Il
tuo Paese natio ha poco da offrirti e sogni un futuro altrove? Prepara la valigia, fai un biglietto di sola andata e
inizia a pianificare la tua vita all’estero. Facile a dirsi, ma concretamente
quanti ci riescono nel lungo periodo? All’inizio, a causa dei tanti problemi
pratici coi quali si scontra chi decide di espatriare, si fa poco caso a ciò
che comporta emotivamente la prospettiva di trascorrere tutta la propria vita
in un altro Paese. “Via da qui”, di Barbara Impat, scrittrice di grande
talento e traduttrice naturalizzata in Provenza da oltre un decennio, non è
certo un manuale pratico per districarsi tra le noie burocratiche di chi sta
progettando una vita lontano dall’Italia, ma un’intensa raccolta autopubblicata
di emozioni, sensazioni e sentimenti che molti, tra coloro che hanno scelto di
espatriare, hanno provato almeno una volta nel corso della loro esperienza di
migranti. Ventuno racconti brevi su sogni e paure, illusioni e disillusioni di
chi ha sperimentato il coraggio che occorre per integrarsi senza disintegrarsi, inseguendo le proprie aspirazioni
anche a costo di lasciare il proprio Paese, ma senza dimenticare le proprie
origini. Una esilarante, quanto amara, selezione di racconti in bilico tra
insoddisfazione e nostalgia, realtà e luoghi comuni, incoscienza e tolleranza, che,
complice lo stile brioso e accattivante dell’autrice, farà sorridere chi ha già
fatto il grande passo, ma anche
riflettere più a fondo chi sta cercando il proprio angolino di mondo dove
iniziare a sentirsi a casa.
“Via da qui” è un
variegato mosaico di storie che raccontano paure, sogni e delusioni di chi ha
scelto di emigrare, lasciando il nostro Paese in cerca di realizzazione.
Raccontaci la genesi di questo libro:
cosa ti ha ispirato durante la stesura? E cosa vuoi comunicare?
Mi
ha ispirato la “crisi di mezzo espatrio”, rovinosamente coincisa con quella di
mezza età! Più seriamente: all’origine c’è stato quel sentimento di sottile frustrazione
che provano - prima o poi - tutti gli italiani all’estero. Quando? Nel momento
in cui intuiscono di aver fatto un biglietto di sola andata. Momento seguito da
un’altra sconcertante intuizione: quella che il ritorno definitivo in patria
potrebbe avvenire solo… in posizione orizzontale! Cosa voglio comunicare? Non
saprei. Non c’è un messaggio particolare, parlerei piuttosto di stati d’animo,
emozioni che si provano vivendo fuori dall’Italia - come la crisi di identità
culturale che ti può colpire quando ti accorgi di sentirti straniero un po’
ovunque, nostalgico di più vite e Paesi allo stesso tempo. Un pasticcio interiore,
sicuramente, ma dipinto con ironia, spero.
Quanto c’è di vero nei
personaggi e nelle esilaranti, ma, a tratti, toccanti vicende che narri? C’è
qualcosa di autobiografico?
Le
storie – ci tengo a dirlo – sono tutte inventate. Tuttavia c’è molto, anzi
moltissimo di autobiografico nei personaggi. Non a caso, la protagonista di
molti racconti (Agata, l’expat imbranata,
traduttrice maniacale e tendenzialmente a dieta) somiglia a qualcuno che
conosco come le mie tasche. Probabilmente il racconto più autobiografico è Quassù e laggiù (che è anche il
titolo del mio Blog), in cui narro il gustoso rientro in patria di un’emigrata che
si cambia in aereo per vestirsi “all’italiana”, cercando così di eludere le
inevitabili – seppur bonarie - critiche di chi la troverà ingrassata, malvestita
e trascurata. Non più italiana, insomma.
Raccontaci la tua
esperienza nel self publishing: come
sei approdata a questo mondo? Quali sono i pro e i contro?
Mi
sono lanciata nel self publishing perché consapevole della
difficoltà di farsi pubblicare dalle case editrici. Ho letto vari e-book sull’argomento e devo dire che, a
distanza di qualche mese, confermo quanto scritto da molti autori: quando ci si
autopubblica, scrivere qualcosa di valido è solo la condizione necessaria per
vendere, ma è assolutamente insufficiente se manca una promozione a tamburo
battente. Ergo: cercare blog dove farsi intervistare, condividere estratti
dell’opera, usare i social in modo assiduo e, aggiungo, spammare un po’ ovunque la propria opera. Un lavoro quotidiano,
insomma, che non ho il tempo, né la costanza di fare, purtroppo. Tuttavia,
marketing a parte, consiglio vivamente di provare, perché il self publishing
è un’esperienza interessantissima. Anche se, rimanga tra di noi, il mio sogno è
passare al cartaceo...
Tra le tue attività
gestisci un Blog davvero interessante: quali sono le regole d’oro per avere un
Blog di successo?
Ti
ringrazio! Beh, dipende da cosa intendi per “successo” – il mio è un blog
neonato (ha appena un anno) oltre che atipico, perché non tratta gli argomenti
classici della vita all’estero – quelli legati alla vita
pratico-amministrativa, per intenderci. Insomma: ha un taglio editoriale abbastanza
umoristico e scanzonato, che lo rende un “prodotto di nicchia”, per così dire. Comunque,
ritornando alla definizione di “blog di successo”, gli ingredienti
indispensabili sono: articoli validi (interessanti, innovativi, non troppo
brevi e mai scopiazzati da altri blog), stile accattivante e originale; infine
– come sopra – un ottimo lavoro di marketing. Se non hai una bella pagina
Facebook, non spendi qualche soldino per promuovere sito e pagina, e –
soprattutto – non dedichi un paio d’ore al giorno a rispondere ai “fan”,
pubblicare post attinenti al blog ed essere presente sui vari social,
difficilmente arriverai a raggiungere un vasto pubblico. E credo che il vero
successo sia proprio essere letti il più possibile, giusto?
A cosa stai lavorando
attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.
Attualmente
sto scrivendo un romanzo. Visti i ritmi con cui procedo mi sono data una
scadenza: dicembre 2020 – che per me è come dire dopodomani! Poi sto leggendo
varie cose interessanti sul web marketing – anche per motivi professionali,
poiché sono traduttrice e devo aggiornarmi costantemente – e, last, but not least, sto valutando alcune idee di
sviluppo professionale per poter tornare in Italia. Anche qui, viste le
tempistiche, non credo di concretizzare prima del 2020. Come dicono i francesi:
“chi va piano, va sano” – e omettono stranamente l’ultima parte dell’adagio…
che sia un presagio? Cara Alessandra, ti ringrazio per l’intervista. Un saluto
al gusto lavanda dalla Provenza!
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