Criminali
si nasce o si diventa? Ecco il quesito al quale, sin dalla loro nascita, le
Scienze Criminologiche hanno cercato di rispondere, ponendosi al confine tra la
necessità del diritto di arginare in modo scientifico
la criminalità e il desiderio di conoscere la natura più profonda dei
meccanismi che portano un soggetto a delinquere, tra istinti biologici e
bisogni morali e politici.
In “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo Editrice, gli antropologi e
criminologi Annarita Franza e Vincenzo Lusa hanno spiegato come la
violenza, nel corso della storia, già a partire dalle popolazioni primitive che
abitarono il continente africano migliaia di anni fa, sia stata una carattere
adattativo favorevole per l’uomo dal punto di vista evolutivo, che gli ha
permesso non solo di adeguarsi all’ambiente circostante, ma anche di dominarlo,
ponendosi in una posizione di supremazia verso gli altri esseri viventi e,
quando necessario, scontrandosi coi propri simili.
Gli
autori, spostando il consueto focus
della Criminogenesi dal caso singolo, all’uomo come animale sociale in continua
evoluzione, hanno svolto un’analisi chiara e interessante anche per i profani
sia dal punto di vista storico-antropologico, sia dal punto di vista
biologico-genetico, spiegando come e perchè è nato nell’uomo l’istinto a
delinquere e le conseguenze che esso ha avuto nelle società civili nel corso
del tempo, oltre a quelle che potrebbe avere in futuro in condizioni ignote e
decisamente particolari come potrebbero essere quelle di un equipaggio
spaziale.
Accanto
a questi excursus, gli autori hanno
raccontato alcuni casi concreti, spesso inediti o poco conosciuti, che avvalorano
le loro tesi originale e innovative. L’obiettivo è quello di studiare i
fenomeni criminali alla luce delle verità scientifiche inerenti la biologia e
la genetica, cercando di fare in modo che anche la legge e il diritto si
adeguino all’esigenza di sicurezza e giustizia sociale in un’ottica sempre più
moderna e attuale.
Cosa accadrebbe se ci rendessimo conto che la
violenza non è solo una manifestazione patologica, ma un vero e proprio
carattere adattativo fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo? È da questo
interrogativo che prende il via “Criminogenesi Evolutiva”, Lo Scarabeo
Editrice, un vero e proprio viaggio tra antropologia e criminologia che guida
il lettore attraverso lo studio di interessanti casi reali. Raccontateci la genesi di questo testo e dell’interessante teoria
che sostiene: cosa vi siete prefissati di dimostrare?
La teoria della
Criminogenesi Evolutiva considera la violenza umana in un’ottica del tutto
avulsa dal quotidiano vivere, ove l’aggressività è vista solo in funzione di un
procedimento penale o dei fatti di cronaca a noi purtroppo noti. La suddetta
teoria considera invece la violenza in ambito evolutivo, quindi paliamo di
milioni di anni, e su scale temporali così elevate, allora la visione della problematica
in argomento muta completamente e quello che viene normalmente considerato un
fattore infausto, come appunto è l’aggressività, in ambito evolutivo, diviene
invece un fattore adattativo di natura biologica che ha permesso all’uomo di
sopravvivere nei confronti di un ambiente a lui assolutamente ostile. La
violenza, pertanto, può essere intesa non esclusivamente come un fattore “maladattivo”, ma anche benevolo per l’essere umano e quindi può
essere anche denominato alla stregua di un “carattere” biologico. Tuttavia
dobbiamo comprendere l’origine di questo carattere, come si è creato. Per
cercare di giungere a un’esaustiva risposta a tale quesito, la teoria della
Criminogenesi Evolutiva mette in sistema vari parametri scientifici come le
mutazioni genetiche, le grandi migrazioni umane (queste ultime occorse in tempi
ancestrali) e la selezione naturale. Questi parametri afferiscono alle scienze
antropologiche. Altri parametri, invece, provengono dalle Scienze
criminologiche, come gli studi volti a comprendere la biologia dell’encefalo
del deviante o l’ambiente dove il criminale vive o è vissuto. Il tutto con il precipuo intento di chiarire se il carattere adattativo
della violenza sia frutto di una possibile mutazione biologica, poi premiata
dalla selezione naturale, ovvero se la violenza sia invece dovuta a una componente
genetica importata da specie umane affini al sapiens e con le quali quest’ultimo, in tempi assai remoti, è
venuto a contatto instaurando probabili legami
di natura sessuale, tali da permettere l’importazione, nel nostro
patrimonio biologico, di alcuni tratti genetici che potrebbero risultare
predisponenti all’aggressività. Quanto appena descritto si è davvero verificato
e studi antropologici di settore lo hanno evidenziato. Pensiamo ad esempio al
cosiddetto Warrior Gene, ovvero l’allele
MAOA-L, che è stato riscontrato nel patrimonio genetico di vari imputati
sottoposti a processi penali per atti di natura omicidiaria e che è in grado di
predisporre, in talune circostanze, i soggetti che lo possiedono a compiere
atti caratterizzati da violenza efferata. Ebbene il predetto allele ha una sua
storia biologica in campo evoluzionistico e nel libro ne parliamo diffusamente.
