passato. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Sono cresciuto negli anni Settanta, quando rapirono Aldo Moro avevo diciotto anni e ricordo che, quel tragico giorno, c’era gente gioiosa lungo le scale del mio liceo. All’epoca il terrorismo era un miscuglio di confuse ideologie vissute dai giovani dell'estrema sinistra come una sorta di fascinazione irresistibile.
Allora era in atto una profonda crisi socio economica nel nostro Paese non dissimile da quella attuale. La differenza, oggi, è che la precarietà e la miseria aggrediscono il ceto medio, i dipendenti pubblici, i giovani. L’idea di questo romanzo è nata proprio dalla frustrazione di chi, per lavorare, è costretto a subire e ad abbassare la testa e anche dal desiderio di fare una riflessione disincantata sul terrorismo nostrano.

Da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare?

Parafrasando la risposta di Paolo Giordano a un’intervista, spesso la scrittura ti travolge, ti costringe a rivedere scelte di vita, sia professionali, sia esistenziali. A volte la scrittura creativa è una sorta di compulsione: si scrive per scoprire qualcosa, si scrive per raccontare al mondo la propria idea di realtà, si scrive per passione, per esorcizzare una paura, per insoddisfazione, lo scrittore è spesso un “frustrato”.
Per quanto riguarda l'ispirazione, non ho momenti precisi della giornata nei quali mi metto a scrivere e non ho un metodo, l'unica cosa che posso dirti è che penso sempre a ciò che sto scrivendo, immagino le scene e le “mastico”, le rimugino dentro, poi, quando ho voglia o tempo, le scrivo.

Chi è Galeazzo Trebbi, il protagonista del tuo romanzo? Come lo definiresti e, in generale, come delinei i personaggi delle tue storie?

Trebbi è un poliziotto in pensione, un investigatore privato più per necessità che per scelta. Galeazzo è un vedovo cinquantasettenne, con una figlia disabile e alcuni scheletri nell'armadio. Era un bravo poliziotto e adesso è un bravo investigatore, cinico, sovrappeso, con una personale idea di giustizia e amante della buona letteratura.  Lui nasce dalle mie letture, dal mio amore per il noir metropolitano, nel suo personaggio c'è sicuramente l'hard boiled americano, ma anche qualcosa di Simenon, e, perché no, qualche spunto tratto da Camilleri. Ma, alla fine, ci sono soprattutto io con le mie personali idee relativamente al nero e ai lati oscuri di Bologna.

Nei tuoi libri l’attualità e, in particolar modo Bologna, la tua città, occupano un ruolo di primo piano: come mai? Cosa vuoi comunicare?

Bologna è la mia città, il luogo che conosco meglio, crocevia di tanta cultura, di tanta vita mia e italiana in genere. È una città fantastica nella sua dimensione provinciale, ma, nello stesso tempo, una finestra aperta sull'Europa. Io l'ho molto amata e, a tratti, anche odiata. Invecchiando sto riscoprendola e sto cercando di convivere con le sue contraddizioni. In realtà non voglio comunicare niente, ma solo raccontare delle storie, sarà il lettore a decidere cosa conservare dei miei racconti.

È ancora possibile, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Facciamo un bilancio del tuo percorso personale: che ostacoli hai incontrato, o incontri ancora oggi, e cosa ti auguri per il tuo futuro?

Io scrivo da circa dieci anni e pubblico da cinque. Non ho incontrato particolari ostacoli nel mio percorso, ma questo dipende sempre da quale obiettivi ci si prefigge. Attualmente pubblico con quattro case editrici, due locali, una milanese e una genovese. Sono tutte case editrici prestigiose, anche se non fanno parte del monopolio delle potenti, sono oneste e lavorano molto bene.
Certo, mi piacerebbe pubblicare un giorno con Mondadori, Einaudi, Rizzoli, coi grandi nomi, insomma, ma non sono sicuro che mi garantirebbero una cura maggiore di quelle con le quali lavoro adesso.
Il problema degli scrittori è sempre la distribuzione e soprattutto la promozione delle loro opere e su questo aspetto devo lodare la Casa Editrice Fratelli Frilli, perché ci mettono davvero l'anima nel fare pubblicità ai loro autori e li tutelano molto.
Se uno scrittore pensa che basti scrivere un buon libro per poi riuscire a venderlo ha sbagliato settore.
In Italia credo che siano meno di dieci gli scrittori che vivono unicamente di questo lavoro. Per me scrivere è passione, sacrificio e richiede una buona dose di nevrosi e una sorta di smania, di insoddisfazione che spinge sempre a cercare nuovi percorsi e io ringrazio il cielo di avere un altro lavoro che mi permette di “campare” e di avere abbastanza tempo libero per coltivare questa insana, potentissima passione.

www.massimofagnoni.com 



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