venerdì 8 gennaio 2016

Marisa Golinucci: la ricerca della verità sulla scomparsa di Cristina e la storia dell’Associazione Penelope Emilia


È una giornata calda. Quando Cristina Golinucci si mette alla guida della sua Cinquecento è da poco passata l’ora di pranzo. Ha salutato la mamma Marisa con un sorriso e sta percorrendo le dolci colline nei dintorni di Cesena, diretta verso il Convento dei Cappuccini, a pochi chilometri da casa. È il 1 settembre 1992, ma sembra ancora piena estate e Cristina è pronta per un pomeriggio intenso. Ha tante commissioni da fare, perché, il giorno dopo inizierà un nuovo lavoro come ragioniera in un piccolo ufficio, ma, prima di ogni altra cosa, deve raggiungere Padre Lino, il Priore del Convento e suo Padre spirituale, per raccontargli com’è andato il campo estivo organizzato per i bambini delle Parrocchie circostanti e dal quale è appena tornata.
Sono passati più di ventitré anni da quando Cristina Golinucci ha posteggiato la sua vecchia Cinquecento nel parcheggio del Convento dei Cappuccini di Cesena, ma a quell’appuntamento col suo Padre spirituale non è mai arrivata. Tante estati si sono susseguite da allora e un orribile mistero che, nel corso degli anni, ha assunto le tinte fosche di un giallo sul quale ancora non si è fatta luce, sembra averla inghiottita. Le indagini non hanno condotto a nulla, nonostante uno scenario ben preciso si sia profilato pian piano, rivelando lo spettro di una probabile aggressione.
Ma quanto si è fatto realmente per cercare Cristina e quanto davvero si sarebbe potuto fare? È questa la domanda che ancora si pone Marisa Golinucci, la mamma di Cristina. In tutti questi anni Marisa non si è mai arresa e, ancora oggi, sta continuando a cercare la verità sulla sorte della figlia, trasformando la sua personale battaglia in una missione di vita al servizio degli altri, tanto che, dal 2002, è Presidente dell’Associazione Penelope Emilia.

Chi è Cristina? Ci racconti la sua storia.

Cristina era una ragazza di ventun anni semplice e solare, che si dedicava spesso al volontariato e alla cura del prossimo. Era Ragioniera, ma non aveva ancora trovato un lavoro fisso. Era molto calma e pacata e attaccatissima alla famiglia, tanto che, quando ancora non si usavano i cellulari, trovava sempre il modo di avvisarci quando faceva tardi, anche solo di pochi minuti, per non farci stare in pensiero. Era determinata a realizzarsi e a non pesare in nessun modo sulla famiglia. Ricordo, ad esempio, che, quando compì diciott’anni, invece di fare un viaggio all’estero, preferì investire i soldi che le avevamo regalato per prendere la patente, così da essere sempre più autonoma e indipendente. Quando riuscì a prendere la patente le regalammo una Cinquecento usata ed eravamo davvero molto contenti che potesse muoversi più liberamente. Pensavamo di averla messa al sicuro e ci sentivamo meno in ansia ogni volta che usciva, perché sapevamo che era sempre prudente e giudiziosa. Sin da piccola Cristina ha sempre frequentato la Parrocchia e, abitando un po’ fuori dal paese, eravamo soddisfatti di essere riusciti a farle un regalo che le permetteva di spostarsi per continuare a portare avanti tutti i suoi impegni fuori casa.

Cosa è accaduto il giorno della scomparsa e come si sono svolte le ricerche nel corso degli anni?

