mercoledì 26 settembre 2018

Annarita Franza e Vincenzo Lusa: cos’è la Criminogenesi Evolutiva


Criminali si nasce o si diventa? Ecco il quesito al quale, sin dalla loro nascita, le Scienze Criminologiche hanno cercato di rispondere, ponendosi al confine tra la necessità del diritto di arginare in modo scientifico la criminalità e il desiderio di conoscere la natura più profonda dei meccanismi che portano un soggetto a delinquere, tra istinti biologici e bisogni morali e politici.
In “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo Editrice, gli antropologi e criminologi Annarita Franza e Vincenzo Lusa hanno spiegato come la violenza, nel corso della storia, già a partire dalle popolazioni primitive che abitarono il continente africano migliaia di anni fa, sia stata una carattere adattativo favorevole per l’uomo dal punto di vista evolutivo, che gli ha permesso non solo di adeguarsi all’ambiente circostante, ma anche di dominarlo, ponendosi in una posizione di supremazia verso gli altri esseri viventi e, quando necessario, scontrandosi coi propri simili.
Gli autori, spostando il consueto focus della Criminogenesi dal caso singolo, all’uomo come animale sociale in continua evoluzione, hanno svolto un’analisi chiara e interessante anche per i profani sia dal punto di vista storico-antropologico, sia dal punto di vista biologico-genetico, spiegando come e perchè è nato nell’uomo l’istinto a delinquere e le conseguenze che esso ha avuto nelle società civili nel corso del tempo, oltre a quelle che potrebbe avere in futuro in condizioni ignote e decisamente particolari come potrebbero essere quelle di un equipaggio spaziale.
Accanto a questi excursus, gli autori hanno raccontato alcuni casi concreti, spesso inediti o poco conosciuti, che avvalorano le loro tesi originale e innovative. L’obiettivo è quello di studiare i fenomeni criminali alla luce delle verità scientifiche inerenti la biologia e la genetica, cercando di fare in modo che anche la legge e il diritto si adeguino all’esigenza di sicurezza e giustizia sociale in un’ottica sempre più moderna e attuale.


Cosa accadrebbe se ci rendessimo conto che la violenza non è solo una manifestazione patologica, ma un vero e proprio carattere adattativo fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo? È da questo interrogativo che prende il via “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo Editrice, un vero e proprio viaggio tra antropologia e criminologia che guida il lettore attraverso lo studio di interessanti casi reali. Raccontateci la genesi di questo testo e dell’interessante teoria che sostiene: cosa vi siete prefissati di dimostrare?

La teoria della Criminogenesi Evolutiva considera la violenza umana in un’ottica del tutto avulsa dal quotidiano vivere, ove l’aggressività è vista solo in funzione di un procedimento penale o dei fatti di cronaca a noi purtroppo noti. La suddetta teoria considera invece la violenza in ambito evolutivo, quindi paliamo di milioni di anni, e su scale temporali così elevate, allora la visione della problematica in argomento muta completamente e quello che viene normalmente considerato un fattore infausto, come appunto è l’aggressività, in ambito evolutivo, diviene invece un fattore adattativo di natura biologica che ha permesso all’uomo di sopravvivere nei confronti di un ambiente a lui assolutamente ostile. La violenza, pertanto, può essere intesa non esclusivamente come un fattore “maladattivo”, ma anche benevolo per l’essere umano e quindi può essere anche denominato alla stregua di un “carattere” biologico. Tuttavia dobbiamo comprendere l’origine di questo carattere, come si è creato. Per cercare di giungere a un’esaustiva risposta a tale quesito, la teoria della Criminogenesi Evolutiva mette in sistema vari parametri scientifici come le mutazioni genetiche, le grandi migrazioni umane (queste ultime occorse in tempi ancestrali) e la selezione naturale. Questi parametri afferiscono alle scienze antropologiche. Altri parametri, invece, provengono dalle Scienze criminologiche, come gli studi volti a comprendere la biologia dell’encefalo del deviante o l’ambiente dove il criminale vive o è vissuto. Il tutto con il precipuo intento di chiarire se il carattere adattativo della violenza sia frutto di una possibile mutazione biologica, poi premiata dalla selezione naturale, ovvero se la violenza sia invece dovuta a una componente genetica importata da specie umane affini al sapiens e con le quali quest’ultimo, in tempi assai remoti, è venuto a contatto instaurando probabili legami di natura sessuale, tali da permettere l’importazione, nel nostro patrimonio biologico, di alcuni tratti genetici che potrebbero risultare predisponenti all’aggressività. Quanto appena descritto si è davvero verificato e studi antropologici di settore lo hanno evidenziato. Pensiamo ad esempio al cosiddetto Warrior Gene, ovvero l’allele MAOA-L, che è stato riscontrato nel patrimonio genetico di vari imputati sottoposti a processi penali per atti di natura omicidiaria e che è in grado di predisporre, in talune circostanze, i soggetti che lo possiedono a compiere atti caratterizzati da violenza efferata. Ebbene il predetto allele ha una sua storia biologica in campo evoluzionistico e nel libro ne parliamo diffusamente. Dobbiamo anche considerare i risultati che le Neuroscienze forensi hanno prodotto in questi ultimi anni dimostrando che, in un dato individuo, il possesso di certi alleli e di alcune malformazioni a livello encefalico, possono essere poste alla base, in determinate condizioni, di atti devianti caratterizzati da aggressività. Non è tutto: la teoria della Criminogenesi Evolutiva prevede altresì una possibile evoluzione-mutazione del genoma che è preposto al controllo e rilascio degli atti aggressivi nell’uomo, nell’ipotesi che il suddetto venisse a contatto con nuovi e sconosciuti ambienti. Ecco perché formuliamo un chiaro warning volto a evidenziare che appare assolutamente necessario, nell’atto di selezionare gli equipaggi delle missioni spaziali di lunga durata che siano destinate a varcare oltre l’orbita lunare (ad esempio quella dedicata al prossimo soggiorno dell’uomo su Marte), il non sottovalutare alcune malformazioni encefaliche o marcatori biologici predittivi del comportamento criminale come quelli che nel libro abbiamo rilevato.