Dobbiamo anche considerare i risultati che le Neuroscienze forensi hanno
prodotto in questi ultimi anni dimostrando che, in un dato individuo, il
possesso di certi alleli e di alcune malformazioni a livello encefalico,
possono essere poste alla base, in determinate condizioni, di atti devianti caratterizzati
da aggressività. Non è tutto: la teoria della Criminogenesi Evolutiva prevede
altresì una possibile evoluzione-mutazione del genoma che è preposto al
controllo e rilascio degli atti aggressivi nell’uomo, nell’ipotesi che il
suddetto venisse a contatto con nuovi e sconosciuti ambienti. Ecco perché
formuliamo un chiaro warning volto a evidenziare
che appare assolutamente necessario, nell’atto di selezionare gli equipaggi
delle missioni spaziali di lunga durata che siano destinate a varcare oltre
l’orbita lunare (ad esempio quella dedicata al prossimo soggiorno dell’uomo su
Marte), il non sottovalutare alcune malformazioni encefaliche o marcatori
biologici predittivi del comportamento criminale come quelli che nel libro
abbiamo rilevato.
Analizziamo meglio il termine “criminogenesi”:
come si coniugano in questa teoria lo studio dell’uomo in qualità di “animale sociale”,
dell’ambiente in cui egli vive e del processo evolutivo che li lega fisicamente
e psichicamente?
Innanzitutto dobbiamo rilevare che in Criminologia
il termine Crimongenesi è volto a definire alcune caratteristiche individuali e
sociali che hanno avuto peso nella scelta delittuosa. Quindi la Criminogenesi
cerca di spiegare come è nata, dove è nata e perché è nata l'idea criminale. In
termini ancora più scientifici la Criminogenesi è l’interazione tra le
caratteristiche psicologiche del soggetto e il suo background sociale, familiare nonché ambientale nel quale costui
vive ed è vissuto, così da farlo orientare verso la deliberazione della propria
scelta criminosa.
La Criminogenesi, pertanto, focalizza l’influenza
reciproca esistente tra la personalità dell’individuo e l’ambiente. Esiste
anche una “Criminogenesi dell’età evolutiva” che mira a comprendere quel determinato periodo
della vita nel quale vengono a
crearsi le trasformazioni del carattere maggiormente espressive del soggetto
nei suoi primi anni di vita e che viene a esaurirsi con la raggiunta maturità della personalità
dell’individuo. Noi invece, come già evidenziato, abbiamo incentrato le nostre
ricerche scavando nel passato dell’Homo sapiens.
Ecco perché parliamo di Criminogenesi Evolutiva: abbiamo esplorato il cespuglio evolutivo dal quale noi tutti proveniamo,
esaminando altresì i comportamenti e le interrelazioni che sono venute a
crearsi tra il sapiens e gli ominini
a lui coevi, nonché quelli che l’evoluzione ha collocato, in un passato
primordiale, sulla sua linea filogenetica. Il tutto per tentare di comprendere
quale importanza abbia rivestito la genetica nel complesso puzzle dell’aggressività umana. Certo non dobbiamo dimenticare che
il criminale è funzione dell’uomo con l’ambiente, giacché l’habitat influenza e
può predisporre l’individuo a delinquere. Quanto detto non vale solo in senso
criminologico, ma anche antropico ed evolutivo: né è la prova il fatto che non
si può oggi parlare di razze, ma solo di un adattamento umano all’ambiente.
Tra i tanti casi analizzati nel testo per
suffragare la vostra tesi di partenza qual è il più significativo, che è
rimasto maggiormente impresso nella vostra memoria di studiosi e perché?
Particolarmente
interessante è rendicontare il risultato delle ricerche portate a compimento
presso il Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze – Collezione di
Antropologia. Il lavoro archivistico condotto sui cataloghi manoscritti ha
permesso di rintracciare, e quindi ricostruire, il caso forense di Vincenzo
Rosi, ultimo ghigliottinato fiorentino.
