Giulio
Salviati è uno scrittore brillante, baciato da un meritato successo, ma che,
ormai, sembra appannato dalla mancanza di ispirazione. Almeno finché la storia
di un misterioso manoscritto quattrocentesco, chiamato Unicum, non attira la sua attenzione, conducendolo per mano in un’indagine
mozzafiato attraverso i vicoli della sua amata Trastevere, fino ai palazzi
dorati e alle chiese inviolate della Capitale. Chi può aver sottratto il
manoscritto, trafugandolo dalla cassaforte del Monastero di San Gregorio al
Celio? E chi vuole che sia proprio Giulio a occuparsi del furto, nella speranza
che arrivi là dove gli inquirenti sembrano essersi arresi? Di sicuro, dietro al
misterioso manoscritto, muto protagonista di tutta la vicenda, si nascondono
più segreti di quel che all’inizio si possa pensare. Enigmi dai risvolti fatali,
per i quali qualcuno è disposto perfino a uccidere…
Sono
questi i magistrali ingredienti coi quali Fabrizio
Santi ci sta ammaliando nel suo ultimo thriller, “Il settimo manoscritto”, Newton
Compton, da poche settimane sugli scaffali delle nostre librerie. Si tratta
di un romanzo dalle atmosfere inquietanti e apparentemente imperscrutabili,
caratterizzate da intrighi destinati a dipanarsi sul filo del rasoio, solo
quando ormai tutto sembra perduto. Lo stile di Fabrizio Santi, al suo secondo
romanzo, non ha proprio nulla da invidiare ai grandi autori internazionali del
genere. L’autore ci restituisce, infatti, una Roma credibile, ben più
realistica di quella dei best seller da Blockbuster, che, di fatto, è
indiscussa protagonista di quella che, prossimamente, diventerà une vera e
propria trilogia thriller a lei
dedicata, con protagonisti non collegati e storie che si possono leggere anche singolarmente,
ma che hanno in comune questa grande e indecifrabile metropoli sullo sfondo.
Un antico manoscritto
rubato da un Monastero, sullo sfondo di una Roma misteriosa e impenetrabile, e
uno scrittore in crisi che si ritrova a indagare: inizia così “Il settimo
manoscritto”, Newton Compton, il tuo nuovo thriller. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha
ispirato durante la stesura?
Non
c’è un evento particolare che mi abbia ispirato. Dopo l’uscita del mio primo
romanzo, “Il quadro maledetto”, Newton Compton, qualcuno si aspettava il sequel, ma ho preferito cambiare e
concentrarmi su una nuova storia e su diversi personaggi, anche se il genere e
l’ambientazione sono rimasti gli stessi. Roma è la mia città, la conosco bene e
mi ha intrigato l’idea di raccontare di un misterioso manoscritto non ancora
interpretato, quindi ho costruito la storia proprio intorno a questo. Il tempo
dedicato alla riflessione e alla pianificazione, rispetto allo spunto, è stato
lungo, ma strutturare la narrazione è stato davvero emozionante e mi sono
dedicato molto a ogni dettaglio per rendere tutto il più credibile possibile e per
mantenere una coerenza di fondo.
All’inizio
mi sono cimentato in questo filone del thriller quasi per caso, ma, visto il
riscontro del pubblico che sembra apprezzare le mie storie e che non
ringrazierò mai abbastanza per questo, penso che continuerò con questo genere e
ambienterò anche un prossimo romanzo in un contesto simile, creando una vera e
propria trilogia dedicata alla città di Roma, le cui storie, però, si possono
leggere singolarmente perché non hanno personaggi in comune.
Quando e da dove nasce la
tua esigenza di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione in qualunque
momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai rinunciare?
Ho
deciso di dedicarmi alla scrittura senza avere una meta precisa. Quando, qualche anno fa, ho iniziato a scrivere il
mio primo romanzo, gli ho dedicato molti anni e non pensavo che sarei arrivato
a quel risultato. Ho tanti interessi e scrivere all’inizio significava, in un
certo senso, compendiarli tutti e
quindi condividerli. Oltre agli studi umanistici, infatti, mi sono dedicato
all’epistemologia e alla musica e tutto mi è tornato utile anche nella
scrittura, che mi ha permesso di raccogliere tutte queste esperienze in una
storia che, dopo la pubblicazione, ha avuto dei riscontri positivi inaspettati,
così ho iniziato a dedicarmi alla scrittura in modo sempre più assiduo.
