Cosa
si può chiedere a un padre che ha perso una figlia per mano di qualcuno che è
ancora impunito?
Quando
mi si è presentata l’opportunità di raccontare la storia di Serena Mollicone
attraverso le parole di suo padre, Guglielmo, ho capito che la prima a doversi
fare delle domande sono proprio io.
Serena
scompare da Isola Liri, vicino Arce, il primo giugno del 2001 e il suo corpo
senza vita viene ritrovato due giorni dopo nel bosco di Fontecupa, oggi Fonte
Serena. Mani e piedi legati, un sacchetto del supermercato in testa, così, come
un rifiuto da smaltire: una morte atroce dopo una lunga agonia. Ma il vero
orrore viene dopo: a quasi quindici anni dalla vicenda giustizia non è stata
fatta. Tutti sanno? Probabile e Guglielmo lo dice a gran voce da sempre,
tuttavia a nulla sono servite le indagini, i processi, il clamore mediatico. Il
colpevole è ancora a spasso. Almeno per ora.
E
nel frattempo? Che succede intanto? Mandiamo la pubblicità? No. E non è una
critica al sistema. Ma il tempo passa, la vita scorre, come si dice.
Come
si entra nell’intimo di chi ha vissuto un dolore così innaturale, da sembrare
assurdo? Cosa potrei aggiungere io? Proprio niente. Nessuna novità, nessuna
congettura, nessuna ricostruzione dei fatti.
Siamo
qui solo per ricordare. E
volutamente dico: ricordare.
Ricordare implica un’azione quotidiana, alla portata di tutti. Un’elaborazione
attiva di un evento che nessuno può lasciare indifferente. Faremo come i
rapsodi che cantavano l’ira di Achille e i viaggi di Odisseo: racconteremo per
ricordare, tramandare, trasmettere. Imparare e insegnare, allo stesso tempo.
E
allora sedetevi con me e Guglielmo e dedicate cinque minuti del vostro tempo a
Serena.
Ma
non per sapere com’è andata a finire
o che novità ci sono sul caso, perché, vi anticipo, rimarrete delusi. Nessuno scoop. Non è un romanzo giallo o un
thriller alla tv. Siamo seduti ad aspettare giustizia e da molti anni ormai. E
facciamo ciò che rende l’uomo un animale
sociale: ci sosteniamo nella memoria della nostra unicità di individui,
imparando a vivere nel nostro tempo.
Chi era Serena e quante
volte al giorno pensa a lei?
Serena
era una ragazza fuori dal comune: era una ragazza sensibile, sempre pronta ad
aiutare chi era in difficoltà come gli animali, gli anziani, i
tossicodipendenti. La causa della sua morte è proprio il suo altruismo. Serena
quel fatidico primo giugno 2001 era andata nella Caserma di Arce per denunciare
lo spaccio di droga che avveniva in paese e lì, purtroppo, che secondo me ha
trovato il suo carnefice. Chi doveva salvaguardarla, chi l’ha uccisa e poi è
riuscito a depistare le indagini? Questo è il pensiero e non mi stancherò mai
di dirlo.
Penso
a Serena ogni giorno. La sogno spesso e quando accade la sogno sempre piccola,
perché per me è rimasta la mia bambina, nonostante avesse ormai diciotto anni e
fosse una ragazza molto più matura della sua età. Serena, infatti, aveva perso
la mamma a soli sei anni e questo l’aveva portata a farsi forza sin da piccola
e a crescere in fretta, senza però perdere la sua semplicità e la sua lealtà
verso il bene ed il buono.
In questi anni qual è
stato il momento più difficile, la situazione più assurda contro cui si è
scontrato?
Sicuramente
quando, il giorno del funerale fui prelevato dalla Chiesa per mettere delle
firme in Caserma. È stato un episodio spiacevole e davvero inconcepibile.
