È
una giornata calda. Quando Cristina Golinucci si mette alla guida della sua
Cinquecento è da poco passata l’ora di pranzo. Ha salutato la mamma Marisa con
un sorriso e sta percorrendo le dolci colline nei dintorni di Cesena, diretta
verso il Convento dei Cappuccini, a pochi chilometri da casa. È il 1 settembre
1992, ma sembra ancora piena estate e Cristina è pronta per un pomeriggio
intenso. Ha tante commissioni da fare, perché, il giorno dopo inizierà un nuovo
lavoro come ragioniera in un piccolo ufficio, ma, prima di ogni altra cosa,
deve raggiungere Padre Lino, il Priore del Convento e suo Padre spirituale, per
raccontargli com’è andato il campo estivo organizzato per i bambini delle
Parrocchie circostanti e dal quale è appena tornata.
Sono
passati più di ventitré anni da quando Cristina Golinucci ha posteggiato la sua
vecchia Cinquecento nel parcheggio del Convento dei Cappuccini di Cesena, ma a
quell’appuntamento col suo Padre spirituale non è mai arrivata. Tante estati si
sono susseguite da allora e un orribile mistero che, nel corso degli anni, ha
assunto le tinte fosche di un giallo sul quale ancora non si è fatta luce,
sembra averla inghiottita. Le indagini non hanno condotto a nulla, nonostante
uno scenario ben preciso si sia profilato pian piano, rivelando lo spettro di
una probabile aggressione.
Ma
quanto si è fatto realmente per cercare Cristina e quanto davvero si sarebbe
potuto fare? È questa la domanda che ancora si pone Marisa Golinucci, la mamma
di Cristina. In tutti questi anni Marisa non si è mai arresa e, ancora oggi,
sta continuando a cercare la verità sulla sorte della figlia, trasformando la
sua personale battaglia in una missione di vita al servizio degli altri, tanto
che, dal 2002, è Presidente dell’Associazione Penelope Emilia.
Chi è Cristina? Ci
racconti la sua storia.
Cristina
era una ragazza di ventun anni semplice e solare, che si dedicava spesso al
volontariato e alla cura del prossimo. Era Ragioniera, ma non aveva ancora
trovato un lavoro fisso. Era molto calma e pacata e attaccatissima alla famiglia,
tanto che, quando ancora non si usavano i cellulari, trovava sempre il modo di
avvisarci quando faceva tardi, anche solo di pochi minuti, per non farci stare
in pensiero. Era determinata a realizzarsi e a non pesare in nessun modo sulla
famiglia. Ricordo, ad esempio, che, quando compì diciott’anni, invece di fare
un viaggio all’estero, preferì investire i soldi che le avevamo regalato per
prendere la patente, così da essere sempre più autonoma e indipendente. Quando
riuscì a prendere la patente le regalammo una Cinquecento usata ed eravamo
davvero molto contenti che potesse muoversi più liberamente. Pensavamo di
averla messa al sicuro e ci sentivamo
meno in ansia ogni volta che usciva, perché sapevamo che era sempre prudente e
giudiziosa. Sin da piccola Cristina ha sempre frequentato la Parrocchia e,
abitando un po’ fuori dal paese, eravamo soddisfatti di essere riusciti a farle
un regalo che le permetteva di spostarsi per continuare a portare avanti tutti
i suoi impegni fuori casa.
Cosa è accaduto il giorno
della scomparsa e come si sono svolte le ricerche nel corso degli anni?
Il
1 settembre 1992 Cristina aveva preso appuntamento con Padre Lino Ruscelli,
allora Priore del Convento dei Cappuccini che si trova sulle colline di Cesena,
a una decina di chilometri da casa nostra, dove lei si recava spessissimo anche
con gli amici e col suo gruppo di preghiera del sabato sera. Cristina doveva
raccontare al Priore, suo Padre Spirituale, l’esperienza appena fatta a un
campo estivo organizzato per i bambini e gli adolescenti delle Parrocchie
limitrofi, al quale lei aveva partecipato come animatrice. Cristina amava
parlare con le persone e mi aveva raccontato di essersi divertita molto, non
vedeva l’ora di raccontare tutto al Priore e aveva insistito per incontrarlo
proprio quel martedì 1 settembre, intorno alle quattordici e trenta, perché il
giorno successivo avrebbe iniziato un nuovo incarico come Ragioniera in un
ufficio e aveva molte commissioni da sbrigare.