L’efferatezza del crimine compiuto, l’aver
brutalmente trucidato Gaetano Del Coco, la moglie Maria Domenica in stato
interessante e i due figli sprangando nottetempo la porta della loro abitazione
per dargli poi fuoco, vale al Rosi l’ultima esecuzione capitale in terra
toscana alle prime luci del mattino del 20 luglio del 1830.
Ulteriori ricerche condotte presso la
Collezione di Antropologia hanno poi permesso di recuperare il cranio di Rosi,
fino ad oggi dato per disperso dalla storiografia. Del cadavere, come di prassi
inviato presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova, viene fatto dono al celebre
antropologo Paolo Mantegazza, all’epoca Direttore del Museo Nazionale di
Antropologia di Firenze, perché effettuasse una valutazione in particolare del
cranio decollato. Mantegazza rubrica quindi il reperto al numero 34 del
Catalogo Craniologico e ne affida l’esame all’allievo Giuseppe Amadei che
conclude essere stato Rosi un delinquente «per predestinazione», ossia le
radici ultime del suo comportamento violento risiedono nel corredo biologico il
quale, sotto particolare stimolo ambientale di origine stressoria, porta il
soggetto a compiere atti criminali di estrema violenza come l’incendio alla
capanna del Vignaccio sembra mostrare. Il reperto anatomico presenta la
particolarità dell’incisione ad inchiostro del cognome ROSI sulla superficie
ossea, annotazione questa che conferisce ancor più importanza e rilievo a una
«microstoria» che racconta sì una pagina inedita del passato fiorentino,
rimarcando al contempo la straordinarietà documentaria del patrimonio museale
del nostro paese, la cui eccezionalità non risiede nella mera bellezza di
turistica ammirazione, bensì nel suo essere guida e viatico per la ricerca
scientifica.
Dopo la fase di ricerca e di pubblicazione, che
riscontri state avendo dalla divulgazione del testo? Quali sono le impressioni
dei lettori, siano essi colleghi accademici o semplici appassionati? E come
potrebbe cambiare concretamente lo studio e la lotta contro la criminalità alla
luce di questa tesi anche a livello di prevenzione e di reinserimento del reo
nella società?
Possiamo
ritenerci soddisfatti del risultato fin qui raggiunto. Abbiamo cercato di
divulgare “Criminogenesi Evolutiva” nella maniera più “social” possibile grazie
all’apertura di pagine dedicate sui maggiori social network. Questo ci permette
di mantenere un filo diretto con i nostri lettori che, informati in tempo reale
sulle iniziative a sostegno della promozione del volume, non mancano di far
sentire la loro attiva e interessata partecipazione agli eventi organizzati
presso librerie ed istituzioni scientifiche. Anche il circolo accademico ha
accolto favorevolmente l’uscita del libro, abbiamo infatti ricevuto le
congratulazioni di Adrian Raine, docente statunitense e pioniere nella ricerca
sul neuro-crimine e sulle applicazioni della genetica comportamentale in ambito
forense e giudiziario.
Il
nostro studio è un warning per il
legislatore affinché comprenda che la norma penale si fonda essenzialmente sulla
valutazione di un determinato comportamento illecito. Quest’ultimo non è figlio
di una sterile legge, bensì di un comportamento umano. È quindi l’uomo il
fulcro del processo penale e non la norma, e il soggetto umano è e rimane un
organismo biologicamente complesso frutto di un’evoluzione durata milioni di
anni e che forse non ha ancora visto la sua conclusione. La norma penale, in
futuro, dovrà necessariamente tenere conto della genetica comportamentale, degli
studi nati dall’antropologia criminale e delle neuroscienze di stampo forense,
se si vorrà davvero prevenire il crimine, ma anche e soprattutto ottenere un
giusto processo. Articoli del codice penale volti alla comprensione della
capacità di intendere e di volere, alla luce degli studi di settore, dovranno
subire prima o poi un inevitabile restyling,
altrimenti rischiamo di avere apparati codicistici assolutamente anacronistici.
Ecco
perché Diritto penale e Scienza dovranno andare sempre più a braccetto. Questo
vale anche per valutare il profiling criminologico di un soggetto che sia
dichiarato pericoloso sociale e un suo eventuale reinserimento nel tessuto
sociale.
A cosa state lavorando attualmente? Raccontateci
quali sono i vostri programmi per il futuro.
Ci
muoviamo su diversi campi scientifici come l’intersessualità e le devianze a
essa collegate, i rapporti che sussistono tra violenza ed evoluzione e i nessi
che intercorrono fra scienze forensi ed esplorazione spaziale, un campo,
permetteteci il gioco di parole, ancora tutto da esplorare!
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