Il 1 settembre 1992 Cristina aveva preso appuntamento con Padre Lino Ruscelli, allora Priore del Convento dei Cappuccini che si trova sulle colline di Cesena, a una decina di chilometri da casa nostra, dove lei si recava spessissimo anche con gli amici e col suo gruppo di preghiera del sabato sera. Cristina doveva raccontare al Priore, suo Padre Spirituale, l’esperienza appena fatta a un campo estivo organizzato per i bambini e gli adolescenti delle Parrocchie limitrofi, al quale lei aveva partecipato come animatrice. Cristina amava parlare con le persone e mi aveva raccontato di essersi divertita molto, non vedeva l’ora di raccontare tutto al Priore e aveva insistito per incontrarlo proprio quel martedì 1 settembre, intorno alle quattordici e trenta, perché il giorno successivo avrebbe iniziato un nuovo incarico come Ragioniera in un ufficio e aveva molte commissioni da sbrigare.
Ricordo di averla salutata intorno alle quattordici, certa che ci saremmo riviste la sera stessa prima di cena, visto che, intorno alle ventuno, saremmo dovute andare insieme a una festa parrocchiale. Verso le diciannove, non vedendola rientrare, ho iniziato a preoccuparmi e a fare diverse telefonate, cercando di ricostruire tutti gli appuntamenti ai quali avrebbe dovuto recarsi nell’arco del pomeriggio. Nessuno l’aveva vista, neppure al Convento dei Cappuccini. In quel momento mi resi conto che non c’erano più tracce di lei da quando era uscita di casa sulla sua Cinquecento.
Siamo usciti immediatamente a cercarla tutti insieme e abbiamo trovato la sua auto regolarmente posteggiata nel parcheggio del Convento dei Cappuccini, così abbiamo deciso di bussare per chiedere di nuovo notizie, ma il Priore ci ha detto che Cristina non si era presentata all’appuntamento. Il parcheggio, inoltre, è piuttosto isolato e nessuno sembrava aver fatto caso a Cristina o aver sentito qualcosa di insolito quel giorno. L’auto era chiusa e, all’interno, tutto era in ordine, ma di Cristina non c’era traccia.
È stato fatto ben poco per cercare Cristina. Solo noi della famiglia non abbiamo mai lasciato nulla di intentato, mentre per gli inquirenti si è trattato, fin da subito e per i primi due anni, di una semplice fuga volontaria. Immediatamente dopo la scomparsa, sui giornali è stato scritto di tutto su Cristina, addirittura che potesse avere una doppia vita e queste menzogne ci hanno fatto soffrire molto, ma non ci siamo mai arresi nelle nostre ricerche.
Due anni dopo la sparizione di Cristina un ragazzo extracomunitario, che era ospite del Convento dei Cappuccini, Emanuel Boke, stuprò una ragazza nelle campagne circostanti, sequestrandola per oltre un’ora, prima di lasciarla andare. Boke venne arrestato e, dopo essere stato processato, venne condannato a sette anni di reclusione per quella orribile violenza, anche se ne ha scontati solo quattro, prima di essere scarcerato per buona condotta. In tutti noi nacque il sospetto che, visto che Boke era già ospite del Convento nel periodo nel quale scomparve Cristina, potesse essere coinvolto nella sparizione e che, magari, potesse essere stato proprio lui a farle del male. La stessa ragazza sopravvissuta alla violenza ci ha confidato, tempo dopo, che, probabilmente, se le cose fossero andate proprio in quel modo e Cristina si fosse ribellata alle sevizie, secondo lei Boke non avrebbe esitato a ucciderla, perché aveva dei veri e propri raptus di violenza. Quando il Priore del Convento si recò a trovare Boke in carcere, il ragazzo confessò di essere proprio lui l’assassino di Cristina e di aver fatto sparire il corpo, ma non si fece nulla per appurare la cosa in tempi brevi e Boke smentì subito questa confessione, finché non uscì dal carcere. Tutte le ricerche e le indagini successive non hanno avuto alcun esito e il lavoro degli inquirenti è sempre stato superficiale e discontinuo, purtroppo, nonostante i nostri continui appelli.


Lei che idea si è fatta: cosa può essere accaduto a Cristina? Chi le è stato più accanto in questo lungo periodo di dolore e che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, l’opinione pubblica per aiutare le famiglie di fronte a un caso di scomparsa?