Ricordo
di averla salutata intorno alle quattordici, certa che ci saremmo riviste la
sera stessa prima di cena, visto che, intorno alle ventuno, saremmo dovute
andare insieme a una festa parrocchiale. Verso le diciannove, non vedendola
rientrare, ho iniziato a preoccuparmi e a fare diverse telefonate, cercando di
ricostruire tutti gli appuntamenti ai quali avrebbe dovuto recarsi nell’arco
del pomeriggio. Nessuno l’aveva vista, neppure al Convento dei Cappuccini. In
quel momento mi resi conto che non c’erano più tracce di lei da quando era
uscita di casa sulla sua Cinquecento.
Siamo
usciti immediatamente a cercarla tutti insieme e abbiamo trovato la sua auto
regolarmente posteggiata nel parcheggio del Convento dei Cappuccini, così
abbiamo deciso di bussare per chiedere di nuovo notizie, ma il Priore ci ha
detto che Cristina non si era presentata all’appuntamento. Il parcheggio,
inoltre, è piuttosto isolato e nessuno sembrava aver fatto caso a Cristina o
aver sentito qualcosa di insolito quel giorno. L’auto era chiusa e, all’interno,
tutto era in ordine, ma di Cristina non c’era traccia.
È
stato fatto ben poco per cercare Cristina. Solo noi della famiglia non abbiamo
mai lasciato nulla di intentato, mentre per gli inquirenti si è trattato, fin
da subito e per i primi due anni, di una semplice fuga volontaria. Immediatamente
dopo la scomparsa, sui giornali è stato scritto di tutto su Cristina,
addirittura che potesse avere una doppia vita e queste menzogne ci hanno fatto
soffrire molto, ma non ci siamo mai arresi nelle nostre ricerche.
Due
anni dopo la sparizione di Cristina un ragazzo extracomunitario, che era ospite
del Convento dei Cappuccini, Emanuel Boke, stuprò una ragazza nelle campagne
circostanti, sequestrandola per oltre un’ora, prima di lasciarla andare. Boke
venne arrestato e, dopo essere stato processato, venne condannato a sette anni
di reclusione per quella orribile violenza, anche se ne ha scontati solo
quattro, prima di essere scarcerato per buona condotta. In tutti noi nacque il
sospetto che, visto che Boke era già ospite del Convento nel periodo nel quale
scomparve Cristina, potesse essere coinvolto nella sparizione e che, magari,
potesse essere stato proprio lui a farle del male. La stessa ragazza
sopravvissuta alla violenza ci ha confidato, tempo dopo, che, probabilmente, se
le cose fossero andate proprio in quel modo e Cristina si fosse ribellata alle
sevizie, secondo lei Boke non avrebbe esitato a ucciderla, perché aveva dei
veri e propri raptus di violenza. Quando il Priore del Convento si recò a
trovare Boke in carcere, il ragazzo confessò di essere proprio lui l’assassino
di Cristina e di aver fatto sparire il corpo, ma non si fece nulla per appurare
la cosa in tempi brevi e Boke smentì subito questa confessione, finché non uscì
dal carcere. Tutte le ricerche e le indagini successive non hanno avuto alcun
esito e il lavoro degli inquirenti è sempre stato superficiale e discontinuo,
purtroppo, nonostante i nostri continui appelli.
Lei che idea si è fatta:
cosa può essere accaduto a Cristina? Chi le è stato più accanto in questo lungo
periodo di dolore e che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, l’opinione pubblica
per aiutare le famiglie di fronte a un caso di scomparsa?
