mercoledì 14 ottobre 2015

Fabio Campoli e Il Circolo dei Buongustai: come diventare un grande Chef


Li amiamo così tanto, che sembriamo non poterne più fare a meno: decine di Chef, provenienti da tutto il Mondo, affollano le nostre televisioni, giornali, pagine Web. Stellati o anticonformisti, volubili o inflessibili, innovatori o tradizionalisti: ce n’è davvero per tutti i gusti, ma quella che, secondo le ultime tendenze, sembra essere la professione del futuro è ben più complessa di quel che appare in tv e richiede impegno, inventiva e coraggio non comuni, per farsi strada nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza, dove sono i consumatori, e non gli indici di ascolto, a dettare legge.
C’è di buono che, oltre a sentirci tutti un po’ Chef, in grado di osare in esperimenti culinari di ogni tipo, la cultura del buon cibo, fatto di ingredienti semplici e materie prime d’eccellenza, si sta diffondendo sempre di più, nonostante la crisi economica, e lo dimostra il grande successo di pubblico di eventi come Expo 2015.
Ma, con così tanta concorrenza e degli standard sempre più alti, come si fa, oggi, a diventare dei grandi Chef? Che differenza c’è tra cuoco e Chef? E quali percorsi formativi bisogna intraprendere per realizzarsi al meglio in questo campo? Ce lo spiega lo Chef Fabio Campoli, uno tra i più acclamati e apprezzati Chef del panorama gastronomico italiano da oltre quindici anni. Docente, consulente, scrittore e, dal 2006, fondatore e Presidente de “Il Circolo dei Buongustai”, una vera e propria Accademia del gusto e delle eccellenze del settore. Tra innovazione e tradizione, condivisione e cultura, lo Chef Campoli ci darà i consigli giusti per fare di una passione un mestiere, raccontandoci anche le fasi più importanti del suo personale percorso professionale, fatto di sacrifici, soddisfazioni e priorità. Perché il vero protagonista della vita di uno Chef è il cibo: i sapori cambiano, ma il gusto non passa mai di moda.

Lo Chef è il mestiere del futuro: da qualche anno a questa parte le statistiche parlano chiaro. Si tratta, infatti, di una professione d’eccellenza, che coniuga creatività e senso pratico, impegno e abilità, attitudine al comando e capacità di mettersi al servizio degli altri, prendendosene cura. Come si diventa dei veri Chef? Quale percorso formativo è richiesto e quanto è importante essere sempre aggiornati sulle nuove tendenze?

Quelli che ancora oggi chiamo i miei “comandamenti culinari” provengono, anzitutto, dalla formazione di base e quella superiore. La base del mio mestiere è insita nello studio, perché se non avessi scoperto il gusto della conoscenza e della curiosità come persona nei confronti di tutte le mie passioni (in primis la cucina), non sarei riuscito certo a raggiungere la notorietà attuale (per quel che conta!) data dal mio essere uno chef “poliedrico”. E sono ben consapevole che, nel perseguire queste strade, occorra una buona dose di fortuna, perché la formazione vera è insita nell’incontro delle “persone giuste” da seguire. Il secondo scalino di difficoltà sta nel riconoscerle, e specie quando si è molto giovani, nello scegliere di seguire questi “maestri” a costo di favorire il proprio percorso di realizzazione, piuttosto che il guadagno, soprattutto nei propri primi anni di attività, ma non solo. E una volta rafforzati nella professione, sono fermamente convinto che gran parte del successo si giochi sulla continuità e la costanza.
Essere sempre aggiornati sulle novità è importante per qualsiasi mestiere, ma per quello del cuoco, a mio avviso, non importantissimo. Perché il cibo ha come in sé qualcosa di magico: cambia nei secoli ma al tempo stesso non passa mai di moda.



Qual è stato il suo primo approccio a questo mestiere: come e perché ha scelto di intraprendere questa strada? Cosa significa vestire i panni dello Chef e gestire dei ristoranti di successo?

Il mio primo avvicinamento alla cucina è avvenuto da giovanissimo, neanche a quattordici anni. E da primo lavoro intrapreso per voglia di indipendenza (soprattutto economica), si è trasformato prestissimo in una passione vera e crescente che non mi ha più abbandonato. Anzi, è stata proprio lei a guidarmi verso l’evoluzione da “cuoco” a “chef”.
Perché scegliere il mestiere dello chef vuol dire investire tutta la propria vita nel proprio lavoro, spesso vedendosi per questo costretti a rinunciare alla propria vita personale. Vita da chef, vita di sacrifici, ma anche di inenarrabili soddisfazioni emotive.