Analizziamo meglio il termine “criminogenesi”: come si coniugano in questa teoria lo studio dell’uomo in qualità di “animale sociale”, dell’ambiente in cui egli vive e del processo evolutivo che li lega fisicamente e psichicamente?

Innanzitutto dobbiamo rilevare che in Criminologia il termine Crimongenesi è volto a definire alcune caratteristiche individuali e sociali che hanno avuto peso nella scelta delittuosa. Quindi la Criminogenesi cerca di spiegare come è nata, dove è nata e perché è nata l'idea criminale. In termini ancora più scientifici la Criminogenesi è l’interazione tra le caratteristiche psicologiche del soggetto e il suo background sociale, familiare nonché ambientale nel quale costui vive ed è vissuto, così da farlo orientare verso la deliberazione della propria scelta criminosa.
La Criminogenesi, pertanto, focalizza l’influenza reciproca esistente tra la personalità dell’individuo e l’ambiente. Esiste anche una “Criminogenesi dell’età evolutiva” che mira a comprendere quel determinato periodo della vita nel quale vengono a crearsi le trasformazioni del carattere maggiormente espressive del soggetto nei suoi primi anni di vita e che viene a esaurirsi con la raggiunta maturità della personalità dell’individuo. Noi invece, come già evidenziato, abbiamo incentrato le nostre ricerche scavando nel passato dell’Homo sapiens. Ecco perché parliamo di Criminogenesi Evolutiva: abbiamo esplorato il cespuglio evolutivo dal quale noi tutti proveniamo, esaminando altresì i comportamenti e le interrelazioni che sono venute a crearsi tra il sapiens e gli ominini a lui coevi, nonché quelli che l’evoluzione ha collocato, in un passato primordiale, sulla sua linea filogenetica. Il tutto per tentare di comprendere quale importanza abbia rivestito la genetica nel complesso puzzle dell’aggressività umana. Certo non dobbiamo dimenticare che il criminale è funzione dell’uomo con l’ambiente, giacché l’habitat influenza e può predisporre l’individuo a delinquere. Quanto detto non vale solo in senso criminologico, ma anche antropico ed evolutivo: né è la prova il fatto che non si può oggi parlare di razze, ma solo di un adattamento umano all’ambiente.

Tra i tanti casi analizzati nel testo per suffragare la vostra tesi di partenza qual è il più significativo, che è rimasto maggiormente impresso nella vostra memoria di studiosi e perché?