Non
è facile dire se esista un metodo precostituito per scrivere un romanzo. Il
genere al quale mi dedico io dovrebbe portarmi a pianificare il più possibile
ogni particolare della storia, ma spesso l’ispirazione mi porta altrove e mi
appassiona assecondarla, anche se così può diventare tutto più difficile. Lo
confesso, anche se non si dovrebbe, mi lascio trasportare dai personaggi che mi
conducono dove vogliono.
Accanto a Giulio
Salviati, lo scrittore in crisi d’ispirazione che cercherà di risolvere il
mistero del manoscritto scomparso, vi sono un mosaico di personaggi che
contribuiscono a mantenere alta la tensione, pagina dopo pagina. Lo stesso
manoscritto, in un certo senso, è muto protagonista di tutta la vicenda: come
delinei, in generale, i caratteri dei tuoi personaggi e i fatti che si trovano
ad affrontare?
In
tutti i protagonisti delle mie storie c’è qualcosa del mio carattere, ma non è
tutto. Giulio è un uomo dalle mille sfaccettature e di sicuro abbiamo qualcosa
in comune, ma siamo anche molto diversi sotto altri punti di vista.
I
miei personaggi, in ogni caso, sono caratterizzati dal fatto di avere aspetti
irrisolti nella loro vita privata o professionale che li spingono a indagare andando alla ricerca di qualcosa che, a seconda della trama può
essere, appunto, un quadro o un manoscritto, ma che, di fatto, è metafora della
ricerca interiore che ognuno di noi compie quotidianamente per conoscere se
stesso.
Assieme al mestiere di
autore, il tuo ruolo di insegnante ti permette di vedere in prima persona il
rapporto dei più giovani con la lettura. Statistiche a parte, è vero che i
ragazzi italiani non leggono abbastanza? E tu che lettore sei: che libri ci
sono sul tuo comodino?
I
ragazzi di oggi non leggono meno di quelli della mia generazione che, forse
sollecitati da una maggiore passione politica, erano spinti maggiormente verso
un’informazione più approfondita di certi temi, ma ciò non significa che
fossero dei lettori migliori. Forse sono proprio gli italiani in generale a
leggere poco e i giovani seguono semplicemente il mancato esempio degli adulti
che li circondano. Alcuni generi, come il fantasy, vanno molto bene tra i
ragazzi di oggi, ma chiaramente non è sufficiente leggere solo letteratura di
genere per possedere una cultura letteraria più completa.
Io
mi definisco un lettore rapsodico:
per anni ho letto molto più di saggistica che di narrativa, seguendo le mie
passioni e approfondendo i miei studi scientifici. Con la maturità, invece, ho
iniziato a leggere anche narrativa contemporanea e di genere. Mi piace molto il
thriller, al quale poi mi sono io stesso dedicato come autore, e, ultimamente,
ho riscoperto e ripreso in mano anche molti classici dei tempi della scuola che
non andrebbero mai lasciati da parte.
A cosa stai lavorando
attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.
Progetti
per il futuro? Non mi dispiacerebbe vincere qualcosa al Totocalcio e ritirarmi
a vita privata! Ma, lasciando da parte gli scherzi, al momento mi sto ancora dedicando
alla promozione di questo ultimo libro uscito a ottobre, anche se ho già in
mente di proporre al mio editore una nuova bozza di romanzo. L’obiettivo
sarebbe completare quella che mi piace definire una trilogia romana, quindi un’altra storia thriller, avvolta nel
mistero, sempre ambientata a Roma, ma con personaggi nuovi. Mi piace l’idea che
il filo conduttore resti la mia città, perché mi permette di esprimermi al
meglio, cercando di trasmettere messaggi che vadano oltre le trame.
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