In qualità di fondatore e Presidente de “Il Circolo dei Buongustai” si sta facendo, ormai da molti anni, portavoce della cultura del buon cibo come sinonimo di gusto, salute e tradizione. Facciamo un bilancio di questo percorso di divulgazione e condivisione: quali sono gli obiettivi raggiunti dal Circolo e quali le difficoltà contro cui vi scontrate ogni giorno?

Il Circolo dei Buongustai, che ha visto la sua nascita nel 2006, è la massima espressione di un organo nuovo poiché si propone come agenzia specializzata in ricerca e sviluppo, consulenza, marketing, comunicazione e promozione enogastronomica a trecentosessanta gradi. Lo staff è attivo all’interno di una struttura innovativa (una cucina moderna, funzionale e accessoriata di ogni dettaglio, con uffici adiacenti), dove le nostre idee evolvono sapientemente, passando da ricette a progetti commerciali innovativi. Perché al Circolo dei Buongustai la cucina non è un fine, ma un mezzo, per conoscere e comunicare la cultura dei popoli, per trasmettere messaggi e fare informazione pubblica, per costruire eventi e attività, come vere e proprie storie da raccontare ai clienti.
Il Circolo dei Buongustai nasce per contraddistinguersi con la propria filosofia, insita nel vivere privatamente e professionalmente sempre “intorno alle buone cose”, cioè in nome dell’etica, del rispetto e del confronto continuo verso chiunque si trovi a collaborare con noi.
E forse questa è tra le più grandi difficoltà giornaliere: trovare le persone giuste con cui lavorare nel nome degli stessi ideali e degli stessi comportamenti sul lavoro, sia che si tratti di clienti, che di dipendenti.  Ma la prima difficoltà in assoluto, in un’ottica globale e spero momentanea per il nostro paese, resta la trasmissione della cultura, sia in termini di canali realmente disponibili che di interesse delle persone, che, invece che innalzarsi, va scemando nei confronti dell’alimentazione per un eccesso di messaggi comunicati ai consumatori spesso nel modo più sbagliato. Inizio a sentire il loro allontanamento, causato da una certa confusione “medico-mediatica” sugli alimenti.


Non solo mondanità, televisioni e viaggi. Quello dello Chef è un mestiere di sacrifici continui. Che consiglio darebbe ad un giovane che, prendendo ad esempio la sua carriera, volesse seguire le sue orme?

Oltre ad auspicare per la generazione presente un imprescindibile “riavvicinamento alla cultura”, il mio consiglio ai giovani non prende altro che il nome di “volontà di gavetta”: un’espressione che può sembrare scontata, ma oggi, proprio perché sono spesso coinvolto in consulenze per l’apertura di nuovi ristoranti e di conseguenza nella formazione dei cuochi addetti, mi sento di dire che mi sembra un concetto un po’ dimenticato, in un mondo in cui tutto sembra sempre più “essere dovuto”, senza sentire il bisogno di dimostrare prima di che pasta si è fatti. Ai giovani vorrei davvero riuscire a trasmettere, oltre alle mie tecniche culinarie, l’importanza della costanza e della dedizione, dell’autocontrollo e del senso di responsabilità sul lavoro, perché credo fermamente che siano queste le doti indispensabili e distintive in un mondo in cui trovare un lavoro sta diventando una questione difficile e selettiva.
Ai giovani consiglio anche di non farsi incantare da falsi miti, dalle scuole di cucina che promettono apprendimenti rapidi in cambio di investimenti cospicui: per un cuoco, proprio come per altri mille mestieri, l’esperienza vera è data dal vivere quotidianamente la cucina, la brigata e dal destreggiarsi abilmente tra le mille avventure che contraddistinguono la vita nel mondo della ristorazione intero.

Ci racconti un episodio, un aneddoto, una storia che, in tanti anni di professione ed esperienza è rimasta particolarmente scolpita nella sua memoria.


Ebbene sì, a volte ritrovarsi in cucina è come vivere in un film: è piena di emozioni, ma capita anche di scontrarsi in dispetti tra cuochi e oculati sabotaggi. Non potrò mai dimenticare come, qualche anno fa, nel corso di un evento privato per un centinaio di invitati, ho dovuto reinventare da zero la seconda portata del pranzo, dal momento che tutto il gustoso (e costoso) pesce fresco acquistato era “misteriosamente scomparso”!

www.fabiocampoli.it


www.ilcircolodeibuongustai.net

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