Particolarmente interessante è rendicontare il risultato delle ricerche portate a compimento presso il Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze – Collezione di Antropologia. Il lavoro archivistico condotto sui cataloghi manoscritti ha permesso di rintracciare, e quindi ricostruire, il caso forense di Vincenzo Rosi, ultimo ghigliottinato fiorentino.
L’efferatezza del crimine compiuto, l’aver brutalmente trucidato Gaetano Del Coco, la moglie Maria Domenica in stato interessante e i due figli sprangando nottetempo la porta della loro abitazione per dargli poi fuoco, vale al Rosi l’ultima esecuzione capitale in terra toscana alle prime luci del mattino del 20 luglio del 1830.
Ulteriori ricerche condotte presso la Collezione di Antropologia hanno poi permesso di recuperare il cranio di Rosi, fino ad oggi dato per disperso dalla storiografia. Del cadavere, come di prassi inviato presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova, viene fatto dono al celebre antropologo Paolo Mantegazza, all’epoca Direttore del Museo Nazionale di Antropologia di Firenze, perché effettuasse una valutazione in particolare del cranio decollato. Mantegazza rubrica quindi il reperto al numero 34 del Catalogo Craniologico e ne affida l’esame all’allievo Giuseppe Amadei che conclude essere stato Rosi un delinquente «per predestinazione», ossia le radici ultime del suo comportamento violento risiedono nel corredo biologico il quale, sotto particolare stimolo ambientale di origine stressoria, porta il soggetto a compiere atti criminali di estrema violenza come l’incendio alla capanna del Vignaccio sembra mostrare. Il reperto anatomico presenta la particolarità dell’incisione ad inchiostro del cognome ROSI sulla superficie ossea, annotazione questa che conferisce ancor più importanza e rilievo a una «microstoria» che racconta sì una pagina inedita del passato fiorentino, rimarcando al contempo la straordinarietà documentaria del patrimonio museale del nostro paese, la cui eccezionalità non risiede nella mera bellezza di turistica ammirazione, bensì nel suo essere guida e viatico per la ricerca scientifica.

Dopo la fase di ricerca e di pubblicazione, che riscontri state avendo dalla divulgazione del testo? Quali sono le impressioni dei lettori, siano essi colleghi accademici o semplici appassionati? E come potrebbe cambiare concretamente lo studio e la lotta contro la criminalità alla luce di questa tesi anche a livello di prevenzione e di reinserimento del reo nella società?

Possiamo ritenerci soddisfatti del risultato fin qui raggiunto. Abbiamo cercato di divulgare “Criminogenesi Evolutiva” nella maniera più “social” possibile grazie all’apertura di pagine dedicate sui maggiori social network. Questo ci permette di mantenere un filo diretto con i nostri lettori che, informati in tempo reale sulle iniziative a sostegno della promozione del volume, non mancano di far sentire la loro attiva e interessata partecipazione agli eventi organizzati presso librerie ed istituzioni scientifiche. Anche il circolo accademico ha accolto favorevolmente l’uscita del libro, abbiamo infatti ricevuto le congratulazioni di Adrian Raine, docente statunitense e pioniere nella ricerca sul neuro-crimine e sulle applicazioni della genetica comportamentale in ambito forense e giudiziario.
Il nostro studio è un warning per il legislatore affinché comprenda che la norma penale si fonda essenzialmente sulla valutazione di un determinato comportamento illecito. Quest’ultimo non è figlio di una sterile legge, bensì di un comportamento umano. È quindi l’uomo il fulcro del processo penale e non la norma, e il soggetto umano è e rimane un organismo biologicamente complesso frutto di un’evoluzione durata milioni di anni e che forse non ha ancora visto la sua conclusione. La norma penale, in futuro, dovrà necessariamente tenere conto della genetica comportamentale, degli studi nati dall’antropologia criminale e delle neuroscienze di stampo forense, se si vorrà davvero prevenire il crimine, ma anche e soprattutto ottenere un giusto processo. Articoli del codice penale volti alla comprensione della capacità di intendere e di volere, alla luce degli studi di settore, dovranno subire prima o poi un inevitabile restyling, altrimenti rischiamo di avere apparati codicistici assolutamente anacronistici.
Ecco perché Diritto penale e Scienza dovranno andare sempre più a braccetto. Questo vale anche per valutare il profiling criminologico di un soggetto che sia dichiarato pericoloso sociale e un suo eventuale reinserimento nel tessuto sociale.    

A cosa state lavorando attualmente? Raccontateci quali sono i vostri programmi per il futuro.

Ci muoviamo su diversi campi scientifici come l’intersessualità e le devianze a essa collegate, i rapporti che sussistono tra violenza ed evoluzione e i nessi che intercorrono fra scienze forensi ed esplorazione spaziale, un campo, permetteteci il gioco di parole, ancora tutto da esplorare!


 





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