Io
sono convinta che il Convento sia la tomba di mia figlia Cristina e continuerò
a gridarlo finché non avrò risposte precise e non saprò la verità. Credo che
sia stato proprio Emanuel Boke a uccidere Cristina per poi nasconderne il
corpo. Vedendo che la giustizia non riusciva a darci risposte, quando Boke era
ancora in carcere, decisi di scrivergli, esprimendogli il mio desiderio di
incontrarlo. Così, grazie anche all’aiuto della Caritas, riuscii ad avere un
colloquio con lui, nel quale egli continuò a difendersi, dichiarando di non
essere lui il colpevole, ma lasciandoci, comunque con molti dubbi. Da allora,
non ho avuto più notizie di lui e la verità sulla sorte di Cristina è ancora un
mistero.
L’opinione
pubblica è importantissima nei casi di scomparsa e chi sa qualcosa deve sempre
farsi avanti, questo è il nostro motto. Ci siamo sentiti soli e abbandonati
dalle autorità per molto tempo. La solidarietà, invece, è importante per tutti
noi, affinché le nostre storie non vengano dimenticate.
La vicenda che ha
coinvolto la sua famiglia l’ha vista in prima linea nell’affrontare il
difficile problema degli scomparsi in Italia, tanto che è diventata Presidente
dell’Associazione Penelope Emilia. Facciamo un bilancio di questa esperienza:
quali sono gli obiettivi raggiunti e quali gli ostacoli contro cui l’Associazione
si scontra quotidianamente?
L’obiettivo
dell’Associazione Penelope è quello di umanizzare
le leggi che regolano i comportamenti da tenere nei casi di scomparsa.
Quando Gildo Claps, nel 2002, ha chiamato me e tanti altri familiari di persone
scomparse e chiese il nostro sostegno per gestire l’Associazione, dandogli,
così, un carattere capillare su tutto il territorio italiano, mi sono sentita
onorata e sono entrata a far parte di una vera e propria grande famiglia. La
Legge, emanata nel 2012, per la ricerca delle persone scomparse è solo il primo
di tanti traguardi ancora da raggiungere e il Protocollo del Commissario
Straordinario per le persone scomparse deve essere applicato in modo sempre più
analitico per avere efficacia su tutto il territorio. È importante cercare
tutti con la stessa attenzione: bambini, anziani, malati. Alla immediata
denuncia di scomparsa devono seguire delle ricerche efficienti e noi vogliamo
sostenere questi meccanismi, cercando di stare il più possibile accanto alle
famiglie delle persone di cui si sono perse le tracce. Penelope ha
continuamente bisogno di sostegno e visibilità e, infatti, non esitiamo mai a
scendere in piazza per farci conoscere e a metterci a disposizione di chi ha
bisogno. Noi vogliamo che le persone che scompaiono vengano ritrovate vive il
più presto possibile, per questo essere tempestivi nell’applicazione dei piani
territoriali di ricerca è fondamentale. Si dice spesso che Penelope sia una
spina nel fianco delle Istituzioni, ma non è del tutto vero. Noi vogliamo stare
accanto a chi deve indagare, senza sostituirci agli inquirenti, e vogliamo
supportare chi è in attesa di notizie, affiancando le famiglie. Vogliamo essere
un anello di questa catena che deve renderci tutti più forti. Solo quando mi
rendo conto che, se tutto si svolge come deve, è davvero possibile salvare
delle vite, anche il mio dolore di madre che non sa più nulla della propria
figlia da oltre vent’anni sembra attenuarsi per qualche momento, perché so di
essere stata utile a qualcuno che può comprendere la mia pena profonda.
È il ricordo a mantenere
vive le persone di cui si sono perse le tracce e a dare alle famiglie la forza
di non smettere mai di cercare. Qual è il suo ricordo più vivo di Cristina?
Cristina
è sempre al mio fianco e percepisco continuamente la sua presenza, come se mi
mandasse dei segnali. Vivo nel suo ricordo, cercando di fare in modo che lei
non venga dimenticata. È come se mi avesse passato un testimone: il suo amore
per il prossimo l’ho fatto mio e cerco di manifestarlo come so che a lei
sarebbe piaciuto. Voglio conoscere la verità su ciò che le è accaduto e non mi
arrenderò mai. Non perderò mai la speranza, finché avrò vita.
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