Quello è stato il più grande depistaggio mai fatto, perché ha distolto
l’attenzione dal carnefice, spostandola sulla famiglia di Serena che, in quel
momento, doveva solo piangerla e riunirsi nel proprio dolore. Sono sincero, in
quell’istante non l’ho capito, altrimenti non mi sarei allontanato. Dovevo solo
mettere una firma, ma mai avrei immaginato che ci sarebbero volute ben tre ore.
Di fronte ad una storia
così drammatica quanto spesso ci si chiede perché è accaduta e perché proprio a
noi?
La
storia di Serena ha coinvolto un’intera comunità. È stato il periodo peggiore
che il paese abbia mai vissuto: era allo sbando. L’Amministrazione Comunale, la
Chiesa, la Caserma tutti pensavano solo al proprio interesse, ai propri rischi:
nessuno si preoccupava del proprio dovere sociale, di cosa fosse giusto fare
per la scoperta della verità. E intanto otto ragazzi erano già morti di
overdose. Ma la cosa sembrava non toccare le Autorità. Forse perché non si
trattava dei loro figli? Forse perché la verità può far male più della morte
stessa?
La
morte di Serena, in un certo senso, è servita a far rigenerare il paese. Dopo
la scomparsa di Serena nessun altro giovane è più morto a causa della droga. Il
sacrificio di mia figlia è servito, almeno, ad arginare quella che, allora, era
davvero una piaga, giacché il paese, a quell’epoca, risultava essere ai primi
posti, in Europa, per numero di tossicodipendenti e di morti legate all’uso di
sostanze stupefacenti. Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate.
La
solidarietà che ho ricevuto dalla comunità mi è stata di grande conforto.
L’intero paese mi è stato accanto e ha dimostrato grande sensibilità. Ricordo
che, immediatamente dopo la morte di Serena, i colleghi della scuola avevano
perfino organizzato una colletta in modo tale che io non dovessi preoccuparmi
nemmeno della spesa!
Come si fa a non essere
solo arrabbiati?
Quello
che più mi spinge ad andare avanti e a cercare di superare la rabbia per
l’accaduto è l’aiuto di Serena e di mia moglie che dall’aldilà mi sostengono.
Molti altri genitori che hanno perso dei figli non ce l’hanno fatta. Io invece
trovo proprio in Serena e nel suo ricordo la forza e il coraggio di vivere e
cercare giustizia. È un dovere verso la sua bontà ed il suo altruismo, è un
dovere verso tutte le persone che mi stanno vicino.
Chi sarebbe oggi Serena?
Sicuramente
Serena mi avrebbe reso nonno. Non so se si sarebbe sposata, forse avrebbe
preferito una convivenza, ma desiderava con tutto il cuore una famiglia. E
sarebbe stata un’ottima madre, premurosa e attenta.
Sono
certo che sarebbe diventata anche una brava veterinaria: quello era il suo
sogno, prendersi cura degli animali in difficoltà. E sono convinto che, forse,
non si sarebbe nemmeno fatta pagare per il suo lavoro da chi non avesse potuto
permetterselo, tanto era generosa e altruista. Era fatta così: pur di aiutare
non avrebbe pensato affatto al guadagno!
Quali sono stati, in
questo lungo periodo di dolore, i cinque
minuti di felicità, che le hanno permesso di andare avanti?
Mi
sono reso conto subito che avrei dovuto combattere una dura e, probabilmente,
lunga battaglia per ottenere giustizia e che la cosa più importante sarebbe
stata cercare di tenere alta l’attenzione il più possibile sulla storia di
Serena, perché nessuno si dimenticasse di lei e del suo sacrificio.
I
media hanno contribuito molto in questo, assieme a tante persone che mi sono
state accanto, ma la vera forza la trovo ogni giorno proprio in Serena. Il suo
ricordo e la sua presenza mi danno
sostegno in ogni momento più di ogni altra cosa. Serena è accanto a me, oltre
che in Paradiso. Chi me l’ha tolta dalla Terra non me la può togliere dal
cuore.
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