Io sono convinta che il Convento sia la tomba di mia figlia Cristina e continuerò a gridarlo finché non avrò risposte precise e non saprò la verità. Credo che sia stato proprio Emanuel Boke a uccidere Cristina per poi nasconderne il corpo. Vedendo che la giustizia non riusciva a darci risposte, quando Boke era ancora in carcere, decisi di scrivergli, esprimendogli il mio desiderio di incontrarlo. Così, grazie anche all’aiuto della Caritas, riuscii ad avere un colloquio con lui, nel quale egli continuò a difendersi, dichiarando di non essere lui il colpevole, ma lasciandoci, comunque con molti dubbi. Da allora, non ho avuto più notizie di lui e la verità sulla sorte di Cristina è ancora un mistero.
L’opinione pubblica è importantissima nei casi di scomparsa e chi sa qualcosa deve sempre farsi avanti, questo è il nostro motto. Ci siamo sentiti soli e abbandonati dalle autorità per molto tempo. La solidarietà, invece, è importante per tutti noi, affinché le nostre storie non vengano dimenticate.

La vicenda che ha coinvolto la sua famiglia l’ha vista in prima linea nell’affrontare il difficile problema degli scomparsi in Italia, tanto che è diventata Presidente dell’Associazione Penelope Emilia. Facciamo un bilancio di questa esperienza: quali sono gli obiettivi raggiunti e quali gli ostacoli contro cui l’Associazione si scontra quotidianamente?

L’obiettivo dell’Associazione Penelope è quello di umanizzare le leggi che regolano i comportamenti da tenere nei casi di scomparsa. Quando Gildo Claps, nel 2002, ha chiamato me e tanti altri familiari di persone scomparse e chiese il nostro sostegno per gestire l’Associazione, dandogli, così, un carattere capillare su tutto il territorio italiano, mi sono sentita onorata e sono entrata a far parte di una vera e propria grande famiglia. La Legge, emanata nel 2012, per la ricerca delle persone scomparse è solo il primo di tanti traguardi ancora da raggiungere e il Protocollo del Commissario Straordinario per le persone scomparse deve essere applicato in modo sempre più analitico per avere efficacia su tutto il territorio. È importante cercare tutti con la stessa attenzione: bambini, anziani, malati. Alla immediata denuncia di scomparsa devono seguire delle ricerche efficienti e noi vogliamo sostenere questi meccanismi, cercando di stare il più possibile accanto alle famiglie delle persone di cui si sono perse le tracce. Penelope ha continuamente bisogno di sostegno e visibilità e, infatti, non esitiamo mai a scendere in piazza per farci conoscere e a metterci a disposizione di chi ha bisogno. Noi vogliamo che le persone che scompaiono vengano ritrovate vive il più presto possibile, per questo essere tempestivi nell’applicazione dei piani territoriali di ricerca è fondamentale. Si dice spesso che Penelope sia una spina nel fianco delle Istituzioni, ma non è del tutto vero. Noi vogliamo stare accanto a chi deve indagare, senza sostituirci agli inquirenti, e vogliamo supportare chi è in attesa di notizie, affiancando le famiglie. Vogliamo essere un anello di questa catena che deve renderci tutti più forti. Solo quando mi rendo conto che, se tutto si svolge come deve, è davvero possibile salvare delle vite, anche il mio dolore di madre che non sa più nulla della propria figlia da oltre vent’anni sembra attenuarsi per qualche momento, perché so di essere stata utile a qualcuno che può comprendere la mia pena profonda.

È il ricordo a mantenere vive le persone di cui si sono perse le tracce e a dare alle famiglie la forza di non smettere mai di cercare. Qual è il suo ricordo più vivo di Cristina?


Cristina è sempre al mio fianco e percepisco continuamente la sua presenza, come se mi mandasse dei segnali. Vivo nel suo ricordo, cercando di fare in modo che lei non venga dimenticata. È come se mi avesse passato un testimone: il suo amore per il prossimo l’ho fatto mio e cerco di manifestarlo come so che a lei sarebbe piaciuto. Voglio conoscere la verità su ciò che le è accaduto e non mi arrenderò mai. Non perderò mai la speranza, finché avrò vita.


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